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30 Ottobre 2024


Richiedenti asilo e decreto 'paesi sicuri': il Tribunale di Bologna propone un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE

Trib. Bologna – Sez. Immigrazione, ord. 25 ottobre 2024, Pres. Rel. Gattuso



1. Pubblichiamo in allegato l’ordinanza con cui il Tribunale di BolognaSezione specializzata in materia di immigrazione, all’esito della Camera di consiglio del 25 ottobre 2024, ha proposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di due questioni riguardanti la individuazione delle condizioni sostanziali che consentono la designazione di un paese di origine come ‘sicuro’, alla luce del d.l. 23 ottobre 2024, n. 158 (cd. ‘d.l. Paesi sicuri’). Brevemente, il Tribunale di Bologna era stato chiamato a pronunciarsi sul ricorso presentato da un richiedente asilo cittadino del Bangladesh contro la decisione della Commissione territoriale di Bologna che, all’esito di una trattazione con procedura accelerata, aveva dichiarato la sua domanda di protezione internazionale manifestamente infondata  in ragione della sua provenienza da un paese di origine sicuro e della mancata indicazione di gravi motivi per ritenere che il Bangladesh non  fosse sicuro per la particolare situazione in cui il richiedente si trovava.

Ad avviso del Tribunale, tuttavia, vi sono i presupposti per la proposizione di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, dovendosi preliminarmente risolvere «alcuni contrasti interpretativi che si sono manifestati nell’ordinamento italiano e che attengono alla disciplina rilevante contenuta nella Direttiva n. 2013/32/UE e, più in generale alla regolazione dei rapporti fra il diritto dell’Unione europea e il diritto nazionale». Dal momento, poi, che tali divergenze – tanto in materia di protezione internazionale che in relazione alla gerarchia delle fonti di diritto – hanno trovato «specifica espressione nel d.l. del 23 ottobre 2024», per il Tribunale sussiste «un interesse generale ad un chiarimento della Corte di Giustizia diretto ad assicurare l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione».

Come evidente, il caso a quo non riguarda uno dei dodici richiedenti asilo coinvolti nella vicenda dei centri in Albania; tuttavia, il diretto coinvolgimento del Bangladesh (ossia il Paese, insieme all'Egitto, da cui provenivano i richiedenti asilo condotti in Albania) nonchè la stretta comunanza dei temi coinvolti, rendono la questione cruciale per il futuro funzionamento dei centri dislocati sul territorio albanese destinati al trattenimento dei soli migranti provenienti da paesi “sicuri”, requisito che consente nei loro confronti l'applicabilità della cd. procedura accelerata per l'esame delle richieste di asilo. 

 

2. L’ordinanza richiama il contesto normativo italiano ed europeo (§§ 2 ss), nonché il contrasto interpretativo sorto intorno alla decisione della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024 (§ 3.2) e, in particolare, al dovere del giudice italiano di disapplicare il provvedimento nazionale di designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro quando, dalle informazioni fornite dalle organizzazioni internazionali competenti e acquisite dal giudice, emerga che in tale paese vi sono categorie di persone esposte al rischio concreto di persecuzioni o di danno grave.  

Da qui, la formulazione delle seguenti due questioni pregiudiziali.

2.1. Il primo quesito riguarda la possibilità di designare un paese come sicuro anche in presenza di forme generalizzate e costanti di persecuzione e rischi di danno grave nei confronti di gruppi minoritari presenti in tale paese.  La richiesta di chiarimento, dunque, attiene alla corretta interpretazione del diritto europeo e, in particolare se «ai sensi degli articoli 36, 37 e 46 della Direttiva 2013/32/UE e del suo Allegato I, il parametro sulla cui base debbono essere individuate le condizioni di sicurezza che sottendono alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro debba essere inderogabilmente individuato nella carenza di persecuzioni dirette in modo sistematico e generalizzato nei confronti degli appartenenti a specifici gruppi sociali e di rischi reali di danno grave come definito nell’Allegato I uno della direttiva 2013/32/UE, in particolare se la presenza di forme persecutorie o di esposizione a danno grave concernenti un unico gruppo sociale di difficile identificazione – quali ad esempio le persone LGBTIQA+, le minoranze etniche o religiose, le donne esposte a violenza di genere o a tratta ecc. – esclude detta designazione».

Il Tribunale – nell’argomentare la propria posizione sul punto – ricorda che «il sistema della protezione internazionale è per natura sistema giuridico di garanzia per le minoranze esposte a rischi provenienti da agenti statuali o meno» e, richiamando il caso della Germania nazista e dell’Italia fascista  (ossia paesi sicuri per la stragrande maggioranza della popolazione) osserva che «se si dovesse ritenere sicuro un paese quando la sicurezza è garantita alla generalità della popolazione la nazione giuridica di paesi di origine sicuro si potrebbe applicare a pressoché tutti i paesi del mondo e sarebbe dunque una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica».

 

2.2. Il secondo quesito, invece, chiama il giudice europeo a chiarire «se il principio del primato del diritto europeo ai sensi della consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea imponga di assumere che, in caso di contrasto fra le disposizioni della direttiva 2013/32/UE in materia di presupposti dell’atto di designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro e le disposizioni nazionali, sussista sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare queste ultime, in particolare se tale dovere per il giudice di disapplicare l'atto di designazione permanga anche nel caso in cui detta designazione venga operata con disposizioni di rango primario, quale la legge ordinaria».