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  Scheda  
08 Dicembre 2021


Caso Lucano: guida alla lettura del dispositivo della sentenza di primo grado

Trib. Locri, ud. 30 settembre 2021, Pres. Accursio



1. Tredici anni e due mesi di reclusione è la pena con cui lo scorso 30 settembre il Tribunale di Locri (Reggio Calabria) ha condannato Domenico (‘Mimmo’) Lucano, ex sindaco del Comune di Riace. La sentenza è stata emessa nell’ambito del processo Xenia e vede, oltre a Lucano, altre diciassette persone condannate. I reati contestati nei ventuno capi di accusa riguardano tutti condotte tenute nella gestione dei progetti di accoglienza attivi nel Comune di Riace e rivolti a migranti e richiedenti asilo. La condanna per Lucano comprende il reato di associazione a delinquere e una fitta serie di delitti di falso in atto pubblico, peculato, abuso d’ufficio e truffa. Lucano è stato invece assolto dalle accuse di concussione (art. 317 c.p.) e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (art. 12 t.u.imm.), che pure avevano animato il dibattito pubblico agli albori della vicenda giudiziaria.

Il deposito delle motivazioni della sentenza (previsto entro il 30 dicembre 2021) imporrà certamente riflessioni di più ampio respiro su una decisione che oggi, già solo per la portata delle sanzioni inflitte (giunte quasi al doppio rispetto alla richiesta del pubblico ministero), ha provocato risonanti reazioni nella politica, nell’opinione pubblica e tra i giuristi[1]. Nel frattempo, ci sembra utile, però, mettere a disposizione dei lettori alcuni materiali, ripercorrere l’iter giudiziario che ha portato alla condanna dell’ex sindaco di Riace, richiamare i reati per i quali è stato condannato e quelli da cui è stato assolto e osservare i meccanismi di calcolo della pena adottati dal giudice.

 

2. Domenico Lucano è stato sindaco del Comune di Riace dal 2004 a 2018 e, nel corso dei suoi tre mandati, il piccolo borgo calabrese è divenuto noto alle cronache per un ambizioso e del tutto inedito progetto di integrazione che mirava a coniugare accoglienza e rinascita del Comune, da anni oggetto di spopolamento (il cd. progetto Riace). Le attività di accoglienza – in estrema sintesi – prevedevano l’affidamento e la gestione di progetti Sprar, Cas e Msna[2] a cooperative e associazioni locali che, finanziate dallo Stato e dall’Unione europea, si adoperavano nella predisposizione di attività per il lavoro e l’integrazione di rifugiati e richiedenti asilo[3].

 

3. Le vicende giudiziarie di Domenico Lucano iniziano sul finire del 2016 a seguito delle osservazioni riportate in due verbali degli ispettori della prefettura di Reggio Calabria che, nel corso della loro ispezione a Riace, hanno ravvisato alcune «irregolarità amministrative» proprio nella gestione di quei progetti di accoglienza che avevano messo il Comune sotto i riflettori internazionali e fatto di Lucano un simbolo dell’accoglienza. Le sospette irregolarità portano a due conseguenze: da un lato, conducono l’allora Ministro dell’Interno Minniti a sospendere l’erogazione dei fondi al Comune e, dall’altro, danno avvio alle indagini della Guardia di Finanza (cd. operazione Xenia), coordinata dalla Procura di Locri, che portano nell’ottobre del 2017 all’iscrizione di Lucano nel registro degli indagati per una serie di gravi reati, tra cui truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dello Stato e dell’Unione europea, concussione e abuso d’ufficio.

L’operazione Xenia si conclude il 2 ottobre 2018 e, contestualmente, Lucano viene arrestato e posto agli arresti domiciliari con  l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina –  per aver progettato nel 2017 di far ottenere la cittadinanza italiana ad una donna nigeriana senza permesso di soggiorno attraverso un matrimonio combinato ma poi non avvenuto – e di illeciti nell’affidamento diretto (dunque senza gara d’appalto) del servizio di raccolta dei rifiuti urbani a due cooperative locali che impiegavano migranti e che  però risultavano prive dei necessari requisiti per operare.

