ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Nota a sentenza  
25 Maggio 2021


L’ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del 2021: eufonie, dissonanze, prospettive inquietanti

Corte cost., ord. 11 maggio 2021, n. 97, Pres. Coraggio, Red. Zanon



Per leggere l'ordinanza, clicca qui.

 

1. Diciotto anni dopo la prima pronuncia, la Corte costituzionale è tornata ad esaminare questioni di legittimità costituzionale relative all’ergastolo ostativo.

Come è noto, il problema è stato affrontato per la prima volta nella sent. 9 aprile 2003, n. 135[1]. Alla Corte il Tribunale di sorveglianza di Firenze chiedeva se l’art. 4 bis co. 1 ord. penit., precludendo al condannato non collaborante l’accesso alla liberazione condizionale e dunque rendendo la pena, nei suoi confronti, effettivamente e ineluttabilmente perpetua, lo escludesse in via permanente e definitiva da qualsiasi processo rieducativo: dunque, se la disciplina dell’ergastolo ostativo si ponesse in contrasto con l’art. 27 co. 3 Cost. La Corte rispondeva in senso negativo: a suo dire, la disciplina dell’ergastolo ostativo, facendo salve le ipotesi di collaborazione impossibile, irrilevante o comunque oggettivamente inesigibile, sarebbe «significativamente volta ad escludere qualsiasi automatismo degli effetti nel caso in cui la mancata collaborazione non possa essere imputata ad una libera scelta del condannato». Di qui la conclusione — a mio avviso, nient’affatto persuasiva[2] — della Corte: «la disciplina censurata, subordinando l’ammissione alla liberazione condizionale alla collaborazione con la giustizia, che è rimessa alla scelta del condannato, non preclude in modo assoluto e definitivo l’accesso al beneficio, e non si pone, quindi, in contrasto con il principio rieducativo enunciato dall’art. 27 co. 3 Cost.».

 

2. La questione è stata riproposta nel 2020 dalla Corte di cassazione (Cass. Sez. I, ord. 3 giugno 2020, n. 18518, Pezzino)[3], in relazione, questa volta, non ai condannati all’ergastolo per qualsiasi reato compreso nell’elenco di cui all’art. 4 bis co. 1 ord. penit., bensì, specificamente, ai condannati per reati di mafia e di contesto mafioso: reati che rappresentano il nucleo di una categoria che, sotto la spinta dell’allarme sociale, è andata progressivamente ampliandosi nelle direzioni più svariate, perdendo ogni connotato di coerenza interna[4].   

Più precisamente, la Corte di cassazione chiamava la Corte costituzionale a pronunciarsi sulla legittimità «degli artt. 4 bis co. 1 e 58 ter della legge n. 354 del 1975, e dell’art. 2 d.l. n. 152 del 1991, convertito con modificazioni nella legge n. 203 del 1991, nella parte in cui escludono che il condannato all’ergastolo per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c. p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni ivi previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla liberazione condizionale»: i parametri del giudizio venivano individuati non soltanto nell’art. 27 co. 3 Cost., ma anche negli artt. 3 e 117 Cost.

 

3. La risposta della Corte costituzionale è venuta con l’ordinanza 11 maggio 2021, n. 97: una risposta ben diversa da quella del 2003, ma tale da suscitare, a sua volta, serie perplessità.   

La Corte non è entrata nel merito, ma ha disposto il rinvio della trattazione a maggio 2022[5], «dando al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia» (punto 11 del ‘considerato in diritto’).  

Questa la premessa da cui muove la Corte: la disciplina vigente dell’ergastolo ostativo preclude a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia la possibilità di chiedere la liberazione condizionale. Ciò in base a una presunzione assoluta di persistenza di collegamenti con la criminalità organizzata.

Un’ampia parte dell’ordinanza – i punti 3–7 del ‘considerato in diritto’ – è dedicata a dimostrare come il carattere assoluto di tale presunzione, impedendo alla magistratura di sorveglianza di valutare il percorso carcerario del condannato, dopo il lungo tempo di espiazione della pena richiesto ai fini della liberazione condizionale, si ponga in contrasto con la funzione rieducativa della pena ai sensi dell’art. 27 co. 3 Cost. (anche questa volta, l’attenzione della Corte si è focalizzata su questo profilo)[6].

