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04 Agosto 2025


"Paesi sicuri" e centri in Albania: la sentenza della Corte di Giustizia UE

Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, sentenza 1° agosto 2025, Pres. Lenaerts (cause riunite C-758/24, Aiace e C-759/24, Canpelli)



Pubblichiamo in allegato la sentenza della Corte di Giustizia UE, depositata il 1° agosto 2025, con la quale è stata nei termini che segue ai quesiti posti dal Tribunale di Roma attraverso un rinvio pregiudiziale, nell'ambito di un procedimento relativo alla domanda di protezione internazionale di cittadini del Bangladesh già detenuti nel centro di permanenza di Gjadër, in Albania:

  1. Gli articoli 36 e 37 nonché l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che uno Stato membro proceda alla designazione di paesi terzi quali paesi di origine sicuri mediante un atto legislativo, a condizione che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale vertente sul rispetto delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I a detta direttiva, da parte di qualsiasi giudice nazionale investito di un ricorso avverso una decisione concernente una domanda di protezione internazionale, esaminata nell’ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da paesi terzi designati come paesi di origine sicuri.
  2. Gli articoli 36 e 37 nonché l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, devono essere interpretati nel senso che: -  lo Stato membro, che designa un paese terzo come paese di origine sicuro, deve garantire un accesso sufficiente e adeguato alle fonti di informazione di cui all’articolo 37, paragrafo 3, di tale direttiva, sulle quali si fonda tale designazione, accesso il quale deve, da un lato, consentire al richiedente protezione internazionale interessato, originario di tale paese terzo, di difendere i suoi diritti nelle migliori condizioni possibili e di decidere, con piena cognizione di causa, se gli sia utile adire il giudice competente e, dall’altro, consentire a quest’ultimo di esercitare il proprio sindacato su una decisione concernente la domanda di protezione internazionale; - il giudice nazionale investito di un ricorso avverso una decisione relativa a una domanda di protezione internazionale, esaminata nell’ambito del regime speciale di esame applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da paesi terzi designati come paesi di origine sicuri, può, qualora verifichi, anche solo in via incidentale, se tale designazione rispetti le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I a detta direttiva, tener conto delle informazioni da esso stesso raccolte, a condizione, da un lato, di accertarsi dell’affidabilità di tali informazioni e, dall’altro, di garantire alle parti in causa il rispetto del principio del contraddittorio.
  3. L’articolo 37 della direttiva 2013/32, letto in combinato disposto con l’allegato I a tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che: esso osta a che uno Stato membro designi come paese di origine sicuro un paese terzo che non soddisfi, per talune categorie di persone, le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I a detta direttiva.

Rinviamo al comunicato stampa allegato un'ulteriore sintesi della rilevante sentenza.