Merita evidenziare, tuttavia, che le iniziali richieste della Procura prevedevano ben quattordici capi di imputazione e che, nel firmare la misura cautelare, il GIP di Locri ‘salva’ solo due delle accuse (appunto, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e irregolarità nell’affidamento degli appalti per la raccolta dei rifiuti) ritenendo le altre accuse della Procura – per le quali complessivamente era stata richiesta la custodia cautelare in carcere – «laconiche, congetturali, sfornite dei requisiti di chiarezza, univocità e concordanza». In sostanza, con l’ordinanza del 26 settembre 2018 il GIP di Locri da un lato ha escluso la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per le imputazioni di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale, concussione, malversazione a danno dello Stato e associazione a delinquere; dall’altro, però, ha riscontrato la presenza di un «grave quadro indiziario» e di un «concreto pericolo di reiterazione» con riguardo alle (sole) fattispecie di cui agli artt. 353 bis (Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente) e 12 co. 1 t.u.imm. (Atti diretti a procurare illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato un cittadino straniero[4]) e ritenuto che gli arresti domiciliari fossero la sola misura idonea[5] a prevenire la reiterazione dei reati sopracitati. Si legge: «dovendo permanere all’interno della propria abitazione l’uomo vedrà reciso ogni legame con chi sinora ha incoraggiato e facilitato i suoi deprecabili comportamenti, oltre che con l’istituzione comunale pianamente asservita ai suoi scopi, così vedendosi significativamente impedita la possibilità di tornare a delinquere» [6].

Il giorno seguente, il 3 ottobre 2018, Lucano viene sospeso dalla carica di sindaco di Riace.

Due settimane più tardi, il 16 ottobre 2018, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria riforma l’ordinanza del GIP sostituendo gli arresti domiciliari con il divieto di dimora nel Comune di Riace.

L’impianto accusatorio presentato in sede cautelare e ridimensionato dalle decisioni prima del GIP e poi del Tribunale del riesame viene ulteriormente fatto vacillare da una pronuncia del 26 febbraio 2019 con cui la Cassazione annulla con rinvio l’ordinanza cautelare del 16 ottobre 2018 con riguardo a due profili: la sussistenza dei gravi indizi del reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente[7] (mancavano, in sostanza, i “comportamenti fraudolenti” nell’assegnazione dei servizi) e la effettiva consistenza ed intensità delle esigenze cautelari[8].

L’11 aprile 2019 Lucano, ancora sottoposto al divieto di dimora (la cui revoca giunge solo il 5 settembre 2019, sette mesi dopo la decisione della Cassazione), viene rinviato a giudizio insieme ad altri 26 indagati. A dicembre 2019, riceve un nuovo avviso di garanzia per il rilascio, nel 2016, di documenti di identità a due immigrati (una donna eritrea e suo figlio di pochi mesi) ospitati nel 2016 nel Cas e privi dei requisiti per ottenerli in quando non muniti del permesso di soggiorno. Un altro avviso di garanzia raggiunge invece Lucano e altre otto persone per l’accusa di truffa: tre degli alloggi destinati ai migranti erano «risultati privi di collaudo statico e certificato di abitabilità, documenti indispensabili per come richiesto specificatamente sia dal manuale operativo Sprar che dalle convenzioni stipulate tra il Comune di Riace e la Prefettura». A Lucano, in particolare, si contestava di aver firmato una «falsa attestazione ove veniva dichiarato che le strutture di accoglienza per ospitare i migranti esistenti nel territorio del Comune di Riace erano rispondenti e conformi alle normative vigenti in materia di idoneità abitativa, impiantistica e condizioni igienico sanitarie»[9].

