ISSN 2704-8098
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28 Novembre 2024


Attacchi contro personale umanitario e missioni di pace: applicabilità e limiti della legge penale italiana relativamente agli attacchi armati contro le basi Unifil


*Contributo destinato alla pubblicazione nel fascicolo 11/2024. 

 

1. Negli scorsi due mesi, abbiamo assistito a diversi attacchi armati perpetrati dall’esercito israeliano (IDF) nel sud del Libano nei confronti di postazioni Unifil, la forza di interposizione istituita dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu nel 1978 in risposta alla prima invasione del Libano da parte dell’esercito israeliano ed al fine di garantire il ritiro di quest’ultimo oltre il confine libanese. Il primo episodio veniva registrato lo scorso 11 ottobre, quando un carrarmato israeliano apriva il fuoco contro la torre di osservazione Unifil del quartier generale di Naqoura, ferendo due peacekeeper, mentre un bulldozer abbatteva il muro della postazione di Labbouneh[1]. Due giorni dopo, l’IDF abbatteva il cancello della postazione di Ramyah, imponendo la propria presenza all’interno della base, ed impedivano uno spostamento logistico della missione[2]. Il 16 ottobre, un carrarmato israeliano colpiva una torre di osservazione Unifil a Kafer Kela, danneggiandola e distruggendo due delle telecamere annesse[3]. Il 20 ottobre, con un bulldozer veniva demolita una torre di osservazione e la recinzione perimetrale della postazione di Marwahin[4]. Il 22 ottobre, alcuni operatori Unifil osservavano dei soldati israeliani sgomberare delle case nei pressi della propria base; in risposta, questi ultimi sparavano contro la postazione Onu costringendo i caschi blu a ritirarsi[5]. Il 7 novembre, l’IDF impiegava due scavatrici e un bulldozer per distruggere la recinzione e le mura della postazione di Ras Naqoura[6]. Ulteriori incidenti di origine incerta venivano registrati, tra cui uno attribuito “probabilmente ad Hezbollah o a gruppi affiliati”[7], portando il Consiglio di Sicurezza, in un comunicato apposito, a condannare i fatti e richiamare il rispetto del diritto internazionale umanitario[8]. Nonostante i richiami, tuttavia, gli attacchi andavano intensificandosi: il 19 novembre diversi attacchi paralleli colpivano tre basi Unifil, causando danni gravi agli edifici e ferendo quattro peacekeepers ghanesi[9], mentre tre giorni dopo – in un attacco attribuito potenzialmente ad Hezbollah – venivano feriti quattro peacekeepers italiani nella base di Shama[10].

 

2. Tali attacchi, avvenuti nell’ambito della più ampia invasione di terra intrapresa da Israele il 1° ottobre 2024, sono stati preceduti da altre violazioni del diritto internazionale apparentemente commesse sul territorio libanese, talvolta anche di rilevanza penale. Tra queste, vale la pena menzionare i numerosi bombardamenti su obiettivi civili che hanno causato, tra l’altro, 3.583 morti, oltre 15.000 feriti e lo sfollamento di quasi 900.000 persone[11], e l’esplosione a distanza di migliaia cercapersone (risultata in 32 morti e più di 3.000 feriti), definita una “terrificante” violazione del diritto internazionale da parte di oltre 20 Special Rapporteur delle Nazioni Unite[12].

