G.i.p. Roma, ord. 22 febbraio 2021, giud. Conforti
1. Con l’ordinanza in allegato, pronunciata il 22 febbraio 2021, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha respinto la richiesta del Pubblico Ministero di archiviazione del procedimento contro ignoti relativo alle procedure di rilascio, a favore della RWM Italia S.p.A., delle autorizzazioni per l’esportazione di armamenti verso l’Arabia Saudita.
Il G.i.p. di Roma ha ordinato lo svolgimento delle indagini suppletive individuate nella parte motiva, previa iscrizione nel registro degli indagati ex art. 335 c.p.p. dei direttori generali pro tempore dell’Unità per le Autorizzazioni dei Materiali di Armamento (UAMA) e degli amministratori delegati della RWM Italia S.p.A. dal 2015 fino alla data dell’ultima autorizzazione all’esportazione.
La decisione del G.i.p. di Roma costituisce una occasione inedita per la magistratura italiana di accertare la responsabilità penale di soggetti interessati a diversi livelli nell’esportazione di armamenti verso quei paesi, quali l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, coinvolti almeno dal 2015 nel conflitto armato in Yemen e nella contestuale commissione di crimini internazionali.
2. Il procedimento origina dalla denuncia, presentata nell’aprile 2018 congiuntamente dai legali rappresentanti dell’European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR, con sede a Berlino), dell’organizzazione non governativa yemenita Mwatana Organization for Human Rights, nonché dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e di Difesa, parte della Rete Italiana Pace e Disarmo.
In particolare, la denuncia evidenziava che nel corso dell’attacco aereo condotto nella notte tra il 7 e l’8 ottobre 2016 contro il villaggio yemenita Deir Al-Hajari, veniva colpita la casa di una famiglia, i cui componenti – due adulti e quattro bambini – rimanevano uccisi, mentre un’altra persona riportava diverse ferite. Dagli accertamenti emergeva che l’abitazione si trovava a notevole distanza dal più vicino obiettivo militare e che l’anello di sospensione della bomba ad elevata precisione MK80, utilizzata per colpire la casa della famiglia yemenita, era stato fabbricato nello stabilimento sardo di Domusnovas della RWM Italia S.p.A., società del gruppo tedesco Rheinmetall Defence A.G. e specializzata nella produzione di armamenti[1]. La RWM Italia S.p.A. era, infatti, stata a più riprese autorizzata da UAMA all’esportazione di armamenti verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, paesi alla guida della Coalizione intervenuta nel conflitto in Yemen a supporto delle forze governative nel contrasto ai ribelli sciiti Houthi.
Come evidenziato nella denuncia, le autorizzazioni rilasciate da UAMA in favore della RWM Italia S.p.A. sarebbero state illegittime per violazione della normativa, tanto interna quanto internazionale, che vieta il rilascio di licenze in materia di armi qualora sia evidente il rischio di un loro utilizzo in occasione di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. Alla luce della ricostruzione proposta nella denuncia, sarebbe pertanto configurabile in capo ai funzionari di UAMA e agli amministratori della RWM Italia S.p.a. il reato di abuso d’ufficio, poiché all’illegittimo rilascio delle autorizzazioni alle esportazioni sarebbe conseguito un vantaggio contra ius per RWM Italia S.p.A., con gravissimo danno ingiusto per le vittime dell’attacco dell’8 ottobre 2016 (e della popolazione yemenita). I funzionari di UAMA e gli amministratori della RWM Italia S.p.a. avrebbero, inoltre, contribuito a titolo di dolo eventuale, o quantomeno di colpa cosciente, a determinare la morte della famiglia yemenita e il ferimento di un’altra persona. Si tratterebbe, peraltro, di eventi non qualificabili come “danni collaterali”, in ragione della lontananza dell’abitazione dai più vicini obiettivi militari. A maggior ragione, si consideri che nel corso dell’attacco era stata utilizzata una bomba della serie MK80, dotata di sistemi ad elevata precisione e con un margine di errore di circa un metro.
