Cass. pen., sez. IV, ord. 19.9.2024 (dep. 21.11.2024), n. 42614, Pres. Dovere, Est. Cirese
*Contributo destinato alla pubblicazione nel fascicolo 1/2025.
1. Con ordinanza depositata il 21 novembre 2024 la Quarta sezione della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: “Se il reato di cui agli artt. 438, comma 1 e 452, comma 1, n. 2 cod. pen. possa essere realizzato anche in forma omissiva”. L’udienza per la discussione è stata fissata il 10 aprile 2025.
2. In punto di fatto la questione trae origine da un procedimento per epidemia colposa nei confronti di un dirigente sanitario dell’Ospedale civico di Alghero il quale, secondo l’ipotesi accusatoria, aveva omesso di adottare misure collettive e individuali di protezione dal rischio da diffusione del Covid-19, nonché di assicurare agli operatori adeguata formazione sui rischi biologici, così non impedendo, per colpa sia generica che specifica (art. 77, co. 4, lett. h d.lgs. 81/2008) un focolaio epidemico sviluppatosi nello stesso nosocomio tra marzo e aprile 2020. Il Tribunale di Sassari assolveva l’imputato per insussistenza del fatto, sul presupposto che il reato in questione, in quanto a forma vincolata commissiva, non fosse configurabile in forma omissiva. Avverso la sentenza proponeva ricorso immediato per cassazione la Procura della Repubblica, sostenendo tanto l’applicabilità dell’art. 40, co. 2 c.p. anche ai reati a forma vincolata, quanto, in ogni caso, la natura a forma libera della fattispecie di epidemia.
3. Ravvisata l’esistenza di orientamenti contrastanti in materia, la Quarta sezione ha rimesso la questione alle Sezioni unite, formulando il quesito poc’anzi riportato.
In primo luogo l’ordinanza mette in luce che, ad oggi, due sole pronunce hanno esplicitamente negato la configurabilità dell’epidemia in forma omissiva. Si tratta, in particolare, della sent. 9133/2017, relativa alla responsabilità del dirigente della società gestrice di un acquedotto comunale, assolto dall’accusa di avere cagionato (rectius, non impedito) un’epidemia nella popolazione locale attraverso la distribuzione di acque per uso potabile contaminate da microrganismi patogeni; nonché della sent. 20416/2021, avente ad oggetto il sequestro di una casa di riposo in relazione alla diffusione del Covid-19 tra ospiti e personale della struttura. Entrambe le pronunce hanno ricondotto il delitto di epidemia al genus dei reati a forma vincolata e hanno perciò ritenuto che lo stesso non fosse configurabile in forma omissiva.
Per completare il quadro giurisprudenziale, l’ordinanza menziona altresì un arresto in materia di diffusione del virus HIV (sent. 48014/2019) che, pur non occupandosi della configurabilità della fattispecie di epidemia in forma omissiva, in un obiter dictum sembra aprire alla possibilità di configurarla come reato a forma libera.
4. Tanto premesso, la Quarta sezione ritiene che l’orientamento espresso dalle due richiamate sentenze che si sono pronunciate in senso negativo debba essere superato “in favore di un’interpretazione più ampia che ammette la realizzazione del reato di epidemia colposa anche in forma omissiva”. A sostegno di tale diversa posizione i giudici di legittimità articolano i seguenti argomenti.
In primo luogo, sul piano letterale, la formulazione della norma incriminatrice viene considerata non incompatibile con una declinazione in forma omissiva della condotta tipica. Più specificamente, il verbo “diffondere” viene reputato sufficientemente elastico per includere anche le ipotesi in cui manchi un agire naturalisticamente positivo; con le parole dell’ordinanza: “si può diffondere anche ‘lasciando che si diffonda’”.
Volgendo quindi lo sguardo alla volontà del legislatore, il collegio riconosce che, nel 1930, l’obiettivo primariamente perseguito attraverso la fattispecie in esame consisteva nel reprimere, con pene di spiccata severità, lo “spargimento di germi” realizzato in forma dolosa; nondimeno, i giudici affermano che tali ragioni politico-criminali non riflettano univocamente la scelta di escludere dall’ambito della tipicità le condotte che più frequentemente caratterizzano il contesto contemporaneo, inclusa l’omessa gestione, per colpa, del rischio sanitario.
