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05 Giugno 2020


Il d.l. antiscarcerazioni alla Consulta: c’è spazio per rimediare ai profili di illegittimità costituzionale in sede di conversione

Mag. Sorveglianza Spoleto, ord. 26 maggio 2020



1. Premessa. Con l’ordinanza in esame, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 d.l. 10 maggio 2020, n. 29, per contrasto con gli artt. 3, 24, comma 2 e 111, comma 2, Cost.[1]. Il provvedimento segue, a distanza di pochissimi giorni, altre due questioni di legittimità costituzionale, riguardanti la legislazione d’urgenza dettata dalle necessità di far fronte all’epidemia di COVID-19[2]. Com’è ben noto, tale normativa, che ha avuto il suo fondamento nella categoria giuridica dell’emergenza[3], ha inciso profondamente anche sulla materia penale, mettendo spesso a dura prova la tutela dei diritti fondamentali della persona. Pertanto, le sollecitazioni di un intervento della Corte costituzionale non possono che essere salutate positivamente.

Esse consentiranno al giudice delle leggi di chiarire la legittimità costituzionale di interventi normativi talora certamente giustificati dall’emergenza sanitaria, talaltra invece soltanto ricollegati indirettamente agli effetti della pandemia. Questo sembra francamente il caso del d.l. n. 29 del 2020[4], che ha avuto una genesi nelle roventi polemiche politico-mediatiche generate dalla scarcerazione di esponenti di associazioni di stampo mafioso, talora sottoposti al regime detentivo speciale ex art. 41-bis ord. penit.[5].

Per rispondere a tali attacchi, il 30 aprile 2020, il Governo aveva adottato un primo decreto-legge, ossia il n. 28 del 2020, con il quale aveva (tra le altre cose) introdotto un aggravamento dell’iter procedurale per pervenire alla concessione dei permessi ex art. 30-bis ord. penit. e della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, ord. penit., nei confronti dei detenuti per uno dei delitti previsti dall’art. 51, commi 3-bis e 3 quater, c.p.p. o sottoposti al regime ex art. 41-bis ord. penit.[6]. Siccome il volume delle critiche non accennava affatto a scemare, l’esecutivo ha deciso di intervenire con un nuovo provvedimento d’urgenza a distanza di soli dieci giorni.

Per quanto qui rileva, l’art. 2 d.l. n. 29 del 2020 ha imposto un monitoraggio continuo dei provvedimenti che hanno disposto la detenzione domiciliare o il differimento della pena «per motivi connessi all’emergenza sanitaria», nei confronti di condannati o internati per determinati gravi delitti – tra cui la partecipazione ad associazione a delinquere di stampo mafioso – o sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis ord. penit.

Siffatta valutazione, avente ad oggetto la permanenza dei motivi legati all’emergenza da COVID-19, è rimessa al magistrato di sorveglianza o al tribunale di sorveglianza che ha emesso il provvedimento e deve essere compiuta, dapprima, entro un termine di quindici giorni dall’adozione della decisione e, successivamente, a intervalli mensili. Deve avvenire immediatamente, invece, quando il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria «comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena».

La disposizione prevede altresì precisi adempimenti istruttori in capo alla magistratura di sorveglianza. Per un verso, sulla falsariga di quanto previsto dal d.l. n. 28 del 2020, deve essere acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo di commissione del reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo nei casi di cui all’art. 41-bis ord. penit. Per altro verso, si prevede che il giudice di sorveglianza debba sentire l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della Regione, in ordine alla condizione sanitaria locale e debba acquisire dal DAP informazioni sulla eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di «reparti di medicina protetta», tali da permettere che l’interessato possa riprendere la detenzione o l’internamento senza pregiudicare le sue condizioni di salute.

La finalità del procedimento di rivalutazione è candidamente dichiarata dallo stesso art. 2, comma 3, il quale chiarisce che «il provvedimento con cui l’autorità giudiziaria revoca la detenzione domiciliare o il differimento della pena è immediatamente esecutivo» (art. 2, comma 3, d.l. n. 29 del 2020). Non serve essere raffinati esegeti per comprendere che l’obiettivo è indurre a revocare le decisioni che hanno applicato la misura della detenzione domiciliare o il differimento: insomma, «la magistratura viene invitata a far rientrare il più presto possibile in cella i detenuti mafiosi già scarcerati»[7].

