Nota a C. ass. Santa Maria Capua Vetere, Sez. I, ord. 10 giugno 2020, Pres. Napoletano, Est. De Santis
1. Il rapporto tra giudizio abbreviato e reati puniti con l’ergastolo è sempre stato tormentato[1], sin dalla promulgazione del codice di rito del 1988 con l’introduzione di un rito del tutto inedito. Sono note le vicende che ne hanno segnato il percorso[2].
Nell’ultimo lustro il dibattito pubblico si era riacceso a causa di alcuni verdetti ‘eclatanti’ che non avevano pienamente appagato le istanze retribuzioniste agitate da più parti. La legge n. 33 del 2019 (c.d. legge Molteni), varando la ‘ostatività’ dell’ergastolo al rito abbreviato, sembrava aver messo la parola fine ai tormenti, assecondando logiche rigoristiche di law enforcement caratteristiche dell’attuale populismo penale. La discussione sul tema sembrava essersi presto sopita; e invece, negli ultimi mesi essa ha ricevuto nuova linfa grazie ad alcuni provvedimenti che hanno vagliato le eccezioni di incostituzionalità sollevate dalle difese, in un contesto in cui, anche volendo prescindere dalle riflessioni radicali sulla pena perpetua[3] (il c.d. fine pena mai o, in modo ancora più suggestivo, il life nel sistema americano), l’atteggiamento nei confronti dell’ergastolo sembra lentamente mutare[4].
Si ha notizia, in particolare, di quattro ordinanze emesse da diversi giudici di merito. Il G.i.p. del Tribunale di La Spezia[5] e la Corte d’assise di Napoli[6] hanno promosso l’incidente di costituzionalità dinanzi al Giudice delle leggi, mentre il G.i.p. del Tribunale di Alessandria[7] e la Corte d’assise di Santa Maria Capua Vetere, nel provvedimento in epigrafe, hanno respinto per manifesta infondatezza le questioni sollevate.
2. I profili di costituzionalità scrutinati nell’ultima ordinanza richiamata sono quelli della ragionevolezza della scelta legislativa (art. 3 Cost.) e della ragionevole durata del processo (art. 111 co. II Cost.). Non prima, però, di aver valutato positivamente la rilevanza della questione. Sotto tale profilo è risultato cruciale che l’imputato avesse formulato, nonostante la preclusione normativa, tempestiva istanza di giudizio abbreviato a seguito della emissione di decreto di giudizio immediato. In caso contrario, l’eccezione sarebbe stata fatalmente respinta[8]. L’eccezione non supera, tuttavia, il secondo step, quello incentrato sul vaglio di non manifesta infondatezza della questione sollevata. Ma procediamo con ordine.
La Corte prende l’abbrivio da un succinto excursus sull’istituto processuale, evidenziando la “mutazione genetica” che il rito abbreviato avrebbe subito nel corso degli anni e rievocando, con precipuo riferimento ai reati puniti con l’ergastolo, gli snodi della declaratoria di incostituzionalità per eccesso di delega del 1991[9] e della riforma Carotti del 1999[10].
Viene quindi enunciata la ratio sottesa alla modifica normativa del 2019, consistente in quella di “garantire una risposta sanzionatoria severa ed intensa in presenza di fatti di particolare gravità e tali da destare elevato allarme sociale, in linea con la perdurante richiesta di maggiore repressione che caratterizza gli atteggiamenti emotivi delle grandi masse”. Inoltre, la legge n. 33 del 2019, imponendo la celebrazione del processo dinanzi alla corte d’assise, avrebbe perseguito l’ulteriore obiettivo di politica criminale di “assoggettare ad un giudizio anche popolare i fatti considerati di maggiore gravità, assecondando un impulso adeguatore della legge alla mutevole coscienza del popolo”.
Nel contempo la Corte sammaritana segnala, con accento critico, alcuni “problemi applicativi” che la riforma rischia di produrre: 1) ricadute negative sul “complessivo assetto del sistema giudiziario” e, in particolare, l’impatto sul “carico di lavoro” delle corti d’assise, con conseguente “allungamento dei tempi di definizione dei processi”; 2) disincentivo alla scelta di collaborare con la giustizia.
Nonostante i delineati profili di criticità, la riforma sarebbe però “espressione di una scelta di politica legislativa”, peraltro coerente con l’attuale humus, le cui principali linee di tendenza sarebbero: 1) “energica valorizzazione del diritto penale sostanziale quale strumento centrale di inibizione dei mali sociali”; 2) “ricerca (spasmodica, ndr) della legittimazione democratica e della colorazione popolare dei giudizi di maggiore rilievo sociale”. Opzione che, secondo la Corte d’assise, sfuggirebbe alla promossa censura costituzionale.
3. Così ampio spazio è dedicato, anzitutto, al profilo della denunciata irragionevolezza. In ordine a questo parametro, la Corte evoca la costante giurisprudenza costituzionale secondo cui “la determinazione del trattamento sanzionatorio per i fatti previsti come reato è riservata alla discrezionalità del legislatore, entro il limite della non manifesta irragionevolezza delle scelte legislative”.
Rispetto a tale vaglio, soprattutto in ambito penale, assume importanza cruciale “la presenza di un tertium comparationis”. Ebbene, proprio nello svolgere questa operazione (“un giudizio triadico”), la Corte sammaritana esclude qualsiasi “sperequazione sanzionatoria”, in ragione del carattere “omnicomprensivo” della preclusione, estesa “a tutte le fattispecie di reato ritenute di gravità tanto intensa da risultare bisognevoli di una risposta punitiva massimamente energica”.
D’altra parte, secondo la Corte, l’imputato non sarebbe leso nelle sue prerogative difensive di natura squisitamente strategica, restando impregiudicata l’opzione di acconsentire “all’acquisizione dei risultati dell’attività svolta nella fase delle indagini preliminari” e rinunciare “all’istruttoria dibattimentale”. In tal modo egli conseguirebbe una doppia utilità: 1) rapidità della decisione; 2) trattamento sanzionatorio più mite (in ragione del comportamento processuale ‘collaborativo’). Modello corrispondente, in buona sostanza, a una sorta di abbreviato ‘dissimulato’.