3. La polizia giudiziaria procedeva all’acquisizione della documentazione relativa all’istruttoria per il rilascio delle autorizzazioni all’esportazione di materiali di armamento verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, concesse da UAMA alla RWM Italia S.p.A. tra l’11 febbraio 2015 e il 15 novembre 2018.
4. Il 18 settembre 2019 il Pubblico Ministero avanzava richiesta di archiviazione del procedimento contro ignoti, richiamando in primis la analoga decisione di archiviazione del procedimento n. 39189/2017, che avrebbe avuto ad oggetto i medesimi provvedimenti autorizzativi menzionati nella denuncia, senza che fossero nel frattempo intervenuti significativi elementi di novità. Si evidenziava, inoltre, la complessità del procedimento di rilascio delle autorizzazioni, all’esito del quale più funzionari appartenenti ad uffici diversi avevano espresso parere favorevole alla concessione. Infine, il Pubblico Ministero ravvisava come prevalente l’interesse pubblico all’aumento dei tassi di occupazione nel comparto degli armamenti. Esclusa, dunque, la sussistenza di un accordo criminoso finalizzato a far conseguire un indebito interesse alla RWM Italia S.p.A., sarebbe secondo il Pubblico Ministero da ritenere insussistente l’elemento soggettivo del reato, con irrilevanza di ogni ulteriore valutazione sotto il profilo oggettivo.
5. I denuncianti presentavano opposizione alla richiesta di archiviazione, con la quale si sottolineava come lo scoppio del conflitto in Yemen nel 2015 avesse invero costituito un rilevante elemento di novità rispetto all’archiviato procedimento n. 39189/2017. Mentre le autorizzazioni del precedente procedimento risultavano anteriori al 2013, l’anello di sospensione oggetto della denuncia era, infatti, stato esportato in Arabia Saudita tra il 9 aprile e il 15 novembre 2015.
Tra il marzo 2015 e il dicembre 2018 risultavano rilasciate alla società ben quattordici licenze, nonostante le gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, riconosciute dagli organismi delle Nazioni Unite e dal Parlamento Europeo.
6. Come anticipato, con l’ordinanza in commento il G.i.p. del Tribunale di Roma ha rigettato la richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero. In primo luogo, la giudice ha respinto la ricostruzione dell’accusa sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato di abuso d’ufficio, quale intenzione di favorire il privato con un profitto contra ius. L’ordinanza ha, infatti, osservato il carattere non vincolante dei pareri rilasciati dai diversi uffici nei limiti del proprio settore di competenza, con responsabilità finale di UAMA in merito all’adozione del provvedimento conclusivo di autorizzazione.
È stato, inoltre, rigettato l’argomento relativo alla sussistenza di un superiore interesse collettivo, individuato nell’aumento dei posti di lavoro nel comparto degli armamenti, a fondamento del rilascio delle autorizzazioni all’esportazione. Secondo la giudice non si comprende, infatti, quale debba essere l’interesse privato destinato a soccombere di fronte alla tutela dei livelli occupazionali, che la società avrebbe peraltro potuto continuare a salvaguardare mediante la lecita produzione ed esportazione di armi verso altri paesi. Ad ogni modo, si tratta di un interesse che certo non può giustificare una violazione degli obblighi, interni ed internazionali, che vietano l’esportazione di armamenti verso paesi responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. Nell’ordinanza si afferma, infatti, che “in ogni caso, il pur doveroso, imprescindibile impegno dello Stato per salvaguardare i livelli occupazionali non può, nemmeno in astratto, giustificare una consapevole, deliberata violazione di norme che vietino l'esportazione di armi verso Paesi responsabili di gravi crimini di guerra e contro popolazioni civili (ben potendo e dovendo lo Stato da un lato salvaguardare i livelli occupazionali e dall'altro rispettare gli obblighi derivanti da norme interne ed internazionali).”.
La sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di abuso d’ufficio sarebbe ulteriormente confermata dalla considerazione che il contratto di vendita con la Royal Saudi Air Force avrebbe permesso all’azienda produttrice di raddoppiare il proprio fatturato, come rilevato dalla stessa UAMA.