 

2. Le specifiche censure di legittimità costituzionale. – Ebbene, con l’ordinanza in esame, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha considerato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità di cui all’art. 2 d.l. n. 29 del 2020 «nella parte in cui, onerando il magistrato di sorveglianza della rivalutazione, prevede un procedimento senza spazi di adeguato formale coinvolgimento della difesa tecnica dell’interessato, senza alcuna comunicazione formale dell’apertura del procedimento e con una conseguente carenza assoluta di contraddittorio, rispetto alla parte pubblica, qui rappresentata in modo inedito dal Procuratore Distrettuale antimafia individuato in relazione al luogo del commesso reato, che deve fornire un obbligatorio, seppur non vincolante, parere sulla permanenza dei presupposti di concessione della misura». 

Nel caso di specie, il 21 marzo 2020, il magistrato di sorveglianza di Spoleto aveva concesso provvisoriamente – secondo quanto disposto dagli artt. 684 c.p.p. e 47-ter, comma 1-quater, ord. penit. – la detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, ord. penit., surrogatoria del rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per gravi motivi di salute ex art. 147 c.p. Destinatario della misura domiciliare era un condannato per reato di cui all’art. 416-bis c.p., affetto da gravi patologie che lo avrebbero particolarmente esposto a rischio in caso di contagio da COVID-19.

Sennonché, nelle more dell’assunzione della decisione definitiva da parte del tribunale di sorveglianza ex art. 684 c.p.p., interveniva il citato d.l. n. 29 del 2020. Considerata la portata retroattiva della novella, il magistrato di sorveglianza provvedeva a instaurare il procedimento di rivalutazione ivi contemplato, con acquisizione del parere della Procura distrettuale antimafia (risultato contrario alla protrazione della misura domiciliare in considerazione del pericolo di reiterazione di reati) e adempimento delle prescritte richieste istruttorie. Tuttavia, al momento della decisione, il giudice a quo, in considerazione dei dubbi di legittimità costituzionale della disciplina, ha sottoposto alla Corte costituzionale la questione di legittimità sopra richiamata.

Difatti, secondo il giudice rimettente, la procedura introdotta dalla novella sarebbe, anzitutto, censurabile in ordine agli artt. 24, comma 2 e 111, comma 2, Cost.

Al riguardo, il magistrato di sorveglianza ha avuto cura di precisare che, nel caso di specie, il provvedimento oggetto di rivalutazione era stato assunto provvisoriamente, in attesa della pronuncia definitiva da parte del tribunale di sorveglianza. Proprio in considerazione della natura interinale e urgente di tale provvedimento, dettata dall’esigenza di assicurare l’effettiva tutela del diritto alla salute, esso era stato pronunciato de plano. Tuttavia, il contraddittorio sarebbe stato ripristinato, secondo le forme tipiche del procedimento di sorveglianza di cui agli artt. 666 e 678 c.p.p., in sede di udienza dinanzi al tribunale di sorveglianza. Quest’ultimo sarebbe stato tenuto a pronunciarsi ex art. 47, comma 4, ord. penit., in forza del rinvio effettuato dall’art. 47-ter, comma 1-quater, ord. penit, entro il termine ordinatorio di sessanta giorni dall’adozione del provvedimento provvisorio.

Ebbene, ciò premesso, è stato osservato come il nuovo procedimento introdotto dall’art. 2 d.l. n. 29 del 2020 presenterebbe tratti assai differenti rispetto a quelli descritti, poiché risulterebbe connotato dalla totale assenza di un qualsiasi coinvolgimento da parte della difesa[8].

In particolare, secondo il giudice a quo, non solo non sarebbe prevista alcuna comunicazione dell’avvio del procedimento, ma si potrebbe perfino dubitare – in mancanza, in questo caso, di un atto introduttivo di parte – della stessa legittimazione dell’interessato o del suo difensore a produrre eventuali memorie e documentazioni, considerata l’adozione del provvedimento de plano. Peraltro, – ha continuato il giudice rimettente – anche nell’ipotesi in cui tale legittimazione fosse riconosciuta (come avvenuto nel caso di specie), il patrocinatore non sarebbe comunque a conoscenza di alcun elemento acquisito mediante l’istruttoria prescritta dalla procedura in esame. Per di più, il magistrato di sorveglianza ha messo in luce la totale atipicità del procedimento, mediante la previsione di un parere della pubblica accusa, rispetto a cui mancherebbe «una piena interlocuzione con la difesa dell’interessato».

