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09 Ottobre 2025


Scioglimento del cumulo di pene detentive concorrenti per reati ex art. 4 bis ord. penit. ostativi alla sospensione dell'ordine di esecuzione e alla liberazione anticipata per il presofferto: la Cassazione solleva questione di legittimità costituzionale

Cass. Sez. I 11.7.2025 (dep. 6.10.2025), ord. n. 2406, Pres. Santalucia, Rel. Magi, ric. Vinchiaturo



1. Con l’ordinanza che può leggersi in allegato, la Prima Sezione della Corte di cassazione ha sollevato una questione di legittimità costituzionale di particolare interesse, in grado, ove risultasse fondata, di produrre significativi effetti sulla prassi, contribuendo in qualche misura (non certo decisiva ma nemmeno irrilevante) alla riduzione del sovraffollamento carcerario.

Il dubbio di incostituzionalità, per contrasto con gli artt. 3 e 27, co. 3 Cost., riguarda il comma 4 bis dell’art. 656 c.p.p., ossia, come diremo, l’ipotesi in cui la pena da eseguire sia determinata dal cumulo di pene per reati ostativi (in particolare, ex art. 4 bis ord. penit.) e reati non ostativi alla sospensione dell’ordine di esecuzione, e il cumulo stesso non possa essere sciolto, facendo così venire meno la causa ostativa, per effetto delle detrazioni di pena per la liberazione anticipata applicabile al presofferto cautelare.  A beneficio dei non iniziati, è opportuno fornire qualche breve coordinata essenziale per risolvere quello che, a prima vista, potrebbe sembrare un sudoku.

 

2. La questione riguarda, anzitutto, la sospensione dell’ordine di esecuzione delle pene detentive non superiori a quattro anni (sei anni per i reati connessi in relazione allo stato di tossicodipendenza), prevista dall’art. 656, co. 5 c.p.p. e funzionale a chiedere dallo stato di libertà una misura alternativa alla detenzione, evitando l’ingresso in carcere per farlo. Si tratta, come è noto, di un meccanismo che ha nei fatti evitato il definitivo collasso di un sistema penitenziario già in gravissima e cronica crisi. Basti pensare che, a fronte di circa 63.000 detenuti in condizioni di sovraffollamento (47.000 dei quali condannati definitivi), 28.000 persone stanno oggi eseguendo la pena con una misura alternativa ottenuta dallo stato di libertà ai sensi dell’art. 656, co. 5 c.p.p. e altre 100.000 sono nella condizione di “liberi sospesi” perché, dopo la sospensione dell’ordine di esecuzione, sono (in molti casi da anni) in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza sull’istanza di una misura alternativa. Ciò significa che un numero doppio rispetto a quello degli attuali detenuti (e quasi triplo rispetto ai detenuti con condanna definitiva) ha evitato l’ingresso in carcere grazie al meccanismo introdotto nel 1998 dalla legge Simeone-Saraceni. Una legge bipartisan, che porta il nome di due deputati scomparsi che ci piace ricordare: uno di Alleanza Nazionale (Alberto Simeone), l’altro del Partito Democratico della Sinistra (Luigi Saraceni). A dimostrazione di quanto – notiamo incidentalmente – la politica abbia trovato in passato il coraggio di soluzioni drastiche (per quanto alla lunga rivelatisi non sufficienti) al problema del sovraffollamento carcerario.

 

3. Sospendere ed in un gran numero di casi poi evitare l’ingresso in carcere se la condanna non supera i quattro anni è una soluzione in effetti drastica, espressione della lotta alla pena detentiva ‘breve’ e del favore massimo per le alternative al carcere. Di qui la previsione di ipotesi in cui, per scelta del legislatore, operano divieti di sospensione dell’ordine di esecuzione. Tali ipotesi, previste dal comma 9 dell’art. 656 c.p.p., riguardano, in primo luogo, coloro che al momento del passaggio in giudicato della sentenza si trovano in custodia cautelare in carcere per il fatto oggetto della condanna da eseguire: essendo costoro già in carcere, non ha senso sospendere l’ordine di esecuzione della pena che è volto, appunto, ad evitare l’ingresso in carcere per chiedere una misura alternativa dall’esterno. In secondo luogo, e per quanto rileva rispetto alla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Cassazione, il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva riguarda i condannati per alcuni reati e, in particolare, per i reati inclusi nel catalogo dell’art. 4 bis ord. penit.

