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  Scheda  
07 Febbraio 2025


Caso Almasri: il Governo in Parlamento


1. Il 5 febbraio scorso i ministri dell’Interno e della Giustizia hanno riferito in Parlamento sulla vicenda della scarcerazione e del rimpatrio del cittadino libico Almasri, fermato dalla polizia di Torino su richiesta della Corte penale internazionale.

Tuttavia, dopo i discorsi dei due ministri, la situazione è rimasta ancora più oscura, rivelando altresì un’inadeguata conoscenza delle norme che regolano l’attività della Corte penale internazionale: sia del suo Statuto (legge 12 luglio 1999, n. 232) sia della legge 20 dicembre 2012, n. 237 (Norme per l'adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale).

In precedenza la Corte d’appello di Roma, su conforme parere del Procuratore generale, aveva dichiarato irrituale il fermo di Almasri, in quanto non preceduto dalla necessaria “interlocuzione” con il Ministro della Giustizia. E benché nel suo discorso in Parlamento il Ministro dell’interno avesse al contrario elogiato il personale addetto alla Questura di Torino per la puntualità e professionalità dell’intervento, il Ministro della giustizia ha ribadito la qualificazione come improprio del fermo, appunto perché non preceduto dall’inoltro allo stesso ministro della richiesta proveniente dalla Corte penale internazionale.

In realtà il Ministro della Giustizia, come già i magistrati romani, non tiene conto dei tre diversi interventi limitativi della libertà personale che sono previsti dalla legge: l’arresto, il fermo e l’applicazione provvisoria della misura cautelare.

A) Come prevede l’art. 58 dello Statuto, la Camera preliminare della Corte penale internazionale può emettere un mandato d'arresto contro una persona, su richiesta dal Procuratore generale presso la stessa corte, se è convinta che vi sono fondati motivi di ritenere che tale persona ha commesso un reato di competenza della Corte e che il suo arresto sia necessario. In questo caso, secondo quanto prevede l’art. 2 legge n. 237/2012, la richiesta va inoltrata al Ministro della giustizia, che, secondo quanto prevede l’art. 4 legge n. 237/2012vi dà corso, trasmettendola al Procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma, che, ricevuti gli atti, chiede alla medesima corte d'appello l'applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti della persona della quale è richiesta la consegna (art. 11 legge n. 237/2012).

B) L’art. 92 Statuto prevede poi che in caso di emergenza, la Corte può chiedere il fermo della persona ricercata, già prima e in attesa che siano presentate la richiesta di consegna e i documenti giustificativi. In questo caso, secondo quanto prevede l’art. 87 dello Statuto, la richiesta del fermo può essere trasmessa attraverso l'Organizzazione internazionale di polizia criminale (INTERPOL), per un’immediata esecuzione da parte della polizia giudiziaria. Tuttavia essendo il fermo una misura di iniziativa della polizia, si applica, per la sua necessaria convalida, l’art. 716 c.p.p., norma relativa all’estradizione ma richiamata dall’art. 3 legge n. 237/2012.

C) Appunto con riferimento all’art. 92 Statuto, vale a dire al caso in cui la Corte penale internazionale abbia richiesto e ottenuto il fermo da parte della polizia, l’art. 14 legge n. 237/2012 prevede che, convalidato il fermo, il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma debba richiedere (art. 11 legge n. 237/2012), l’applicazione provvisoria della misura cautelare anche prima che la richiesta di consegna sia pervenuta. Sicché l’art. 14 legge n. 237/2012 integra e adegua la disposizione dettata in materia di estradizione dall’art. 716 c.p.p.

Secondo quanto prevede infine l’art. 59, comma 4, in relazione all’art. 58, comma 1 lettere a) e b), dello Statuto, l’autorità nazionale richiesta non è in ogni caso abilitata a verificare se l'arresto sia necessario e se abbia fondamento probatorio.

Nel caso del cittadino libico Almastri dunque la Corte d’appello di Roma, che aveva ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, avrebbe potuto convalidare il fermo a norma dell’art. 716 c.p.p.; e il Procuratore generale avrebbe dovuto richiedere l’applicazione provvisoria della misura cautelare a norma dell’art. 14 legge 237/2012.

Il Ministro della giustizia ha dichiarato in Parlamento che, ricevuti gli atti relativi alla richiesta di arresto già anticipati dalla richiesta di fermo da parte dell’Interpol, ha subito rilevato vizi di legittimità della richiesta di arresto, ma, benché sollecitato dai magistrati romani a comunicare le sue determinazioni, aveva omesso di rispondere a tali sollecitazioni, tanto che la Corte d’appello, ritenendo erroneamente di non poter deliberare senza richiesta del ministro, scarcerò Almastri. Sicché è evidente che l’informativa resa sul punto dal Ministro non è stata destinata a fornire al Parlamento un’illustrazione delle ragioni del procedimento, bensì solo a giustificare ex post la sua inerzia. Non si comprende infatti perché quelle presunte ragioni di illegittimità e addirittura di inesistenza giuridica della richiesta della Corte penale internazionale, che il Ministro riteneva di essere competente a rilevare, non furono comunicate ai giudici che sulla richiesta di arresto dovevano pronunciarsi.