A supporto di quanto osservato, il giudice rimettente richiama tutta una serie di procedimenti, nell’ambito della giurisdizione di sorveglianza, in cui il contraddittorio subirebbe delle limitazioni.

Viene anzitutto considerata la procedura di cui all’art. 69-bis ord. penit. in materia di liberazione anticipata, che prevede una decisione in camera di consiglio, senza, però, la presenza delle parti e previo parere del pubblico ministero. Proprio a fronte di tale disciplina, il giudice ha ricordato le questioni di legittimità costituzionale sollevate in ordine alla supposta lesione delle prerogative difensive; dal canto suo, la Consulta ne ha sempre dichiarato la manifesta infondatezza, alla luce della facoltà di proporre reclamo, con conseguente pieno recupero del contraddittorio, avverso l’ordinanza emessa[9]. In aggiunta, la Corte costituzionale ha valorizzato l’oggetto peculiare del procedimento ex art. 69-bis ord. penit., attinente a una mera riduzione quantitativa della pena, in una chiara ottica favorevole per il condannato[10].

Alla luce di quanto emerso, si è quindi sostenuto che le considerazioni espresse dalla Consulta non sarebbero in alcun modo invocabili in ordine alla procedura di cui all’art. 2 d.l. n. 29 del 2020. Secondo il giudice rimettente, infatti, non solo il procedimento non verrebbe instaurato su istanza di parte, ma avrebbe anche una chiara connotazione sfavorevole per l’interessato, in quanto sarebbe palesemente orientato verso la revoca del provvedimento. A venire in gioco, oltretutto, non sarebbe una modifica del quantum di pena, ma «un drammatico nuovo cambiamento nelle modalità di esecuzione della pena».

In secondo luogo, il giudice a quo ha considerato i procedimenti di cui agli artt. 35-bis e 35-ter ord. penit., rispetto ai quali opera la disciplina di cui all’art. 666, comma 2, c.p.p. Come noto, la previsione prevede che, a fronte di una richiesta manifestamente infondata o alla mera riproposizione di un’istanza precedentemente rigettata, basata sui medesimi elementi, il giudice ne dichiara l’inammissibilità de plano, sentito esclusivamente il pubblico ministero.

Ebbene, con riferimento a tale disposizione, il giudice rimettente ha osservato che, avverso il provvedimento ex art. 666, comma 2, c.p.p. sarebbe, in ogni caso, proponibile ricorso per cassazione; per di più, in linea con la consolidata giurisprudenza formatasi in materia, si è rimarcato che la disciplina in analisi verrebbe in rilievo esclusivamente nel caso in cui non siano necessari accertamenti di tipo cognitivo o valutazioni discrezionali. Insomma, una situazione nient’affatto paragonabile a quella prevista dal meccanismo introdotto dal d.l. n. 29 del 2020.

Ancora, il giudice di Spoleto ha richiamato i riti di cui agli artt. 678, comma 1, ultima parte, e 678, comma 1-bis, c.p.p., i quali rinviano alla disciplina di cui all’art. 667, comma 4, c.p.p., nonché i procedimenti ex artt. 678, comma 1-ter, c.p.p. e 51-bis ord. penit. Sulla falsariga di quanto finora emerso, si è rilevato che, pure in questi casi, si tratterebbe di fattispecie in cui l’oggetto della decisione comporta un limitato tasso di discrezionalità o che sono caratterizzate da valutazioni di segno favorevole per l’interessato[11]. Inoltre, le prerogative difensive verrebbero salvaguardate dalla facoltà di presentare opposizione avverso le ordinanze adottate; ma non solo: queste ultime diverrebbero esecutive esclusivamente decorso il termine per opporvisi. Da ultimo, con particolare riferimento alla provvisoria sospensione delle misure alternative di cui all’art. 51-ter ord. penit., è stato precisato che la limitazione del diritto di difesa troverebbe un bilanciamento nella perdita di efficacia del provvedimento, qualora non intervenga la decisione del tribunale di sorveglianza entro il termine perentorio di trenta giorni.