7. Il G.i.p. di Roma ha poi rilevato l’incompletezza delle indagini svolte dal Pubblico Ministero, con necessità di procedere allo svolgimento di attività investigativa suppletiva previa iscrizione nel registro delle notizie di reato dei direttori generali pro tempore di UAMA e degli amministratori delegati pro tempore della RWM Italia S.p.A.
8. L’ordinanza in commento ha quindi ricostruito il panorama normativo interno ed internazionale, alla luce dei divieti di esportazione degli armamenti verso paesi coinvolti in gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. Il riferimento è innanzitutto alla richiamata legge “sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” (legge 9 luglio 1990, n. 185), che vieta la vendita di armi a paesi responsabili di gravi violazioni di convenzioni internazionali in materia di diritti umani, che siano accertate dagli organi delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa. Le azioni militari in Yemen, e in particolare gli attacchi aerei che hanno coinvolto anche la popolazione civile, sono state fermamente condannate in diverse sedi internazionali. A questo proposito, rileva la Posizione Comune del Consiglio dell’Unione Europea n. 944 PESC del 2008, che vieta la concessione di licenze di esportazione laddove sussista il rischio evidente dell’impiego delle armi per commettere gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. Il Parlamento Europeo ha poi più volte stigmatizzato la vendita di armi da parte di alcuni Stati membri verso i paesi della Coalizione coinvolta nel conflitto in Yemen ed ha invitato l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri ad avviare una iniziativa per l’imposizione di un embargo sulle armi da parte dell’Unione Europea all’Arabia Saudita.
In secondo luogo, il Trattato internazionale sul commercio di armi del 2013, ratificato dall’Italia il 2 giugno 2014, vieta in modo analogo la concessione di autorizzazioni al trasferimento di armi laddove lo Stato sia a conoscenza del loro possibile utilizzo per la commissione di crimini di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, e in particolare attacchi contro i civili.
9. La giudice ha evidenziato come, alla luce delle recenti modifiche introdotte dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 (di conversione del d.l. n. 76/2020, c.d. “Decreto Semplificazioni”), il divieto di esportazione imposto dalla legge n. 185/1990 debba configurarsi quale precisa regola di condotta. La sussistenza dell’abuso d’ufficio ex art. 323 c.p. è, dunque, subordinata all’accertamento del carattere illegittimo degli atti di concessione delle autorizzazioni, con ingiusto vantaggio patrimoniale per la RWM Italia S.p.A. ovvero danno ingiusto per le vittime dell’attacco aereo.
A questo proposito si è, quindi, ritenuto necessario completare le acquisizioni documentali al fine di accertare il numero di autorizzazioni rilasciate da UAMA alla RWM Italia S.p.A. a partire dal 2015, quando la situazione del conflitto in Yemen doveva ritenersi internazionalmente conosciuta, ovvero di verificare se vi siano state decisioni di rigetto della loro concessione.
10. Il G.i.p. ha evidenziato come nel periodo di rilascio delle autorizzazioni, che in alcune ipotesi andavano addirittura ad incrementare la fornitura di armamenti all’Arabia Saudita, vi fosse a livello internazionale la piena consapevolezza delle responsabilità della Coalizione nel conflitto in Yemen, tanto per la grave crisi umanitaria innescata, quanto per il rischio di utilizzo degli armamenti contro obiettivi civili in violazione del diritto internazionale umanitario.
Oltre ai numerosi documenti provenienti dalle Nazioni Unite, infatti, almeno tre risoluzioni del Parlamento Europeo (nn. 2015/2760(R8P), 2016/2515(RSP), 2017/2849(RSP)) avevano espresso “seria preoccupazione” per la situazione del conflitto in Yemen. Si sottolineava, in particolare, il numero elevato di vittime, anche civili, causate dalla Coalizione guidata dall’Arabia Saudita, mediante il ricorso a munizioni e obiettivi vietati dal diritto internazionale umanitario. Le risoluzioni avevano reiterato l’esigenza di imporre un embargo europeo sulla vendita di attrezzature e tecnologie militari all’Arabia Saudita, in ottemperanza alla sopra richiamata Posizione Comune n. 2008/944/PESC.
