Executive Order on Blocking Property Of Certain Persons Associated With The International Criminal Court (June, 11, 2020)
Per il testo dell'Executive Order, cliccare qui.
1. La guerra di Trump alla Corte penale internazionale. – Lo scorso giovedì 11 giugno, il segretario di Stato statunitense Mike Pompeo ha annunciato in conferenza stampa che gli Stati Uniti hanno deciso di imporre sanzioni economiche e restrizioni di viaggio nei confronti della Procuratrice e altri funzionari della Corte penale internazionale (Cpi o Corte). La misura è stata adottata mediante un Executive Order firmato dal Presidente Donald Trump il giorno stesso. Dopo avere minacciato la mossa ormai da mesi, Trump ha voluto così reagire all’apertura delle indagini da parte della Procuratrice della Cpi sui gravi crimini commessi in Afghanistan dal 2002 in avanti, che vedono anche soldati statunitensi e funzionari della Cia sospettati di avere commesso atrocità, incluse torture e altri crimini di guerra, nei confronti di civili afghani.
Le misure adottate da Trump contro i funzionari della Corte dell’Aia sono normalmente riservate ai responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e ai 'peggiori criminali'. In questo modo paradossalmente Trump sta cercando di fare passare per criminali di guerra coloro che tali crimini vogliono indagare e perseguire: un tentativo maldestro e senza precedenti e che ha subito scatenato la condanna unanime a livello internazionale. Il linguaggio dell’Ordine presidenziale è peraltro estremamente vago e la sua potenziale portata troppo ampia, così da sollevare il dubbio se – oltre ai funzionari della Cpi – anche le organizzazioni e coloro che lavorano o collaborano con la Corte (tra cui gli avvocati delle vittime, o le vittime stesse) possano essere destinatari delle sanzioni Usa.
La guerra di Trump alla Cpi era già ampiamente iniziata prima di questa recente mossa: ad aprile 2019 il governo statunitense annunciò, sempre tramite Mike Pompeo, di avere negato il visto alla Procuratrice Fatou Bensuda cercando di fatto di impedire un suo viaggio a New York, o meglio al quartiere generale dell’Onu (misura non solo illegale ma senza effetto godendo le Nazioni Unite di uno statuto territoriale particolare). Tra i vari attacchi pubblici contro la Corte registrati negli ultimi mesi, particolarmente grave è stato il discorso, sempre veicolato da Pompeo, dello scorso 17 marzo, nel quale si minacciavano appunto sanzioni contro l’Ufficio della Procura dell’Aia, facendo nomi e cognomi in particolare di due membri dell’ufficio e lasciando intendere che misure sarebbero state adottate nei loro confronti e delle loro famiglie. Già tali mosse avevano scatenato viva preoccupazione e critiche da parte di giuristi ed esperti di giustizia internazionale (incluso l’ordine degli avvocati di New York ed ex Procuratori e ambasciatori statunitensi).
2. Il contenuto dell’ordine. – L’Ordine firmato da Trump l’11 giugno 2020 dichiara una “emergenza nazionale” poiché “any attempt by the ICC to investigate, arrest, detain, or prosecute any United States personnel without the consent of the United States, or of personnel of countries that are United States allies and who are not parties to the Rome Statute or have not otherwise consented to ICC jurisdiction, constitutes an unusual and extraordinary threat to the national security and foreign policy of the United States.” Quindi ogni tentativo di indagare, arrestare, detenere o processare “any United States personnel” senza il consenso degli Stati Uniti costituirebbe una minaccia straordinaria alla sicurezza nazionale e politica estera degli Stati Uniti.
È chiaro che il riferimento al personale Usa non copre ogni cittadino statunitense, ma solo funzionari pubblici ed in particolare i militari. È interessante peraltro notare che l’ordine include eventuali azioni nei confronti di “personnel of countries that are United States allies” che non siano Stati-parte della Cpi. Come è stato subito analizzato, dei 29 Stati alleati degli Usa nella Nato solo la Turchia non è uno Stato-parte della Cpi, mentre molti degli alleati statunitensi fuori dalla Nato (tra cui il Bahrein, l’Egitto, le Filippine, Israele, il Kuwait e la Tailandia) non sono tra i membri dallo Statuto della Corte.
L’Ordine, tra l’altro, permette al Segretario di Stato, in consultazione con il Segretario del Tesoro e con il Procuratore capo, di congelare i beni di ogni persona ritenuta agire in uno dei seguenti modi:
L’Ordine appare estremamente vago nella sua formulazione, aprendo potenzialmente le porte a qualsiasi tipo di ritorsione economica non solo nei confronti dei funzionari della Cpi impegnati in attività di indagine che riguardino personale statunitense, ma anche nei confronti di persone o associazioni che supportino tali azioni.