Rischi di sperequazione – rispetto a chi, in ragione del titolo di reato, non ha ostacoli nell’accesso al rito premiale – sarebbero poi neutralizzati dal meccanismo che consente il recupero dell’effetto premiale in caso di esclusione, all’esito del dibattimento, dell’aggravante ‘commutativa’ (tecnicamente, una circostanza c.d. autonoma ex art. 63 co. III c.p.). Ciò scongiurerebbe “l’inaccettabile eventualità di una radicale preclusione dello sconto di pena fondata sulla mera prospettazione accusatoria”.
D’altra parte, la violazione del principio di uguaglianza non sarebbe in alcun modo prospettabile in considerazione del fatto che “la posizione di imputati di reati di differente gravità non è uguale, così come non è uguale la posizione di imputati di reati commessi in tempi diversi”.
4. Il secondo parametro vagliato è quello della ragionevole durata. A giudizio della Corte d’assise la riforma non si porrebbe in contrasto con l’art. 111 co. II Cost. per due ordini di ragioni.
In primo luogo, l’imputato conserverebbe intatta la possibilità di governare i tempi del processo “attraverso scelte collaborative”, id est consenso all’acquisizione degli atti di indagine e rinuncia all’istruzione dibattimentale.
Secondo la Corte, poi, il principio della ragionevole durata dovrebbe essere bilanciato, con esito recessivo, rispetto al “fondamentale valore della vita umana”, che costituirebbe il sostrato di buona parte delle fattispecie incriminatrici punite con la pena perpetua. In tale prospettiva essa richiama anche i vincoli convenzionali, evocando il precetto enucleabile dall’art. 2 CEDU, che sancisce l’obbligo, a carico delle Alte Parti contraenti, di adottare misure adeguate a proteggere la vita umana. E dunque, la preclusione all’abbreviato si inserirebbe in “un quadro giuridico e amministrativo atto a scoraggiare la commissione di reati contro la persona”.
Infine, l’ordinanza reiettiva invoca a proprio suffragio il pronunciamento del Consiglio Superiore della Magistratura, che, pur segnalando ricadute negative in termini di efficienza del sistema, si era espresso nel senso della costituzionalità della proposta di legge Molteni[11].
5. Operato un breve resoconto della trama argomentativa su cui poggia l’ordinanza sammaritana, proviamo a sviluppare alcune considerazioni critiche e ad offrire una diversa visuale sul tema.
Al riguardo va subito segnalato un passaggio ricostruttivo dell’istituto che la Corte non prende in considerazione[12]. Il riferimento è all’approdo sancito con la nota sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Scoppola contro Italia[13]. Pronuncia assurta all’onore delle ‘cronache scientifiche’ per aver prodotto un significativo revirement nella giurisprudenza europea: da quel momento si è riconosciuto rilievo convenzionale al principio di retroattività della lex mitior. Ma è anche la sentenza che si è occupata della qualificazione della norma che prevede lo sconto di pena in caso di giudizio abbreviato, concludendo per la sua natura sostanziale[14]. Dunque, da quel momento, il regime del rito speciale deve essere governato, de lege lata e de lege ferenda, tenendo conto della stretta, ineludibile correlazione tra scelta processuale e trattamento sanzionatorio.
Tale ‘omissione’ non può essere sottovalutata, tenuto anche conto del diverso raggio d’azione che, secondo la giurisprudenza costituzionale, gioca il parametro della ragionevolezza a seconda che riguardi istituti di natura sostanziale o processuale. Nel secondo caso, infatti, il margine di discrezionalità riconosciuto al legislatore è più ampio, incontrando il solo limite della “manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute”[15].
6. In effetti, proprio alla luce di questo presupposto esegetico, l’idea che la riforma del 2019 sia indenne da censure di irragionevolezza non convince. In tal senso occorre anzitutto rammentare, a titolo di premessa, che il vaglio demandato al giudice investito della questione non può essere improntato a uno standard troppo rigoroso, in quanto, pur operando da filtro, non deve esprimersi in termini di indebita anticipazione del giudizio riservato al Giudice delle leggi.
Ciò posto, vanno rimarcati due aspetti di sicuro rilievo, che l’ordinanza in commento sembra invece obliterare. Primo: nell’ambito della giurisprudenza costituzionale la ragionevolezza si è progressivamente affrancata “dal giudizio di comparazione costruito su uno schema ternario” ed è diventata “canone a sé stante”[16]. Secondo: uno dei primi parametri “intrinseci” alla ragionevolezza è rappresentato dalla “coerenza”, definibile come la “rispondenza logica della norma rispetto al fine perseguito dalla legge ovvero alla sua ratio”[17]; difetta, pertanto, il requisito della ragionevolezza laddove “la legge manca il suo obiettivo e tradisce la sua ratio”[18].
La legge Molteni persegue il dichiarato scopo di inibire alla fattispecie processuale di ridimensionare l’afflittività della sanzione astratta prevista per reati di particolare allarme sociale rendendola ‘inadeguata’. In tale prospettiva, introducendo la descritta preclusione, impedisce: 1) che la pena dell’ergastolo sia commutata in quella temporanea di trent’anni di reclusione; 2) che la pena ‘complessa’ dell’ergastolo con isolamento diurno sia diminuita in ergastolo ‘semplice’.
Ebbene, non è ragionevole – anche solo sul piano del buon senso – sostenere che tali commutazioni generino trattamenti sanzionatori non proporzionati alla gravità dei fatti incriminati. Non solo nella seconda ipotesi, semplicemente auto-evidente. Ma anche nella prima.
Al riguardo si tenga anzitutto conto che, dal punto di vista biologico, lo spazio temporale di trent’anni costituisce circa la metà della vita “adulta”[19] di una persona, almeno in Italia[20].
