Corte cost., sent. 24 novembre 2020 (c.c. 4 novembre 2020), n. 245, Pres. Morelli, Red. Viganò
Diamo notizia ai lettori del deposito della sentenza con cui la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità relative alla disciplina c.d. anti-scarcerazioni di cui al d.l. 29/2020, come modificato dalla l. 70/2020.
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Riportiamo di seguito il comunicato stampa pubblicato sul sito della Corte.
«La disciplina del cosiddetto “decreto antiscarcerazioni”, così come integrato dalla legge n. 70 del 2020, non abbassa in alcun modo i doverosi standard di tutela della salute del detenuto, garantiti dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo anche nei confronti dei condannati ad elevata pericolosità sociale, compresi quelli sottoposti al regime penitenziario del 41-bis.
Questo uno dei passaggi centrali delle motivazioni con cui la Corte, nella sentenza n. 245 depositata oggi (redattore Francesco Viganò), spiega perché ha ritenuto non fondate – come anticipato nel comunicato del 4 novembre scorso – le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari e dai Magistrati di sorveglianza di Spoleto e di Avellino sul decreto legge n. 29 del 2020 e sulla legge n. 70 del 2020, relativi alle scarcerazioni connesse all’emergenza COVID-19 di condannati per reati di particolare gravità.
Le disposizioni esaminate dalla Corte impongono al Magistrato di sorveglianza – una volta concessa provvisoriamente, per ragioni legate all’emergenza sanitaria, la detenzione domiciliare ai condannati per questi reati – di rivalutare periodicamente le condizioni che giustificano la misura, alla luce dei pareri delle Procure distrettuali e della Procura nazionale antimafia, nonché delle informazioni del Dipartimento degli affari penitenziari sull’eventuale sopravvenuta disponibilità di strutture sanitarie all’interno del carcere o di reparti di medicina protetti, idonei a ripristinare la detenzione del condannato.
La Corte ha ritenuto che questa disciplina non violi il diritto di difesa del condannato.
La legge sull’ordinamento penitenziario, infatti, da tempo affida al Magistrato di sorveglianza il compito di anticipare, in situazioni di urgenza, i provvedimenti definitivi del Tribunale di sorveglianza sulle istanze di concessione di misure extramurarie per ragioni di salute, sulla base anche di documentazione acquisita direttamente dal magistrato e non conosciuta dalla difesa. La stessa situazione si verifica oggi nel procedimento di rivalutazione disciplinato dalla normativa ora in esame, funzionale ad attribuire al magistrato la possibilità di revocare in via provvisoria e urgente la detenzione domiciliare già concessa, in modo da mantenere sempre aggiornato il bilanciamento tra l’imprescindibile esigenza di proteggere la salute del detenuto e le altrettanto fondamentali ragioni di tutela della sicurezza pubblica, legate alla particolare pericolosità di questa tipologia di detenuti. Il diritto di difesa del condannato potrà poi esplicarsi pienamente nell’ambito del procedimento davanti al Tribunale di sorveglianza, destinato a concludersi nei trenta giorni successivi all’eventuale provvedimento di revoca, nel quale il difensore avrà completa conoscenza dei documenti e dei pareri acquisiti.
La Corte ha poi escluso che la disciplina esaminata contrasti con il diritto alla salute del detenuto e con il principio di separazione dei poteri. La legge, infatti, non intende esercitare alcuna indebita pressione sul giudice che ha in precedenza concesso la detenzione domiciliare e mira unicamente ad arricchire il suo patrimonio conoscitivo su possibili opzioni alternative intramurarie, in grado di tutelare in modo ugualmente efficace la salute del condannato».