Il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni, per uno di questi reati, non beneficia pertanto della sospensione dell’ordine di esecuzione della pena ed entra in carcere, dove potrà, dopo un assaggio più o meno lungo di detenzione, ottenere una misura alternativa, qualora ne ricorrano i presupposti.

Se, tuttavia, la pena detentiva da eseguire è determinata dal cumulo eterogeneo tra pene inflitte per reati diversi, alcuni soltanto dei quali ostativi perché inclusi nel catalogo dell’art. 4 bis ord. penit., può venire in rilievo un principio affermatosi in giurisprudenza: quello del c.d. scioglimento del cumulo. In caso di cumulo di pene concorrenti, come ricorda l’ordinanza qui annotata richiamando, tra l’altro, S.U. Zavattieri n. 30753/2023, deve ritenersi scontata per prima quella più gravosa per il reo; pertanto, è possibile che, al momento dell’esecuzione, le detrazioni per il presofferto in custodia cautelare comportino lo scioglimento del cumulo e il venir meno della causa ostativa alla sospensione dell’ordine di esecuzione. Per tale via, anche i condannati per reati ostativi alla sospensione dell’ordine di esecuzione possono evitare l’ingresso in carcere e ottenere una misura alternativa dallo stato di libertà.

 

4. Su questo quadro – eccoci, finalmente, al punto – si innesta la disposizione censurata dalla Cassazione: il comma 4 bis dell’art. 656 c.p.p., introdotto nel 2013 da un’altra legge adottata, nel recente passato, quando la politica ha avuto ancora una volta il coraggio (ad oggi assente) di adottare interventi per fronteggiare l’emergenza del sovraffollamento carcerario, che in quell’anno comportò una condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la nota sentenza Torreggiani. Con il d.l. n. 94 del 2013 (Governo Letta, Ministra della Giustizia Cancellieri) fu stabilito, nella citata disposizione del codice di rito, che ai fini della determinazione della pena da eseguire, e della sospensione dell’ordine di esecuzione, rilevano le detrazioni di pena per la liberazione anticipata ex art. 54 ord. penit., riconosciute in rapporto al presofferto in custodia cautelare, per il principio di fungibilità con la pena da eseguire. In altre parole, la sospensione dell’ordine di esecuzione, previo scioglimento del cumulo delle pene per reati ostativi, può essere consentita sia dalla detrazione del presofferto, sia dalla detrazione dei periodi di liberazione anticipata riconosciuti sul presofferto dal magistrato di sorveglianza, al quale il pubblico ministero deve trasmettere gli atti. Si tratta, infatti (come sottolinea l’ordinanza annotata), di “atto vincolato, tanto da poter dar luogo, in caso di omissione dell’adempimento, all’ipotesi di ingiusta detenzione per la emissione del titolo non sospeso”.

Orbene, l’ultimo periodo del comma 4 bis dell’art. 656 c.p.p. esclude espressamente l’applicabilità della predetta disciplina per i delitti di cui all’art. 4 bis ord. penit. Di qui l’impossibilità, nel caso sottoposto all’esame della Cassazione, di sospendere l’ordine di esecuzione della pena detentiva, destinando il condannato al carcere. Nel caso di specie, il Gip di Palermo, quale giudice dell’esecuzione, aveva respinto l’istanza di sospensione dell’ordine di esecuzione di una pena detentiva inflitta per alcuni reati, uno dei quali (spaccio di ingente quantità di stupefacenti) incluso nell’art. 4 bis ord. penit. Nonostante il condannato avesse trascorso tre semestri in custodia cautelare agli arresti domiciliari, l’impossibilità di riconoscere la liberazione anticipata escludeva lo scioglimento del cumulo e rendeva senz’altro operante il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione, comportando l’apertura delle porte del carcere.

 

5. In punto di rilevanza della questione, la Cassazione evidenza come sia “proprio il divieto di applicazione della speciale procedura di cui all’art. 656, co. 4 bis c.p.p. – nel caso del ricorrente – a rendere ‘non integralmente scontata’ la pena riferibile al reato ostativo”, impedendo di investire il magistrato di sorveglianza per le valutazioni relative alla liberazione anticipata sul presofferto.