Secondo. Dal punto di vista giuridico si deve considerare che: 1) l’estensione massima della pena della reclusione prevista dal nostro ordinamento corrisponde a ventiquattro anni (art. 23 co. I c.p.); 2) il c.d. criterio moderatore fissa proprio in trent’anni il tetto massimo della reclusione applicabile in caso di concorso di reati (art. 78 co. I n. 1) c.p.)[21]; 3) alcune ipotesi aggravate di omicidio volontario sono punite con la pena massima di trent’anni di reclusione (art. 577 co. II c.p.).
D’altra parte, tenuto conto che l’ergastolano può ottenere la liberazione condizionale trascorsi ventisei anni di detenzione (in cui vanno considerati anche i periodi di liberazione anticipata), non può ragionevolmente sostenersi che la pena della reclusione di trent’anni sia, ad un ragguaglio effettivo, troppo blanda rispetto a quella perpetua[22].
Valutazioni che vanno poi calate nel contesto costituzionale, ove, in materia di pena, impera il principio della finalità rieducativa (art. 27 co. III Cost.). A prescindere dalla predicata polifunzionalità[23], è con questa dimensione teleologica – l’unica imposta dalla fonte sovraordinata – che si deve fare i conti per valutare la proporzionalità/adeguatezza della sanzione.
In realtà la disamina dei casi giudiziari che hanno prodotto reazioni negative in parte dell’opinione pubblica dimostra che i meccanismi suscettivi di ridimensionare ‘drasticamente’ la durata della pena edittale sono altri. L’esempio più emblematico è rappresentato dall’imputazione di omicidio volontario con aggravante ‘commutativa’ (ad es. la premeditazione, i motivi abietti e futili, etc.). In questi casi è il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee ex art. 69 c.p. a ‘stravolgere’ il risultato sanzionatorio laddove l’aggravante si stimi sub-valente[24].
D’altra parte non si deve dimenticare che la diminuente per il rito si applica come ultima operazione algebrica[25]. Ciò dovrebbe rendere evidente che l’abbreviato non è, ex se, in grado di sovvertire l’esito commisurativo.
Nella prospettiva del principio di eguaglianza stricto sensu, la censura di incostituzionalità si mostra forse più debole; pur tuttavia due considerazioni vanno sviluppate. In primo luogo il criterio discretivo settato sulla pena edittale non consente una selezione ponderata (dal punto di vista criminologico) e sufficientemente mirata, a differenza di quello ‘nominativo’, adottato ad es. per limitare l’accesso al patteggiamento c.d. allargato (art. 444 co. 1-bis c.p.p.).
Secondo. Non si può certo scotomizzare l’ormai consolidato approdo della giurisprudenza costituzionale in ordine ai rapporti tra presunzioni assolute e automatismi. Gli ambiti più fecondi della riflessione si sono rivelati quello delle misure cautelari[26] e quello dell’accesso ai benefici penitenziari[27]. Ma il principio di fondo[28] è ad ampio spettro e può senz’altro rilevare, mutatis mutandis (sostituendo alla osservazione empirico-criminologica quella ‘giudiziaria’), anche con riferimento all’accesso al rito abbreviato[29].
Potremmo ragionare in questi termini: la preclusione all’abbreviato sembra fondare sulla generalizzazione in virtù della quale la scelta del giudizio abbreviato produce il risultato di “pene notevolmente ridotte rispetto alla pena perpetua inizialmente prevista dal codice penale”[30]. Sennonché, tale presunzione è contraddetta dal fatto che la drastica flessione del trattamento sanzionatorio, come si è cercato di dimostrare, in realtà discende da altri fattori (riqualificazione, bilanciamento).
In conclusione, si tratta di una norma che preclude ad una (eterogenea) platea di soggetti di esercitare il diritto alla scelta di un rito premiale, in difetto di un rischio di inadeguato trattamento sanzionatorio derivante dal mero accesso al rito e senza conseguire l’obiettivo di inibire che la pena irrogata in concreto sia, secondo una certa prospettiva ideologica, “troppo mite”. E, dunque, si rivela irragionevole.
7. Per quanto riguarda il parametro della ragionevole durata, andrebbe innanzitutto ricordato, a titolo di premessa di qualsiasi ragionamento sul tema, che la Costituzione lo declina ‘in positivo’, onerando il legislatore ordinario di attivarsi per sviluppare appositi strumenti che ne assicurino il rispetto. D’altra parte l’art. 111 co. II Cost. impone la ragionevole durata ‘del’ processo, non ‘dei’ processi. Ergo, il legislatore deve individuare elementi strutturali che garantiscano la ragionevole durata di tutti i processi e non limitarsi a indennizzare le vittime di quelli che, ex post, si siano rivelati troppo lunghi. Questa prospettiva implica che l’impatto operativo delle riforme (come potrebbe essere, in senso negativo, l’ingolfamento dei ruoli delle corti d’assise) debba essere preso in considerazione. Insomma, il precetto costituzionale deve essere letto anche nel suo versante oggettivo: ragionevole durata come virtuosa connotazione della giurisdizione[31].
Inoltre, non si può trascurare che nella recente giurisprudenza costituzionale il profilo della “efficienza dell’amministrazione della giustizia penale” è assurto al rango di valore costituzionale[32]. Difficile, allora, ignorare le ricadute pratiche di un intervento normativo.
Ma vi è di più. Proprio raccordandoci a quanto evidenziato a proposito della ‘incoerenza’ della riforma, è utile ricordare che già da tempo il Giudice delle leggi considera lesive del principio di ragionevole durata del processo le “norme procedurali che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorretta da alcuna logica esigenza”[33].
Fatte queste premesse, l’ordinanza in epigrafe presta il fianco a rilievi critici anche nella parte in cui vaglia la novella alla luce del richiamato parametro, perché guarda al principio della ragionevole durata solo sul suo versante soggettivo, inteso, dunque, quale diritto dell’imputato; peraltro, nel prospettare la possibilità di ridurre i tempi del processo prestando il consenso all’acquisizione degli atti di indagine, dimentica che al giudice del dibattimento residua, ai sensi dell’art. 507 co. 1-bis c.p.p., il potere di disporre egualmente l’audizione delle fonti dichiarative. In questo modo l’opzione strategica non configurerebbe un vero diritto potestativo, bensì una mera aspettativa condizionalmente subordinata alle valutazioni discrezionali del giudice.