Continuano nel frattempo le vicende cautelari. Il 7 luglio 2020 il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria rigetta l’appello della Procura di Locri contro l’ordinanza del GIP con la quale era stata respinta la richiesta di misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti dell’ex sindaco di Riace e di altri nove indagati per l’ipotesi di reato di associazione per delinquere.  I giudici affermano: «La gestione poco trasparente da parte del Comune di Riace e degli enti attuatori delle risorse pubbliche finanziate per i progetti di accoglienza dei migranti conferma l’esistenza di prassi improntate alla superficialità e alla negligenza, ma non consente, allo stato, di ritenere suffragata la sussistenza dell’addebito associativo, in assenza della prova del perseguimento di vantaggi patrimoniali privatistici o dell’appropriazione di somme di denaro da parte dei singoli protagonisti della vicenda […] Sul piano cautelare, assorbente è la considerazione che il “periculum criminis” è eliso dal tempo decorso dai fatti (che si arrestano al 2017) e dal venir meno del contesto ambientale in cui si sono localizzati»[10].

 

4. In questo contesto non si può omettere un breve accenno alle vicende di giustizia amministrativa che in concomitanza interessano Lucano e, più in generale, il progetto Riace. Abbiamo anticipato che nel 2016, giunta la notizia di possibili irregolarità nella gestione del progetto Riace, l’allora Ministro dell’interno Minniti aveva sospeso l’erogazione dei finanziamenti. Il suo successore, Matteo Salvini, nell’ottobre 2018 ordina invece lo ‘smantellamento’ del sistema di accoglienza di Riace. In merito a tali decisioni, tuttavia, il Tar di Reggio Calabria con sentenza 21 maggio 2019[11]  – nell’udienza di merito sulla revoca del progetto Sprar presentata dallo stesso Comune di Riace – annulla il provvedimento del Viminale, considerandolo illegittimo poiché adottato in violazione delle norme sul procedimento; successivamente, il Consiglio di Stato, il 7 giugno 2020, conferma l’illegittimità della chiusura del progetto Sprar di Riace.

 

5. Se questi erano gli orientamenti della giurisprudenza penale e amministrativa con riguardo alla vicenda di Riace e del suo sindaco non deve stupire che la sentenza del 30 settembre scorso, sia risultata porsi – pur legittimamente – in direzione sostanzialmente contraria a questi ultimi arresti. Giunta a distanza di oltre due anni dal rinvio a giudizio – e al di là delle possibili critiche in fatto e in diritto che (solo) la lettura delle motivazioni consentirà – la sentenza segna un punto fermo in questa complessa vicenda dove le accuse rivolte all’ex sindaco di Riace hanno più volte subito contraccolpi giudiziari.

Vediamo il contenuto del dispositivo.

 

6. Domenico Lucano è stato condannato per ventuno reati, contenuti in dieci capi d’accusa dei sedici che lo vedevano coinvolto.

In particolare, con una scelta che – lo vedremo in seguito – ha avuto pesanti ricadute in termini di calcolo della pena, i giudici hanno individuato ‘due disegni criminosi’ e di conseguenza ripartito in due filoni i reati di cui Lucano è stato ritenuto colpevole.

 

6.1. Nel primo filone, avvinti dal vincolo della continuazione ai sensi dell’art. 81 co. 2 c.p., si trovano i reati di cui a Capi 1, 2, 5, 6 e 9.

