Cass., Sez. IV, sent. 18 giugno 2021 (dep. 30 settembre 2021), n. 35843, Pres. Ciampi, Rel. Bruno
1. Con la sentenza in commento, la Suprema Corte di Cassazione ha annullato con rinvio una sentenza della Corte d’Appello di Roma che, in relazione ad un sinistro stradale, aveva condannato il conducente del veicolo coinvolto e il responsabile municipale della segnaletica stradale per aver cagionato, in cooperazione tra loro, il decesso della vittima. Il fatto è relativo ad un incidente stradale verificatosi nel giugno del 2009, prima dunque dell’entrata in vigore della legge 23 marzo 2016, n. 41 che – come è noto – ha introdotto i reati di omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi o gravissime.
Veniva accertato che il conducente del veicolo coinvolto procedeva a una velocità superiore al limite consentito e che la vittima, immettendosi nella strada percorsa dall’imputato, aveva omesso di dare la precedenza. L’imputazione e, poi, la condanna a carico del responsabile dell’Ufficio tecnico e della segnaletica stradale di una delle municipalità del Comune di Roma si fondavano invece sul rilievo relativo alla scarsa visibilità del segnale verticale di “dare la precedenza”, dovuta alla circostanza che esso risultava inclinato e coperto dalla vegetazione, e sull’omessa apposizione del segnale di preavviso dell’intersezione.
L’incrocio stradale interessato dal sinistro si caratterizzava, oltre che per le suddette condizioni della segnaletica stradale, anche per la fitta e incolta vegetazione che si trovava ai margini della strada urbana a doppio senso nonché per un edificio posto in prossimità dell’incrocio, condizioni quest’ultime che non avrebbero consentito ai conducenti di accorgersi degli altri veicoli che sopraggiungevano.
La pronuncia si segnala per il buon governo dei principi che consentono di ascrivere a titolo di colpa l’evento lesivo a un soggetto autore della condotta posta in essere in violazione di una regola cautelare, emergendo la necessità di evitare rigidi automatismi nell’affermazione della responsabilità penale del titolare di una posizione di garanzia ovvero di colui il quale, alla guida di un veicolo, non abbia osservato cautele integranti un parametro di colpa generica o specifica.
2. Come dimostrato dalla sentenza di condanna avverso cui è stato proposto ricorso per cassazione, nell’ambito della circolazione stradale si registrano talvolta pronunce nelle quali l’affermazione della responsabilità penale sembrerebbe fondarsi sul mero dato oggettivo dell’inosservanza di una regola cautelare[1] ovvero sulla sola posizione apicale rivestita dall’imputato, prescindendo – dunque – da una compiuta analisi della c.d. misura oggettiva e soggettiva della colpa[2].
Il rispetto del principio di colpevolezza richiede, difatti, una analisi che non sia limitata alla sola verifica della sussistenza del rapporto causale[3] e della c.d. tipicità colposa, ma che comprenda anche l’accertamento della prevedibilità dell’evento, della sua correlazione con l’area di rischio che la norma inosservata mirava a prevenire (c.d. concretizzazione del rischio), nonché la verifica dell’efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito[4].
Rigidi e pericolosi automatismi nell’ascrizione dell’evento lesivo che siano giustificati dal solo accertamento della inosservanza della norma cautelare e della sussistenza del nesso di condizionamento non possono considerarsi rispettosi del principio di responsabilità per fatto proprio colpevole. Si rende necessario svolgere piuttosto una compiuta analisi che restringa la responsabilità dell’agente ai soli eventi lesivi, ex ante prevedibili ed evitabili, secondo la logica appena schematizzata.
Nella pronuncia in commento, la Corte fa applicazione dei summenzionati principi sia in riferimento alla posizione del responsabile dell’ufficio municipale incaricato della manutenzione della segnaletica stradale sia in riferimento al conducente dell’autovettura che – procedendo ad una velocità superiore a quella consentita e non essendosi accorto della manovra imprudente della vittima – collideva con la stessa, cagionandone il decesso.