In definitiva, alla luce dell’ampia disamina, si può sostenere che il giudice rimettente abbia messo puntualmente in evidenza il carattere assolutamente atipico della procedura di revoca di cui al d.l. n. 29 del 2020, non riscontrabile in alcun modello procedimentale previsto dinanzi alla magistratura di sorveglianza. In aggiunta, si è puntualmente rilevato che, proprio in materia di revoca di misure alternative, la pienezza del contraddittorio apparirebbe quale «caratteristica indefettibile». Al riguardo, sono state opportunamente ricordate le indicazioni della legge delega 23 giugno 2017, n. 103, la quale, nell’indirizzare gli interventi di modifica dell’ordinamento penitenziario, prevedeva una semplificazione delle procedure, con l’unica eccezione di quelle relative alla revoca delle misure alternative alla detenzione.

Peraltro, il giudice a quo ha preso atto degli arresti della Corte costituzionale, secondo cui sarebbero compatibili con i diritti di difesa procedimenti a contraddittorio eventuale o differito, vale a dire caratterizzati da una decisione assunta de plano a cui segue il contraddittorio pieno. Tuttavia, secondo quanto emerge dalla pronuncia, nel caso di specie ciò non si verificherebbe, in quanto il procedimento in esame si inserirebbe «in una sequenza che ha già attraversato una fase interinale del procedimento».

Ma vi è di più. È stato osservato che anche a voler ammettere che alla revoca del provvedimento faccia seguito una pronuncia del tribunale di sorveglianza, in analogia con quanto disciplinato dall’art. 684 c.p.p., ciò avverrebbe in un tempo alquanto lungo, pari a sessanta giorni ai sensi del combinato disposto degli artt. 47-ter, comma 1-quater e 47, comma 4, ord. penit. Termine, peraltro, meramente ordinatorio, alla cui inosservanza non seguirebbe, dunque, alcuna inefficacia del provvedimento.

In aggiunta a tali rilievi, il giudice ha contestato la portata retroattiva della novella, secondo quanto previsto dall’art. 5 d.l. n. 29 del 2020, pur senza eccepire formalmente la violazione dell’art. 25, comma 2, Cost. Nello specifico, si è osservato che le carenze descritte apparirebbero ancora più gravi rispetto a rivalutazioni che devono intervenire con riferimento a provvedimenti emessi anteriormente all’entrata in vigore della disciplina. In queste ipotesi, infatti, l’interessato si vedrebbe privato, come del resto avvenuto nel caso di specie, di una rivalutazione ampia della sua posizione, condotta unicamente dinanzi al tribunale di sorveglianza, nel pieno rispetto del contraddittorio.

Per concludere, è stato prospettato un contrasto della nuova disciplina con l’art. 3 Cost., sotto due differenti profili.

In primo luogo, è stata riscontrata una disparità di trattamento della fattispecie in esame rispetto ai casi in cui sia già stata adottata in via definitiva la decisione sull’ammissione alla detenzione domiciliare surrogatoria da parte del tribunale di sorveglianza. Evidentemente, in quest’ultima ipotesi, secondo quanto emerge dal ragionamento del giudice, il procedimento di rivalutazione sarebbe condotto nel pieno rispetto del contraddittorio. Sicché, in sostanza, la violazione dell’art. 3 Cost. verrebbe in rilievo nella misura in cui si applicherebbe la procedura di rivalutazione secondo le forme del contraddittorio pieno o, viceversa, senza alcuna facoltà della difesa o dello stesso interessato di replicare sui risultati istruttori, «soltanto in base al dato del tutto casuale che rispetto alla pronuncia interinale del magistrato di sorveglianza sia già intervenuta la decisione in via definitiva dinanzi al tribunale di sorveglianza, oppure la stessa risulti calendarizzata in tempi successivi, in connessione ad esempio con ruoli d’udienza particolarmente gravati».