Nello specifico si tratta del reato di associazione a delinquere (Capo I, art. 416 co. 1, 2 e 5 c.p.) ravvisato in capo a Lucano e altri[12] «per essersi associati tra loro» si legge nel capo di imputazione della Procura [verbale ud. 29.3 + integrazione]  «anche in tempi diversi, allo scopo di commettere un numero indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio), così orientando l’esercizio della funzione pubblica degli uffici del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti SPRAR, CAS e MSNA e per l’affidamento dei servizi da espletare nell’ambito del Comune di Riace, verso il soddisfacimento degli indebiti ed illeciti interessi patrimoniali delle associazioni e cooperative (enti gestori dei progetti SPRAR, CAS e MSNA), con durevole divisione di compiti e ruoli». In particolare, a Lucano i giudici riconoscono il ruolo di promotore e organizzatore dell’intera struttura, ossia di colui che definendo le linee operative delle associazioni coinvolte nei progetti e curando i rapporti con le istituzioni era il «principale promotore degli illeciti» consistiti, perlopiù, in indebite rendicontazioni: delle presenze degli stranieri nei centri, di derrate alimentari utilizzate per fini diversi da quelli cui erano destinate, di costi per spese carburante o per il pagamento di bonus, borse lavoro o prestazioni di lavoro occasionali. O ancora, indebiti prelievi di denaro contante da conti correnti delle associazioni coinvolte nei progetti di accoglienza non adeguatamente giustificati nella contabilità interna; l’assenza di documentazione attestante i costi in generale sostenuti dalle associazioni nonché l’indebita destinazione di parte dei fondi per fini diversi da quelli per i quali erano stati ottenuti.

Nella sua veste di pubblico ufficiale, quale sindaco del Comune di Riace, Lucano viene condannato (in concorso con i singoli presidenti pro-tempore degli enti gestori dei progetti SPRAR e CAS) per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (Capo 2, artt. 110, 640 bis c.p.[13]) per aver riportato, in violazione dell’art. 97 co. 2 Cost. nonché dell’art. 5 co. 6 d.lgs. 140/2005 e DM 30 luglio 2013 un «ingiusto vantaggio patrimoniale pari ad euro 2.300.615,00 (CAS euro 124,140)» mediante indebite rendicontazioni al Servizio Centrale del Sistema di Protezione per i richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) e alla Prefettura di Reggio Calabria (CAS) delle presenze dei migranti relative alle associazioni attive nel Comune di Riace.

In questo primo gruppo di reati trova poi spazio il reato di truffa aggravata dal danno di rilevante gravità e dall’abuso dei poteri (Capo 5, artt. 61 nn. 7 e 9, 110, 640 bis) emergente da una serie di condotte riconducibili a Lucano e altri che, con l’utilizzo di artifizi e raggiri, sono consistite – sinteticamente – in rendicontazioni di acquisti di beni non destinati alle attività di accoglienza (Capo 5.A), di costi fittizi (Capo 5.B.1) di inesistenti o parziali prestazioni occasionali (Capi 5.B.2, 5.B.4, 5.B.5), di false fatture (Capo 5.B.9) o false annotazioni nel registro INAIL (Capo 5.B.10).

Lucano è stato ritenuto colpevole – Capo 6 – del reato di falsità ideologica in atto pubblico (che fa fede fino a prova di falso) commessa in qualità di pubblico ufficiale (ex artt. 61 n. 2, 479 in relaz. 476 co. 2) per aver sottoscritto oltre cinquanta determine di liquidazione per assicurare alle associazioni /cooperative (enti gestori dei progetti Sprar e Cas) i finanziamenti del Ministero e della Prefettura.

Infine, con riferimento a questo primo gruppo di reati avvinti da un comune disegno criminoso, i giudici hanno ritenuto Lucano colpevole del reato di peculato (Capo 9) ai sensi dell’art. 314 c.p. (aggravato ex art. 61 n. 7 c.p.). In questo caso le condotte contestate riguardano la distrazione dei fondi pubblici ottenuti (si parla di oltre due milioni di euro) e destinati alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati ed altre attività di pubblico interesse. In particolare, si contesta la distrazione di fondi destinati all’associazione Città Futura e il loro utilizzo per acquisto di arredi e ristrutturazioni di alcune case e un frantoio (Capi 9.1 e 9.2), nonché l’addebito al progetto SPRAR di costi generati da alcune utenze telefoniche (Capo 9.3) e la non meglio documentata e giustificata gestione di denaro contante, attinto dai conti correnti dell’associazione, e utilizzato anche per il pagamento di viaggi all’estero dello stesso Lucano e per finanziare i concerti estivi organizzati dal Comune di Riace.