3. La condanna pronunciata dalla Corte d’Appello a carico del responsabile dell’Ufficio tecnico e della segnaletica stradale si fonda sull’obbligo di attivazione per la predisposizione e la manutenzione della segnaletica stradale, fatto discendere dalla qualifica ricoperta dall’imputato[5], senza che tuttavia risulti che l’imputato avesse avuto «effettiva conoscenza dello stato dei luoghi» (p. 4) o, quanto meno, che tali condizioni rientrassero nella «sfera di conoscibilità del funzionario» (p. 7).
Dubbi in ordine alla possibilità di ritenere che l’imputato fosse a conoscenza o, quanto meno, ignorasse per colpa lo stato di cattiva manutenzione della segnaletica nel tratto stradale interessato sorgono alla luce del riferimento alla presenza di una unità organizzativa autonoma alle dipendenze della Polizia Municipale denominata “Unità Interdisciplinare Traffico e Segnaletica Stradale” (U.I.T.S.), la quale risultava preposta al ricevimento delle segnalazioni e all’inoltro delle stesse all’Ufficio a cui capo era posto l’imputato. Come messo in luce nei motivi di ricorso formulati dalla difesa del responsabile dell’ufficio municipale, la Corte d’Appello aveva dapprima escluso l’operatività della citata unità organizzativa per carenza di personale, salvo poi ammettere il suo funzionamento secondo quanto in precedenza descritto.
La Suprema Corte accoglie i motivi formulati dalla difesa, ritenendo che il giudice dell’appello non abbia fatto «buon governo degli artt. 40 e 43 c.p.» (p.5). Ad avviso della Corte di Cassazione, il giudice del merito avrebbe fondato la pronuncia di condanna su un non consentito automatismo nell’ascrizione dell’evento lesivo basato sulla sola posizione apicale rivestita dall’imputato.
La necessità, costituzionalmente imposta, di assicurare che ciascuno risponda per il solo fatto proprio colpevole comporta l’esigenza di ricusare siffatti indebiti automatismi.
Pertanto, anche in presenza di una posizione di garanzia, si rende necessario, al fine di affermare la responsabilità del garante, procedere con «la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso»[6].
In applicazione dei principi menzionati, la Suprema Corte censura la sentenza impugnata poiché considerata carente, non essendosi il giudice dell’appello soffermato sulla conoscenza o conoscibilità dello stato della segnaletica stradale da parte dell’imputato, nonché contraddittoria nella parte in cui dapprima nega l’operatività della “Unità Interdisciplinare Traffico e Segnaletica Stradale” per poi riferire che essa riceveva e inoltrava le relative segnalazioni all’Ufficio dell’imputato.
Ne deriva dunque che, ad avviso dei giudici di legittimità, la Corte territoriale avrebbe affermato la responsabilità del Responsabile dell’Ufficio tecnico e della segnaletica stradale sulla base di un indebito automatismo fondato sulla sola posizione rivestita dall’imputato, in violazione dunque del principio di colpevolezza.
4. La Suprema Corte fa applicazione dei principi enunciati anche in relazione alla posizione del conducente il quale, procedendo ad una velocità superiore a quella consentita, si era scontrato con il veicolo condotto dalla vittima, cagionandone il decesso.
La condotta del conducente era stata ritenuta dai giudici del merito caratterizzata da profili di colpa specifica, posto che risultava che la velocità a cui procedeva l’imputato fosse superiore ai prescritti limiti di velocità e, comunque, non adeguata allo stato dei luoghi e al tipo di veicolo condotto (un autoarticolato costituito da una motrice ed un rimorchio avente un peso piuttosto elevato), in violazione quindi degli artt. 140 e 142 del Codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285).
La Suprema Corte richiama l’esigenza di svolgere una compiuta analisi che non sia limitata alla verifica della sussistenza di una condotta antigiuridica adottata in violazione delle regole cautelari, specifiche o generiche, in quanto siffatto accertamento – sebbene necessario – non esaurisce il giudizio da svolgersi, residuando quello relativo alla prevedibilità ed evitabilità dell’evento che la norma precauzionale mirava a prevenire nonché l’accertamento della c.d. efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito[7].