 

2. Con riferimento appunto ai rilievi di illegittimità della richiesta di arresto, il Ministro della giustizia ha rivendicato il potere di sindacare la legittimità e addirittura la coerenza argomentativa delle richieste della Corte penale internazionale, escludendo di poter svolgere un ruolo di mero passacarte, considerato anche che l’art. 2 legge n. 237/2012 attribuisce al ministro la facoltà (a suo avviso rivelatrice della natura politica del suo ruolo), di concordare la propria azione con altri ministri interessati, con altre istituzioni o con altri organi dello Stato.

In realtà, diversamente da quanto accade per l’estradizione, l’art. 86 Statuto prevede appunto come obbligatoria la cooperazione e, come s’è detto, l’art. 59 esclude la sindacabilità finanche dei presupposti probatori e cautelari delle richieste di arresto provenienti dalla Corte penale internazionale.

Il Ministro sembra non considerare la differenza tra l’estradizione, che attiene al rapporto tra stati sovrani, e la funzione sovranazionale della Corte penale internazionale, alla quale gli stati aderenti hanno ceduto in parte la propria sovranità giurisdizionale per alcuni gravissimi reati.

Il Ministro della giustizia non ha dunque alcun ruolo di sindacato politico sulle richieste provenienti dalla Corte penale internazionale; tantomeno può avventurarsi, come ha fatto il ministro Nordio, in un sindacato per vizio di motivazione della richiesta di arresto, come se fosse egli stesso una corte di legittimità.

Questo non significa affatto che il Ministro della giustizia sia ridotto al ruolo di passacarte.

Gli art. 87, 91 e 92 dello Statuto prescrivono modalità di presentazione (per iscritto) e documentazione (dati segnaletici della persona ricercata, una copia del mandato d'arresto, documenti, dichiarazioni ed informazioni che possono essere pretesi nello Stato richiesto per procedere alla consegna) delle richieste della Corte penale internazionale; ed è su questi dati esteriori delle richieste che il Ministro può muovere eventualmente rilievi, previa interlocuzione con la Corte penale internazionale.

La facoltà di consultazione con altri uffici o ministri, prevista dall’art. 2 legge n. 237/2012, è riconosciuta in ragione della varietà delle forme di cooperazione possibili elencate nell’art. 93 (dalla localizzazione di beni alla riesumazione ed esame di cadaveri) che possono appunto richiedere la collaborazione di uffici diversi.

A conferma della vantata correttezza della sua iniziale intuizione circa l’illegittimità della richiesta di arresto inoltrata dalla Corte penale internazionale, il ministro Nordio ha addotto l’ordinanza del 24 gennaio 2025, con la quale la stessa Corte penale internazionale ha corretto la sua iniziale richiesta, e l’opinione dissenziente manifestata da uno dei giudici della corte.

Come risulta anche dalle  dichiarazioni del Ministro, nella richiesta di arresto la data dei reati addebitati ad Almasri veniva fatta risalire in alcuni passi della motivazione al 2011 in altri e nel dispositivo al 2015. Pertanto la corte aveva provveduto alla correzione di questo errore, considerato solo materiale. Il ministro Nordio sostiene che non di errore materiale si trattasse bensì di un vizio che rendeva la richiesta radicalmente nulla, senza considerare però la indiscussa giurisprudenza della nostra Corte di cassazione, che qualifica appunto come mero errore materiale l'inesattezza relativa alla data del commesso reato[1].

Quanto all’opinione dissenziente del terzo giudice, il ministro se ne avvale per sostenere l’invalidità della richiesta di arresto, ma senza spiegare perché le ragioni del dissenso debbano essere considerate fondate.

In realtà i due rilievi, erroneità della data dei reati e opinione dissenziente, il ministro non può addurli come ragioni del suo mancato intervento presso la Corte d’appello di Roma, perché la relativa documentazione è pervenuta solo dopo la scarcerazione di Almastri, ma li utilizza per dimostrare che quella sua inerzia fu comunque giustificata e non può quindi essere ricondotta al reato di omissione di atti d’ufficio per cui egli è stato iscritto nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. dalla Procura della Repubblica di Roma.

L’opposizione ha sostenuto in Parlamento che il Ministro Nordio ha parlato come difensore di Almasri.  Non è così. Il Ministro ha inscenato una requisitoria contro la Corte penale internazionale, per dissimulare la realtà di un’autodifesa rispetto a quell’ipotesi di accusa della cui esistenza ha egli stesso informato il Parlamento.

 

 

 

[1] Cass., sez. II, 13 marzo 2014, Pagano , m. 260009.