Dai fascicoli oggetto d’indagine emerge, peraltro, come nel medesimo periodo gli stessi uffici di UAMA coinvolti nel procedimento di rilascio delle autorizzazioni avessero evidenziato l’opportunità di condurre valutazioni caso per caso sulla situazione nel paese, nonché di integrare il cd. ‘End User Certificate’ per assicurare l’utilizzo delle forniture ai soli fini di difesa e nel rispetto del diritto internazionale umanitario. Ciononostante, i pareri di UAMA continuavano a ritenere che le autorizzazioni apparissero “in linea con la vigente legislazione nazionale e internazionale in materia” (nota del 15 aprile 2016).
11. Come anticipato, il G.i.p. ha respinto la richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero, al quale ha ordinato ai sensi degli artt. 415 e 409, comma 4 c.p.p. lo svolgimento di indagini suppletive della durata di sei mesi, previa iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p. dei direttori generali pro tempore di UAMA e degli amministratori delegati pro tempore della RMW Italia S.p.A.
Le indagini dovranno completare il panorama conoscitivo in merito tanto alle autorizzazioni non ancora acquisite, quanto alle procedure relative ai fascicoli già oggetto di esame (ad esempio, per quanto concerne i certificati aggiuntivi richiesti da UAMA). In secondo luogo, sarà necessario verificare l’effettiva rivalutazione della situazione in Yemen e, conseguentemente, l’eventuale presenza di provvedimenti di rigetto delle autorizzazioni.
* * *
12. La decisione in commento merita particolare considerazione. Laddove, infatti, all’esito delle indagini suppletive si procedesse con il rinvio a giudizio degli indagati, il procedimento costituirebbe la prima occasione per l’ordinamento italiano di accertare la responsabilità penale di soggetti direttamente interessati nell’esportazione di armamenti e tecnologie militari verso paesi coinvolti in conflitti armati e potenzialmente responsabili di crimini di guerra e di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario.
Il procedimento assume, quindi, particolare rilevanza per la giustizia penale internazionale. Merita solo ricordare che il conflitto in Yemen ha causato la più grave crisi umanitaria attualmente in corso, che conta quasi ventimila morti, quattro milioni di sfollati interni e oltre venti milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria (pari al 66% della popolazione totale)[2].
I tradizionali criteri di intensità delle violenze e di coinvolgimento di gruppi armati non statali consentono di classificare la situazione in Yemen quale conflitto armato non internazionale; l’intervento della Coalizione di Stati terzi guidati dall’Arabia Saudita non ne muta la qualificazione, stante il consenso del governo yemenita[3].
Un rapporto del Comitato di Esperti delle Nazioni Unite in Yemen ha attestato la commissione da parte della Coalizione di sistematiche violazioni del diritto internazionale umanitario[4]. Risultano, infatti, sistematicamente ed ampiamente violati i principi di precauzione, proporzione e distinzione; quest’ultimo assume particolare rilevanza in relazione ai fatti oggetto della decisione in commento, poiché impone che nella conduzione delle ostilità gli attacchi armati siano rivolti nei confronti dei soli obiettivi militari. Laddove vengano, al contrario, colpiti costruzioni o persone civili, l’attacco deve considerarsi indiscriminato[5].
Il Comitato di Esperti delle Nazioni Unite ha, pertanto, evidenziato la sussistenza di prove sufficienti a far ragionevolmente ritenere che la Coalizione guidata dall’Arabia Saudita si sia resa responsabile di crimini internazionali nel contesto del conflitto in Yemen[6].
13. La commissione di crimini internazionali in Yemen è attualmente al vaglio della Corte penale internazionale (Cpi): l’ultimo rapporto pubblicato dall’Ufficio del Procuratore della Corte richiama le denunce relative alle presunte responsabilità di funzionari statali e dirigenti di aziende produttrici (tedesche, francesi, inglesi, spagnole e italiane) per i crimini internazionali commessi in Yemen[7].