Si valorizza, dunque, la necessità di accertare la c.d. causalità della colpa, emergendo chiaramente dalla decisione il principio secondo cui la responsabilità colposa non possa estendersi a tutti gli eventi che derivino dall’inosservanza della norma, dovendosi piuttosto limitare la responsabilità penale dell’agente ai soli eventi che rappresentino la “concretizzazione del rischio” che la regola cautelare violata mirava a prevenire, sempre che la condotta dell’agente sia «soggettivamente riprovevole». Tale non è la condotta del soggetto attivo qualora risulti che, pur adottando la cautela omessa, l’evento si sarebbe comunque verificato, non potendosi pretendere dall’agente un comportamento che risulterebbe comunque inidoneo a scongiurare la realizzazione dell’evento.[8]
Pertanto, al fine di addivenire a una fondata affermazione della responsabilità dell’imputato, in aggiunta alla verifica della c.d. concretizzazione del rischio, si rende necessario accertare – per il tramite di un giudizio controfattuale – se il comportamento doveroso omesso avrebbe evitato la realizzazione dell’evento con certezza o, quanto meno, avrebbe avuto «significative probabilità di scongiurare l’evento»[9].
Ad avviso della Cassazione, la Corte di merito non avrebbe offerto risposte esaustive in relazione alla c.d. efficacia impeditiva della condotta alternativa lecita, non essendosi adeguatamente confrontata con le conclusioni del consulente del PM. Secondo quest’ultimo, l’evento si sarebbe comunque verificato anche se l’imputato avesse tenuto la velocità di 50 km/h, in conformità quindi ai limiti di velocità vigenti per quel tratto stradale; difatti, soltanto una velocità sensibilmente inferiore al limite massimo, pari a 30 km/h, avrebbe evitato lo scontro con il veicolo della vittima. Il giudice dell’appello non ha svolto dunque una «compiuta indagine causale» (p.8), avendo omesso di verificare se una condotta di guida prudente avrebbe avuto, quanto meno, significative probabilità di evitare l’evento[10].
5. In definitiva, la pronuncia in esame si segnala per una compiuta indagine dell’elemento soggettivo, valorizzandosi l’accertamento della c.d. causalità della colpa nel suo duplice nesso rappresentato dalla concretizzazione del rischio e dall’efficacia impeditiva della condotta alternativa lecita. L’insegnamento che emerge con chiarezza è quello, come si diceva in avvio, di evitare rigidi automatismi basati sulla sola posizione rivestita dall’imputato o sul mero accertamento del contributo causale da lui offerto alla realizzazione dell’evento mediante una condotta inosservante delle norme cautelari, rimarcando i giudici di legittimità come soluzioni di tale tipo non possano considerarsi rispettose del principio di colpevolezza.
[1] In tal senso Canepa A., L’imputazione soggettiva della colpa. Il reato colposo come punto cruciale nel rapporto tra illecito e colpevolezza, Torino, Giappichelli, 2011, pp. 141-142 e, per una casistica giurisprudenziale relativa all’ambito della circolazione stradale, p. 110 s. Su quest’ultimo profilo v. diffusamente Di Giovine, Il contributo della vittima nel delitto colposo, Torino, Giappichelli, 2003, p. 19 s.
[2] Sul punto v. Cass. pen., sez. IV, 16/06/2010 (dep. 20/08/2010), n. 32126, in Dir. pen. cont., 17 gennaio 2011 con nota di Abbadessa, ove si legge “[…] si distingue, nell'ambito dell'elemento colposo, da un verso la misura soggettiva della colpa, consistente nella prevedibilità del risultato offensivo e nell'esigibilità della condotta conforme alla regola cautelare, e dall'altro la misura oggettiva della colpa, contrassegnata invece dall'individuazione e violazione della regola cautelare e dalla evitabilità del risultato dannoso”; più recentemente Cass. pen., sez. IV, 04/10/2017 (dep. 31/10/2017), n. 50024, in Diritto & Giustizia, 2017, 2 novembre 2017 con nota di Larotonda.