 

6.2. Nel secondo filone, espressione di un diverso disegno criminoso, si trovano, invece, le fattispecie di cui ai Capi 11, 15, 16, 19 e 20.

Il Capo 11 vede la responsabilità di Lucano per falsità ideologica (art. 480 c.p.), commessa in qualità di pubblico ufficiale, per aver falsamente attestato alla SIAE, al fine di non pagare i relativi diritti, che i concerti estivi svoltisi nel 2015 a Riace non si erano tenuti.

Altro reato di cui l’ex sindaco di Riace viene chiamato a rispondere è l’abuso d’ufficio (Capo 15, art. 323 c.p.). In qualità di PU, sindaco e responsabile dell’Ufficio anagrafe del comune di Riace, in violazione degli artt. 40 e 41 della l. 604/1962, dell’art. 291 del Reg. esec. TULPS. R.d. 635/1940 nonché dell’art. 97 co. 2 Cost., a Lucano si rimprovera di non aver fatto riscuotere dall’Ufficio anagrafe e stato civile i diritti per il rilascio di certificati di anagrafe, di stato civile e delle carte d’identità, così procurando ai richiedenti un ingiusto vantaggio patrimoniale (per un totale di 11.817,50 euro).

La medesima fattispecie (art. 323 c.p.) viene contestata anche al Capo 16 per una diversa condotta consistita nell’affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti nel Comune di Riace a due cooperative sociali prive dei requisiti richiesti dalla legge e,  in particolare, prive dell’iscrizione all’apposito Albo regionale e delle autorizzazioni alla gestione ambientale, intenzionalmente arrecando a tali ultime un ingiusto vantaggio patrimoniale costituito dalla stipula delle convenzioni.

Ancora, altre falsità ideologiche ex art. 480 c.p. (Capi 19 e 20) sono state ravvisate: nel rilascio di carte d’identità a una donna straniera priva dei requisiti, avvenuto sulla base della falsa attestazione da parte del Sindaco (in concorso con un assessore) della residenza nel Comune di Riace e della presenza del permesso di soggiorno; nonché nella falsa e consapevole attestazione dello stato civile di nubile (anziché di coniugata) di una cittadina straniera, nel rilascio di un certificato di stato civile.

 

7. Quanto alle assoluzioni, invece.

 

7.1. Perché i fatti non sussistono, Lucano è stato assolto dai Capi 5.B, 5.B.7, 5.B.8, 8, 9.5, 14, 21 e 22.

Si tratta, in sintesi, di alcune altre ipotesi di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis, Capi 5.B, 5.B.7, 5.B.8) relative a rendicontazioni nei progetti Cas e Sprar di costi relativi ad acquisti di materiali di cancelleria o effetti letterecci.

Non sussiste nemmeno – ad avviso del Tribunale – il reato di concussione (art. 317 c.p., Capo 8) ipotizzato con riferimento alla presunta costrizione di un commerciante (dietro minaccia di non adempimento degli obblighi già assunti dall’associazione Città futura di rimborsare in valuta corrente i pagamenti in cd. bonus fatti presso il suo esercizio) a predisporre e consegnare fatture per operazioni inesistenti, riguardanti la vendita di detersivi e altro, per un valore di oltre 5000 euro.

Escluso anche il delitto di peculato (art. 314, Capo 9.5) riferito alla distrazione di oltre 30.000 euro con l’emissione di assegni non rendicontati.

È stato ritenuto insussistente il reato di truffa (art. 61 n. 7 e 9, 640 co. 2 n. 1, Capo. 14) asseritamente commesso da Lucano mediante la predisposizione e sottoscrizione di determinazioni attestanti l’esecuzione di servizi, che avevano indotto in errore i funzionari del Comune di Riace.