In secondo luogo, – ha proseguito il giudice a quo – il contrasto della novella con l’art. 3 Cost. si manifesterebbe anche sotto un profilo soggettivo, in quanto riferita specificamente ai condannati di determinate tipologie di delitti, non corrispondenti, oltretutto, all’elenco di cui all’art. 4-bis ord. penit. In sostanza, per effetto di tale previsione, opererebbe solo nei confronti degli autori di tali reati, secondo una scelta che è stata ritenuta irragionevole, «un procedimento meno garantito e fortemente orientato verso il ripristino della detenzione». Verrebbe, in definitiva, attribuito alla presunzione di speciale pericolosità derivante da questi delitti un rilievo tale da superare il giudizio compiuto in maniera individualizzata nel provvedimento provvisorio adottato dal magistrato di sorveglianza. E ciò – ha chiarito il giudice rimettente – in un contesto che non attiene al trattamento, ma alla tutela dei diritti fondamentali di cui agli artt. 32 e 27, comma 3, Cost.

***

3. Una questione fondata. – L’ordinanza in esame appare condivisibile nel suo nucleo fondamentale. In effetti, la disciplina contenuta nell’art. 2 d.l. n. 29 del 2020 sembra attribuire al magistrato di sorveglianza un potere-dovere di intervenire de plano per disporre la revoca del precedente provvedimento provvisorio con cui aveva disposto la misura, in assenza di alcun contraddittorio.

Né pare percorribile la strada – valutata solo implicitamente dal giudice – di un’interpretazione costituzionalmente orientata. L’unica via sarebbe quella che passa per l’art. 51-ter ord. penit.: si potrebbe insomma ritenere che la disciplina introdotta dall’art. 2 d.l. n. 29 – laddove richiama il magistrato di sorveglianza – si limiti a prospettare semplicemente una nuova ipotesi di attivazione ufficiosa del magistrato di sorveglianza ai fini dell’adozione di un provvedimento provvisorio di sospensione della misura simmetrico a quello adottato in precedenza e fatta comunque salva la decisione del tribunale da adottare entro trenta giorni. Così interpretata, la norma sarebbe compatibile con il dettato costituzionale perché l’attivazione del contraddittorio verrebbe soltanto differita: il tribunale, insomma, non dovrebbe pronunciarsi sulla concessione provvisoria della misura ma, alla luce del mutamento fattuale che ha indotto il magistrato a ritornare sui propri passi, sul nuovo provvedimento di revoca. Il punto è il tenore letterale dell’art. 2, comma 3: laddove parla espressamente di “revoca della misura”, anche da parte del magistrato, sembra frapporre un ostacolo insormontabile rispetto a tale lettura costituzionalmente orientata.

Non resta dunque che prendere atto che la saldatura di due paradigmi normativi emergenziali – quello collegato alla criminalità organizzata e quello del coronavirus[12] – ha indotto il governo a plasmare un procedimento di revoca della detenzione domiciliare surrogatoria o del differimento dell’esecuzione della pena – concesso provvisoriamente dal magistrato di sorveglianza – privo dei connotati basilari della giurisdizionalità. Di fronte all’urgenza di rivalutare la posizione di centinaia di soggetti scarcerati[13], si è pensato di poter derogare ai canoni fondamentali desumibili dagli artt. 13, 24, comma 2, 27, comma 3, 111 Cost., come se quella esecutiva fosse una vicenda puramente amministrativa, nella quale non vengono in gioco i beni più preziosi dell’individuo, quali la salute e la libertà personale dell’individuo, ma solo interessi pubblici la cui valutazione può essere affidata esclusivamente alle amministrazioni pubbliche. Prima tra tutte quella chiamata a promuovere la repressione dei reati (art. 73 ord. giud.).

Peraltro, già nel lontano 1968, la Corte costituzionale aveva riconosciuto che non contano le etichette formali, bensì «l’interesse umano oggetto del procedimento»: quando viene in gioco «quello supremo della libertà personale», va riconosciuto al soggetto interessato «il diritto allo svolgimento di una integrale difesa»; insomma, «secondo lo spirito della norma costituzionale si deve […] ritenere necessaria la conoscenza delle investigazioni e degli accertamenti compiuti dal giudice e dei loro risultati relativamente all’intero corso del procedimento, e […] l’assistenza tecnica di un difensore, da rendersi, oltre tutto, obbligatoria e non facoltativa»[14].

Per di più, secondo l’orientamento dottrinale prevalente sono pacificamente applicabili ai procedimenti di sorveglianza i principi generali riconosciuti nei primi due commi dell’art. 111 Cost., tra i quali il canone di parità delle parti[15]; il quale è destinato a venire in rilievo soprattutto nei casi in cui la giurisdizione di sorveglianza si configuri come processo di parti, ossia specificamente nel caso di revoca delle misure alternative[16].