La dimostrazione è fornita dalla Corte costituzionale attraverso un puntuale, accuratissimo quadro della propria giurisprudenza (e delle riforme legislative che ne sono seguite), dal quale emerge come ciò che ha consentito alla Corte di affermare la compatibilità dell’ergastolo con il principio della rieducazione del condannato siano state, in progresso di tempo, proprio le previsioni che hanno dato accesso alla liberazione condizionale da parte del condannato all’ergastolo.

Così si legge già nella sent. n. 264 del 1974: «L'istituto della liberazione condizionale disciplinato dall'art. 176 c.p. – nel testo modificato dall'art. 2 della legge 25 novembre 1962, n. 1634 – consente l'effettivo reinserimento anche dell'ergastolano nel consorzio civile» (e ciò, secondo quanto dispone l’art. 176 co. 4 c.p., anche nel caso in cui il condannato, per le sue precarie condizioni economiche, non sia in grado di adempiere alle obbligazioni civili derivanti dal reato).   

Qualche spot sulla ricostruzione della propria giurisprudenza successiva al 1974 effettuata dalla Corte costituzionale nell’ordinanza in esame.

A proposito della sent. n. 274 del 1983[7], che ha ammesso alla liberazione anticipata il condannato all’ergastolo, e della l. 10 ottobre 1986, n. 663 (c.d. legge Gozzini), che, intervenendo sia sull’art. 176 c.p., sia sull’art. 54 ord. penit., ha dato attuazione alla pronuncia della Corte, si osserva nell’ordinanza che «per effetto di queste scelte, l’accesso alla liberazione condizionale ha accentuato il proprio ruolo di fattore di riequilibrio nella tensione tra il corredo genetico dell’ergastolo (il suo essere una pena senza fine), da una parte, e l’obiettivo costituzionale della risocializzazione di ogni condannato, dall’altra».

Della sent. n. 168 del 1994[8], che ha escluso l’applicabilità dell’ergastolo ai minori, la Corte costituzionale cita un passo relativo alla liberazione condizionale e ad altre misure premiali applicabili al condannato all’ergastolo: «tutti gli anzidetti correttivi finiscono con l’incidere sulla natura stessa della pena dell’ergastolo, che non è più quella concepita alle sue origini dal codice penale del 1930. La previsione astratta dell’ergastolo deve ormai essere inquadrata in quel tessuto normativo che progressivamente ha finito per togliere ogni significato al carattere della perpetuità che all’epoca dell’emanazione del codice la connotava».     

Particolarmente incisiva e illuminante, poi, una citazione che la Corte trae dalla sent. n. 161 del 1997[9], che ha stabilito la reiterabilità della richiesta di liberazione condizionale da parte dell’ergastolano: «Se la liberazione condizionale è l’unico istituto che… rende non contrastante con il principio rieducativo, e dunque con la Costituzione, la pena dell’ergastolo, vale evidentemente la proposizione reciproca, secondo cui detta pena contrasta con la Costituzione ove, sia pure attraverso il passaggio per uno o più esperimenti negativi, fosse totalmente preclusa, in via assoluta, la riammissione del condannato alla liberazione condizionale».

Più sintetico, ma altrettanto pertinente ed efficace il richiamo da parte della Corte costituzionale alla giurisprudenza della Corte Edu[10], a partire da Grande Camera, 12 febbraio 2008, Kafkaris c. Cipro[11] fino – soprattutto – a Sez. I, 13 giugno 2019, Viola c. Italia[12], dalla quale si evince che, per la Corte di Strasburgo, la pena detentiva perpetua in tanto è compatibile con il divieto di trattamenti inumani ex art. 3 CEDU in quanto la pena sia riducibile, de iure e de facto.  

La Corte costituzionale dà atto, dunque, che nella propria giurisprudenza maturata sulla «disciplina ostativa», sia prima sia dopo la sent. n. 135 del 2003, esistevano le premesse per abbandonare le soluzioni accolte in quella sentenza.

