Cass., Sez. IV, sent. 16 settembre 2020 (dep. 1 ottobre 2020), n. 27242, Pres. Piccialli, Est. Pezzella
1.La sentenza in epigrafe si inserisce nel solco tracciato da tempo dalla giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità penale e infortuni sul luogo di lavoro[1]. Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte ribadisce e analizza i contenuti del debito di sicurezza gravante sulla figura datoriale, declinabile negli obblighi di adeguata formazione, informazione e addestramento dei lavoratori nonché nell’attenta valutazione dei rischi presenti sul luogo di lavoro e a questo connessi. La finalità spiccatamente preventiva che informa l’intera fase progettuale dell’attività lavorativa si traduce per il datore di lavoro nella necessaria adozione di un piano costantemente aggiornato contenente le idonee misure di sicurezza e nella regolare verifica che il lavoratore rispetti le direttive impartite[2]. Per converso, la violazione dei predetti obblighi (specificamente sanzionata a titolo contravvenzionale ai sensi dell’art. 55 d.lgs. n. 81/2008), oltre a integrare un’ipotesi di reato permanente, fonda altresì la responsabilità penale, a titolo di colpa specifica, del datore di lavoro in caso di infortunio occorso al lavoratore dipendente, qualora l’inosservanza di tali norme dettate a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro possa considerarsi causalmente legata alla verificazione dell’evento lesivo.
2. Al fine di ricostruire l’iter argomentativo della Corte, ripercorriamo per sommi capi la vicenda giudiziaria su cui si innesta la sentenza in rassegna. Il caso di specie riguarda il presidente di una società cooperativa a responsabilità limitata condannato in primo grado dal Tribunale di Alessandria alla pena di dieci mesi di reclusione (con il beneficio della sospensione condizionale della pena) poiché ritenuto responsabile ex. art. 589 co 1 e 2 c.p. di aver cagionato colposamente il decesso di un socio lavoratore[3]. L’infortunio fatale è occorso mentre quest’ultimo, addetto all’abbattimento di alberi, provocava la caduta di un pioppo sul terreno di una proprietà privata. In quel frangente, la pianta, dopo aver urtato con i rami l’albero vicino cadeva e colpiva con la base del tronco il torace del lavoratore, causandone la morte.
Il giudice di prima istanza ravvisava la responsabilità colposa del datore di lavoro consistita nella negligenza, imprudenza e imperizia dello stesso, nonché nella violazione delle norme deputate alla prevenzione degli infortuni sul lavoro[4].
Avverso il provvedimento di condanna, confermato in sede d’appello[5], il presidente della società cooperativa proponeva ricorso per Cassazione. Nei motivi d’impugnazione si deduceva il travisamento delle prove dichiarative e documentali nonché un vizio di motivazione della sentenza (in violazione dell’art. 125 c.p.p.) in ordine alla sussistenza della responsabilità dell’imputato e alla causalità della colpa.
3. Analizzate preliminarmente le ragioni dell’infondatezza delle suddette doglianze, il Supremo Collegio rigetta in toto il ricorso e coglie l’occasione per ribadire quel che oggi la giurisprudenza di legittimità considera pacifico: il datore di lavoro è penalmente responsabile per l’infortunio occorso al lavoratore in caso di violazione degli obblighi relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro e di inosservanza dei doveri di formazione e informazione dei propri dipendenti. La logica che informa l’intera disciplina contenuta nel Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, espressamente richiamata in sentenza, è di tipo preventivo-precauzionale. Tale modello normativo di tutela individua nel datore di lavoro il principale debitore di sicurezza, chiamato ad adempiere a una serie di obblighi di carattere prevenzionale finalizzati all’eliminazione dei rischi o, laddove non fosse possibile, «alla loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico»[6].