Ancora, l’ordinanza mostra di ritenere che il reato sia compatibile con l’art. 40 cpv. in quanto l’espressione “diffusione di germi patogeni” non rappresenterebbe un connotato della condotta, bensì del mezzo attraverso il quale si verifica l’evento. Non si tratterebbe, pertanto, di un reato a forma vincolata, bensì di un reato a mezzo vincolato. La natura di reato causalmente orientato, chiosa la Corte, sarebbe del resto coerente con l’elevato rango di beni giuridici tutelati, ossia la salute e l’incolumità pubblica.
5. Infine, anche qualora non si aderisse all’inquadramento della fattispecie di epidemia nel genus dei reati a forma libera, ciò ad avviso del collegio non precluderebbe automaticamente la configurabilità dell’epidemia in forma omissiva, posto che l’orientamento secondo cui i reati a forma vincolata sono incompatibili con l’art. 40 cpv. non risulta pacifico. Tanto alla luce della giurisprudenza che, in tema di truffa, ha qualificato in termini di “raggiro” il silenzio maliziosamente serbato per ottenere un indebito atto di disposizione e, dunque, un ingiusto profitto: così – cita l’ordinanza – nel caso della mancata comunicazione all’INPS del decesso del beneficiario di pensione, da parte del soggetto autorizzato a operare sul conto corrente del deceduto (Cass. 24487/2023); ovvero nel caso del dirigente medico che ometta di comunicare all’ente ospedaliero di svolgere sistematicamente attività professionale presso il suo studio privato, in tal modo inducendo l'ente stesso a corrispondergli lo stipendio maggiorato dell'indennità di esclusiva (Cass. 13411/2019; 46209/2023).
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6. La questione rimessa alle Sezioni unite si innesta nelle viscere della sistematica del reato omissivo. La sua risoluzione, infatti, impone di confrontarsi con una serie di ulteriori quesiti che trascendono, evidentemente, la più circoscritta domanda avente ad oggetto le modalità di realizzazione della fattispecie di epidemia. Scopo delle brevi riflessioni che seguono non è tanto proporre una risposta all’interrogativo sollevato dalla Quarta sezione, bensì offrire alcuni spunti auspicabilmente utili a inquadrarlo nelle rilevanti categorie dell’illecito penale.
7. In linea di principio, la prima domanda da porsi potrebbe financo riguardare la natura, omissiva o commissiva, della condotta attribuita al dirigente medico; e dunque, a monte, i criteri di distinzione tra azione e omissione nella selezione delle condotte concrete. Come è noto, infatti, a meno di non adottare un approccio puramente normativista, il confine tra condotte autenticamente omissive e profili omissivi della colpa è spesso sottile e può occasionalmente sviare l’attenzione dell’interprete rispetto a quello che la stessa Corte di cassazione ha definito il “nucleo significativo” della condotta tipica[1]. A titolo meramente esemplificativo, in caso di sviluppo di un focolaio da Covid-19 all’interno di una struttura ospedaliera dovrà essere qualificata come attiva – se vediamo correttamente – la condotta di colui che per negligenza colloca un paziente infetto in un reparto di persone non infette, così cagionando la propagazione del virus; come omissiva, invece, la condotta del dirigente sanitario che, in violazione dei doveri inerenti alla sua posizione di garanzia, non predispone un efficace sistema di controllo degli accessi dei visitatori e delle loro dotazioni protettive individuali, così non impedendo la propagazione del morbo[2]. La sintetica descrizione della vicenda oggetto del procedimento a quo offerta dall’ordinanza di rimessione non offre, peraltro, spunti per rimettere in discussione la qualificazione in termini omissivi operata dal Tribunale di Sassari, alla quale pertanto ci si allineerà nel prosieguo.
8. Passando agli interrogativi che emergono più direttamente dall’ordinanza di rimessione, il primo riguarda la tecnica dell’interpretazione estensiva e i suoi limiti.