8. Appare inoltre significativa l’analisi della disposizione che consente il recupero dell’effetto premiale. Secondo l’art. 438 co. 6-ter c.p.p. il giudice applica la riduzione di pena “se all’esito del dibattimento ritiene che per il fatto accertato sia ammissibile il giudizio abbreviato”. Ci si deve allora chiedere se nel cono operativo della norma rientrino solo le ipotesi di derubricazione e di esclusione della sussistenza dell’aggravante ‘commutativa’ oppure anche il caso della equivalenza/sub-valenza di quest’ultima in sede di comparazione ex art. 69 c.p. In altre parole si tratta di comprendere se la fattispecie sia imperniata sulla punibilità ‘in astratto’ o su quella ‘in concreto’[34].
Ed ecco che tale disposizione, nata con le migliori intenzioni (sterilizzare il rischio di imputazioni strumentali a precludere il rito premiale), finisce per dischiudere un piccolo vaso di pandora[35].
Se si circoscrive l’operatività del meccanismo di recupero alle sole operazioni di esclusione/riqualificazione si rischia di generare indebite sperequazioni: gli imputati che si vedano riconoscere attenuanti suscettive di elidere l’ergastolo evidentemente non erano meritevoli della massima sanzione; perché, allora, privarli dell’effetto premiale proprio di un rito al quale volevano accedere?
Se, invece, si opta per la massima estensione[36], si vulnera la ragionevole durata ‘oggettiva’: la norma consentirebbe la celebrazione di dibattimenti ‘inutili’ in un numero cospicuo di procedimenti. Con l’effetto paradossale di una declaratoria di incostituzionalità che potrebbe colpire (ovviamente pro futuro, in quanto in malam partem) proprio la fattispecie tesa a un recupero, quanto meno, dello sconto di pena.
In ogni caso un siffatto meccanismo di recupero della premialità si rivela stravagante: si ammette una richiesta inammissibile, sul presupposto ‘ipotetico’ di una sua potenziale ammissibilità postuma.
Vale la pena segnalare l’eccentricità rispetto alle fattispecie processuali cui il meccanismo evidentemente si ispira. L’istanza di abbreviato condizionato viene ‘rigettata’ (e non, si badi, dichiarata inammissibile) perché non soddisfa i parametri di cui all’art 438 co. 5 c.p.p.; l’accesso al rito o, almeno, lo sconto di pena si recupera all’esito di un sindacato sulla valutazione espressa in precedenza. Nel caso disciplinato dall’art. 438 co. 6-ter c.p.p., invece, si rende “ricevibile” un’istanza inammissibile perché potrebbe produrre effetti giuridici a condizione che lo scenario sanzionatorio muti.
Istituto che suona ‘innaturale’ e che, quanto meno, sembra una creatura inedita: una sorta di inammissibilità condizionalmente sospesa.
9. L’ordinanza che si annota offre anche interessanti spunti di riflessione intorno al principio di naturalità[37]. Si legge nel provvedimento che, con la novella, il legislatore, al di là del versante sanzionatorio, avrebbe anche voluto conseguire l’obiettivo di riservare alla corte d’assise, ossia ad un giudice collegiale a composizione parzialmente popolare[38], la competenza a decidere sui delitti “considerati di maggiore gravità”[39].
Al riguardo va però chiarito che questo aspetto è assente nelle intenzioni del legislatore storico. Di esso non vi è traccia alcuna nella relazione di accompagnamento alla presentazione del progetto di legge, ove si indugia solo sul problema del trattamento sanzionatorio[40]. D’altra parte, eloquente prova di quanto qui sostenuto si ricava dal comma 2-bis dell’art. 429 c.p.p. (del pari introdotto dalla legge n. 33 del 2019), il quale, nel consentire la richiesta ‘tardiva’ di abbreviato in caso di riqualificazione giuridica ad opera del g.u.p., fa salve le disposizioni di cui all’art. 458 c.p.p. e, dunque, la competenza funzionale del g.i.p. per la trattazione del rito speciale.
Il tema della naturalità era invece centrale nella proposta di legge Morani, poi però assorbita dalla proposta Molteni durante i lavori parlamentari; proposta che, coerentemente, prevedeva la competenza funzionale della corte d’assise a celebrare il giudizio abbreviato anche per reati elencati all’art. 5 c.p.p. diversi da quelli puniti con l’ergastolo[41].
Tuttavia, la prospettiva appare stimolante, in quanto spinge a riflettere sul concetto di naturalità; ovviamente partiamo dall’assunto condivisibile che esso abbia un significato precettivo diverso e ulteriore rispetto a quello espresso dalla locuzione ‘precostituito’. Ebbene, coloro che sostengono tale tesi sono soliti argomentarla con riferimento alla competenza territoriale, evocando la necessità che essa si radichi in base al locus commissi delicti[42]. Ci si dovrebbe chiedere se la naturalità possa essere declinata anche rispetto alla competenza ratione materiae e a quella funzionale. Si potrebbe, in altre parole, sostenere che il giudice ‘naturale’ per i più gravi delitti sia un organo collegiale e che sia composto anche da giudici popolari, per consentire il c.d. giudizio dei pari allorquando si tratti di infliggere le pene più severe. Il tutto in una lettura coordinata-integrata dei precetti contenuti negli artt. 25 co. I e 102 co. III Cost.[43].
In ogni caso, anche volendo coltivare questa prospettiva, non vi è dubbio che la competenza sia una variabile indipendente rispetto al rito. Si può così immaginare che la cognizione sia riservata in ogni caso alla corte d’assise, anche per la celebrazione del giudizio abbreviato. D’altra parte, anche oggi, a legislazione vigente, il sistema prevede che la corte d’assise diventi giudice dell’abbreviato nel caso in cui la richiesta di rito condizionato sia stata ingiustamente respinta dal g.u.p. e venga reiterata in limine litis[44], così come nell’ipotesi di vicende modificative dell’imputazione durante il dibattimento[45].
