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  Notizie  
05 Novembre 2024


Il Tribunale di Catania disapplica il d.l. paesi sicuri per contrasto con il diritto UE

Trib. Catania, Sez. immigrazione, decreto del 4 novembre 2024



Ancora in tema di ‘paesi sicuri’, segnaliamo il decreto del 4 novembre 2024 con cui il Tribunale di Catania – Sezione immigrazione non ha convalidato il trattenimento presso l’hotspot di Pozzallo di un richiedente protezione internazionale proveniente dall’Egitto.

Come per il caso dei migranti condotti in Albania, la provenienza da un Paese terzo qualificato come sicuro ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 bis d.lgs. n.142/2015 e 28-bis, co. 2, lett. b-bis), d.lgs. n. 25/2008, aveva fatto sì che la domanda di protezione internazionale fosse incanalata nella cd. procedura accelerata che, sulla base di una presunzione di protezione sufficiente nel paese di origine, determina un più rapido esame della domanda durante il quale lo straniero è sottoposto a trattenimento amministrativo nelle zone di frontiera.

Chiamato a pronunciarsi sul trattenimento disposto dal Questore di Ragusa, il Tribunale di Catania – in linea con le decisioni assunte nelle scorse settimane da altri Tribunali italiani – non ha convalidato il trattenimento, ritenendo l’Egitto un Paese non sicuro alla luce del diritto dell’Unione Europea.

Il provvedimento merita attenzione perché si tratta della prima pronuncia dopo l’entrata in vigore del d.l. 23 ottobre 2024 n. 158 che, modificando l’art. 2 bis del d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ha incluso l’Egitto in una lista di paesi sicuri – contenuta in una fonte di rango primario – che non prevede eccezioni, né per aree territoriali né per caratteristiche personali.

 

Come più ampiamente argomentato nella decisione allegata, il Tribunale di Catania ha ritenuto che «tale qualificazione non esime il giudice dall’obbligo di verifica della compatibilità di tale designazione con il diritto dell’Unione europea, obbligo affermato in modo chiaro e senza riserve dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 4 ottobre 2024 della Grande Camera, nel procedimento C-406/2022, avviato con rinvio pregiudiziale dal Tribunale di Brno (Repubblica ceca) e dalla Corte costituzionale (da ultimo Corte Costituzionale - 12/02/2024, n. 15)».

Ed infatti, proprio la sentenza della Corte di Giustizia europea ha chiarito che il giudice ha l’obbligo di verificare, anche d’ufficio, quantomeno nei casi in cui la provenienza da Paese di origine sicuro è la ragione esclusiva dell’adozione della procedura accelerata, la compatibilità della designazione con le condizioni stabilite dalla Direttiva Procedure per la designazione stessa[1]. Tale onere di controllo sulla correttezza della designazione deriva dal fatto che la «designazione di un Paese come di “origine sicuro” determina “un regime particolare di esame avente carattere di deroga”» che, nel caso italiano, comportano non solo una compressione dei tempi di difesa ma anche la privazione della libertà personale dello straniero, nelle forme del trattenimento ammnistrativo.

Ciò premesso, nonostante la qualificazione quale ‘paese sicuro’ contenuta nel d.l. 158/2024, il Tribunale di Catania riscontra che dalle COI (Country of Origin Information) relative all’Egitto – ossia le schede-paese redatte dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, non superate da altre diverse informazioni, né dal d.l. 158/2024 – emergono una serie di gravi criticità connesse al rispetto dei diritti umani (in particolare con riguardo a: pena di morte, libertà personale, di parola e di stampa, equo processo, libertà di religione, tortura, persecuzioni…) «che evidenziano l’esistenza in Egitto di gravi violazioni dei diritti umani, che – in contrasto con il diritto europeo citato – persistono in maniera generale e costante ed investono non solo ampie e indefinite categorie di persone […] ma anche il nucleo stesso delle libertà fondamentali che connotano un ordinamento democratico e che dovrebbero costituire la cornice di riferimento in cui si inserisce la nozione di Paese di Sicuro secondo Allegato I alla direttiva 2013/32/UE».

Alla luce di tale quadro, per il Tribunale «non resta che disapplicare ai fini della presente decisione il decreto-legge 23.10.2024, posto che, come è noto, le sentenze interpretative della Corte di giustizia dell’Unione europea vincolano il giudice nazionale anche se appartenente ad altro Stato membro rispetto a quello che ha proposto il rinvio pregiudiziale». Principio, si ricorda, recentemente ribadito anche dalla Corte costituzionale italiana nella sentenza n. 15/2024 ove si è chiarito che «Il principio del primato del diritto dell’Unione discende dal principio dell’eguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati (art. 4 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea), che esclude la possibilità di fare prevalere, contro l’ordine giuridico dell’Unione, una misura unilaterale di uno Stato membro […]. L’obbligo di dare applicazione al diritto dell’Unione, quando ne ricorrono i presupposti, implica che esso sia interpretato in modo uniforme in tutti gli Stati membri»[2].

 

A richiamo della complessità del quadro, ricordiamo la recente ordinanza del Tribunale di Bologna che ha proposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione sulla corretta individuazione delle condizioni sostanziali che consentono la designazione di un paese di origine come ‘sicuro’, nonché l’attesa decisione della Cassazione civile (prevista per il prossimo 4 dicembre) sul ricorso presentato contro la mancata convalida del trattenimento dei migranti nei centri albanesi.

 

(Giulia Mentasti)

 

 

 

 

[1] Par. 98 della decisione richiamata: «quando un giudice è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell’ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da paesi terzi designati come paese di origine sicuro, conformemente all’articolo 37 di tale direttiva, tale giudice, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto articolo 46, paragrafo 3, deve rilevare, sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento dinanzi ad esso, una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso».

[2] Corte cost. 12 febbraio 2024, n. 15, considerando n. 6.