Tanto basta a ritenere la previsione introdotta nel maggio 2020 costituzionalmente illegittima nella parte in cui prevede un procedimento sui generis di revoca della detenzione domiciliare o del differimento di pena affidato allo stesso magistrato di sorveglianza, non coordinato in alcun modo con il procedimento instaurato presso il tribunale e privo delle garanzie basilari per la difesa dell’interessato, che non è posta in grado di interloquire in modo informato e in condizioni di parità con il rappresentante l’accusa. È ben vero che si tratta di una disciplina di carattere eccezionale, destinata ad applicarsi solo per i provvedimenti adottati per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19; ma ciò non ha alcun rilievo, posto che la Costituzione non consente di sospendere i diritti e i principi fondamentali (quali il diritto di difesa e il canone del contraddittorio) nel caso di emergenza.

Peraltro, la stessa disparità di trattamento derivante dalla circostanza che le misura sia già stata o meno ratificata dal tribunale di sorveglianza costituisce ulteriore argomento pienamente condivisibile a sostegno dell’illegittimità. Meno convincente invece il passaggio dell’ordinanza che fa leva sull’applicazione retroattiva della nuova disciplina: è ben vero che recentemente la Corte costituzionale ha ridisegnato il perimetro applicativo del principio di irretroattività di cui all’art. 25, comma 2, Cost., estendendolo in modo assolutamente innovativo anche alla disciplina dell’esecuzione[17]. La condizione però è che la legge sopravvenuta «comporti, rispetto al quadro normativo vigente al momento del fatto, una trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale»[18]. Ciò che non può dirsi accaduto con una novella di rilevanza strettamente processuale come quella in esame.

 

4. L’auspicio di un intervento correttivo in sede di conversione. In conclusione, non si può che auspicare che il Parlamento corregga la défaillance in sede di conversione del decreto-legge n. 29, intervenendo sull’ipotesi – che genera la problematica segnalata dall’ordinanza in esame – nella quale la misura alternativa sia stata disposta in via provvisoria dal magistrato di sorveglianza.

Si potrebbe prevedere che, in tal caso, la decisione del magistrato di sorveglianza di caducazione del precedente provvedimento provvisorio abbia natura speculare alla concessione e sia quindi un provvedimento meramente interinale, destinato a perdere effetto non appena intervenga la decisione del tribunale. Ad ogni modo, sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 51-ter ord. penit., si potrebbe stabilire un termine perentorio di trenta giorni per la decisione in contraddittorio: nel caso di mancato rispetto di tale cadenza, il provvedimento provvisorio di revoca perderebbe efficacia[19].

Per altro verso, tenuto conto che le tempistiche di attivazione del tribunale di sorveglianza sono incompatibili con i termini contemplati dal d.l. n. 29 per la rivalutazione, forse avrebbe senso introdurre un meccanismo speciale di sospensione cautelativa – riferito ai delitti di criminalità organizzata e per l’emergenza sanitaria – analoga a quella dell’art. 51-ter ord. penit. Si potrebbe insomma chiarire esplicitamente – onde prevenire altri problemi nella prassi – che il magistrato di sorveglianza ha il potere di attivarsi in via provvisoria anche per i provvedimenti adottati dal tribunale, salva la decisione (da adottare entro il termine perentorio di trenta giorni) del tribunale stesso.

Giova infine rilevare che, visto che la Commissione giustizia del Senato ha deciso di procedere in parallelo alla conversione dei d.l. n. 28 e 29 del 2020[20] e poi il Governo ha fatto confluire il testo del d.l. n. 29 nel disegno di legge di conversione del d.l. n. 28[21], avrebbe senso rendere omogeneo l’ambito di applicazione dei meccanismi considerati dai due provvedimenti. Per un verso, sarebbe ragionevole estendere il parere del procuratore distrettuale e del procuratore nazionale, contemplato dal secondo decreto, anche alla fattispecie di differimento della pena previsto dal primo decreto. Per altro verso, sarebbe opportuno uniformare il richiamo alle fattispecie delittuose, se è vero che il primo provvedimento d’urgenza fa riferimento – con riguardo al parere del procuratore distrettuale e del procuratore nazionale previsto a monte per la concessione del permesso di necessità e della detenzione domiciliare surrogatoria – ai reati di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., mentre il secondo – in ordine al parere degli stessi organi contemplato a valle in sede di rivalutazione della misura adottata nel periodo dell’emergenza – allude ai delitti di cui agli articoli 270, 270-bis, 416-bis c.p. e 74, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa, o al delitto commesso con finalità di terrorismo ai sensi dell’articolo 270-sexies c.p. Disparità che appaiono davvero singolari e che si possono spiegare solo pensando che il governo abbia provveduto, di volta in volta, avendo in mente specifiche fattispecie e provvedimenti puntuali della magistratura di sorveglianza. Ciò che non è evidentemente consentito, anche nello stato d’emergenza che stiamo vivendo.