Invero, un passaggio dell’ordinanza – segnatamente quello in cui si prospetta la riconducibilità del “lasciar diffondere” al concetto di “diffusione” – sembrerebbe suggerire che il mancato impedimento dell’epidemia possa rientrare tra i significati della fattispecie tipica configurata dall’art. 438 c.p. (e richiamata dall’art. 452 c.p. ai fini dell’imputazione colposa), senza bisogno di effettuarne la conversione ai sensi dell’art. 40 capoverso. Ciò, del resto, spiegherebbe anche la mancata menzione della clausola di equivalenza nel quesito rivolto alle Sezioni unite.
Argomenti a sostegno di siffatta soluzione esegetica potrebbero a ben vedere rinvenirsi anche nella giurisprudenza in materia di truffa richiamata dall’ordinanza di rimessione. Si tratta infatti di sentenze nelle quali la Corte di cassazione non si è pronunciata a favore della compatibilità tra la truffa e l’art. 40 cpv., bensì ha risolto il problema della sua configurabilità in forma omissiva attraverso la tecnica dell’interpretazione estensiva, affermando che determinate forme di silenzio – segnatamente quelle connotate da profili di antidoverosità che elevano il silenzio a comportamento concludente – possono essere ricondotte al genus del “raggiro”.
Tale soluzione esegetica, che pur presenterebbe il pregio di risolvere il problema dell’epidemia in forma omissiva senza addentrarsi nella più ampia questione relativa alla configurabilità dei reati a forma vincolata in forma omissiva impropria, non ci pare convincente. Ritenere tipica qualsiasi forma di mancato impedimento della propagazione di germi patogeni, al di fuori dello schema del reato omissivo improprio e dunque – questo il punto – anche in assenza di una specifica posizione di garanzia, finirebbe per estendere eccessivamente la responsabilità penale a titolo di epidemia, specialmente in ambito colposo. Chiunque, durante un periodo nel quale notoriamente si registrano focolai epidemici, si trovasse in un contesto affollato dove difettano le più elementari misure di prevenzione, sarebbe costretto non solo ad allontanarsi, ma anche ad attivarsi per evitare che i germi si diffondano, rischiando altrimenti di incorrere in responsabilità per epidemia omissiva a titolo quanto meno di colpa generica.
Si consideri inoltre che quando il legislatore ha inteso introdurre reati d’evento contro l’incolumità pubblica autonomamente realizzabili anche in forma omissiva (cioè senza bisogno di conversione ex art. 40 cpv.) si è avvalso di formulazioni univocamente espressive di tale scelta: così, ad esempio, nella fattispecie di rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro (art. 437 c.p.), aggravata dalla verificazione di un infortunio o un disastro, dove ad essere incriminato è, tra l’altro, “chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro”.
Inoltre, l’opzione esegetica di conferire all’espressione “diffondere” un significato così ampio da ricomprendere anche il mancato impedimento della diffusione, quandanche non sconfinasse nell’analogia sfavorevole, risulterebbe difficilmente conciliabile con il contiguo verbo “cagionare”, che ben più univocamente è utile a classificare l’epidemia come reato commissivo e che infatti non compare in altre figure di parte speciale ritenute integrabili in forma omissiva senza conversione ex 40 cpv[3]. Detto altrimenti, l’esegesi del concetto di “diffusione” alla luce del complessivo enunciato nel quale si inserisce suggerisce di espungere dal novero dei significati ad esso ipoteticamente attribuibili ogni riferimento a condotte meramente omissive.
Quanto, infine, alla citata giurisprudenza in materia di truffa, la sua significatività rispetto al problema che qui ci occupa potrebbe essere ridimensionata alla luce della considerazione che – secondo quanto espressamente affermano le medesime pronunce – il “raggiro” in forma omissiva non coincide con il mero silenzio, bensì – come già sottolineato – con un silenzio qualificato da puntuali profili di antidoverosità, tali da elevarlo a comportamento concludente, come tale capace di incidere (al pari di una condotta autenticamente commissiva) sul processo di formazione dell’altrui volontà.
9. Dovendosi, dunque, tendenzialmente escludere che il problema della configurabilità dell’epidemia in forma omissiva possa essere risolto mediante l’interpretazione estensiva degli artt. 438 e 452 c.p., non resta che approcciarlo nella prospettiva della clausola di equivalenza di cui all’art. 40, co. 2 c.p., ossia della convertibilità della fattispecie di epidemia in fattispecie omissiva impropria. A tale riguardo possono individuarsi posizioni contrastanti tra gli interpreti.