10. Sia infine consentita, rispetto all’ordinanza che si annota, qualche considerazione critica di carattere generale. La prima riguarda, per così dire, il taglio del provvedimento che – a differenza delle ordinanze di La Spezia e Alessandria – non lascia trasparire un confronto pieno con gli argomenti sviluppati dalla difesa, evocati solo in apertura, con rinvio a quanto dedotto analiticamente a verbale.
Secondo. L’ordinanza sembra tradire un approccio tutto sommato ‘accondiscendente’ alle venature populiste che animano la riforma[46]. Ed invece appare fuor di dubbio che l’aspirazione a pene esemplari, sottesa alla legge Molteni, si ponga fuori dalla cornice costituzionale, ostandovi il principio di personalità della responsabilità di cui all’art. 27 co. I Cost. Il punto è che alcuni valori sanciti dalla Costituzione per il volet pénal sono contro-intuitivi[47]. Questo, però, non consente di rassegnarci a un divario culturale, semmai di impegnarci per colmarlo[48].
Il caso in esame è davvero emblematico del gap. Una sana prospettiva costituzionale – ossia una prospettiva di esaltazione delle garanzie individuali – dovrebbe essere diametralmente opposta a quella che ispira la legge n. 33 del 2019. Ci si dovrebbe semmai chiedere se il consenso dell’imputato[49] possa essere valido presupposto per rinunciare al contraddittorio poietico[50] in giudizi in cui il cittadino rischi l’ergastolo.
11. E allora non resta che attendere il giudizio della Corte costituzionale sulla questione sollevata dal G.i.p. di La Spezia. L’udienza è fissata per il prossimo 20 settembre. Il Giudice costituzionale cui è stata affidata la relazione è Viganò[51].
Sembra lecito coltivare qualche speranza. D’altra parte la Corte costituzionale, specie nell’attuale composizione, mostra di assegnare rango preminente al principio della ragionevole durata del processo, accanto al quale, come si diceva, valorizza quello inedito della efficienza dell’amministrazione della giustizia penale. Sia chiaro, ci sentiamo distanti da questi recenti approdi laddove appaiano tesi a validare inaccettabili compressioni delle garanzie processuali[52], ma che invece potrebbero essere utili per rinvigorire il principio della ragionevole durata nella sua connotazione oggettiva di attributo della giurisdizione. In tale ottica, la verifica dell’impatto operativo delle modifiche normative rispetto al complessivo funzionamento della amministrazione della giustizia potrebbe costituire un utile parametro. E qui rileva, rispetto alla riforma del 2019, non solo la congestione delle corti d’assise, ma anche la duplicazione dei procedimenti in caso di imputazioni cumulative[53].
In conclusione non è affatto scontato che l’incidente promosso dal Giudice spezzino stia andando incontro ad un esito ineluttabilmente infausto, ad onta di quanto gli scettici commentatori sembrano preconizzare.
12. In ogni caso, quale che sia la sorte dell’incidente di costituzionalità, l’occasione è proficua per riflettere sull’opzione di politica criminale sottesa alla legge n. 33 del 2019.
Come si evidenziava in apertura, essa è certamente in linea con il populismo penale che sembra dominare la legislatura in corso. Trend che però, proprio in materia di riti alternativi, mostra di seguire un movimento pendolare. Da un lato si restringe l’area d’accesso al rito abbreviato, inibendolo proprio per quel cluster di reati che presentano il più alto indice statistico di definizione con questa forma di giudizio, con il rischio di produrre una significativa contrazione delle richieste. Dall’altro, nel più volte annunciato progetto di riforma della giustizia penale, si allargano le maglie di operatività dei procedimenti speciali, abbreviato compreso[54].
Plastica dimostrazione che il populismo non può offrire prodotti razionali e difficilmente consente organiche riforme di sistema.
[1] In tal senso, letteralmente, Maffeo V., Questioni in tema di rito abbreviato, in Libro dell’anno del Diritto 2013, Treccani.
[2] Maffeo V., Il giudizio abbreviato, E.S.I., Napoli, 2004, p. 188 ss.; Id., Il contributo giurisprudenziale all’evoluzione del giudizio abbreviato, E.S.I., Napoli, 2016, p. 144 ss.; Montagna M., voce Giudizio abbreviato, in Dig. disc. Pen., Agg. **, UTET, Torino, 2004, p. 335 ss.; Suraci L., Il giudizio abbreviato, E.S.I., Napoli, 2008, p. 51 ss.
[3] Ferrajoli L., Ergastolo e diritti fondamentali, in Dei delitti e delle pene, 1992, fs. II, p. 79 ss.; Dolcini E., La pena detentiva perpetua nell’ordinamento italiano, in Dir. pen. cont., 17 dicembre 2018, che affronta anche il tema dei rapporti tra ergastolo e opinione pubblica. Proprio in ordine a tale ultimo profilo si veda anche Gatta G.L., Presentazione. Superare l’ergastolo ostativo: tra nobili ragioni e sano realismo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1495 ss., che evidenzia la necessità di una vera e propria “battaglia civile, di tipo culturale, nella direzione della umanizzazione della pena”, affinché i discorsi sul superamento dell’ergastolo non restino nel “circolo ristretto di studiosi illuminati”.
[4] Cfr. C. cost., 21 giugno 2018, n. 149, Pres. Lattanzi, Red. Viganò, ove si afferma “il principio della non sacrificabilità della funzione rieducativa sull’altare di ogni altra, pur legittima funzione della pena”. Cruciali, nel percorso evolutivo di cui si parla nel testo, C. edu, 13 giugno 2019, Viola vs Italia, application n. 77633/16, e C. cost., 23 ottobre 2019, n. 253, Pres. Lattanzi, Red. Zanon.