L’Ordine permette inoltre di sospendere i visti e permessi di immigrare negli Stati Uniti per le stesse categorie di persone, inclusi i loro familiari. In particolare, esso stabilisce un potere totalmente discrezionale di sospendere il visto ad ogni funzionario della Corte, inclusi i giudici.
Stando a quanto riportato, il governo statunitense avrebbe anche deciso di lanciare una propria contro-indagine nei confronti della Corte per presunta corruzione. A fronte dell’apodittica dichiarazione che la Corte dell’Aia rappresenterebbe una minaccia alla sicurezza nazionale, gli Stati Uniti non hanno fornito alcun elemento in grado di sostanziare le accuse di corruzione mosse alla Cpi, né hanno voluto rispondere alle domande in proposito.
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3. Considerazioni critiche e profili di illegittimità. – L’Ordine di Trump si basa sui poteri concessi al Presidente Usa dall’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa), una legge degli anni ’70 che in realtà era stata adottata esattamente per lo scopo contrario, ossia evitare che l’esecutivo potesse ricorrere in modo incontrollato ai poteri eccezionali dichiarando “emergenza nazionale” senza sufficiente controllo parlamentare.
Come notato in un commento appena pubblicato a firma di uno dei massimi esperti in materia, lo Ieepa conferisce al Presidente l’autorità di imporre restrizioni a proprietà che si trovino sotto la giurisdizione statunitense se tale proprietà è associata con soggetti identificati come “ostili” (“malicious”) che si trovino principalmente fuori dagli Stati Uniti. Ciò che di fatto la legge contempla sono sanzioni di tipo economico e di breve durata che colpiscano la proprietà di soggetti che rappresentino una minaccia “unusual and extraordinary” alla sicurezza nazionale. In passato la legge è stata usata per esempio rispetto a specifiche minacce terroristiche.
Che tale strumento sia ora utilizzato per minacciare e intimidire i funzionari di una istituzione che si occupa di amministrare la giustizia penale a fronte della commissione di gravi crimini internazionali, anziché contro minacce reali provenienti da paesi nemici degli Stati Uniti, è definito dallo stesso autore del commento di cui sopra “bizzarro e problematico”.
Peraltro occorre notare che l’Ordine dello scorso 11 giugno, lungi dallo stabilire le sanzioni da adottare, si limita a conferire una generica autorità di imporre sanzioni contro la Corte, sanzioni che potrebbero colpire la Corte nella sua interezza, ma anche i singoli giudici, i funzionari, la Procuratrice, i vari collaboratori (interni ed esterni) ed ogni parte che in qualsiasi modo fornisca assistenza al lavoro della Corte.
In un puntuale e ben informato commento a caldo, l’ambasciatore e professore di diritto David Sheffer (che, tra le altre cose, è stato il capo della delegazione statunitense all’Onu per l’istituzione della Corte penale internazionale) scrive come la mossa di Trump appaia distruttiva e totalmente controproducente rispetto agli scopi ufficialmente perseguiti. Come già notato, si tratta della reazione diretta all’apertura delle indagini da parte della Cpi riguardo alla situazione Afghanistan. Tali indagini, lungi dall’essere limitate alle presunte responsabilità dei militari e dei servizi di intelligence statunitense, si concentrano in larghissima parte sui crimini contro l’umanità e i crimini di guerra commessi dai Talebani e dalle Forze armate afghane.
Al riguardo occorre incidentalmente notare che l’apertura delle indagini in questione ha seguito un iter lungo e piuttosto travagliato durato oltre un decennio. A seguito di una prima decisione di diniego da parte della Camera preliminare,[1] l’autorizzazione all’apertura formale delle indagini in Afghanistan è finalmente arrivata con sentenza della Camera d’Appello del 5 marzo 2020.
In questo contesto, le accuse per cui si indaga nei riguardi del personale statunitense riguardano i casi di circa 80 vittime afghane che sono state detenute in Afghanistan e in altri “black sites” della Cia in paesi come la Lituania, la Polonia o la Romania, dove sarebbero state sottoposte a maltrattamenti e crimini, tra cui torture e stupri. Trattandosi di paesi che sono membri della Cpi, ai sensi dello Statuto di Roma i crimini ivi commessi rientrano nella giurisdizione territoriale della Corte, a prescindere dal fatto che i sospettati siano cittadini di paesi non membri della Corte (tra cui in primis gli Stati Uniti).
