1. Premessa. – La sempre crescente dilatazione del ricorso alla categoria del reato omissivo improprio per colmare veri o presunti vuoti di tutela, riscontrabile nella nostra cultura –comprensiva tanto della dottrina, quanto della giurisprudenza – penalistica, ha finito per erodere anche argini che parevano invalicabili, pur a fronte delle pulsioni orientate all’impiego incontrollato dell’art. 40, cpv., c.p.
L’opzione interpretativa appena delineata si è sviluppata secondo due linee direttrici, entrambe convergenti nel senso di ammettere la possibilità, per il passato pacificamente esclusa[1], di convertire, per il tramite dell’art. 40, cpv., c.p., in correlative ipotesi omissive anche fattispecie commissive a forma vincolata.
Da una parte, si è cercato di individuare, pur all’interno di fattispecie inequivocamente strutturate in una forma vincolata, porzioni suscettibili di una lettura sub specie di ipotesi a forma libera.
Dall’altra, prendendo atto dell’indubitabile configurazione a forma vincolata di determinate disposizioni, non si è esitato, anche sotto la pressione – come vedremo – di precise istanze politico-criminali, a ricorrere ad espedienti di ortopedia esegetico-ermeneutica diretti a convertirla in un’ipotesi omissiva ex art. 40, cpv., c.p.
È appena il caso di ricordare che la diversificazione, qui considerata, tra fattispecie a forma libera e fattispecie a forma vincolata, agli effetti della loro convertibilità in corrispondenti figure omissive, concerne unicamente le modalità di descrizione della condotta rilevante all’interno di fattispecie causalmente orientate; e non intacca, invece, il dato che, dal punto di vista dell’accertamento del nesso causale fra condotta ed evento, entrambe le categorie appena accennate vadano ricomprese nello schema a forma vincolata, dal momento che la ricorrenza di quest’ultimo è pur sempre subordinata a leggi scientifiche che ne asseverino la presenza: ergo, non è a forma libera[2]. Si tratta, a questo punto, di esaminare nel dettaglio gli indirizzi interpretativi più sopra richiamati.
La prima delle due costellazioni di casi dianzi evocate si trova plasticamente riprodotta in una decisione della Cassazione in materia di c.d. stalking condominiale [3].
2. Il caso dello stalking condominiale. – La vicenda riguardava il proprietario di un cane di grossa taglia (un pitbull), il quale non esercitava, su un animale suscettibile di generare pericoli per l’incolumità altrui, il dovuto controllo, sì da ingenerare, in una pluralità di occasioni, situazioni di allarme in capo ai vicini, esposti alle minacce derivanti dalla sua incustodita circolazione
Nei confronti del proprietario in questione sono intervenute la contestazione del delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e la successiva condanna per il medesimo titolo.
Ora, non vi è dubbio che nelle evenienze sopra riportate a carico delle vittime potessero essere maturati quegli stati di ansia, di paura o di timore per l’incolumità propria o dei terzi richiamati nell’art. 612-bis c.p. Il vero nodo cruciale della questione risiede, nondimeno, nella possibilità di sussumere effettivamente la condotta omissiva del proprietario, id est la sua omessa custodia dell’animale, nella cornice dell’art. 612-bis c.p. Il che solleva, ineludibilmente, l’interrogativo di maggior spessore: si può configurare uno stalking in forma omissiva, secondo i dettami dell’art. 40, cpv., cp.?
La formulazione testuale dell’art. 612-bis c.p. non pare dar àdito a dubbi circa l’esito negativo della risposta: pur facendo menzione degli eventi lesivi della libertà della vittima specificati nella seconda parte del primo comma della disposizione, la sua prima porzione ritaglia con nitore le modalità attraverso le quali detti eventi devono essere cagionati, vale a dire mediante “condotte reiterate, minaccia” o molestia. La tipizzazione di questi comportamenti quali fattori di produzione degli eventi de quibus rende evidente la costruzione di questa figura in termini di fattispecie a forma vincolata e, con ciò stesso, la sua non convertibilità agli effetti dell’art. 40, cpv., c.p.