Il conflitto è allo stato tra le situazioni nella cd. “fase 1” dell’esame preliminare, relativa alla valutazione di serietà e rilevanza delle informazioni contenute nelle comunicazioni ricevute ex art. 15 Statuto Cpi. L’esame della Procuratrice riguarda, infatti, la comunicazione presentata nel dicembre 2019 alla Cpi da una coalizione internazionale di organizzazioni per i diritti umani, tra cui figurano le stesse ECCHR, Mwatana e Rete Italiana Pace e Disarmo. La “denuncia” richiama, tra gli altri incidenti, proprio il bombardamento del villaggio di Deir Al-Hajari, oggetto del procedimento in commento[8].
Nelle 350 pagine della comunicazione si sottolinea, inoltre, come l’elevato numero di vittime civili e l’estensione dei danni riportati da edifici e oggetti non militari da parte dei bombardamenti operati dalla Coalizione siano indicatori del carattere indiscriminato e sproporzionato degli attacchi contro soggetti e beni protetti dal diritto internazionale umanitario. In assenza di rapporti ufficiali militari, l’organizzazione non governativa Yemen Data Project riporta che dall’inizio della campagna condotta dalla Coalizione [fino a febbraio 2020] si sono registrati circa 20.321 bombardamenti, solo 6.897 dei quali contro obiettivi militari. La metà circa dei restanti attacchi era diretta contro civili, mentre in 6.929 casi è sconosciuta la presenza di un obiettivo militare di prossimità[9].
Sebbene lo Yemen abbia firmato lo Statuto Cpi nel dicembre 2000, il processo di ratifica non è mai stato portato a conclusione. La Cpi può, tuttavia, esercitare la propria giurisdizione sui potenziali crimini internazionali commessi dai funzionari statali e dai dirigenti delle società produttrici di armamenti utilizzati nel corso del conflitto armato nel paese, in quanto persone appartenenti a Stati membri dello Statuto Cpi. L’ammissibilità del procedimento di fronte alla Corte è subordinata al rispetto del principio di complementarità ex art. 17 Statuto Cpi, e risulta pertanto preclusa laddove siano intentati procedimenti effettivi e genuini di fronte alle giurisdizioni nazionali.
Ciononostante, lo svolgimento di indagini domestiche per crimini internazionali commessi da soggetti appartenenti a società produttrici di armamenti è ostacolato dal carattere transnazionale di tali corporazioni, nonché dalla mancanza di trasparenza in relazione ai dati sulle esportazioni di armi. Per questo motivo, nel panorama europeo sono al momento limitati i procedimenti penali intentati dalle giurisdizioni nazionali per le esportazioni di attrezzature e tecnologie militari destinate ad essere utilizzate in violazione dei diritti umani[10].
Lo scenario internazionale rende, pertanto, ancor più evidente la rilevanza del procedimento italiano, pur attualmente in fase di indagine, volto all’accertamento di responsabilità dei funzionari di UAMA e dei dirigenti di RWM Italia S.p.A.
14. Merita, tuttavia, ricordare che l’accertamento delle responsabilità penali per crimini internazionali, in specie crimini di guerra, commessi in Yemen è precluso ai giudici italiani a causa della mancata adozione di una normativa interna di attuazione dello Statuto Cpi. Particolare attenzione deve essere allora prestata alla possibilità di accertare la responsabilità penale dei vertici delle aziende produttrici di armi e dei funzionari statali, che hanno colpevolmente assicurato la fornitura di armamenti nonostante la consapevolezza del rischio di un loro utilizzo in un conflitto armato di proporzioni drammatiche, mediante il ricorso ad altre fattispecie di reato.
La denuncia presentata nell’aprile 2018 aveva infatti ad oggetto, da un lato, la contestazione dell’abuso d’ufficio nei confronti dei funzionari di UAMA per la reiterata violazione delle norme che impediscono la vendita di armamenti italiani laddove vi sia l’evidente rischio di un loro utilizzo in violazione del diritto internazionale umanitario. Dall’altro lato, invece, veniva contestata la responsabilità anche dei dirigenti di RWM Italia S.p.A. per il concorso nei delitti di omicidio e lesioni personali commessi mediante la fornitura degli armamenti utilizzati in Yemen.