La posizione degli Stati Uniti, che sostiengono che i propri funzionari che eventualmente commettano crimini internazionali sul territorio degli Stati-parte della Cpi (123 attualmente) non possano essere assoggettati alla giurisdizione della Corte dell’Aia è prima facie priva di fondamento, dal momento che il governo statunitense non può unilateralmente impedire che gli Stati sul cui territorio crimini siano stati commessi rinuncino alla propria giurisdizione territoriale in materia penale (eventualmente anche “delegandola” alla Corte penale internazionale di cui è membro). L’unico argomento conclusivo che la Corte potrebbe accogliere sarebbe che gli Stati Uniti dimostrassero di avere svolto indagini efficaci e genuine sulle responsabilità dei propri cittadini rispetto ai casi di torture ed altri gravi crimini denunciati dalle vittime afghane di cui sopra. In tal caso, in base al principio della complementarietà, uno dei pilastri sui cui lo Statuto della Corte si fonda, la giurisdizione nazionale avrebbe la preminenza rispetto a quella internazionale.
In tal senso, come giustamente notato da David Sheffer, il problema non è tanto la Cpi che minaccerebbe la sicurezza nazionale statunitense, peraltro senza avere per il momento emesso alcun ordine di cattura e neanche formulato alcuna accusa specifica nei confronti di alcun funzionario governativo o militare statunitense. Il problema è piuttosto la totale mancanza di volontà dimostrata dagli Usa in tutti questi anni di fare giustizia per le vittime delle torture attribuite alle proprie forze armate e di intelligence. Com’è noto, infatti, gli Stati Uniti hanno deciso da subito di non perseguire sostanzialmente i casi di tortura che sarebbero stati commessi da militari Usa e membri della Cia nel corso delle operazioni militari e antiterrorismo post-11 settembre, in particolare in Afghanistan e Iraq (salvo qualche capro espiatorio di infimo livello gerarchico).
Gli avvocati statunitensi per i diritti umani – tra cui quelli del Center for Constitutional Rights (CCR) di New York e dell’American Civili Liberties Union (ACLU) - stanno valutando la possibilità di un ricorso costituzionale d’urgenza.
In pratica, tuttavia, le chances di successo di un tale possibile ricorso non appaiono altissime, in quanto tradizionalmente negli Stati Uniti le decisioni del Presidente in materia di sicurezza nazionale ricevono un alto grado di deferenza da parte dei giudici. Il Congresso, a sua volta, non ha il potere di annullare la determinazione del Presidente, il quale è solo tenuto a riferire annualmente sullo stato di emergenza nazionale.
Nel frattempo le dichiarazioni di condanna all’Ordine di Trump e di sostegno alla Corte si susseguono incessantemente. La Corte ha immediatamente emesso un comunicato nel quale dichiara che:
“These attacks constitute an escalation and an unacceptable attempt to interfere with the rule of law and the Court's judicial proceedings. They are announced with the declared aim of influencing the actions of ICC officials in the context of the Court's independent and objective investigations and impartial judicial proceedings. An attack on the ICC also represents an attack against the interests of victims of atrocity crimes, for many of whom the Court represents the last hope for justice.”
Molti rappresentanti di paesi membri della Cpi, inclusi i dieci Stati-parte membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, hanno rilasciato simili dichiarazioni, difendendo la Cpi come istituzione giudiziaria indipendente ed imparziale, come anche i rappresentanti dell’Unione Europea e un gruppo di importanti organizzazioni non governative statunitensi a tutela delle vittime di crimini internazionali.
È estremamente preoccupante osservare che la posizione dell’amministrazione statunitense ha ripercussioni altrettanto gravi rispetto ad altre situazioni cruciali di cui la Corte si sta occupando. Mi riferisco in primis alle indagini sui crimini commessi dalle forze armate israeliane a danno di civili palestinesi, situazione che è già stata oggetto di analoghi attacchi contro la Corte e prese di posizioni all’interno del Congresso Usa.
La posizione Usa potrebbe anche spianare la strada a simili argomenti da parte del governo di Myanmar (che non è membro della Cpi), i cui funzionari sono interessati da una indagine per i crimini contro l’umanità e possibile genocidio ai danni della popolazione Rohingya commessi in parte sul territorio del Bangladesh (membro della Cpi), o della Russia (che non è membro della Cpi) per i crimini commessi dai suoi militari in Ucraina (membro della Cpi).
[1] Ai sensi dello Statuto, è la Camera preliminare a dovere autorizzare la formale apertura delle indagini su precisa richiesta motivata e corredata di materiale da parte della Procura. Si tratta di uno dei meccanismi di bilanciamento della discrezionalità del Procuratore introdotti in sede di adozione dello Statuto di Roma nel 1998, per quei casi in cui la Procura della Cpi agisce proprio motu (ossia in assenza di un referral da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu o di uno Stato-parte. La decisione in parola, emessa dalla Camera preliminare II in data 12 aprile 2019, era stata aspramente criticata per i gravi errori di diritto che conteneva. Si rimanda in proposito al commento sulla Rassegna di Giustizia Sovranazionale, Osservatorio Corte Penale Internazionale, Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2019,