Da quanto precede si desume come non possa relegarsi a questione meramente classificatoria l’inquadramento dello stalking nell’alveo delle fattispecie a forma libera o a forma vincolata [4]: l’opzione a favore del secondo polo dell’alternativa si presenta, invero, densa di significati pratici nel momento in cui – come emerge dal caso di “stalking condominiale” sopra riportato— ne possa discendere la sua non configurabilità nella forma omissiva.
Né risulta persuasivo l’assunto secondo il quale la questione andrebbe risolta in modo diversificato in rapporto alle singole condotte incluse nel paradigma dell’art. 612-bis c.p. In questa direzione, si riconosce che abbia struttura a forma vincolata la minaccia, ma non la molestia, potendo quest’ultima darsi secondo un’ampia gamma di modalità [5]. Il rilievo, peraltro, non coglie nel segno, perché ciò che decide della struttura vincolata o libera di una fattispecie di evento è la delineazione in astratto della condotta necessaria alla sua integrazione; e non la frequenza o la facilità del suo riscontro. In questo senso, il rinvio alla molestia, contenuto nella fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p., introduce comunque un limite alla rilevanza della causazione degli eventi di séguito indicati.
Assorbente, ai fini di negare la possibile conversione dell’art. 612-bis in termini di reato omissivo improprio per il tramite dell’art. 40, cpv., c.p., resta, in ogni caso, il dato che questa fattispecie viene iscritta nell’alveo dei reati abituali[6]; tipologia di reati, questa, rispetto alla quale si ritiene interdetto il meccanismo di conversione previsto dall’art. 40, cpv., c.p.[7]
3. La conversione dell’epidemia in una fattispecie omissiva: problemi. – Ferma restando l’identità dei termini della questione, una rilevanza ben maggiore, rispetto a quella evidenziata nel caso dello stalking condominiale, sopra analizzata, va riconosciuta a quella emergente dal problema della configurabilità in forma omissiva, per il tramite della clausola di equivalenza di cui all’art. 40, cpv., c.p., del delitto di epidemia contemplato, nella forma rispettivamente dolosa e colposa, dagli artt. 438 e 452 c.p.
Il più marcato spessore di questa tematica risulta, in modo palese, da due ordini di considerazioni: da una parte, quella, di origine sanitario-mediatica, collegata all’individuazione di eventuali soggetti penalmente responsabili a fronte dell’erompere dell’epidemia da COVID-19; dall’altra, quella, giuridicamente assai più significativa, di essere stato il quesito, sopra delineato, oggetto di un’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, la cui pronuncia dovrebbe aver luogo entro termini ragionevolmente brevi[8].
Il dilemma sopra esposto estende – ovviamente —la propria portata alla sua variante colposa, contemplata dall’art. 452 c.p. L’art. 438 c.p. stabilisce, infatti, che questa ricorra quando si “cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni”. Lo schema predisposto dal legislatore è, quindi, quello di un reato di evento a forma vincolata. Uniformemente a questa ricostruzione, la giurisprudenza ne ha escluso la configurabilità in forma omissiva per il tramite dell’art. 40, cpv., c.p.
Gli argomenti che vengono opposti a questa interpretazione sono molteplici e ci faremo carico di analizzarli partitamente. Escludiamo a priori, tuttavia, che tra quelli contrari ad essa possa essere annoverato, pur se a latere, quello connesso al fattore emotivo[9] in chiave di giustificazione dell’estensione a ogni costo dell’intervento punitivo nelle vicende correlate al trattamento delle tragedie umane innescate dai fenomeni inerenti al COVID-19, in quanto all’emozione non può essere consentito di superare il vincolo – sempre che ci sia, ovviamente — della lettera della legge.