Infine, ad avviso del Tribunale non sussiste nemmeno il tanto discusso reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (Capo 21). Questo capo ravvisava, infatti, la presunta responsabilità di Lucano ai sensi dell’art. 12 co. 1 t.u.imm. per aver posto in essere atti idonei a procurare illegalmente l’ingresso in Italia (peraltro mai avvenuto) di un cittadino etiope. L’accusa era legata a quanto descritto al Capo 20 (per cui vi è stata condanna) sulla falsa attestazione dello stato di nubile di una cittadina etiope; Lucano, in particolare, era accusato di aver favorito l’ingresso in Italia del fratello della donna, che ancora si trovava in Etiopia, tramite la predisposizione di suddetta attestazione e della consegna della documentazione necessaria al cittadino Etiope (poi arrestato nel Paese di origine proprio per il possesso di tale documentazione) a seguito di un viaggio dello stesso Lucano in Etiopia.

Infine, non sussiste nemmeno un’ulteriore ipotesi di violazione dell’art. 480 c.p. circa il rilascio di una carta di identità (Capo 22).

 

7.2. Per non aver commesso il fatto, invece, Lucano è stato assolto dal reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative (art. 480 c.p., Capo 19), limitatamente al rilascio della carta d’identità a favore di uno straniero (per il rilascio a del medesimo documento a un altro straniero, invece, come visto supra, vi è stata condanna).

 

8. Si registra, poi la dichiarazione di non doversi procedere ai sensi dell’art. 531 c.p.p. con riferimento al reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353 bis, Capo 17), per essersi lo stesso estinto per intervenuta prescrizione.

 

9. Lucano è stato inoltre condannato alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni, nonché al pagamento, in solido con altri otto imputati, di ingenti somme a titolo di confisca per equivalente (per un ammontare di oltre un milione e mezzo di euro), di risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti della costituita parte civile Ministero dell’Interno (che il Tribunale liquida in via equitativa in 200.000 euro più spese) e di risarcimento del danno patrimoniale alla SIAE (per un importo pari a 7686,90 euro  più spese).

Ai sensi della cd. legge Severino (d.lgs. n. 235/2012), la condanna – anche non definitiva – per i reati di peculato (Capo 9) e abuso di ufficio (Capo 15), fa confluire Lucano nella ‘lista di impresentabili’ della commissione parlamentare antimafia, determinandone l’incandidabilità e la ineleggibilità alle imminenti elezioni amministrative.

 

10. Due ultimi profili meritano di essere evidenziati: il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e la questione della continuazione. Della condanna, infatti, colpisce sicuramente il quantum della pena inflitta e la circostanza che i giudici hanno quasi raddoppiato le richieste sanzionatorie avanzate dalla procura (la pena prospettata, infatti, era di sette anni e undici mesi di reclusione).

 

10.1. Nell’attesa delle motivazioni di tale decisione, ci limitiamo a segnalare che a nessuno degli imputati sono state concesse le attenuanti generiche.

 

10.2. Ancor più peculiare è poi la decisione del Tribunale di ripartire in due distinti filoni i reati di cui Lucano è stato ritenuto responsabile duplicando i disegni criminosi e, di fatto, aumentando la pena finale. Facciamo un passo indietro: nella requisitoria i Pubblici Ministeri avevano ritenuto che il reato più grave contestato a Lucano[14] fosse la concussione (Capo 8) la cui cornice edittale spazia da 6 a 12 anni di reclusione: avevano dunque chiesto sei anni per la concussione, aumentata – in applicazione della disciplina dell’art. 81 co. 2 c.p., ravvisato un medesimo disegno criminoso – di un mese per ciascuno degli altri reati ‘satellite’, così giungendo alla pena finale di 7 anni e 11 mesi.

Il Tribunale ha invece assolto Lucano da questo reato (v. supra par. 7.1) e al contempo ha deciso di non riconoscere un unico disegno criminoso, bensì due distinti. La duplicazione dei vincoli di continuazione ha avuto come effetto ovvio e immediato la duplicazione delle pene base.

Nel primo filone, infatti, il reato-base è il peculato (pena da 4 a 10 anni), al quale si aggiungono gli altri sedici reati avvinti dalla continuazione (tra cui associazione per delinquere e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) che portano a una pena di 10 anni e 4 mesi di reclusione.