3.1. In un’ottica di prevenzione primaria, uno dei principali doveri del datore di lavoro – sottolinea la Corte – è individuato nella garanzia di un’adeguata formazione e informazione ai lavoratori. Il tenore dell’obbligo è chiarito dal dettato normativo[7]: il processo di formazione – si legge all’articolo 2 t.u.s.l. – si esplica con la trasmissione di conoscenze e procedure finalizzate all’acquisizione di idonee competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti aziendali. Il concetto di informazione rinvia a quel complesso di attività volte all’enucleazione del rischio, alla sua riduzione e gestione. Altro significato ancora va poi attribuito alla nozione di “addestramento”, sintetizzabile nell’insieme di attività dirette a insegnare al lavoratore l’uso corretto di macchinari, attrezzature, sostanze, dispositivi e procedure di lavoro.
Formazione e informazione devono essere adeguate non solo in relazione ai rischi per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, ma altresì in funzione dei rischi e pericoli specifici cui il lavoratore è esposto in ragione della propria attività, mansione, settore o comparto dell’azienda. Fondamentale è inoltre che il contenuto dell’informazione sia «facilmente comprensibile per i lavoratori» al fine principale di «consentire loro di acquisire le relative conoscenze». Tanto che, nel caso di lavoratori immigrati è necessario verificare preliminarmente che essi comprendano la lingua utilizzata nel percorso informativo[8]. Il lavoratore, in altre parole, deve acquisire tutte quelle nozioni necessarie alla corretta identificazione dei rischi e le competenze richieste per una efficace gestione, in autotutela, degli stessi. Per il datore di lavoro si tratta di un obbligo inderogabile, che non è escluso né è surrogabile dal personale background conoscitivo ed esperienziale del lavoratore[9] e la cui violazione è punita con pena detentiva alternativa alla pena pecuniaria ai sensi del comma 5, lett. c) dell’art. 55 del d.lgs. n. 81/08.
3.2. La valutazione del rischio e la conseguente redazione del documento di sicurezza, oltre a costituire obblighi non delegabili del datore di lavoro, rappresentano attività contigue e per certi versi prodromiche rispetto al dovere di formazione e informazione del lavoratore. L’elaborazione di un documento di valutazione che dia conto dell’individuazione dei rischi e delle misure di prevenzione e protezione necessarie alla loro eliminazione o riduzione è condizione imprescindibile ai fini di una gestione condivisa delle scelte in materia di sicurezza. Eventuali omissioni o imprecisioni nel documento di valutazione del rischio inficerebbero irrimediabilmente, secondo la giurisprudenza, la qualità della formazione impartita[10].
Nel caso specifico, l’analisi del documento sui rischi lavorativi – operata in primo grado e di cui si dà atto in sentenza – denotava l’assenza di qualsiasi riferimento ai rischi connessi all’attività di abbattimento degli alberi in aree boschive e di indicazioni operative dettagliate. Al contrario, si limitava a una enunciazione di generiche e aspecifiche indicazioni, difettando completamente quelle istruzioni operative dettagliate che avrebbero dovuto guidare l’operatore sia nella fase di verifica della pianta che nella fase operativa di abbattimento.
Nessun cenno, insomma, alle misure di prevenzione e di protezione attuate e ai dispositivi di protezione individuali adottati in relazione alla specifica mansione svolta o, ancora, alle procedure e all’organigramma aziendale per l’attuazione delle predette misure, contrariamente a quanto invece prescrive l’art. 28 comma 2, lett. b) e lett. d) del d.lgs. n. 81/08. Ne deriva che il lavoratore, non adeguatamente formato e istruito “in merito ai rischi e alle procedure da adoperare relativamente alla mansione di operaio addetto all’abbattimento piante”, aveva adottato nel tempo una tecnica rischiosa che la società cooperativa per cui lavorava – si legge in sentenza – “non aveva curato in alcun modo di modificare”.