Quanto poi alla non manifesta infondatezza, il cuore della questione sta in ciò: se sia ragionevole al metro del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., e compatibile con il finalismo rieducativo della pena ex art. 27, co. 3 Cost., escludere l’operatività della liberazione anticipata in relazione al presofferto cautelare per reati ex art. 4 bis ord. penit., potendo tale disciplina impedire lo scioglimento del cumulo di pene concorrenti per reati ostativi e comportare l’ingresso in carcere di una persona alla quale: a) non è stata applicata la custodia cautelare in carcere e che, b) per la condotta serbata in esecuzione della misura cautelare, può risultare meritevole della liberazione anticipata ai fini di un più efficace reinserimento nella società.

La Cassazione ritiene la questione non manifestamente infondata, valorizzando in particolar modo il profilo dell’irragionevolezza della previsione normativa e del trattamento riservato agli autori dei delitti di cui all’art. 4 bis ord. penit. Secondo la S.C., “dalla negazione di accesso (per il solo titolo di reato) ad un meccanismo esclusivamente procedurale che mira a semplificare la concessione (in presenza dei presupposti) della liberazione anticipata deriva un surplus di afflittività che non trova razionale giustificazione, posto che – per definizione – il soggetto condannato che aspira alla sospensione del titolo non si trova sottoposto ad una misura cautelare custodiale, il che depone per l’assenza di pericula libertatis da contenere”. In altre parole, prosegue la Cassazione, “va rilevato che nel caso dell’art.656 co. 4 bis c.p.p. il diniego di applicazione del meccanismo, sin qui descritto, si risolve in un pregiudizio ‘in rito’ il cui fondamento non è di immediata percezione (posto che, come si è detto, la liberazione anticipata è istituto di portata generale) e da cui può, in concreto, derivare un pregiudizio sostanziale di rilevo, con transito temporaneo in carcere di un soggetto che ben potrebbe aspirare alla sospensione, essendo potenziale destinatario di una liberazione anticipata già maturata (durante il periodo di custodia cautelare) ma non oggetto di valutazione da parte del Magistrato di Sorveglianza.

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6. A nostro parere, il dubbio di legittimità costituzionale prospettato dalla Cassazione non è privo di fondamento. A quanto si è sin qui detto, infatti, va aggiunta, esplicitandola, una considerazione che vale come una premessa: la liberazione anticipata, al di fuori della particolare procedura di cui all’art. 656, co. 4 bis c.p.p., può essere concessa ai condannati per i reati di cui all’art. 4 bis ord. penit., anche per il presofferto, senza le limitazioni previste dallo stesso art. 4 bis per gli altri benefici penitenziari. Ciò significa che il condannato per reati di cui all’art. 4 bis ord. penit., cui è preclusa la sospensione dell’ordine di esecuzione, può ottenere la liberazione anticipata mentre si trova in carcere, anche per il presofferto (e, per l’effetto, può ottenere lo scioglimento del cumulo e chiedere una misura alternativa senza i vincoli del 4 bis ord. penit.). Come mostra il caso oggetto del giudizio a quo, quando il condannato è agli arresti domiciliari (o è libero) deve entrare in carcere per vedersi riconosciuta una detrazione di pena maturata fuori dal carcere; una detrazione che, se potesse essere operata prima dell’ingresso in carcere, secondo il diritto vivente farebbe venir meno il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione, consentendo, appunto, lo scioglimento del cumulo delle pene. Proprio qui sta il germe di una possibile irragionevolezza. Il condannato non si trova in carcere, ha un presofferto di durata tale che, con il computo della liberazione anticipata che dovesse essere riconosciuta, consentirebbe la sospensione dell’ordine di esecuzione e la richiesta di una misura alternativa dallo stato di libertà, senza i vincoli dell’art. 4 bis ord. penit. Nonostante ciò, deve invece entrare in una cella in carcere (sovraffollato) e chiedere da lì la riduzione di pena per la liberazione anticipata e, quindi, una misura alternativa alla detenzione concedibile, previo scioglimento del cumulo, senza i lacci dell’art. 4 bis ord. penit. Che sia ragionevole è quanto meno lecito dubitarne.

