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  Notizie  
26 Febbraio 2025


Caso Elmasry: il Procuratore della CPI chiede di accertare la violazione degli obblighi di cooperazione da parte dell’Italia per il mancato arresto


1. Con provvedimento del 21 febbraio 2025, qui anche in allegato nella versione corretta del 25 febbraio, il Procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) ha chiesto alla Camera preliminare I di dichiarare formalmente la violazione da parte dell’Italia degli obblighi di cooperazione per la mancata esecuzione dell’arresto e della consegna di Osama Elmasry Njeem (Almasri) ai sensi dell'art. 92 dello Statuto di Roma, nonché della richiesta di perquisizione e sequestro dei materiali trovati in suo possesso. La richiesta del Procuratore si inserisce nel procedimento avviato sulla mancata cooperazione dalla Camera preliminare I, che il 17 febbraio ha invitato l'Italia a presentare, entro un mese, le proprie osservazioni.

 

2. La vicenda è nota e fa seguito all’arresto di Elmasry a Torino il 19 gennaio 2025, in esecuzione del mandato emesso dalla Cpi il giorno precedente. Com’è noto, il 21 gennaio la Corte d’Appello di Roma ha dichiarato non luogo a provvedere sull’arresto di Elmasry in quanto “irrituale” a causa dell’assenza di previe interlocuzioni con il Ministro della Giustizia. Elmasry è stato, quindi, rimpatriato a Tripoli con un volo di Stato, in ragione dei “profili di pericolosità” e delle “esigenze di salvaguardia della sicurezza dello Stato e della tutela dell’ordine pubblico”.

 

3. Nella ricostruzione del Procuratore della Cpi, la richiesta di esecuzione dei mandati di arresto, perquisizione e sequestro nei confronti del generale libico era stata prontamente comunicata alle autorità diplomatiche italiane già il 18 gennaio. Queste avevano escluso la necessità di azioni diverse dal successivo invio di una versione corretta e tradotta in italiano. Secondo il Ministro della Giustizia, tuttavia, tale documentazione era stata ricevuta dall’esecutivo solo due giorni dopo. Sul punto l’accusa ha ricordato che, ai sensi dell’art. 87(7) dello Statuto di Roma, l’assenza di un coordinamento interno tra le autorità nazionali competenti non può costituire, di per sé, una giustificazione valida per l’omissione della cooperazione richiesta.

 

4. Anche nell’ipotesi di una necessaria previa interlocuzione, secondo una dibattuta interpretazione della legge n. 237/2012 [si veda, ad esempio, qui, qui, qui, qui, qui e qui], il Ministro della Giustizia avrebbe dovuto trasmettere al Procuratore Generale di Roma la richiesta di applicazione della custodia cautelare già il 20 gennaio, consentendo così alla Corte d’Appello di pronunciarsi sulla misura. Risulta, invece, incerta la scansione temporale intercorsa tra l’esame della documentazione da parte del Ministero (come affermato nel comunicato ufficiale pubblicato il 21 gennaio) e la decisione, nella medesima giornata, della Corte d’Appello.

 

5. In ogni caso, nonostante fossero state specificamente contattate dalla Cpi in diverse occasioni tra il 20 e il 21 gennaio, le autorità italiane avevano omesso di sottoporre alla Corte le presunte criticità contenute, secondo il Ministro della Giustizia, nel mandato di arresto (quali le incertezze sul momento di commissione dei crimini e le “perplessità” espresse nell’opinione dissenziente della giudice María del Socorro Flores Liera). Sul punto l’Ufficio del Procuratore ha richiamato il carattere minimo delle correzioni apportate al mandato d'arresto nella versione corretta del 24 gennaio, che non ne hanno modificato la struttura, né lo hanno reso invalido. L’Italia avrebbe così violato l’art. 97 dello Statuto di Roma, nella parte in cui prevede che “[se] uno Stato parte riceve una richiesta [...] in relazione alla quale individua problemi che possono ostacolare o impedire l'esecuzione dell’atto, tale Stato si consulta senza indugio con la Corte per risolvere la questione”.

 

6. La medesima violazione si ravviserebbe nella mancata consultazione della Cpi prima di procedere alla espulsione di Elmasry in quanto soggetto pericoloso ai sensi dell’art. 13(1) d.lgs. 286/1998. Tale coordinamento avrebbe consentito, infatti, alla Cpi di individuare un paese terzo di destinazione del generale libico, così mantenendo intatte le possibilità di una sua successiva consegna alla Corte. Sul punto, il Procuratore ha ricordato che, secondo quanto previsto dall’art. 13(1) d.lgs. 286/1998, la notizia di espulsione del soggetto ritenuto pericoloso viene preventivamente comunicata dal Ministro dell'interno al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri.

 

7. Secondo il Procuratore, le violazioni da parte dell’Italia si configurano come gravi, in quanto hanno impedito alla Cpi di esercitare le proprie funzioni, anche alla luce della rete di protezione di cui Elmasry può godere in patria. La mancata consegna dell’indagato e del materiale rinvenuto in suo possesso ha ostacolato le indagini sulla Situazione in Libia e limitato l’accesso della Cpi a informazioni fondamentali, ad esempio relative a potenziali complici di Elmasry ovvero a risorse finanziarie a sua disposizione. La liberazione del generale libico ha determinato, inoltre, gravi conseguenze per la sicurezza di vittime, testimoni e delle loro famiglie, esposti al rischio di potenziali gravi danni.

 

8. Il Procuratore ha, quindi, richiesto il deferimento della violazione all’Assemblea degli Stati parte allo Statuto di Roma e/o al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ai sensi dell’art. 87(7) dello Statuto di Roma. Quest’ultima opzione sarebbe, infatti, possibile in quanto le indagini nella Situazione in Libia sono state avviate a seguito di un referral del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite al Procuratore della Cpi nel 2011. Secondo il Procuratore, la misura appare necessaria alla luce delle molteplici inadempienze e della natura politica della decisione italiana, che ha coinvolto il potere esecutivo a più livelli e rispetto alla quale non è seguito il riconoscimento di responsabilità interne. Rimettere la questione all’Assemblea degli Stati parte e/o al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite consentirebbe di affrontare in modo appropriato tali violazioni, dando un segnale importante a vittime e testimoni che corrono rischi per la propria sicurezza e, non ultimo, esortando l’Italia al futuro rispetto degli obblighi internazionali di cooperazione.

 

(Maria Crippa)