A differenza di questi ultimi, tuttavia, gli attacchi sferrati contro il personale Unifil hanno suscitato reazioni notevoli in Italia che, con un contingente di oltre 1.000 militari, 374 mezzi terrestri e 6 mezzi aerei, rappresenta uno dei principali sostenitori della missione in Libano. Secondo quanto si apprende da fonti giornalistiche, la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, avrebbe contattato personalmente il suo omologo israeliano ed effettuato una visita a Beirut, in entrambe le occasioni definendo esplicitamente gli attacchi come “inaccettabili”[13], così come il Ministro degli Esteri Tajani[14]. Il Ministro della Difesa Guido Crosetto ha convocato l’Ambasciatore israeliano in Italia per protestare contro l’accaduto e, in una conferenza stampa dedicata, ha sottolineato la gravità dei fatti ed affermato che “gli atti ostili e reiterati dalle forze israeliane contro la base (…) potrebbero costituire crimini di guerra, che sicuramente rappresentano delle gravissime violazioni del diritto internazionale umanitario. Sicuramente violazioni non giustificate da alcuna necessità militare”[15]. Anche all’estero i fatti sono stati aspramente condannati, come testimonia la dichiarazione di 44 dei 50 Stati impegnati nella missione (che, seguiti il giorno successivo anche dal Consiglio dell’Unione Europea[16], hanno contestualmente richiesto lo svolgimento di un’apposita indagine[17]) o il comunicato di Unifil che ha definito gli attacchi una “flagrante violazione del diritto internazionale”[18].

 

3. Invero, gli attacchi sferrati contro le basi Unifil costituiscono una violazione del diritto umanitario internazionale, integranti anche possibili crimini internazionali. La proibizione di effettuare attacchi contro personale umanitario e missioni di pace è considerata una norma di diritto internazionale consuetudinario[19], ed è quindi vincolante per tutti gli Stati a prescindere dalla loro adesione e ratifica delle rilevanti fonti pattizie. Per quanto riguarda, invece, il diritto penale internazionale – e quindi la responsabilità penale individuale di chi ha effettuato o diretto l’attacco – la condotta è sanzionata come crimine di guerra nell’ambito dei conflitti armati internazionali dall’art. 8(2)(b)(iii) dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale (Cpi)[20]. La natura consolidata del divieto emerge, tra l’altro, dalla proibizione in numerosi manuali militari, tra cui quello italiano[21], e dalla criminalizzazione in diverse legislazioni nazionali[22], nonché dalle ripetute condanne da parte del Consiglio di Sicurezza, che in contesti affatto diversi ha definito tali atti come crimini[23].

 

4. Affinché la condotta sia considerata penalmente rilevante ai fini del diritto penale internazionale, lo Statuto di Roma prevede esplicitamente che l’autore abbia intenzionalmente diretto un attacco contro personale, installazioni, materiale, unità o veicoli coinvolti in una missione di assistenza umanitaria o di peacekeeping, ai sensi della Carta delle Nazioni Unite[24]. Perché il reato si perfezioni, non è peraltro necessario che gli obiettivi civili vengano effettivamente danneggiati, ma è sufficiente che l’attacco sia diretto contro di essi[25]: come precisato dalla Cpi nel contesto della Situazione in Georgia, il bene protetto dalla norma non è infatti limitato all’integrità del personale, ma ricomprende altresì la capacità dei caschi blu di eseguire la propria missione[26]. In contrasto con quanto asserito da alcuni autori, che qualificano questo crimine come un caso speciale nella più generale condotta illecita di attacchi contro obiettivi civili[27], la norma sembrerebbe quindi ricomprendere un quid pluris in termini di offesa allo svolgimento della missione di pace – e quindi alla tutela della pace e sicurezza internazionale.

Nulla queastio rispetto alla qualifica formale delle basi e degli operatori impiegati in Libano come appartenenti ad una missione di peacekeeping delle Nazioni Unite – e non, invece, ad una missione di peace enforcement, ex Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, che essendo autorizzata all’uso della forza non godrebbe della stessa protezione. Unifil è infatti stata istituita dal Consiglio di Sicurezza con le Risoluzioni 425 e 426 nel 1978, ai sensi del Capitolo VI della Carta. Sebbene il suo mandato sia stato progressivamente ridefinito, con una significativa estensione prevista dalla Risoluzione 1701 del 2006 volta a monitorare l’effettiva cessazione delle ostilità[28], Unifil ha conservato la propria natura di missione di mantenimento della pace, essendo pertanto vincolata dal divieto di uso della forza. Anche da un punto di vista sostanziale, Unifil soddisfa ad oggi i tre requisiti per essere qualificata come una missione di pace, e cioè il consenso delle parti, l’imparzialità e il divieto di uso della forza, fuori dei casi di autodifesa (c.d. Capstone Doctrine)[29]. Nonostante, infatti, il Primo Ministro Netanyahu abbia più volte rilasciato dichiarazioni apparentemente contrarie alla presenza della missione, in sede di colloquio con i rappresentanti italiani non ha mai negato la legittimità della missione Onu in sé[30]. Anche nell’eventualità in cui il governo israeliano decidesse di ritirare il proprio consenso tramite formale comunicazione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, gli operatori Unifil diventerebbero forze di peace enforcement (quindi autorizzate ad impiegare la forza), ma manterrebbero il proprio status protetto finché non direttamente attivi nelle ostilità[31].