In senso negativo, come visto, si è finora espressa (al netto dell’ordinanza in commento) la giurisprudenza, sulla base di due assunti: i) l’epidemia è un reato a forma vincolata; ii) i reati a forma vincolata non sono convertibili in reati omissivi impropri ex art. 40, co. 2. Oltre alle due pronunce citate nell’ordinanza, mostra di aderire a questa impostazione, in un breve passaggio, la nota sentenza delle Sezioni unite civili sul danno risarcibile in caso di trasfusioni con sangue infetto[4].
Giova nuovamente sottolineare che il punto n. ii) non appare contraddetto dalla sopraccitata giurisprudenza in materia di truffa omissiva, la quale come visto ne fonda la configurabilità sulla base dell’interpretazione estensiva del concetto di raggiro, senza scomodare la clausola di equivalenza racchiusa nel capoverso dell’art. 40. Nel senso dell’incompatibilità tra quest’ultima disposizione e i reati a forma vincolata è, del resto, allineata la dottrina maggioritaria, secondo la quale diversamente opinando si violerebbe il principio di legalità, attraendo nella sfera del penalmente rilevante condotte diverse da quelle che il legislatore ha selezionato come portatrici del disvalore tipico[5]. Minoritaria, ancorché autorevole, è infatti rimasta la posizione di coloro che ritengono il principio di legalità fatto salvo proprio dalla clausola di equivalenza, in assenza di diverse indicazioni da parte del legislatore[6].
Relativamente al punto n. i), vale a dire alla natura a forma vincolata ovvero libera dell’epidemia, si registra, invece, una più marcata contrapposizione tra gli interpreti: nel primo senso si esprimono coloro che ritengono la “diffusione mediante germi patogeni” un attributo della condotta[7]; nel secondo coloro che lo ritengono un attributo dell’evento lesivo, utile cioè a selezionare come penalmente rilevanti i soli focolai di malattie infettive[8].
A sostegno della prima soluzione militano le scelte terminologiche compiute dal legislatore (l’espressione “mediante” è tipica dei reati forma vincolata); nonché, in una certa misura, il richiamo alle tipologie criminali avute in mente dal legislatore storico, come ricordato dall’ordinanza di rimessione.
Più consistenti, tuttavia, appaiono gli argomenti che sostengono la seconda lettura, pure ricordati dall’ordinanza: da un lato la tecnica a forma libera è tipica dei reati posti a presidio di beni giuridici di elevato rango, come tali meritevoli di essere protetti rispetto a qualunque forma di aggressione; dall’altro lato, la diffusione dei germi patogeni non pare in grado di selezionare modalità di condotta connotate da un particolare disvalore (dissimilmente da quanto accade, per esempio, rispetto alla violenza e alla minaccia in determinati reati contro il patrimonio), bensì, piuttosto, di restringere l’ambito semantico dell’evento tipico alle epidemie in senso stretto, cioè alla diffusione su ampia scala di malattie infettive (con esclusione, ad esempio, di malattie a provocate dall’esposizione ad agenti chimici)[9].
10. Un breve cenno – solo per completezza in ordine agli inquadramenti sistematici astrattamente percorribili, posto che il tema non è affrontato dall’ordinanza di rimessione – merita la possibilità di valorizzare l’omesso impedimento di un’epidemia all’interno degli schemi concettuali che governano il concorso di persone nel reato.
In particolare, laddove la condotta del garante sia sorretta da un coefficiente doloso, anche solo eventuale (si pensi all’imprenditore che accetta lo sviluppo del focolaio come prezzo da pagare pur di non interrompere lo svolgimento dell’attività produttiva), si potrebbe prospettare una sua responsabilità a titolo di concorso mediante omissione, sub specie di mancato impedimento di un’epidemia cagionata da altri[10]. Si tratta di uno schema non solo pacificamente ritenuto valido in dottrina, purché l’agente sia gravato di una posizione di garanzia nel cui oggetto ricada l’impedimento dell’offesa tipica; ma – e per quanto maggiormente rileva in questa sede – si tratta altresì di uno schema dai più ritenuto compatibile con le ipotesi in cui a non essere impedito sia un reato a forma vincolata[11]. Resterebbe da dimostrare, e si tratterebbe senz’altro dell’aspetto più complesso, la sussistenza degli estremi del reato commesso dall’intraneus: non tanto sul piano soggettivo, quanto meno laddove si aderisca alla teoria dell’accessorietà minima; quanto sul piano oggettivo, ossia con riferimento alla rilevanza causale della sua condotta nel cagionare, o almeno alimentare in maniera quantificabile, l’epidemia.