Sebbene dall’ordinanza in commento non emerga (ancora) una netta distinzione tra le posizioni degli indagati, le indagini suppletive disposte dalla giudice sono rivolte alla acquisizione della documentazione necessaria proprio all’accertamento di tali fattispecie.
Senza pretesa di anticipare le valutazioni nel merito del procedimento, merita brevemente richiamare alcune considerazioni circa la configurazione del reato di abuso d’ufficio, così come riformato dalla già richiamata legge n. 120/2020[11]. La legge di conversione del cd. “Decreto Semplificazioni” è, infatti, intervenuta sul nucleo della fattispecie ex art. 323 c.p.; la principale novità concerne la sostituzione, rispetto alla formulazione del 1997, della violazione “di norme di legge e di regolamento” con la violazione “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. Rimane, per converso, invariata la restante formulazione della fattispecie, che si configura come reato proprio del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che agiscano nello svolgimento delle loro funzioni o del servizio, e che prevede la condotta alternativa dell’inosservanza dell’obbligo di astensione in caso di conflitto di interessi. Rimane immutata altresì la previsione del duplice evento alternativo, i.e. l’ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero il danno ingiusto, che deve essere oggetto di dolo intenzionale.
L’obiettivo politico criminale perseguito dal riferimento alla violazione di specifiche ed espresse regole di condotta è, come per le riforme precedenti, il rafforzamento della capacità selettiva della fattispecie, con restrizione delle condotte penalmente rilevanti. In particolare, l’esclusione della rilevanza penale di regole che, pur specifiche ed espresse, risultino caratterizzate da discrezionalità, asseconda la preoccupazione di evitare quelle interpretazioni giurisprudenziali che riconducevano all’art. 323 c.p. anche gli atti viziati da eccesso di potere, con il rischio di una estensione del sindacato penale sull’attività amministrativa e politica[12].
Pur alla luce del carattere multiforme della discrezionalità amministrativa, politica e tecnica, si ritiene che il divieto di cui alla legge n. 185/1990 costituisca una specifica regola di condotta prevista ex lege, dalla quale non residuano margini di valutazione di interessi contrapposti, come peraltro ricordato dal G.i.p. di Roma nell’ordinanza in commento. Nel procedimento in esame non si prospettano, pertanto, problemi di abolitio criminis.
15. In conclusione, merita evidenziare come le implicazioni del procedimento in commento abbiano ampio respiro, e si estendano oltre i confini degli ordinamenti sinora considerati. Si consideri infatti che, come denunciato dall’ex Inviato Speciale delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamè, gli Stati occidentali avrebbero più volte aggirato l’embargo delle Nazioni Unite alla vendita di armamenti verso la Libia, mediante l’esportazione di attrezzatura militare ovvero la concessione delle licenze per la produzione proprio all’Arabia Saudita, che insieme alla Turchia risulta tra i principali esportatori di armi in Libia[13].
Quanto all’impatto delle licenze sull’ordinamento economico italiano, basti evidenziare che nel 2016 la più importante autorizzazione concessa dall’Italia alla RWM Italia S.p.A. per l’esportazione di armi verso l’Arabia Saudita ha raggiunto il valore di 411 milioni di euro per la produzione di circa ventimila bombe, che rappresentano la più ingente fornitura per il munizionamento pesante dal dopoguerra[14]. Si tratta peraltro di un dato in continuo aumento, che si accompagna alla crescita della spesa annuale per la difesa, passata nell’ultima legge di bilancio (legge 30 dicembre 2020, n. 178) da 22.940 a 24.580 milioni di euro.
Per la prima volta, la decisione in commento riconosce l’utilizzo di armamenti italiani nei bombardamenti della Coalizione guidata dall’Arabia Saudita in Yemen; risulta, infatti, non contestata la provenienza dallo stabilimento sardo della RWM Italia S.p.A. dell’anello di sospensione della bomba MK80 rinvenuta sul luogo dell’attacco aereo. Secondo le organizzazioni per i diritti umani impegnate nella denuncia vi sarebbe, inoltre, ampia evidenza dell’impiego nel conflitto in Yemen non solo delle bombe MK80 della RWM Italia S.p.A., ma altresì degli aerei da combattimento Eurofighter Typhoon e Tornado, in parte prodotti dal Consorzio Eurofighter di cui è azionista la società italiana Leonardo S.p.A[15].