4. La violazione degli obblighi di informazione e formazione dei lavoratori e l’omessa indicazione nel documento di sicurezza delle idonee misure di prevenzione e protezione nonché delle relative procedure di attuazione delle stesse dà luogo a ipotesi contravvenzionali tipizzate rispettivamente dall’art. 55 comma 5 lett. c) e dal comma 3 del medesimo articolo. Tali contravvenzioni hanno natura di reato permanente: ciò che è sanzionata è la creazione o il mantenimento di uno status antigiuridico il cui perdurare dipende da una scelta volontaria del soggetto agente. Si tratta di reati in cui la consumazione si prolunga nel tempo e le condotte del soggetto attivo finalizzate alla conservazione della situazione antigiuridica si ascrivono alla fase consumativa del reato.
Nella parziale omissione della valutazione del rischio, il momento di perfezionamento del reato coincide con la costituzione dell’impresa e la sua consumazione con il compimento della valutazione o con la cessazione dell’attività. In egual modo, «gli obblighi inerenti l’informazione e la formazione del lavoratore sono da ritenersi di durata poiché il pericolo per l’incolumità del lavoratore permane nel tempo, e continua in capo al datore di lavoro l’obbligo all’informazione e alla corretta formazione. L’obbligo di formazione del resto non è limitato solo al momento dell’assunzione ma perdura nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro; la cessazione della permanenza conseguentemente si verifica o alla concreta formazione o all’interruzione del rapporto di lavoro (eliminazione concreta del rischio)»[11].
5. Le fattispecie illustrate integrano reati omissivi propri, ma svolgono al contempo la funzione ulteriore di “fornire da base normativa alla colpa specifica”[12] in ipotesi di delitto colposo d’evento (omicidio o lesioni), laddove quest’ultimo sia causalmente legato alla condotta inosservante dell’agente. È evidente che gli obblighi gravanti sul datore di lavoro inerenti alla formazione e all’informazione dei lavoratori dipendenti, così come gli obblighi in ordine alla valutazione e documentazione dei rischi abbiano natura cautelare rispetto agli eventi lesivi dell’integrità fisica e della vita del lavoratore[13]. Il sistema di protezione della sicurezza sul lavoro ricorre al modello del reato di pericolo e di mera condotta, sotto forma di specifiche contravvenzioni contenute nel t.u.s.l. (e altresì di fattispecie delittuose previste nel codice penale agli artt. 437 e 451 c.p.), allo scopo di garantire in via anticipata i beni giuridici fondamentali della vita, della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori, prima ancora che questi subiscano una lesione effettiva[14].
Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di formazione e informazione risponde a titolo di colpa specifica dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore dipendente, ove le condotte imprudenti di quest’ultimo siano conseguenza diretta e prevedibile dell’inadempienza degli obblighi datoriali[15]. La violazione delle disposizioni antinfortunistiche di fonte legale contenute nel t.u.s.l. fonda, alla luce della definizione di reato colposo di cui all’art. 43 c.p., una colpa specifica “per inosservanza di leggi”[16], la quale, di per sé sola, è insufficiente a determinare la responsabilità del soggetto preposto alla sicurezza sul lavoro. Si richiede, infatti, – ribadisce la Corte – un ulteriore imprescindibile accertamento in ordine alla sussistenza del nesso causale tra colpa ed evento: quest’ultimo è ascrivibile all’agente a titolo di colpa solo laddove rappresenti la concretizzazione del rischio che le norme cautelari violate miravano ad evitare e vi sia la prova dell’efficacia impeditiva della condotta alternativa lecita, posta in essere mediante l’esigibile osservanza del precetto comportamentale[17].
In presenza di tale nesso eziologico la condotta negligente o imprudente del lavoratore non vale a graduare o escludere in capo al datore di lavoro l’addebito di colpa[18], né la responsabilità datoriale viene meno in ragione di un personale bagaglio conoscitivo del lavoratore, dovuto all’esperienza maturata o alle conoscenze comunemente possedute[19].