Spicca, nel contesto della più recente giurisprudenza costituzionale, la sent. n. 253 del 2019[13], che ha considerato irragionevole una presunzione assoluta di pericolosità a carico del condannato non collaborante e ha affermato, in aperto contrasto con la sent. 135 del 2003, che la scelta di non collaborare non è libera, ma è frutto di «una sorta di scambio tra informazioni utili a fini investigativi e conseguente possibilità per il detenuto di accedere al normale percorso di trattamento penitenziario». «Per il condannato all’ergastolo a seguito di un reato ostativo – osserva la Corte nell’ordinanza n. 97/2021 – lo “scambio” in questione può assumere una portata drammatica, allorché lo obbliga a scegliere tra la possibilità di riacquisire la libertà e il suo contrario, cioè un destino di reclusione senza fine. In casi limite può trattarsi di una “scelta tragica”: tra la propria (eventuale) libertà, che può tuttavia comportare rischi per la sicurezza dei propri cari, e la rinuncia a essa, per preservarli da pericoli».

 

4. Nel cammino verso l’accoglimento delle questioni sottoposte al giudizio della Corte interviene però, al punto 8 del ‘considerato in diritto’, un colpo di freno.

Il momento cruciale risiede in un passaggio della motivazione in cui la Corte sottolinea il diverso ruolo svolto, nel sistema, dalla liberazione condizionale e dai permessi-premio, segnando l’una il definitivo riacquisto della libertà, gli altri una breve sospensione della carcerazione. La Corte costituzionale pone dunque l’accento sul carattere ‘apicale’ della normativa sottoposta al suo giudizio nel quadro del contrasto alla criminalità organizzata, il cui equilibrio complessivo verrebbe messo a rischio da un intervento meramente demolitorio, con grave pregiudizio per le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva a fronte del «pervasivo e radicato fenomeno della criminalità mafiosa».

D’altra parte, ad avviso della Corte, sarebbe incongruo equiparare, quanto alle condizioni di accesso alla liberazione condizionale, il condannato all’ergastolo per delitti connessi alla criminalità organizzata che non abbia collaborato con la giustizia e il condannato collaborante.

Di qui la perentoria conclusione a cui approda l’ordinanza: «Appartiene… alla discrezionalità legislativa, e non già a questa Corte, decidere quali ulteriori scelte risultino opportune per distinguere» tra la condizione dell’uno e dell’altro ergastolano.

Una conclusione avvalorata, secondo la Corte costituzionale, anche dalla Corte Edu, che nella sentenza Viola c. Italia affermava che la disciplina dell’ergastolo ostativo pone «un problema strutturale», tale da richiedere che lo Stato italiano la modifichi, «di preferenza per iniziativa legislativa».

 

5. Nel momento in cui la Corte costituzionale decide di passare il testimone al legislatore, deve peraltro tener conto di un precedente di rilievo nella propria giurisprudenza, riconducibile ancora una volta alla sentenza n. 253 del 2019.

In relazione ai permessi-premio l’esigenza di dar vita ad un regime differenziato per il condannato non collaborante rispetto al collaborante, quando la condanna sia stata pronunciata per un delitto dell’art. 4 bis co. 1 ord. penit., nella sentenza 253/2019 era stata soddisfatta dalla stessa Corte con l’introduzione di un onere probatorio rafforzato, esteso «all’acquisizione di elementi che escludono non solo la permanenza di collegamenti con la criminalità organizzata, ma altresì il pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali» (punto 9 del ‘considerato in diritto’).

Ora, è dubbio che la Corte, così disponendo, sia rimasta all’interno del perimetro delle sue competenze istituzionali, senza invadere un terreno proprio, in via esclusiva, del legislatore. Come è stato osservato in dottrina a proposito della sent. n. 253 del 2019, si può «discutere sulla sussistenza… dei necessari presupposti per operare una tale ‘integrazione’ del tessuto normativo, legata al flebile argomento, presentato peraltro in modo apodittico, della presunta connessione logica tra la richiesta verifica dell’assenza di attualità di rapporti del condannato con il consesso criminale d’appartenenza e la necessità di acquisizione di elementi che escludano il pericolo di un loro ripristino»[14]: la Corte ha adottato una pronuncia additiva su un punto in cui non esistevano ‘rime obbligate’, e che, a ben vedere, fatica a legittimarsi anche alla luce dei più recenti orientamenti della giurisprudenza costituzionale, che pure ha attenuato quel vincolo[15]. Nell’ordinanza in esame, a proposito dell’accesso non più ai permessi-premio, bensì alla liberazione condizionale da parte del condannato all’ergastolo per delitti di mafia, la Corte si è invece dichiarata incompetente a ‘integrare’ la disciplina normativa: si è astenuta dall’assumere quella funzione «para-legislativa»[16] che aveva assunto nella sent. n. 253 del 2019.