 

 

[1] Per un primo commento all’ordinanza di rimessione, v. M. Bortolato, Alla Corte costituzionale il decreto-legge sulle “scarcerazioni”, in Quest. giust., 29 maggio 2020.

[2] Ci si riferisce alle due ordinanze, di pari tenore, emesse dal Tribunale di Siena, con cui è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, per contrasto con l’art. 25, comma 2, Cost.: cfr. ord., Trib. Siena, 21 maggio 2020, n. 1; ord., Trib. Siena, 21 maggio 2020, n. 2, in questa Rivista, 27 maggio 2020, con nota di G.L. Gatta, Sospensione della prescrizione ex art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020: sollevata questione di legittimità costituzionale. Inoltre, è della medesima data l’ordinanza del Tribunale di Spoleto, con cui è stata rimessa questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lett. d), d.l. 30 aprile 2020, n. 28, per contrasto con gli artt. 70 e 77 Cost. (Trib. Spoleto, ord. 21 maggio 2020, in questa Rivista, 1° giugno 2020, con nota di G. Santalucia, I ripensamenti sul processo da remoto all'esame della Corte costituzionale). Più di recente, va segnalato che, il 27 maggio 2020, pure il Tribunale di Spoleto, sulla falsariga del Tribunale di Siena, ha sollevato con due ordinanze una questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, d.l. n. 18 del 2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 27 del 2020, per contrasto con gli artt. 25, comma 2 e 117, comma 1, Cost., rispetto all’art. 7 CEDU: v. Trib. Spoleto, ord. 27 maggio 2020, n. 1; Trib. Spoleto, ord. 27 maggio 2020, n. 2, in questa Rivista, 2 giugno 2020, con commento di F. Lazzeri, Regime intertemporale della sospensione della prescrizione nel d.l. 18/2020: anche il Tribunale di Spoleto solleva questione di legittimità costituzionale.

[3] In termini molto equilibrati, sulla catena normativa dell’emergenza, per tutti, M. Luciani, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in Consultaonline, 11 aprile 2020.

[4] Tra i primi commenti al d.l. 10 maggio 2020, n. 29, v. G. Fiandaca, Scarcerazione per motivi di salute, lotta alla mafia e opinione pubblica, in questa Rivista, 19 maggio 2020; F. Gianfilippi, La rivalutazione delle detenzioni domiciliari per gli appartenenti alla criminalità organizzata, la magistratura di sorveglianza e il corpo dei condannati nel d.l. 10 maggio 2020 n. 29, in Giustizia Insieme, 12 maggio 2020; G. Pestelli, D.L. 29/2020: obbligatorio rivalutare periodicamente le scarcerazioni connesse all’emergenza Covid-19, in Quotidiano Giuridico, 13 maggio 2020; A. Pulvirenti, COVID-19 e diritto alla salute dei detenuti: un tentativo, mal riuscito, di semplificazione del procedimento per la concessione dell’esecuzione domiciliare della pena (dalle misure straordinarie degli artt. 123 e 124 del d.l. n. 18/2020 alle recenti novità del d.l. n. 29/2020, in Leg. pen., 26 maggio 2020, p. 31 e ss.

[5] Si vedano, in particolare, le efficaci considerazioni svolte da G. Fiandaca, Scarcerazione per motivi di salute, cit.  