Ai sensi dell’Articolo 8(2)(b)(iii) dello Statuto di Roma, inoltre, le persone o gli oggetti colpiti devono essere titolari del diritto di protezione attribuito a persone ed oggetti civili, ai sensi del diritto internazionale umanitario. Vale la pena ricordare, a tal proposito, che il principio di distinzione tra civili e combattenti rappresenta uno dei tre principi fondamentali del diritto internazionale umanitario, in base al quale la selezione degli obiettivi deve rispettare in primis tale classificazione, qualificandosi come leciti solo gli attacchi nei confronti di combattenti[32]. Chi effettua attacchi militari è inoltre vincolato dal principio di precauzione, che impone di adottare tutte le misure necessarie per evitare che l’attacco abbia conseguenze dannose nei confronti dei civili[33], e dal principio di proporzione tra il danno collaterale causato ai civili e l’obiettivo militare prospettato[34] – valutazione, quest’ultima, che viene in considerazione solo laddove colpire i civili si rivelasse assolutamente inevitabile sulla scorta dei primi due principi.

 

5. Mentre Hezbollah non ha rilasciato alcuna conferma né commento rispetto ai fatti occorsi, proprio l’interpretazione ed interazione di questi principi con lo status protetto delle postazioni Onu, a ben vedere, costituisce oggetto di contestazione da parte dello Stato di Israele. Pur non disconoscendone lo status di civili, Israele ritiene infatti che i propri attacchi siano legittimi, perché diretti a smantellare infrastrutture di Hezbollah nei pressi delle basi Unifil e perché il personale ivi impiegato era stato avvisato anticipatamente dell’attacco[35]. Il primo argomento invocato dalle autorità israeliane si basa cioè sull’idea che Unifil costituisca uno “scudo umano” sfruttato da Hezbollah per sferrare attacchi contro l’esercito israeliano: tale affermazione sembrerebbe suggerire che, rappresentando una copertura per un obiettivo militare, il civile perderebbe per ciò la propria protezione. Il secondo argomento, invece, rifletterebbe la teoria secondo la quale, in caso di offese ai civili, il fatto di avere intimato loro di abbandonare l’area sarebbe di per sé sufficiente a sollevare da eventuali responsabilità i soggetti agenti.

Tale interpretazione va rigettata da un punto di vista giuridico. È necessario precisare, quanto al primo argomento, che anche laddove fossero presenti nei pressi infrastrutture nemiche che possono costituire obiettivi militari legittimi, questo non priva della loro protezione le persone e gli oggetti civili circostanti[36]. L’utilizzo doloso della presenza di civili per rendere determinate aree immuni da attacchi militari (c.d. “scudi umani”[37]) costituisce a sua volta una condotta vietata dal diritto umanitario internazionale ed un crimine di guerra[38]. Ciò nonostante, in una simile situazione la controparte non è sollevata dai propri obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario e può pertanto eseguire l’attacco solo se giustificato da necessità militari e nel rispetto del principio di proporzionalità[39].