[5] Cfr. G.i.p. La Spezia, De Bellis, 6 novembre 2019, ord., reperibile su Giur. Pen. Web, 23 gennaio 2020. L’ordinanza spezzina va senz’altro segnalata all’attenzione del lettore, non solo per l’articolato tessuto motivazionale, ma anche perché relativa ad una vicenda “da manuale”: l’imputato viene accusato di omicidio volontario pluriaggravato ai danni del coniuge, con condotta commessa ante novella ed evento verificatosi successivamente, con conseguenti profili ermeneutici legati alla successione normativa. Il provvedimento è stato commentato da Spangher G., L’ergastolo e l’accesso al rito abbreviato. La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di La Spezia con l’ordinanza del 6 novembre 2019, in Giustizia insieme, 7 febbraio 2020.
[6] Cfr. C. ass. Napoli, III Sez., 5 febbraio 2020, ord., Pres. La Posta, Est. Sassone, pubblicata in G.U. 1ª Serie speciale – Corte costituzionale, 1 luglio 2020.
[7] Cfr. G.i.p. Alessandria, Bargero, 28 maggio 2020, ord., in questa Rivista con scheda di Crippa E., Pena perpetua e giudizio abbreviato: manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, 25 giugno 2020.
[8] E in effetti proprio questa è la sorte toccata all’eccezione sollevata dalla difesa dinanzi alla Corte d’assise di Torino nel processo a carico di Tomas Scancarello, imputato per l’omicidio della zia: la Corte, pur ritenendo non manifestamente infondata la questione, ha dovuto respingerla in quanto il precedente difensore dell’imputato non aveva formulato tempestiva richiesta di giudizio abbreviato (cfr. Nerozzi M., “Niente abbreviato per ergastolo”, la Corte d’assise di Torino ravvisa dubbi di costituzionalità, in Corriere della Sera – Cronaca di Torino, 26 novembre 2019).
[9] C. cost., 22 aprile 1991, n. 176, Pres. Red. Caianiello, che dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 442 co. 2, ultimo periodo, c.p.p. (“Alla pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta”).
[10] L. 16 dicembre 1999 n. 479, pubblicata sulla G.U. – Serie generale n. 296 del 18 dicembre 1999, la quale, tra le altre cose, aveva ripristinato l’accesso al giudizio abbreviato anche per i delitti puniti con l’ergastolo, prevedendo in modo specifico il criterio di commutazione della pena e superando, per questa via, il deficit di delega censurato dalla Consulta nel 1991.
[11] Cfr. CSM, delibera 6 febbraio 2019, Proposta di legge AC 392/C, abbinata alla proposta di legge AC 460/C, avente ad oggetto: “Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo”, p. 4-5.
[12] Non è forse priva di significato la circostanza che il richiamo alla sentenza Scoppola sia presente nell’ordinanza di remissione del G.i.p. di La Spezia, mentre difetti nelle ordinanze sammaritana e alessandrina.
[13] C. edu, G.C., 17 settembre 2009, Scoppola vs Italia, application n. 10249/2003. Per una sintetica ricostruzione della vicenda, sia consentito rinviare a Franceschini A., Libertà personale vs intangibilità del giudicato, in Gazz. For., 2015, n. 1, p. 89, nota 27.
[14] Maffeo V., Il contributo giurisprudenziale all’evoluzione del giudizio abbreviato, cit., p. 144 ss.
[15] C. cost. 21 giugno 2010, n. 229, Pres. Amirante, Red. Criscuolo. Si veda anche C. cost. 12 gennaio 2011 n. 17, Pres. Maddalena, Red. Criscuolo (in materia di processo tributario); C. cost., 10 febbraio 2010, n. 50 del 2010, Pres. Amirante, Red. Criscuolo (in materia di processo civile).
[16] Fierro M., La ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Corte cost. Servizio studi, I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, anche in rapporto alla giurisprudenza delle corti europee, Roma, luglio 2013, p. 11.
[17] Fierro M., La ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana, cit., p. 13.
[18] C. cost., 10 febbraio 1997, n. 43, Pres. Granata, Red. Zagrebelski.
[19] Come noto l’art. 17 c.p. è stato dichiarato incostituzionale nella parte in cui non esclude l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile (C. cost., 28 aprile 1994, n. 168).
[20] Secondo i dati forniti dall’Istat, “nel 2018 si stima che gli uomini possano contare su una vita media di 80,8 anni, le donne di 85,2” (cfr. Istat, Rapporto annuale 2019. La situazione del Paese, Roma, 2019, p. 122, reperibile su http://www.istat.it).
[21] In ordine ai profili di commisurazione edittale della pena si vedano Dolcini E., La pena ai tempi del diritto penale illiberale, in Dir. pen. cont., 22 maggio 2019; Donini M., Genesi ed eterogenesi “moderne” della misura e dell’unità di misura delle pene. Commento a Carcere e fabbrica, quarant’anni dopo, in corso di pubblicazione su Criminalia, anticipato su DisCrimen, 4 giugno 2020; Pulitanò D., Le misure delle pene, fra discrezionalità politica e vincoli costituzionali, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2017, n. 2, p. 47 ss.
[22] A sostegno della tesi qui sostenuta è assai proficua la comparazione tra le posizioni dell’ergastolano e del condannato a trent’anni di reclusione. Il primo, una volta espiati poco meno di ventuno anni di detenzione, in caso di concessione della liberazione anticipata ai sensi dell’art. 54 co. 4 ult. periodo O.P. (avendone così virtualmente scontati ventisei), potrebbe accedere alla liberazione condizionale ai sensi dell’art. 176 co. III c.p. Il secondo, sempre in caso di concessione di liberazione anticipata, estinguerebbe la pena in ventiquattro anni e potrebbe ambire alla liberazione condizionale dal momento in cui ne abbia scontati almeno venti.
[23] Il riferimento è alle note C. cost., 21 novembre 1974, n. 264, Pres. Bonifacio, Red. Rossi, e C. cost., 26 giugno 1990, n. 313, Pres. Saja, Red. Gallo.