Merita, invece, una più attenta considerazione l’espediente, adottato per evitare di addentrarsi sullo scivoloso terreno della conciliabilità tra responsabilità omissiva e fattispecie a forma vincolata, di escludere tout court che l’ipotesi prevista dall’art. 438, comma 1, c.p. vi rientri. Si assume, in sostanza, che l’epidemia consista in re ipsa nella diffusione di germi patogeni[10].
Stando così le cose, se ne dovrebbe desumere che la precisazione legislativa alla cui stregua ne risponde “chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni” altro non sia che una mera superfetazione, non potendo darsi un’epidemia senza la diffusione di germi patogeni. Di qui il corollario che la previsione di cui all’art. 438, comma 1, c.p. – così come quella, ovviamente, tipizzata dall’ art. 452 , comma 1, c.p. – non risulta vincolata, non potendo aver luogo la prima in mancanza della ricorrenza della seconda. L’epilogo obbligato di questo percorso argomentativo è che le modalità di diffusione dell’epidemia non afferiscono alle note descrittive della condotta che la produce, ma a una specificazione dell’evento che ne deriva. Ciò posto, l’irrilevanza delle prime conduce all’esito di qualificare l’ipotesi in parola come fattispecie a forma libera, sì da rimuovere qualsivoglia ostacolo alla sua conversione nella corrispondente forma omissiva ex art. 40, cpv., c.p.
Nondimeno, questo postulato e le sue implicazioni cadono non appena ne venga rimosso il fondamento: la tesi che la diffusione di germi patogeni sia l’unica forma di realizzazione dell’epidemia. A smentirla era già la constatazione, prospettata da Vincenzo Manzini nel suo Trattato[11], che l’epidemia potesse essere prodotta mediante modalità diverse dalla diffusione di germi patogeni: il che si poteva riscontrare, ad esempio, nel caso della pellagra[12] [13]. Questo significa come, nel descrivere la figura dell’epidemia, il legislatore ne abbia selezionato soltanto talune delle possibili modalità di causazione e ne abbia coniato un modello a forma vincolata.
4. L’epidemia come reato “a mezzo vincolato”? – Costituisce solo una variante terminologica dell’impostazione, che abbiamo appena respinto, la costruzione, menzionata nella stessa ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite di cui si è detto[14], che rinviene nell’ipotesi dell’art. 438 c.p. un reato a forma libera, ma “a mezzo vincolato”. Formula, questa, con la quale si vuol designare, appunto, una fattispecie commissiva a forma libera, ergo convertibile in base all’art. 40, cpv., c.p., in quanto il vincolo legislativo riguarda soltanto le modalità di produzione dell’evento, ossia “la diffusione di germi patogeni”.
L’intento di superare, mediante questo escamotage, la struttura a forma vincolata dell’epidemia incappa, tuttavia, nell’obiezione che, quando il codice penale ha inteso dare rilevanza specifica ai mezzi di realizzazione del reato, a ciò ha provveduto, come si evince da quanto dispone l’art. 133, comma 1, n. 1), in materia di commisurazione della pena, lo ha fatto inquadrandoli –appunto—fra i requisiti della condotta[15]. Cade, quindi, la possibilità di scinderli dalla condotta stessa e di assegnare loro uno statuto separato. Breve: l’apposizione a determinati mezzi dell’esclusiva idoneità a realizzare il reato, in concorso con la presenza dell’evento richiesto, equivale alla costruzione di una fattispecie a forma vincolata.
5. Ragioni ulteriori addotte a favore della configurabilità in forma omissiva dell’epidemia: critica. – Gli ulteriori argomenti spesi dall’ordinanza di rimessione a sostegno della convertibilità dell’ipotesi prevista dall’art. 438, comma 1, c.p. in una corrispondente fattispecie omissiva hanno il sapore di un classico déja lu, in quanto riprendono posizioni già note e diffusamente confutate.