Laddove, come appare più frequentemente, la condotta del garante risultasse meramente colposa, la sua responsabilità potrebbe fondarsi sul combinato disposto degli artt. 40 cpv. e 113 c.p., configurando cioè il mancato impedimento colposo di un reato commissivo colposo. Anche all’interno di siffatto schema il carattere a forma vincolata dell’epidemia (peraltro tutto da verificare) non rappresenterebbe un ostacolo, atteso che è proprio rispetto ai reati a forma vincolata che si può più facilmente assegnare una funzione incriminatrice all’art. 113 c.p.[12]. A venire in rilievo sarebbero le situazioni nelle quali il garante omette di adottare misure in grado di impedire che uno o più soggetti infetti cagionino colposamente un’epidemia (si pensi all’addetto alla verifica in ordine al possesso di “green pass” da parte dei partecipanti a un concerto, che per distrazione o comunque leggerezza ometta di effettuare il controllo su un certo numero di soggetti). Si tratterebbe in questo caso di dimostrare, oltre alla violazione di regole cautelari e alla rilevanza causale della condotta dell’intraneus nella causazione dell’epidemia, anche il c.d. elemento psicologico della cooperazione colposa, che peraltro l’orientamento prevalente identifica nella mera consapevolezza di cooperare all’altrui fatto materiale[13].
11. L’esperienza della pandemia da SARS-CoV-2 ha improvvisamente riacceso il dibattito su un reato (l’epidemia) e una questione esegetica (la sua configurabilità in forma omissiva) che in precedenza avevano occupato gli interpreti in misura assai più contenuta. Se per un verso è chiaro che la materia trascende la particolare contingenza storica, sollecitando interrogativi di portata più generale e potenzialmente rilevanti per future e diverse vicende, per altro verso sarebbe ingenuo negare che quanto accaduto in quel drammatico triennio abbia giocato un ruolo decisivo nel catalizzare l’attenzione degli interpreti e nell’acuirne la sensibilità per le implicazioni derivanti dalle diverse possibili soluzioni prospettabili. Da questa banale constatazione ne derivano altre due, forse meno scontate.
La prima è di metodo. È difficilmente negabile che, in passato, la ricerca di nuovi e più efficaci modelli di tutela di beni giuridici di alto rango, stimolata dall’esigenza di superare gli ostacoli probatori che si frapponevano alla repressione di gravissime offese di massa, abbia talvolta generato esperienze giudiziarie fallimentari, vuoi perché destituite di qualunque base giuridica (si pensi alla “strage colposa” ipotizzata dalla Procura di Venezia nel procedimento di Porto Marghera); vuoi perché basate su forzature esegetiche che non hanno retto il vaglio di legittimità (si pensi al disastro ambientale-sanitario di carattere “perdurante” ipotizzato dalla Procura di Torino nel processo Eternit).
Guardando al presente, allora, è fondamentale rifuggire alla medesima tentazione di modellare le categorie del reato in base alle (quandanche nobili) esigenze contingentemente generate dall’offesa che si intende reprimere. Sotto questo punto di vista, l’archiviazione del procedimento per epidemia colposa avviato dalla Procura di Bergamo nei confronti di noti esponenti di autorità locali e nazionali (inclusi il Presidente del consiglio e il Ministro della salute pro tempore) in relazione alla ritenuta istituzione tardiva di una “zona rossa” nei Comuni di Nembro e Alzano[14], ha rappresentato, quanto meno nel momento in cui è stata compiuta, una scelta prudente, non foss’altro perché esplicitamente basata (tra l’altro) sulla dubbia configurabilità dell’epidemia in forma omissiva.