Tornando, infine, al caso concreto che ci occupa, l’analisi dell’ordinario e sistematico modus operandi della vittima rivelava una costante, totale assenza di verifiche su agevoli vie di fuga dal luogo del taglio o di valutazioni in ordine a possibili rimbalzi o movimenti degli alberi. La condotta colposa posta in essere dal lavoratore è dunque, a parere dei giudici di merito, senz’altro riconducibile alle gravi lacune di formazione, a loro volta conseguenza di una non corretta analisi dei rischi connessi alla specifica attività svolta dall’abbattitore. Sulla scorta di queste considerazioni il datore di lavoro è ritenuto responsabile, ai sensi dell’art. 589 comma 1 e 2 c.p., del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
6. In conclusione, il Supremo Collegio si esprime ancora una volta in tema di responsabilità penale datoriale, infortuni e violazione di norme sulla salute e sulla sicurezza nel luogo di lavoro e lo fa con una pronuncia che non può certo definirsi innovativa nei contenuti, ma che, attraverso il richiamo agli approdi della giurisprudenza di legittimità, contribuisce a precisare e definire i confini della materia trattata. In linea, dunque, con il consolidato orientamento giurisprudenziale illustrato, trova ulteriore conferma il principio per il quale il valore dei beni giuridici in gioco – l’integrità fisica e la vita del lavoratore – rende assolutamente inderogabili gli obblighi datoriali di formazione e informazione del lavoratore e sussistente la responsabilità penale per la loro violazione, a prescindere da un’eventuale condotta colposa del lavoratore.
[1] In questo senso, ex multis, Cass. Pen. Sez. IV, 24 settembre 2007, n.47137, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 12 febbraio 2014, n. 21242, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 19 maggio 2015, n. 39765, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 11 febbraio 2016, n.22147, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 27 giugno 2017, n. 45808, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 14 giugno 2018, n. 49593, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 13 febbraio 2020, n. 8163, in DeJure.
[2] Cfr. Cass. Pen., Sez. IV, 10 dicembre 2003-6 febbraio 2004, n. 4870, in Riv. pen., 2005, pp. 1128 ss.: «In tema di informazione dei lavoratori, il datore di lavoro ha il preciso dovere non di limitarsi ad assolvere formalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma di attivarsi e controllare sino alla pedanteria che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro. Né egli può disinteressarsi dell’ordinario svolgimento del lavoro e dei rischi “comuni”, sul presupposto di una loro evidenza che li rende percepibili direttamente da parte del lavoratore». Analogamente, Cass. Pen., Sez. IV, 25 novembre 2010-18 gennaio 2011, n. 1225, in DeJure, che sul punto statuisce: «il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore, e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro».
[3] Costituisce ius receptum, in tal senso, il principio secondo il quale i soci di cooperative sono equiparati ai lavoratori subordinati e, pertanto, risultano beneficiari delle norme di tutela in materia di sicurezza sul lavoro. Allo stesso modo, in capo al presidente o al legale rappresentate di una società cooperativa gravano i corrispondenti obblighi di prevenzione e tutela.
[4] Il quadro normativo di riferimento è il d.lgs. n. 81/08 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, sul quale torneremo in seguito.
[5] Più specificamente, la Corte d’Appello di Torino riformava parzialmente la sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Alessandria e riconosceva in favore dell’imputato il beneficio della non menzione, confermando nel resto il provvedimento impugnato.
[6] Cfr. art. 15 d.lgs. n. 81/08.
[7] Il contenuto degli articoli 2, 36 e 37 del d.lgs. 81/08 è riportato alle pagine 13 e 14 della sentenza in allegato. Per un approfondimento in materia si rinvia a C. Timellini, Il contenuto dell’obbligo di sicurezza alla luce del D. Lgs. n. 81 del 2008, in F. Basenghi, L. E. Golzio, A. Zini (a cura di), La prevenzione dei rischi e la tutela della salute in azienda. Il Testo Unico e le nuove sanzioni, Milano, 2008, pp. 85 ss.
[8] Si rinvia alla disciplina contenuta nell’art. 36, comma 4, d.lgs. n. 81/08.
[9] Cfr., ex multis: Cass. Pen., Sez. IV, 18 aprile 2002, n. 20467, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 24 settembre 2003, n. 43362, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 27 ottobre 2011, n. 46837, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 12 febbraio 2014, n. 21242, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 11 febbraio 2016, n. 22147, in DeJure.