Per ciò che attiene alla necessità di interpretare l’epidemia come reato a forma libera, si riprendono quegli orientamenti alla stregua dei quali il legislatore del 1930 avrebbe fatto ricorso a questo modello, polarizzato sul solo verificarsi dell’evento e indipendente dalle specifiche modalità delle condotte che lo producono, in ragione dell’importanza del bene tutelato; ciò che, nella materia in questione, rinverrebbe piena conferma nel bene superindividuale dell’incolumità pubblica, segnatamente protetto dall’art. 438 c.p.[16].
Sennonché, questa stretta corrispondenza biunivoca fra lo schema e l’oggetto della tutela, presupposta dall’indirizzo appena esposto, è contraddetta dalla presenza, nel nostro stesso ordinamento positivo, di fattispecie a forma libera poste a tutela del patrimonio: valga il riferimento al danneggiamento (art. 635 c.p.) [17]
Né, d’altra parte, pare accoglibile l’assunto secondo il quale non mancherebbero arresti inclini ad applicare l’art. 40, cpv., c.p., anche alle fattispecie a forma vincolata. Il caso di maggiore impatto viene ravvisato in quelle tendenze giurisprudenziali, che hanno giudicato rilevante in materia di truffa contrattuale il mero silenzio di una delle parti, quando questa era obbligata a esplicitare determinate circostanze di un affare.
A questo risultato si è, peraltro, pervenuti per il tramite di un’interpretazione estensiva del concetto di “artifizi o raggiri”, sul quale si radica l’art. 640 c.p., e non già mediante l’ausilio dell’art. 40 cpv., c.p. [18].
[1] Cfr., per tutti, G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983, p. 155 ss.; F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Pt. g., Torino, 2013, p. 155.
[2] Cfr., sul punto, le sempre attuali di C.E. PALIERO, Le fattispecie «causalmente orientate» sono davvero «a forma libera», in Riv.it.dir.proc.pen., 1977, p. 1502.
[3] Cass., Sez. V, 22124/2022.
[4] In questo senso, invece, M.L. MATTHEUDAKIS, Commento dell’art. 612 bis c.p. (Atti persecutori), in Codice penale commentato con dottrina e giurisprudenza, Torino, 2018, p. 2617.
[5] Cfr. sempre M.L. MATTHEUDAKIS, Commento dell’art. 612 bis c.p., cit., p. 2618.
[6] In questo senso, esattamente, M.L. MATTHEUDAKIS, op. ult. cit., p. 2615.
[7] Cfr., per tutti, M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale. I. Art. 1—84, III ed., Milano, 2004, sub Art. 40/49 (p. 380).
[8] Cfr. Cass. pen., Sez. IV, 42614/2024, in questa Rivista, 10 gennaio 2025, con scheda di commento di S. ZIRULIA, Rimessa alle Sezioni Unite la questione della configurabilità dell’epidemia in forma omissiva. Analisi dell’ordinanza e brevi considerazioni di ordine sistematico
[9] Cfr. P. PIRAS, Sulla configurabilità dell’epidemia colposa omissiva, in questa Rivista, 8 luglio 2020, par. 4.
[10] In questi termini P. PIRAS, Sulla configurabilità dell’epidemia, cit., par. 3.
[11] Cfr. V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, V ed., Vol. VI, Torino, 1983.
[12] Cfr. V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, cit., p. 397 s..
[13] Questo tipo di epidemia non dipende, infatti, dalla diffusione di germi patogeni, ma dal mancato assorbimento di determinate vitamine.
[14] Rinviamo alle indicazioni al riguardo contenute, antea, nella nt. 5.
[15] In argomento cfr. M. ROMANO, in M. ROMANO—G. GRASSO, Commentario sistematico del codice penale. II. Art. 85—149, IV Ed., Milano, 2012, sub Art. 133/6-7 (p. 352 s.)
[16] Un orientamento polarizzato in questa direzione si rinviene in G. FIANDACA—E. MUSCO, Diritto penale, Pt. g., III ed., Bologna, 1995, p. 537.
[17] Cfr. G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 169; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale. I, cit., sub Art. 40/53-54.
[18] Cfr. M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale. I, cit., sub Art. 40/52.