La seconda considerazione è di merito e, soprattutto, di politica-criminale. Laddove le Sezioni unite si pronunciassero in senso contrario alla configurabilità dell’epidemia in forma omissiva, ciò nostro avviso rivelerebbe l’esistenza di una grave lacuna di tutela della salute pubblica nel nostro ordinamento penale, oltretutto difficilmente compatibile con gli obblighi positivi di tutela della vita e dell’integrità fisica che una giurisprudenza sempre più univoca della Corte di Strasburgo ricava dall’art. 2 della Convezione edu, anche rispetto a condotte colpose[15]. Proprio la pandemia da Covid-19, se per un verso non può e non deve essere l’occasione per flettere le categorie del reato in funzione di esigenze repressive, dall’altro lato non può non costituire un momento di seria riflessione, sul piano politico-criminale, in ordine alla necessità di dotarsi di fattispecie incriminatrici capaci di intercettare e sanzionare eventuali macroscopiche carenze nell’organizzazione e nell’implementazione di misure preventive di fenomeni epidemici; carenze dalle quali può in effetti derivare la perdita di decine, centinaia o addirittura migliaia di vite umane. Si tratta di condotte omissive che, in determinati contesti, potrebbero in effetti essere riferite anche ai decisori politici, ad esempio laddove emergessero, magari come frutto di pressioni lobbistiche, forme di inerzia comportanti un irragionevole sacrificio della salute pubblica in nome della continuità dei cicli produttivi. Criminalizzare siffatte condotte, attraverso la modifica in senso estensivo delle fattispecie esistenti[16], non costituirebbe a nostro avviso l’ennesima manifestazione del dilagante panpenalismo, bensì al contrario una scelta dotata di solidi addentellati costituzionali, tanto nel diritto fondamentale alla salute individuale e collettiva, quanto nel principio secondo cui l’iniziativa economica, pur libera, non può svolgersi in modo da recare danno, tra l’altro, alla salute umana (art. 41, co. 2 Cost., come modificato dalla L. Cost. n. 1/2022). Resterebbero, senza dubbio, le note difficoltà ricollegabili alla dimostrazione del nesso causale (peraltro smorzate, a nostro avviso, dal carattere impersonale del bene giuridico tutelato[17]), nonché dell’elemento soggettivo, tenuto conto che in molti settori il “rischio zero” è obiettivamente irrealizzabile e occorre preservare intatti i margini di rischio consentito garantiti dall’ordinamento[18]. Tali difficoltà potranno (e dovranno) condurre a esiti assolutori ogniqualvolta non risultino, in concreto, superabili nel rispetto del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio; non per questo, tuttavia, dovrebbero dissuadere dalla ricerca di soluzioni, sul piano normativo, possibilmente più efficaci rispetto a quelle attualmente disponibili.
[1] Cass. pen., sez. IV, 17.9.2010, n. 43786, Cozzini e al.
[2] In generale, sui criteri di distinzione tra azione e omissione, ancora valide risultano le considerazioni di L. Masera, Il modello causale delle Sezioni Unite e la causalità omissiva, in Dir. pen. proc., 2006, 500, nonché P. Veneziani, Il nesso tra omissione ed evento nel settore medico: struttura sostanziale ed accertamento processuale, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, Giuffrè, 2006, 1970 ss.
[3] Si pensi ai maltrattamenti in famiglia realizzati mediante deliberata indifferenza e trascuratezza rispetto ai più elementari bisogni della vittima (così, relativamente alla condotta del badante nei confronti del soggetto portatore di Sindrome di Down, Cass. 17.1.2013, n. 9724, CED 254472); oppure al favoreggiamento personale realizzato mediante condotte reticenti (Cass. 7.10.2010, n. 37757, CED 248603).
[4] Cass. civ., sez. un., 11.1.2008, n. 576, cons. in dir., n. 9.2., che anche sulla base di tale ragione ha ritenuto non configurabile il reato rispetto all’omessa sorveglianza sulla distribuzione del sangue e dei suoi derivati rimproverata al Ministero della Salute.
[5] Così G. Fiandaca, Il reato commissivo mediante omissione, Giuffrè, 1979, p. 34-37; G. Grasso, Il reato omissivo improprio, Giuffrè, 1983, p. 154-163. Nella manualistica, v. F. Mantovani-G. Flora, Diritto penale. Parte generale, XII ed., Wolters Kluwer CEDAM, 2023, p. 163; C.F. Grosso, M. Pelissero, D. Petrini, P. Pisa, Manuale di diritto penale. Parte generale, IV ed., Giuffrè, 2023, p. 232.