[10] Sul punto si vedano: Cass. Pen., Sez. IV, 17 settembre 2009, n. 40582, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 12 luglio 2011, n. 34365, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 8 giugno 2010, n. 34771, in DeJure.
[11] Così, Cass. Pen., Sez. III, 7 maggio 2019, n. 26271, in DeJure. In senso conforme: Cass. Pen., Sez. III, 18 aprile 2007, n. 21808, in DeJure; Cass. Pen., Sez. III, 17 giugno 2014, n. 31458, in DeJure.
[12] L’espressione è di D. Castronuovo, I delitti di omicidio e lesioni, in Aa. Vv., Sicurezza sul lavoro. Profili penali, Torino, 2019, p. 320.
[13] In questi termini, Cass. Pen., Sez. IV, 8 ottobre 2008, n. 39888, in DeJure.
[14] A tal proposito merita certamente di essere menzionato l’efficace schema piramidale con il quale viene rappresentato il corpus normativo di protezione della sicurezza sul lavoro, articolato su tre piani di tutela tra loro comunicanti secondo un sistema multilivello. La base della piramide, raffigurante il primo livello di tutela, è data dalla disciplina extra codicem compendiata nel c.d. “testo unico” sulla sicurezza del lavoro, caratterizzata dal ricorso a un sistema sanzionatorio alternativamente penale-contravvenzionale e punitivo-amministrativo. Il livello intermedio di tutela è integrato dai delitti contro l’incolumità pubblica e richiama le fattispecie dolose e colpose di cui agli artt. 437 c.p. e 451 c.p. Infine, la cuspide della piramide è rappresentata dalle ipotesi di effettiva verificazione dell’evento e specificatamente dai delitti contro la vita e l’incolumità individuale ex artt. 589 e 590 del codice penale. La struttura piramidale pone in rilievo come il primo piano di tutela (perlopiù contravvenzionale) di questo apparato di prevenzione anticipata abbia evidentemente natura strumentale rispetto a quello intermedio e al finale. L’intero sistema degli illeciti di tale settore del diritto penale è improntato all’anticipazione di tutela, in un’ottica spiccatamente preventiva ed è per tale scopo che si serve quasi esclusivamente (eccezion fatta per le ipotesi delittuose di cui agli artt. 589 e 590 c.p.) di reati di pericolo presunto o astratto. Per un approfondimento sul punto, si veda D. Castronuovo, Le fonti della disciplina penale della sicurezza del lavoro, in Aa. Vv., op. cit., pp. 18 ss.
[15] La sentenza in commento rinvia, sul punto, a Cass. Pen., Sez. IV, 19 maggio 2015, n. 39765, in DeJure.
[16] Ci si riferisce all’inosservanza della disciplina di cui agli artt. 28 comma 2 lett. b), 28 comma 2 lett. d) e 37 comma 1 del Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro.
[17] Ex multis, Cass. Pen., Sez. IV, 4 dicembre 2009-3 marzo 2010, n. 8622, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 10 giugno 2010-4 novembre 2010, n. 38991, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 16 giugno 2010 n. 32126, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 22 settembre 2011, n. 38786, in DeJure.
[18] Sul punto, Cass. Pen., Sez. IV, 13 febbraio 2020, n. 8163, in DeJure, secondo cui «non è configurabile, in altri termini, la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l’infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli». Analogamente, Cass. Pen., Sez. IV, 14 gennaio 2014, n. 7364, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 11 febbraio 2016, n.22147, in DeJure.
[19] Cfr. Cass. Pen., Sez. IV, 18 aprile 2002, n. 20467, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 24 settembre 2003, n. 43362, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 27 ottobre 2011, n. 46837, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 12 febbraio 2014, n. 21242, in DeJure; Cass. Pen., Sez. IV, 11 febbraio 2016, n. 22147, in DeJure; Cass. Pen. Sez. IV, 14 giugno 2018-30 ottobre 2018, n. 49593, in DeJure.