[24] Nell’esempio proposto, nonostante l’originaria contestazione preveda la pena dell’ergastolo, si può giungere a comminare la pena della reclusione di anni quattordici anche ove si proceda con rito ordinario in ragione della mera concessione delle attenuanti generiche prevalenti. Come effetto di tale bilanciamento la cornice di riferimento diventerebbe quella per l’omicidio semplice, il cui minimo edittale è individuato in ventuno anni di reclusione, su cui si dovrebbe poi praticare la riduzione di un terzo per le generiche. E, in effetti, la proposta di legge Morani, poi assorbita da quella a firma dell’On. Molteni (cfr. infra nota 41), prevedeva la contestuale modifica dell’art. 69 c.p. per inibire l’equivalenza o la prevalenza di eventuali circostanze attenuanti rispetto alle aggravanti dei motivi abietti o futili (art. 61 n. 1) c.p.) e dell’aver agito con crudeltà (art. 61 n. 4) c.p.). Altra opzione potrebbe essere quella di trasformare l’omicidio aggravato da alcuni circostanze ritenute particolarmente qualificanti sul piano del disvalore come autonomi titoli di reato.
[25] In ordine a questo aspetto si veda Gualazzi A., voce Il giudizio abbreviato, in Dig. disc. Pen., Agg. *****, UTET, Torino, 2010, p. 358-359 ss., che cita anche la recente Cass., Sez. un., 22 febbraio 2018, n. 35852, Cesarano, relativa, in particolare, al computo della diminuente in caso di continuazione tra reati giudicati con rito ordinario e altri con rito abbreviato.
[26] Gli interventi della Consulta sul corpo progressivamente trasfigurato del comma 3 dell’art. 275 c.p.p., prima della riforma del 2015, sono numerosi. In questa sede il più significativo da richiamare è senz’altro C. cost., 9 maggio 2011, n. 164, Pres. Maddalena, Red. Frigo, che dichiarò l’illegittimità della disposizione con riferimento al reato di omicidio volontario.
[27] Per tutte si veda la recente C. cost. n. 253 del 2019, cit., relativa ai rapporti tra reati ostativi, collaborazione con la giustizia e accesso ai permessi premio.
[28] Per una limpida enunciazione del principio si veda C. cost., 19 ottobre 2016, n. 268, Pres. Grossi, Red. Cartabia, secondo cui “Le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit”.
[29] In tal senso Spangher G., L’ergastolo e l’accesso al rito abbreviato, cit. Così anche G.i.p. La Spezia, cit. in nota 5, e l’U.C.P.I. nell’opinione scritta depositata nella veste di amicus curiae nell’ambito del giudizio di costituzionalità promosso dal G.i.p. di La Spezia, pubblicata su Dir. dif., 1 marzo 2020 (§ 1.6).
[30] Cfr. relazione di accompagnamento alla presentazione della proposta di legge Molteni.
[31] In tal senso Ferrua P., Il ‘giusto processo’, I ed., Zanichelli, Bologna, 2005, p. 55, il quale valorizza la diversa formulazione dell’art. 6 § 1 CEDU, che senz’altro configura la “ragionevole durata” come diritto soggettivo del cittadino.
[32] Il riferimento è a C. cost., 20 maggio 2019, n. 132, Pres. Lattanzi, Red. Viganò, in tema di principio di immediatezza, con specifico riferimento alla rinnovazione delle prove dichiarative in caso di modifica della composizione dell’organo giudicante. Valorizza opportunamente la sentenza n. 132 del 2019 il G.i.p. di La Spezia nella citata ordinanza del 6 novembre 2019, evidenziando come essa abbia “posto l’attenzione sull’interazione tra i modelli processuali immaginati dal legislatore e la prassi”.
[33] C. cost., 4 aprile 2005, n. 148, Pres. Contri, Red. Marini.
[34] Interrogativo che già si pose all’indomani dell’intervento della Corte costituzionale del 1991 e che all’epoca fu risolto dalle Sezioni unite nel senso della ‘punibilità in astratto’ (cfr. Cass., Sez. un., 6 marzo 1992, Piccillo). Sul punto si veda l’analisi condotta da Suraci L., Il giudizio abbreviato, cit., p. 55 ss. In senso contrario potrebbe però militare l’orientamento espresso dalla nota Cass., Sez. I, 10 gennaio 2002, n. 20499, in ordine all’applicabilità ai reati puniti con l’ergastolo dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito con modifiche in l. 12 luglio 1991 n. 203, che, almeno con riguardo a quel tema, optò per la ‘punibilità in concreto’.
[35] A tale riguardo parla di “eterogenesi dei fini” l’U.C.P.I. nell’opinione scritta depositata nel giudizio di costituzionalità promosso dal G.i.p. di La Spezia, cit. in nota 29 (§ 2.2).
[36] Sembra prospettare questa soluzione Spangher G., L’ergastolo e l’accesso al rito abbreviato, cit.
[37] Sulla distinzione tra “naturalità” e “precostituzione” del giudice secondo il dettato dell’art. 25 co. I Cost. si veda Cordero F., Procedura penale, VIII ed., Giuffrè, Milano, p. 116, secondo il quale “le mappe della competenza sono puro artificio legislativo, indefinitamente reinventabile, ma è importante fissarle al locus delicti; toglie il giudizio dalla vista del ‘suo’ pubblico la norma che ignori i riferimenti locali”. Suggeriamo di leggere Nobili M., Riflessioni in margine ad un recente convegno di procedura penale, ove descrive la “lezione” di Cordero a sostegno della interpretazione “disgiuntiva” della formula costituzionale, illustrata nel corso del X convegno di studio “Enrico De Nicola”, organizzato dal Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, tenutosi a Trieste il 3-5 ottobre 1975.
[38] Sulla corte d’assise, si veda il celebre lavoro di Amodio E., I giudici senza toga. Esperienze e prospettive della partecipazione popolare ai giudizi penali, Giuffrè, Milano, 1979. Si segnalano anche i saggi di Corso L., Giustizia senza toga. Giuria, democrazia e senso comune, in Criminalia, 2008, p. 347 ss., e di Gentile D., La figura del giudice popolare: il necessario bilanciamento tra partecipazione diretta all’amministrazione della giustizia e principi che regolano il giudizio. Comparazione con i sistemi di common law, in Iura & Legal Systems, 2015, p. 177 ss. Per un interessante profilo storico, si veda Passarella C., Una disarmonica fusione di competenze. Magistrati togati e giudici popolari in corte d’assise negli anni del fascismo, Historia et ius, Roma, 2020.