Anche l’argomento relativo agli avvertimenti presenta dei punti critici. Come già esposto in dettaglio altrove[40], in merito all’aggressione a Gaza del 2021, la prassi generalmente adottata dall’esercito israeliano rappresenta un’impropria distorsione del principio di precauzione. Gli avvertimenti previsti dall’art. 57(2)(c) del Protocollo Addizionale I[41], infatti, vengono richiamati solo in subordine agli obblighi principali dettati dal principio di precauzione, che richiedono di “prendere tutte le precauzioni possibili” per evitare di colpire civili, sia nella selezione degli obiettivi che nella scelta dei mezzi e metodi con cui l’attacco viene condotto[42]. Proprio al fine di evitare manipolazioni, lo stesso articolo all’ultimo comma sancisce che: “Nessuna disposizione del presente articolo può essere interpretata come autorizzazione ad effettuare attacchi contro la popolazione civile, i civili o gli oggetti civili”[43]. Ritenere, al contrario, che l’emissione di un avviso sia di per sé sufficiente a soddisfare i dettami del diritto dei conflitti armati equivale ad “[u]na sorta di indebita responsabilizzazione del civile in procinto di essere bombardato, funzionale alla deresponsabilizzazione di chi decide ed ordina i bombardamenti”[44].

 

6. L’inosservanza della norma che proibisce gli attacchi nei confronti di personale Onu è peraltro un elemento ricorrente nella prassi delle forze militari israeliane, in Libano come nella totalità del territorio della Palestina occupata[45]. Particolarmente elevato è il bilancio di operatori ed infrastrutture delle Nazioni Unite colpiti nell’ambito del conflitto in corso nella Striscia di Gaza. Dal 7 ottobre 2023 ad oggi, sono almeno 251 gli operatori delle Nazioni Unite uccisi e 190 le installazioni Unrwa (acronimo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente, istituita dall’Assemblea Generale nel 1949) danneggiate a Gaza[46]. Con riferimento specifico ad Unifil, tra i numerosi episodi, si ricorda il bombardamento del 25 luglio 2006, il più grave registrato ai danni delle forze di pace in Libano e risultato in quattro morti tra i caschi blu. In quell’occasione, le Nazioni Unite avevano realizzato un’apposita indagine sull’accaduto, la quale concludeva che, alla luce del diritto internazionale e del concetto di necessità militare, non vi erano giustificazioni per tale attacco, né per gli altri 29 attacchi diretti registrati nello stesso mese[47]. Anche allora, la Commissione Onu sottolineava che l’argomentazione israeliana “modificava di fatto lo status di tutti gli oggetti civili asserendo che avrebbero potuto essere utilizzati da Hezbollah”[48], e respingeva tale argomento avendo riscontrato che il danneggiamento delle strutture Unifil era stato effettuato precipuamente allo scopo di distruggerle[49]. Israele conduceva a sua volta una propria indagine che, in un rapporto finale rimasto classificato, attribuiva l’attacco ad un “errore umano”[50].

 

7. Alla luce di tali gravi e ripetute violazioni, emerge in modo sempre più netto l’esigenza di investigare i fatti e, ove dovesse confermarsi la rilevanza penale delle condotte, affermare le relative responsabilità individuali. Per quanto riguarda i più recenti attacchi nei confronti dei contingenti italiani di Unifil, in particolare, potrebbe ad alcune condizioni sussistere la giurisdizione penale italiana. Come sancito dall’art. 19 c. 8 della legge n. 145/2016 recante “Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali”, i reati commessi dallo straniero sul territorio della missione, a danno dello Stato o di cittadini italiani che partecipano alla missione, sono puniti a richiesta del Ministro della Giustizia e, se commessi a danno di appartenenti alle Forze Armate, sentito il Ministro della Difesa. Il comma seguente aggiunge che per l’esercizio della giurisdizione si applica quanto stabilito in accordi internazionali di cui l’Italia è parte direttamente, o in quelli conclusi da organizzazioni internazionali di cui l’Italia è parte. A tal proposito, la Convenzione sulla sicurezza del personale delle Nazioni Unite e del personale associato, firmata dall’Italia il 16 dicembre 1994 e ratificata con la legge n. 425/1998, sancisce alcuni obblighi e facoltà in relazione all’esercizio della giurisdizione penale: ai sensi dell’art. 10 c. 1, gli Stati parte sono obbligati a prendere le misure necessarie per stabilire la propria giurisdizione in caso di attacchi nei confronti del personale o delle sedi Onu, come definiti dall’art. 9[51], qualora il reato sia commesso sul territorio del proprio Stato o da un proprio cittadino[52]. Il comma seguente, invece, stabilisce la facoltà per gli Stati parte di stabilire la propria giurisdizione, inter alia, nel caso in cui il reato sia commesso ai danni di un proprio cittadino. Anche ai sensi dell’art. 10 c.p., potrebbe sussistere la giurisdizione penale italiana, a condizione che il reato sia punito con la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, che vi sia querela della persona offesa o richiesta del Ministro della giustizia e che il reo si trovi nel territorio dello Stato.