Il reato più grave del secondo filone, invece, è l’abuso di ufficio (pena da 1 a 3 anni), al quale si aggiungono altri cinque reati (tra cui falso in certificato) che innalzano la pena sino 2 anni e 10 mesi.

 

 

 

[1] Segnaliamo a tal proposito, tra i molti: A. Natale, Alcune riflessioni sparse a partire dalla cd. Vicenda Lucano, in Questione Giustizia, 18 ottobre 2021; l’intervista a Luigi Ferrajoli, La condanna di Mimmo Lucano è scandalosa. Frutto di settarismo giudiziario, rilasciata a Federica Olivo per l’Huffington Post il 1° ottobre 2021; il Comunicato di asgi, Criminalizzare la solidarietà significa tradire la Costituzione, del 2 ottobre 2021.

[2] Sprar è acronimo di Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Tale sistema – affossato dai decreti sicurezza del 2019 e ripristinato nel 2020 – prevede il coinvolgimento degli enti locali nella realizzazione di progetti di accoglienza integrata finanziati dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. In sostanza, a livello territoriale gli enti locali, insieme agli enti del terzo settore, sono chiamati a predisporre misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico che vanno oltre la mera distribuzione di vitto e alloggio.

I Cas sono, Centri di accoglienza straordinaria che sopperiscono alle costanti carenze di posti nelle strutture ordinarie di accoglienza o nei servizi predisposti dagli enti locali, in caso di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti. Vengono individuati dalle prefetture, tramite la stipula di apposite convenzioni con cooperative, associazioni e strutture alberghiere, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici, previo parere dell’ente locale nel cui territorio la struttura è situata.

I progetti Msna, invece, riguardano i percorsi di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.

[3] Il modello Riace ideato da Lucano prevedeva, da un lato, l’assegnazione in comodato d’uso ai richiedenti asilo delle case abbandonate presenti nel Comune e, dall’altro, l’investimento dei fondi stanziato dal Governo per l’accoglienza in borse lavoro e attività commerciali gestite dagli stessi richiedenti asilo insieme ai cittadini del paese. Proprio l’originalità e il forte carattere solidaristico di questa iniziativa valsero a Lucano, nel 2016, l’inserimento, da parte della rivista Fortune, tra le cinquanta personalità più influenti al mondo nel 2016. Più approfonditamente sul modello Riace si veda anche: M. Ricca, Riace, il futuro è presente. Naturalizzare “il globale” tra immigrazione e sviluppo interculturale, Bari, Dedalo, 2010.

[4] Nell’ordinanza del GIP venivano menzionati, in particolare, due matrimoni combinati: uno riguardava due cittadini etiopi, l’altro una giovane del Ghana con un abitante di Riace. Nessuno dei due matrimoni è mai stato celebrato.