 

6.1. Si potrebbe, tuttavia, obiettare che chiedere una misura alternativa quando si è in carcere è la sorte del condannato per i reati di cui all’art. 4 bis ord. penit., conseguente al divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 656, co. 9 c.p.p. Nell’ambito di un’ampia discrezionalità politica, che sia sorretta da ragionevoli motivi, il legislatore ben può derogare al regime ordinario della sospensione dell’ordine di esecuzione. Ci si può allora domandare se i motivi che stanno alla base del divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione per i reati ex art. 4 bis ord. penit. possano fondare anche il divieto di applicare la liberazione anticipata al presofferto, ai fini dello scioglimento del cumulo delle pene e della sospensione stessa. La risposta sembra negativa.

Il legislatore esclude la sospensione dell’ordine di esecuzione per i reati dell’art. 4 bis ord. penit. per ragioni di difesa sociale, che attengono alla gravità dei reati e alla pericolosità di cui sono indice. Tali ragioni sembrano inconferenti, tuttavia, in un caso come quello oggetto dell’ordinanza annotata, che vede il condannato, al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, non in carcere ma agli arresti domiciliari. Se davvero il carcere fosse stato necessario, allora in luogo degli arresti domiciliari avrebbe dovuto trovare applicazione la custodia in carcere.

Ancora, la ratio del divieto di sospensione dell’esecuzione della pena per i reati dell’art. 4 bis ord. penit. è riconducibile, come ha riconosciuto la Corte costituzionale (sent. n. 41/2018), alle “condizioni così stringenti da rendere [la] eventualità [della concessione di una misura alternativa] meramente residuale, sicché appare tollerabile che venga incarcerato chi all’esito del giudizio relativo alla misura alternativa potrà con estrema difficoltà sottrarsi alla detenzione”. Anche tale ratio sembra non adattabile al divieto di cui all’art. 656, co. 4 bis c.p.p.: lo scioglimento del cumulo, possibile peraltro anche senza la liberazione anticipata, rende probabile in un certo numero di casi l’applicazione dall’esterno di una misura alternativa ai condannati per i reati del 4 bis ord. penit.

Non basta: si potrebbe ritenere che, rispetto agli autori di quei reati, il legislatore abbia ragionevolmente scelto di subordinare la concessione della liberazione anticipata alla valutazione intramuraria del comportamento del condannato. Senonché questo argomento trascurerebbe il fatto che la liberazione anticipata, come mostra proprio il caso in esame, può riguardare il periodo trascorso agli arresti domiciliari e, quindi, prescinde da una valutazione intramuraria. Mentre il condannato è in carcere, il magistrato di sorveglianza valuta la concedibilità della liberazione anticipata considerando la condotta serbata dal condannato prima di entrare in carcere. Ha davvero senso, su un piano di bilanciamento di interessi contrapposti, che questa valutazione - che se fatta prima potrebbe evitare il contatto devastante con l’ambiente carcerario (per di più sovraffollato) - sia fatta dopo e serva per uscire da dove si sarebbe potuti non entrare, in linea con le istanze di risocializzazione del reo e con la salvaguardia della sua libertà personale, sacrificata in modo non necessario?

 

6.2.  La ratio politico-criminale del divieto di cui all’art. 656, co. 4 bis c.p.p. risiede forse nella natura premiale/eccezionale della relativa disciplina, introdotta nel 2013, come si è detto, per rimediare all’emergenza del sovraffollamento carcerario. Il Governo diede sì rilievo alla liberazione anticipata sul presofferto, ai fini si aumentare il numero degli ordini di esecuzione sospesi, ma per contingenti ragioni politiche ha escluso i reati più gravi di cui all’art. 4 bis ord. penit. Vi è allora da chiedersi, non solo se questa limitazione sia ab origine ammissibile, al metro dei principi costituzionali, ma anche se lo sia ancora, oggi che la disposizione è ormai a regime e per di più a fronte di una recrudescenza del sovraffollamento carcerario. Recrudescenza che, a ben vedere, suggerirebbe al legislatore, con un tratto di penna, di cancellare la disposizione oggetto delle censure della Cassazione.

Oltre a domandarci in punta di diritto cosa potrebbe o non potrebbe fare la Corte costituzionale, abituiamoci come giuristi e come cittadini a chiederci anche cosa potrebbe e dovrebbe fare il legislatore, tanto più di fronte a una drammatica emergenza – quella del sovraffollamento carcerario – che reclama interventi indifferibili. Eccone qui uno suggerito dalla prassi.