 

8. L’identificazione della disposizione applicabile legis sic stantibus, tuttavia, sarebbe incerta. L’ordinamento italiano, infatti, non ricomprende ad oggi una norma che criminalizzi le condotte in oggetto, nonostante gli obblighi internazionali stabiliti dalla stessa Convenzione Onu di cui sopra, secondo la quale gli Stati parte sono obbligati a criminalizzare e punire con pene adeguate le condotte dolose che offendano la persona o la libertà del personale Onu, gli attacchi intenzionali diretti contro le sedi, gli alloggi o i mezzi di trasporto Onu che mettano a rischio la loro persona o libertà[53]. È tuttora assente, in perdurante violazione degli obblighi internazionali, anche una norma volta ad introdurre nell’ordinamento italiano i crimini di guerra contenuti nello Statuto di Roma della Cpi, tra cui l’art. 8(2)(b)(iii) relativo agli attacchi nei confronti di personale umanitario e di peacekeeping. Anche il Codice penale militare di pace (l’unico applicabile alle missioni internazionali, in base all’art. 19 c. 1, l. 145/2016) non è utile a colmare la lacuna nel caso di specie, occupandosi solamente dei reati commessi da parte di militari italiani, e non nei loro confronti[54]. Sebbene, in determinati casi, alcune norme presenti nel Codice penale potrebbero supplire a tale mancanza (si pensi a titolo esemplificativo ai casi di omicidio, sequestro di persona o lesioni), tali fattispecie non sarebbero idonee a coprire l’intero spettro delle condotte penalmente rilevanti ai sensi del diritto internazionale, né replicherebbero adeguatamente il disvalore della condotta che – come illustrato – arreca un vulnus ulteriore oltre all’offesa diretta al personale Onu, impedendo lo svolgimento della missione di pace.

 

9. In conclusione, per quanto sia apprezzabile la condanna da parte del Governo italiano degli attacchi avvenuti contro Unifil negli scorsi mesi, e la contestuale denuncia della potenziale rilevanza penale delle condotte, la normativa italiana sarebbe attualmente incapace di fornire una base giuridica su cui fondare un effettivo procedimento. A tal fine, sarebbe infatti necessario che l’Italia si dotasse di norme ad hoc volte ad incriminare queste condotte come crimini internazionali – una strada intrapresa dal progetto di Codice dei crimini internazionali redatto dalla Commissione Palazzo-Pocar nel corso della scorsa legislatura, e messo invece rapidamente da parte dall’attuale Governo[55]. In un momento di profonda crisi delle istituzioni internazionali e le norme che le sorreggono, una simile scelta appare oggi ancor più critica e densa di conseguenze, escludendo un ruolo del nostro Paese rispetto alla repressione di queste ed altre gravissime azioni, che costituiscono violazioni del diritto umanitario internazionale e potenziali crimini di guerra.

 

 

 

 

[1] Unifil, “Unifil Statement (11 October 2024)”.

[2] Unifil, “Unifil Statement (13 October 2024)”.

[3] Unifil, “Unifil Statement (16 October 2024)”.

[4] Unifil, “Unifil Statement (20 October 2024)”.

[5] Unifil, “Unifil Statement (25 October 2024)”.