Se le indagini nei confronti dei funzionari pro tempore di UAMA e dei dirigenti pro tempore di RWM Italia S.p.A. rappresentano una possibilità per le vittime del conflitto in Yemen di ottenere giustizia, costituisce altresì un segnale incoraggiante la decisione del governo italiano, che lo scorso 29 gennaio 2021 ha revocato le autorizzazioni all’esportazione di armamenti verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. La decisione dovrebbe, infatti, riguardare anche le licenze relative alla RWM Italia S.p.A. nella parte residua della fornitura, stimata in circa 12.700 bombe[16].
[1] Abruzzese E., L'Italia è un Paese che ripudia la guerra?, in Antimafia, 26 marzo 2021.
[2] Per una analisi approfondita delle proporzioni del conflitto, cfr. Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Yemen Humanitarian Needs Overview 2021, febbraio 2021.
[3] Cfr. RULAC – Geneva Academy, Non-international armed conflict in Yemen, 27 maggio 2020.
[4] Cfr. Consiglio dei Diritti Umani, Rapporto annuale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e relazioni dell’Ufficio dell’Alto Commissariato e del Segretario Generale, 45° Sessione, O.d.g. Agenda n. 2, 14 settembre-2 ottobre 2020.
[5] Comitato Internazionale della Croce Rossa, Customary IHL, Rule 1. The Principle of Distinction between Civilians and Combatants.
[6] Consiglio dei Diritti Umani, Rapporto annuale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e relazioni dell’Ufficio dell’Alto Commissariato e del Segretario Generale, cit.
[7] Corte penale internazionale, Ufficio del Procuratore, Report on Preliminary Examination Activities 2020, 14 dicembre 2020.
[8] Meloni C., Duarte Reyes L., Un passo storico: accertare le responsabilità italiane pr le bombe in Yemen, in Editoriale Domani, 25 gennaio 2021.
[9] ECCHR, Made in Europe, bombed in Yemen: How the ICC could tackle the responsibility of arms exporters and government officials, Case Report, febbraio 2020.
[10] Lo scorso 30 marzo 2021, la Corte Federale di Giustizia tedesca ha confermato la sentenza di condanna, emessa nel febbraio 2019 dalla Corte Regionale di Stoccarda, nei confronti di due ex impiegati della Heckler & Koch (H&K) per l’esportazione illegale di armi verso il Messico (veniva, invece, assolto il consigliere delegato e responsabile delle esportazioni). È interessante notare come la Corte abbia ritenuto irrilevanti, in quanto non facenti parte delle licenze, le dichiarazioni cd. ‘End-use’, richiamate anche nel provvedimento in commento ed elemento centrale della attuale regolamentazione europea sulla esportazione di armi.
[11] Per un approfondimento si veda Gatta G.L., Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’: il decreto-semplificazioni e la riforma con parziale abolizione dell’abuso d’ufficio, approvata dal Governo ‘salvo intese’ (e la riserva di legge?), in questa Rivista, 17 luglio 2020.
[12] Merlo A., Lo Scudo di Cristallo: la Riforma dell’abuso d’ufficio e la Riemergente Tentazione “Neutralizzatrice” della Giurisprudenza, in questa Rivista, 1° marzo 2021.
[13] Abruzzese E., L'Italia è un Paese che ripudia la guerra?, cit.
[14] Rosini G., Armi in Arabia: “Bombe sui civili. E l’Italia sapeva”, Il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2021.
[15] Meloni C., Duarte Reyes L., Un passo storico: accertare le responsabilità italiane pr le bombe in Yemen, in Editoriale Domani, cit.
[16] ECCHR, Groundbreaking Decision For Victims Of Italian Weapon Airstrikes In Yemen, 25 febbraio 2021.