[5] Nei parr. 15.4 ss. dell’ordinanza del GIP del 26 settembre 2018, par. 15.4.2 si legge che: «Appare invece attuale e concreto il pericolo che, se non sottoposti a regime limitativo della loro libertà personale, il Lucano e la Xxxx yyyy reiterino reati della stessa specie di quelli loro provvisoriamente addebitati. 15.4.1. Sebbene non integrante alcuno degli illeciti penali contestati nei restanti capi d’imputazione provvisoria, la gestione quantomeno opaca e discutibile dei fondi destinati all’accoglienza di cittadini extracomunitari tratteggia il Lucano come soggetto avvezzo a muoversi sul confine (invero sottile in tali materie) tra lecito ed illecito, pacificamente superato nelle vicende relative all’affidamento diretto dei servizi di pulizia della spiaggia di Riace ed al matrimonio fittizio tra la Xxxx yyyy ed il fratello. Avvalendosi e chiaramente abusando del ruolo rivestito l’uomo creava una fitta rete di contatti personali che ne agevolavano – chi più, chi meno consapevolmente – la perpetrazione dei delitti sopra indicati, e sulla quale tuttora potrebbe fare affidamento per tornare a delinquere. Se dunque è ancora fertile il retroterra culturale e politico sfruttato dall’indagato (ad oggi Sindaco di Riace) per porre in essere comportamenti penalmente stigmatizzabili, appare altrettanto evidente che l’incarico attualmente ricoperto e la copiosa presenza di stranieri sul territorio riacese potrebbero costituire occasioni propizie per l’adozione di atti amministrativi volutamente viziati o per la proposizione a soggetti extracomunitari di facili ed illegali scappatoie per ottenere l’ingresso in Italia. Generano poi stupore la dimestichezza e la spregiudicatezza dimostrate dall’uomo nella commissione di tale ultima categoria di illeciti: il Lucano, che già sapeva di essere indagato, non faceva mistero neanche di fronte a persone estranee al suo entourage di trasgredire intenzionalmente quelle norme civili ed amministrative delle quali proprio lui era in realtà tenuto per primo a garantire il rispetto. […] L’indagato vive oltre le regole, che ritiene d’altronde di poter impunemente violare nell’ottica del “fine che giustifica i mezzi”; dimentica, però, che quando i “mezzi” sono persone il “fine” raggiunto tradisce, tanto paradossalmente quanto inevitabilmente, quegli stessi scopi umanitari che hanno sorretto le proprie azioni. Per quanto visto sopra, al prevenuto si presenta quotidianamente l’opportunità di commettere reati analoghi a quelli oggi rimproveratigli (che, ovviamente, non si palesano commessi in presenza di cause di giustificazione o comunque esonerabili da pena per altro motivo)»

[6] V. ancora ord. 26 settembre 2018, par. 15.4.2.

[7] Si legge nel par. 4.2.: «Non emergono con la necessaria chiarezza di analisi, tuttavia, gli atti o i comportamenti che l’indagato avrebbe materialmente posto in essere per realizzare in concreto una serie di condotte che, allo stato, paiono solo assertivamente ipotizzate, e le cui note modali, peraltro, non vengono sotto alcun profilo tratteggiate, rimanendo addirittura contraddette dalla connotazione di collegialità propria di tutti gli atti di affidamento e dalla dedotta circostanza di fatto […] relativa alla pacifica presenza in ciascuna delle pertinenti delibere amministrative adottate nel corso della procedura seguita dai competente organi municipali, dei prescritti pareri di regolarità tecnica e contabile da parte dei rispettivi responsabili del servizio interessato»

[8] V. par. 5 dell’ordinanza in questione.

[9] Il testo così virgolettato dell’avviso di Garanzia viene riportato dal Post (30 settembre 2021), dal Fatto Quotidiano (12 aprile 2019) e dalla Stampa (12 aprile 2019).

[10] Gli stralci della decisione del Tribunale del Riesame sono riportati da ilReggino.it (7 luglio 2020) e dal Corriere della Calabria (8 luglio 2020).

[11] TAR Reggio Calabria, sent. n. 356/2019.

[12] Si tratta di altre otto persone che ricoprivano il ruolo di legali rappresentanti o dipendenti delle associazioni attive a Riace e coinvolte nei progetti di accoglienza ovvero di collaboratori di Lucano.

[13] Con riferimento a questo capo i giudici operano una riqualificazione del reato di abuso di ufficio ex art. 323 c.p. inizialmente ravvisato dal Pubblico Ministero

[14] I PM chiedono la condanna (cfr. requisitoria, ud. 17 maggio 21) per i Capi 1, 2, 5.A, 5.B, 5.B.1, 5.B.2, 5.B.3, 5.B.4, 5.B.5, 5.B.6, 5.B.9, 5.B.10, 6, 8, 9.1, 9.2, 9.3, 9.4, 11,15,16, 17, 19, 20 e 21 e l’assoluzione, invece, per i Capi 5 B.7, 5.B.8, 14 e 22.