[6] Unifil, “Unifil Statement (8 November 2024)”.

[7] Unifil, “Unifil Statement (29 October 2024)”.

[8] UN, “Security Council Press Statement on Attack against United Nations Interim Force in Lebanon”, 13 novembre 2024.

[9] Unifil, “Unifil Statement (19 November 2024)”. Gli autori degli attacchi non sono stati identificati, tuttavia Unifil indica che l’incidente di Ramyah è stato effettuato “molto probabilmente da attori non-statali in Libano”.

[10] Unifil, “Unifil Statement (22 November 2024)”.

[11] I dati sono quelli riportati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (UN OCHA), nell’aggiornamento del 21 novembre 2024, consultabile al link: https://www.unocha.org/publications/report/lebanon/lebanon-flash-update-46-escalation-hostilities-lebanon-21-november-2024

[12] Si veda il comunicato stampa dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (UN OHCHR), “Exploding pagers and radios: A terrifying violation of international law, say UN experts”, 19 settembre 2024.

[13] Arturo Celletti, “Gelo Onu-Israele. Meloni chiama Netanyahu: gli attacchi a Unifil sono inaccettabili”, Avvenire (14 ottobre 2024); Maria Michela D’Alessandro, “Meloni in Libano: ‘Inaccettabile l’attacco’ di Israele a basi Unifil, caschi blu ‘necessari’”, Euronews (18 ottobre 2024).

[14] Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, “Telefonata del Ministro Tajani con il Ministro degli Affari Esteri israeliano, Gideon Saar”, 15 novembre 2024.

[15] Il video della conferenza stampa è disponibile sul sito del Governo Italiano, Presidenza del Consiglio dei Ministri, “Missione UNIFIL, la conferenza stampa del Ministro Crosetto sulla situazione in Libano”, 10 ottobre 2024.

[16] Consiglio dell’Unione Europea, “Dichiarazione dell’alto rappresentante, a nome dell’Unione europea, sui recenti attacchi contro l’UNIFIL”, 13 ottobre 2024.

[17] La dichiarazione con la lista integrale dei Paesi aderenti, sorta su iniziativa della Polonia, è disponibile al sito:  https://www.gov.pl/web/un/statement-by-countries-contributors-to-unifil-following-recent-attacks-on-the-un-peacekeepers-in-lebanon .

[18] Unifil, “Unifil Statement (20 October 2024)”.

[19] Norma 33, Norme consuetudinarie di diritto umanitario internazionale. Si veda in tal senso anche: Corte speciale per la Sierra Leone (SCSL), Trial Chamber, Sesay et al., Judgment (2 marzo 2009), par. 218.

[20] Lo Statuto prevede un identico crimine di guerra nell’ambito dei conflitti armati di carattere non internazionale, ex art. 8(2)(e)(iii).

[21] Si veda il Manuale del combattente, SME 1000/A/2, Stato Maggiore Esercito/Reparto Impiego delle Forze, Ufficio Dottrina, Addestramento e Regolamenti (1998), par. 249.

[22] Come rilevato dallo studio sul diritto consuetudinario realizzato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, ne sono esempio i manuali militari di Cameroon, Germania, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Perù, Spagna, Svizzera, o la legislazione ordinaria in Australia, Azerbaijan, Belgio, Burundi, Canada, Congo, Corea del Sud, Costa d’Avorio, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Iraq, Mali, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Perù, Regno Unito, Senegal, Serbia, Sudafrica, Spagna, Svizzera e Uruguay.

[23] Il Consiglio di Sicurezza, in particolare, ha fatto riferimento alla natura criminale degli attacchi nella Risoluzione 587 (relativa agli attacchi realizzati contro Unifil nel 1987 dal Esercito del Libano del Sud, una milizia sostenuta da Israele nell’ambito della guerra civile libanese); nelle Risoluzioni 837 e 865 (relative ad attacchi nei confronti di personale ONU impiegato in Somalia nell’ambito della guerra civile, nel 1993); nella Risoluzione 1099 (in merito ad attacchi contro personale UNMOT al confine tra Tajikistan ed Afghanistan, nel 1997).