[39] Cfr. § 2, p. 3. Su questo aspetto insiste molto il G.i.p. del Tribunale di Alessandria, nell’ordinanza del 28 maggio 2020, con la quale ha respinto le eccezioni di illegittimità costituzionale formulate dalla difesa.. Sulla circostanza che altra esigenza avuta di mira con la l. n. 33 del 2019 sia stata quella di assicurare che “il processo venga celebrato davanti al giudice naturale”, si veda anche Barbero F., L’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo. Brevi note a caldo, in Giur. Pen. Web, 5 maggio 2019.
[40] Cfr. Proposta di legge C-392, presentata il 27 marzo 2018, a firma di Molteni e altri, reperibile su http://www.camera.it.
[41] La proposta di legge n. C. 460, d’iniziativa della deputata Morani, veniva presentata il 3 aprile 2018 e assorbita il 6 novembre 2018 dall’approvazione, da parte della Camera dei deputati, dell’abbinata proposta di legge Molteni. Il testo riproponeva quello nato, nel corso della XVII legislatura, su iniziativa della Lega Nord (C. 4376).
[42] Altri autori riempiono di contenuto sostanziale la ‘naturalità’ evocando gli attributi della indipendenza, imparzialità, idoneità concreta e specializzazione (in tal senso, per tutti, Pizzorusso A., voce Giudice naturale, in Enc. giur. Treccani, vol. XV, 1989, p. 5).
[43] Nel commentare la celebre C. cost. n. 176 del 1991, già Lorusso S., Limiti oggettivi al giudizio abbreviato, giudice naturale e pubblicità dei giudizi: considerazioni in margine alla sentenza costituzionale n. 176 del 1991, in Cass. pen., 1992, p. 530 ss. (in particolare p. 533 ss.), si soffermava sul tema specifico dei rapporti tra abbreviato e naturalità con riferimento ai reati puniti con l’ergastolo.
[44] C. cost., 23 maggio 2003, n. 169, Pres. Chieppa, Red. Neppi Modona, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 6 dell’art. 438 c.p.p. nella parte in cui non prevede che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, l’imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre il giudizio abbreviato.
[45] C. cost., 14 dicembre 2009, n. 333, Pres. Amirante, Red. Frigo; C. cost., 22 ottobre 2012 n. 237, Pres. Quaranta, Red. Frigo; C. cost., 1 dicembre 2014, n. 273, Pres. Napolitano, Red. Frigo; C. cost., 29 maggio 2015, n. 139, Pres. Cartabia, Red. Frigo. In estrema sintesi, all’esito dei diversi interventi del Giudice delle leggi, l’assetto normativo consente l’accesso al rito abbreviato nel corso del dibattimento in caso di contestazione di un fatto diverso, di un reato concorrente o di una circostanza aggravante.
[46] Sui temi sollevati dal fenomeno del populismo penale, si veda Donini M., Populismo e ragione pubblica. Il Post-Illuminismo penale tra lex e ius, Mucchi editore, Modena, 2019; Fiandaca G., Populismo politico e populismo giudiziario, in Criminalia, 2014, p. 102 ss.
[47] Maiello V., Appunti sparsi di lotta per il diritto, in Dir. dif., 21 febbraio 2020, p. 2.
[48] Gatta G.L., Presentazione. Superare l’ergastolo ostativo, cit., p. 1498.
[49] A tale riguardo può essere utile segnalare che il G.i.p. di Alessandria, nell’ordinanza del 28 maggio 2020 supra citata, vaglia, con esito negativo, anche la questione del possibile contrasto tra la riforma del 2019 e l’art. 111 co. V Cost., denunciato dalla difesa di uno degli imputati sull’assunto che risulterebbe “obliterata la rilevanza del consenso quale deroga al contraddittorio”. In realtà, come rileva il Giudice, una volta rispettata la riserva di legge imposta dalla norma costituzionale, la selezione delle ipotesi di consenso derogatorio al contraddittorio è rimessa alle scelte del legislatore (nei limiti della ragionevolezza).
[50] Per l’espressione si veda Mazza O., Il garantismo al tempo del giusto processo, Giuffrè, Milano, 2011, p. 8, 16, 18; Id, Distopia del processo a distanza, cit., p. 7.
[51] Informazioni attinte dal sito istituzionale della Corte (http://www.cortecostituzionale.it), nella sezione Questioni pendenti, utilizzando il motore di ricerca disponibile. Non risulta ancora calendarizzata l’udienza per il giudizio promosso dalla Corte d’assise partenopea; circostanza imputabile alla recentissima pubblicazione in G.U. (1 luglio 2020) dell’ordinanza di rimessione.
[52] Per severe riflessioni critiche espresse nei confronti di Corte cost. n. 132 del 2019 si vedano Ferrua P., Il sacrificio dell’oralità sull’altare della ragionevole durata: i gratuiti suggerimenti della Corte costituzionale al legislatore, in Arch. Pen., 2019, n. 2; Mazza O., Il sarto costituzionale e la veste stracciata del codice di procedura penale, ibidem; Negri D., La Corte costituzionale mira a squilibrare il “giusto processo” sulla giostra dei bilanciamenti, ibidem.
[53] Sulla richiesta di abbreviato parziale si rinvia alle puntuali e condivisibili considerazioni di Crippa E., Pena perpetua e giudizio abbreviato, cit. In senso favorevole alla opzione interpretativa di ritenere ammissibile l’abbreviato “parziale” si veda CSM, delibera 6 febbraio 2019, cit., p. 9 ss.
[54] Cfr. il testo dell’art. 4 dello schema di disegno di legge recante deleghe al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello, diramato il 13 febbraio 2020 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si tenga conto che, in materia di patteggiamento, si estende a ben otto anni la soglia massima di pena patteggiabile.