[3] La verifica della sussistenza del rapporto causale, imposta dall’art. 40 c.p., è strumentale ad evitare che l’agente risponda di un fatto che non possa dirsi «conseguenza della sua azione o omissione», dunque, un fatto altrui. In questo senso, l’art. 40 c.p. è finalizzato a garantire il rispetto del divieto di responsabilità per fatto altrui, inteso come «primo livello minimale» del principio di personalità della responsabilità penale. Cfr. Donini, La personalità̀ della responsabilità̀ penale fra tipicità e colpevolezza. Una “resa dei conti” con la prevenzione generale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 1582.
[4] La c.d. causalità della colpa trova una conferma nella stessa definizione di delitto colposo che si ricava dall’art. 43 c.p. Il citato articolo richiede difatti che, nei delitti colposi, l’evento si verifichi «a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline», introducendo dunque un duplice nesso tra colpa ed evento (Cfr. Marinucci, Dolcini e Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, nona edizione, Milano, Giuffrè, p. 425 s.). Si comprende, dunque, l’opinione di quanti ritengono che il duplice nesso tra evento e rischio in cui si sostanzia la c.d. causalità della colpa, sia anch’esso finalizzato a «garantire la personalità della responsabilità penale», assicurando dunque che vengano ascritte all’agente le sole conseguenze della propria condotta. (Cfr. Giugni, Causalità della colpa e circolazione stradale tra prassi applicative e dubbi irrisolti, in Dir. pen. cont., fasc.1/2019, p. 6; più in generale Fiandaca, Musco, Diritto penale. Parte generale, ottava edizione, Bologna, Zanichelli, 2019, pp. 595-596.
[5] Sul tema della responsabilità colposa per omessa manutenzione stradale dei titolari di una posizione di garanzia v. Di Landro, Le "insidie stradali" e la responsabilità colposa dei dirigenti e degli amministratori pubblici locali: punti fermi e questioni ancora aperte nella giurisprudenza di legittimità, in Dir. pen. cont., 8 luglio 2011; Civello, Il delitto colposo d'evento da omessa manutenzione stradale: la colpa soccombe sotto il peso della posizione di garanzia, in Archivio Penale, Rivista Web, 2014, n. 2.
[6] Cass. pen. Sez. IV, ud. 08/01/2015 (dep. 05/02/2015), n. 5404, in Dejure.it; più recentemente Cass. pen., sez. IV, 02/07/2019 (dep. 28/10/2019), n. 43652, in Dejure.it.
[7] Ex multis Cass. pen., sez. IV, 18/01/2018 (dep. 07/03/2018), n. 10378, in Diritto & Giustizia, 2018, 8 Marzo, con nota di Bossi C., ove si legge: «[…] la violazione della regola cautelare e la sussistenza del nesso di condizionamento tra la condotta e l'evento non sono, pertanto, sufficienti per fondare l'affermazione di responsabilità, giacché occorre anche, chiedersi, necessariamente, se l'evento derivatone rappresenti o no la "concretizzazione" del rischio che la regola stessa mirava a prevenire (Sez. 4, n. 43966 del 6711/2009, Rv. 245526), difettando l'evitabilità e quindi la colpa quando l'evento si sarebbe verificato anche qualora il soggetto avesse agito nel rispetto delle norme cautelari».
[8] Così Cass. pen., sez. IV, 14/02/2008 (dep. 15/05/2008), n. 19512, in Dejure.it.
[9] Così Cass. pen., sez. IV, 14/02/2008 (dep. 15/05/2008), n. 19512, cit.; più recentemente Cass. pen., sez. IV, 01/10/2014 (dep. 12/12/2014), n. 51737, in Dejure.it; Cass. pen., sez. IV, 30/05/2017 (dep. 13/07/2017), n. 34375, in Dejure.it.
[10] Sul dibattuto tema del «coefficiente di efficacia impeditiva» del comportamento alternativo lecito v. Fiandaca, Musco, Diritto penale, cit., pp. 596-599; Bartoli, Diritto penale e prova scientifica, in Dir. pen. cont., 15 febbraio 2018, pp. 25-28; Giugni, Causalità della colpa, cit., pp. 7-8.