[24] Art. 8(2)(b)(iii), Statuto di Roma.

[25] Si veda in tal senso: Corte penale internazionale (ICC), Pre-Trial Chamber I, Abu Garda, Decision on the Confirmation of Charges (8 febbraio 2010), par. 65; SCSL, Sesay et al., Trial Judgment, par. 220.

[26] ICC, Pre-Trial Chamber I, Situazione in Georgia, Decisione sulla richiesta del Procuratore di autorizzare l’indagine (27 gennaio 2016), para. 55. Così anche la Corte speciale per la Sierra Leone: “There exists no requirement that there be actual damage to the personnel or objects as a result of the attack and this Chamber opines that the mere attack is the gravamen of the crime.”, Sesay et al., Trial Judgment, par. 220.

[27] Si veda quanto discusso da Magdalena Pacholska in “(Il)legality of Killing Peacekeepers: The Crime of Attacking Peacekeepers in the Jurisprudence of the International Criminal Tribunals”, Journal of International Criminal Justice 13 (2015), 45-46.

[29] UN Department of Peacekeeping Operations, Department of Field Support, United Nations Peacekeeping Operations: Principles and Guidelines (United Nations, 2008), 31-32. Le linee guida ivi raccolte hanno, peraltro, origini più risalenti, ed erano state precedentemente riconosciute come prassi accettata già in: SCSL, Sesay et al., Trial Judgment, par. 71. Più recentemente sono state richiamate dalla Cpi in: Abu Garda, Decision on the Confirmation of Charges, par. 71.

[30] Da ultimo: Silvana Logozzo, “Tajani in Israele: ‘Garanzie da Netanyahu sull’Unifil”, Ansa (21 ottobre 2024).

[31] Si veda l’interpretazione sistematica delineata da Ola Engdahl in “Prosecution of Attacks against Peacekeepers in International Courts and Tribunals”, Military Law and Law of War Review 51 (2012), 272. La tesi è sostenuta da Dieter Fleck in “The Legal Status of Personnel Involved in United Nations Peace Operations”, International Review of the Red Cross 95 (2013), 625: “A full exclusion of all peace enforcement operations from the application of the Convention would be illogical, as it would deprive UN and associated personnel from protection even below the threshold of combat action”. Per una posizione parzialmente contraria si veda: Michael Cottier, Elisabeth Baumgartner, “Attacks on humanitarian assistance or peacekeeping missions in international armed conflict” in Kai Ambos (ed.), Rome Statute of the International Criminal Court: Article-by-Article Commentary (Beck/Hart/Nomos, 2021), 421.

[32] Art. 48, Protocollo Addizionale I alle Convenzioni di Ginevra del 1949; Norme 1 e 7, Norme consuetudinarie di diritto umanitario internazionale.

[33] Art. 57(1), Protocollo Addizionale I alle Convenzioni di Ginevra del 1949; Norma 1, Norme consuetudinarie di diritto umanitario internazionale.

[34] Artt. 51(5)(b) e 57(2)(a)(iii) e (b), Protocollo Addizionale I alle Convenzioni di Ginevra del 1949; Norme 14, 18 e 19, Norme consuetudinarie di diritto umanitario internazionale.

[35] Si vedano le due dichiarazioni: Governo israeliano, Ufficio del Primo Ministro, “Statement by PM Netanyahu: ‘I appeal to the UN Secretary-General; Your refusal to evacuate UNIFIL soldiers has turned them into hostages of Hezbollah.’”, 13 ottobre 2024; Governo israeliano, Ufficio del Primo Ministro, “Statement by PM Netanyahu”, 14 ottobre 2024.

[36] Cfr. supra: Ambos, Rome Statute of the International Criminal Court: Article-by-Article Commentary, 573; Nils Melzer, International Humanitarian Law: A Comprehensive Introduction (ICRC, 2016), 86.

[37] Si veda sul tema: Neve Gordon, Nicola Perugini, Human Shields: A History of People in the Line of Fire (University of California Press, 2020).