[6] In argomento, cfr. P. Canevelli, La magistratura di sorveglianza tra umanità della pena e contrasto alla criminalità organizzata: le soluzioni contenute nel D.L. 30 aprile 2020, n. 28, in Giustizia Insieme, 8 maggio 2020; A. Della Bella, Emergenza COVID e 41 bis: tra tutela dei diritti fondamentali, esigenze di prevenzione e responsabilità politiche, in questa Rivista, 1° maggio 2020; nonché, volendo, M. Gialuz, L’emergenza nell’emergenza: il decreto-legge n. 28 del 2020, tra ennesima proroga delle intercettazioni, norme manifesto e “terzo tempo” parlamentare, in questa Rivista, 1° maggio 2020.

[7] In questi termini, G. Fiandaca, Scarcerazione per motivi di salute, cit.  

[9] In particolare, è stata richiamata Corte cost., ord. 5 dicembre 2003, n. 352, in www.cortecostituzionale.it.

[10] V. Corte cost., ord. 19 luglio 2005, n. 291, in www.cortecostituzionale.it

[11] Cfr., da ultimo, F. Della Casa – G. Giostra, Manuale di diritto penitenziario, Torino, 2020, p. 277.

[12] Cfr. G.L. Gatta, I diritti fondamentali alla prova del coronavirus. Perché è necessaria una legge sulla quarantena, in questa Rivista, 2 aprile 2020, secondo il quale «così come il diritto del terrorismo o della criminalità organizzata, il diritto del coronavirus è un diritto dell’emergenza, che comprime libertà fondamentali».

[13] Cfr. L. Milella – S. Palazzolo, Mafiosi e trafficanti, in 376 fuori dal carcere per l'emergenza virus, in repubblica.it, 3 maggio 2020.

[14] Così, Corte cost., 9 maggio 1968, n. 53, in www.cortecostituzionale.it.

[15] Si vedano, tra i tanti, G. Dean, Ideologie e modelli dell’esecuzione penale, Torino, 2004, p. 10; F. Della Casa, I riflessi del “nuovo” art. 111 Cost. sul procedimento di sorveglianza, in Rass. penit. crim., 2002, p. 144; P. Dell’Anno, L’intervento della giurisdizione esecutiva, in Procedura penale. Teoria e pratica del processo, vol. IV, a cura di L. Kalb, Milano, 2015, p. 638; C. Fiorio, Procedimenti e provvedimenti penitenziari, in Trattato di procedura penale. Modelli differenziati di accertamento, t. I, a cura di G. Garuti, Torino, 2011, p. 706.

[16] In tal senso, F. Della Casa, I riflessi del “nuovo” art. 111 Cost., cit., p. 141.

[17] Ci si riferisce a Corte cost., 12 febbraio 2020, n. 32, in questa Rivista, 23 marzo 2020, con nota di V. Manes – F. Mazzacuva, Irretroattività e libertà personale: l'art. 25, secondo comma, Cost., rompe gli argini dell’esecuzione penale.

[18] Testualmente, Corte cost., 12 febbraio 2020, n. 32, § 4.

[19] In tal senso, sembra apprezzabile nell’intento l’emendamento 2.0.1/10 presentato il 3 giugno in Commissione giustizia del Senato dai relatori, secondo il quale «quando il magistrato di sorveglianza procede alla valutazione del provvedimento provvisorio di ammissione alla detenzione domiciliare o del differimento della pena, i pareri e le informazioni acquisiti ai sensi dei commi 1 e 2 e i provvedimenti adottati all’esito della valutazione sono trasmessi immediatamente al tribunale di sorveglianza, per unione a quelli già inviati ai sensi degli articoli 684, comma 2, del codice di procedura penale, e 47-ter, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354. Nel caso in cui il magistrato di sorveglianza abbia disposto la revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena adottati in via provvisoria, il tribunale di sorveglianza decide sulla ammissione alla detenzione domiciliare o sul differimento della pena entro trenta giorni dalla ricezione del provvedimento di revoca, anche in deroga al termine previsto dall’articolo 47, comma 4, legge 26 luglio 1975, n. 354. Se la decisione del tribunale non interviene nel termine prescritto, il provvedimento di revoca perde efficacia»

[20] Cfr. l’intervento del Presidente della 2ª Commissione permanente nella seduta del 14 maggio 2020 (Resoconto sommario n. 164).

[21] Cfr. l’emendamento 2.0.1. depositato dal Governo in Commissione Giustizia al Senato (3 giugno 2020).