[6] G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, XIII ed., Giuffrè, 2024, p. 293.
[7] Ex multis, A. Gargani, Reati contro l’incolumità pubblica, tomo II, Reati di comune pericolo mediante frode, in C.F. Grosso, T. Padovani, A. Pagliaro (diretto da), Trattato di diritto penale. Parte speciale, Giuffrè, 2013, p. 213; R. Bartoli, La responsabilità colposa medica e organizzativa al tempo del Coronavirus, in questa Rivista, fasc. n. 7/2020, p. 89.
[8] Ex multis, S. Corbetta, Delitti contro l’incolumità pubblica, tomo II, I delitti di comune pericolo mediante frode, in G. Marinucci, E. Dolcini (diretto da), Trattato di diritto penale. Parte speciale, Padova, 2014, p. 16, 67; M. Pelissero, Covid-19 e diritto penale pandemico. Delitti contro la fede pubblica, epidemia e delitti contro la persona alla prova dell’emergenza sanitaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 2, p. 525; S.T. Cagli, L’epidemia, in D. Castronuovo (a cura di), Reati contro l’incolumità pubblica, in F. Palazzo, C.E. Paliero, M. Pelissero (diretto da), Trattato teorico-pratico di diritto penale, Giappichelli, 2024, p. 313, nonché amplius Id., L’epidemia come disastro?, Giappichelli, 2023, p. 89-94, cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti bibliografici.
[9] V. ancora S. T. Cagli, L’epidemia come disastro?, cit., p. 94.
[10] In questo senso A.H. Bell, Il reato di epidemia nel contrasto della pandemia da covid-19. Problemi ermeneutici e rapporti con le fattispecie di omicidio, fasc. 10/2022, p. 151. Tale ricostruzione presuppone, tra l’altro, che si aderisca alla lettura secondo cui l’epidemia non è realizzabile soltanto da chi “possiede” germi patogeni, ma anche da colui che ne è “portatore” in quanto soggetto infetto: per un’ampia trattazione del problema, con argomenti tesi a superare l’interpretazione restrittiva attualmente prevalente, v. S.T. Cagli, L’epidemia, in D. Castronuovo (a cura di), p. 314-316.
[11] In questo senso la dottrina maggioritaria: v., ex multis, A. Massaro, La responsabilità colposa per omesso impedimento di un fatto illecito altrui, Jovene, 2013, p. 243 ss.; contra, G. Fiandaca, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 181.
[12] L. Risicato, Cooperazione colposa, in M. Donini (diretto da), Reato colposo, Enc. Dir. – I tematici, Giuffrè Francis Lefebvre, 2021, p. 330.
[13] L. Risicato, Cooperazione colposa, cit., p. 327.
[14] Trib. Brescia, collegio per i reati ministeriali, 7.6.2023. Il testo integrale è disponibile su Quotidianosanita.it.
[15] Sia consentito il rinvio a S. Zirulia, Diritti umani e responsabilità colposa, in M. Donini (a cura di), Reato colposo, cit., p. 389 ss.
[16] Finora le proposte di rinnovamenti della disciplina penale per il contrasto dei fenomeni epidemici si sono soprattutto concentrate sull’opportunità di affiancare, alle tradizionali fattispecie codicistiche d’evento, nuove figure incriminatrici di condotta e di pericolo concreto: cfr., con varietà di soluzioni e articolate argomentazioni, A. Della Bella, Il legislatore penale di fronte all'emergenza sanitaria, Giappichelli, 2023, p. 227 ss.; S.T. Cagli, L’epidemia come disastro, cit., p. 183 ss..
[17] Sul punto v. ancora S.T. Cagli, L’epidemia, in D. Castronuovo (a cura di), cit., p. 316 ss.; nonché, volendo, S. Zirulia, Nesso di causalità e contagio da covid-19, in questa Rivista, 20.4.2022.
[18] Per un quadro aggiornato ed esaustivo sul tema del rischio consentito, v. F. Consulich, Rischio consentito, in M. Donini (a cura di), Reato colposo, cit., p. 1102 ss.