[38] Art. 8(2)(b)(xxiii), Statuto di Roma. Si veda anche, nella giurisprudenza del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (ICTY): Trial Chamber, Karadžić e Mladić, Judgment (24 marzo 2016).

[39] Supra: Ambos, Rome Statute of the International Criminal Court: Article-by-Article Commentary, 573.

[40] Luigi Daniele e Triestino Mariniello, “Note a margine dell’operazione ‘Guardiano delle mura’, parte II. La costruzione contra legem delle strutture civili di Gaza come obiettivi militari e il discrimine tra attacchi sproporzionati e attacchi indiscriminati nel diritto internazionale umanitario e penale”, SIDIBlog (29 giugno 2021).

[41] Il riferimento è al Protocollo Addizionale I del 1977, relativo alle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dedicato alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali.

[42] Art. 57(2)(a), Protocollo Addizionale I alle Convenzioni di Ginevra del 1949.

[43] Art. 57(5), Protocollo Addizionale I alle Convenzioni di Ginevra del 1949.

[44] Supra: Daniele e Mariniello, “Note a margine dell’operazione ‘Guardiano delle mura’, parte II”.

[45] Il primo episodio risale addirittura al 1948, quando l’organizzazione paramilitare dei Combattenti per la Libertà d’Israele (meglio noti come “Banda Stern”) assassinò a Gerusalemme il negoziatore di pace dell’Onu Folke Bernadotte, intento a proporre una revisione del Piano di partizione della Palestina del 1947.

[46] UN OCHA, “Reported impact snapshot | Gaza Strip (26 November 2024)”: https://www.ochaopt.org/content/reported-impact-snapshot-gaza-strip-26-november-2024 .

[47] UN Human Rights Council, “Report of the Commission of Inquiry on Lebanon pursuant to Human Rights Council resolution S-2/1”, A/HRC/3/2 (23 novembre 2006), par. 19 e 242. Nel rapporto, Unifil aveva infatti riscontrato che solamente nel mese di luglio l’esercito israeliano aveva realizzato nei confronti delle proprie basi un totale di 30 attacchi diretti e 208 close firings.

[48] Idem, par. 148.

[49] Ibidem.

[50] Rory McCarthy e Ewen MacAskill, “Israel blames map error for UN deaths in bombing”, The Guardian (15 settembre 2006).

[51] Trattasi in particolare della commissione intenzionale di:

(a) omicidio, rapimento o altro attacco alla persona o alla libertà di un membro del personale delle Nazioni Unite o di un membro del personale associato;

(b) un attacco violento ai locali ufficiali, all'alloggio privato o ai mezzi di trasporto di un membro del personale delle Nazioni Unite o associato che possa mettere in pericolo la sua persona o la sua libertà;

(c) minaccia di commettere un attacco di questo tipo con l'obiettivo di costringere una persona fisica o giuridica a compiere o astenersi dal compiere un atto;

(d) un tentativo di commettere un attacco di questo tipo; e

(e) un atto che costituisca una partecipazione come complice in uno di tali attacchi, o in un tentativo di commettere tali attacchi, o nell'organizzare o ordinare ad altri di commettere tali attacchi.

[52] Nel caso di specie, questa disposizione potrebbe essere rilevante solo per attivare ipoteticamente la giurisdizione libanese (per attacchi commessi da Hezbollah o gruppi affiliati, o per attacchi commessi da militari israeliani sul territorio libanese), poiché il Libano ha ratificato la Convenzione il 25 settembre 2003. Non rileva invece in termini di giurisdizione israeliana, poiché Israele non ha mai firmato né ratificato la Convenzione.

[53] Art. 9, Convenzione sulla sicurezza del personale delle Nazioni Unite e del personale associato.

[54] Art. 1, Codice penale militare di pace.

[55] Maria Crippa, “L’approvazione di un codice dei crimini internazionali ‘dimezzato’: Le ragioni di un (dis)atteso intervento normativo”, Questione giustizia (21 marzo 2023).