Non appare granitica l’argomentazione della Corte costituzionale secondo la quale l’esigenza di differenziazione tra condannato collaborante e condannato non collaborante, nel caso della liberazione condizionale, potrebbe essere soddisfatta su piani diversi (dunque, altrimenti che attraverso la previsione di un onere probatorio rafforzato): ad es., secondo la Corte, attraverso «la emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione, ovvero l’introduzione di prescrizioni peculiari che governino il periodo di libertà vigilata del soggetto in questione».

Domando se un’analoga gamma di soluzioni alternative non si aprisse anche in relazione ai permessi-premio. Nell’ordinanza n. 97/2021, si parla di «scelte di politica criminale… non costituzionalmente vincolate nei contenuti, e che eccedono perciò i poteri di questa Corte» (punto 9 del ‘considerato in diritto’): mi sembra però difficile distinguere su questo piano tra permessi-premio e liberazione condizionale.

 

6. Un ulteriore interrogativo. A norma dell’art. 16 nonies d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito nella l. 15 marzo 1991, n. 82, quando si tratti di persona condannata per uno dei delitti di cui all’art 51 co. 3 bis c.p.p. (dunque, tra l’altro, per delitti ‘di mafia’: associazione mafiosa, scambio elettorale politico-mafioso, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività di tali associazioni), la liberazione condizionale può essere disposta nei confronti del condannato collaborante «anche in deroga alle vigenti disposizioni, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cui all’art. 176 c.p. »: in particolare, a norma dell’art. 16 nonies co. 4, quando si tratti di condannato all’ergastolo, dopo l’espiazione di almeno dieci anni di pena[17]. Di qui il quesito: a soddisfare l’esigenza di differenziare la posizione dell’ergastolano collaborante da quella dell’ergastolano non collaborante è sufficiente il diverso termine, decorso il quale l’uno o l’altro potrebbero proporre istanza di liberazione condizionale? Per il secondo, ventisei anni di pena espiata, per il primo dieci anni.

Non credo che la risposta possa essere positiva: la collaborazione alla quale fa riferimento l’art. 16 nonies d.l. 15 gennaio 1991, n. 8 ha infatti connotati diversi, più pregnanti, quali si evincono dall’art. 9 del citato decreto legge[18], rispetto alla collaborazione di cui all’art. 58 ter ord. penit. Tra l’altro, nell’art. 58 ter co. 1 ord. penit., nella definizione di «persone che collaborano con la giustizia », non compare il requisito della dissociazione, presente invece in altre disposizioni che delineano la figura del collaboratore di giustizia destinato ad accedere ai programmi di protezione[19]: in primo luogo, nell’art. 8 l. 12 luglio 1991, n. 203[20]. Il requisito della dissociazione potrebbe peraltro ritenersi implicito nella collaborazione.

Un quadro normativo di singolare complessità.

In ogni caso, mi sembra che l’interferenza tra le disposizioni di cui all’art. 58 ter ord. penit. e all’art. 16 nonies d.l. 15 gennaio 1991, n. 8 sia solo parziale

 

7. Tra gli argomenti addotti dalla Corte costituzionale a favore del rinvio al legislatore – o comunque del rinvio ad un riesame della questione tra un anno da parte della stessa Corte – figura anche la disarmonia che sarebbe derivata, nell’art. 4 bis co. 1 ord. penit., tra condannati all’ergastolo per reati di mafia o di contesto mafioso, che avrebbero potuto ottenere il vaglio nel merito della loro istanza anche se non collaboranti, e i condannati all’ergastolo per altri reati di prima fascia del 4 bis, che nulla hanno a che fare con la mafia (come nel caso dei reati di terrorismo) o addirittura nulla hanno a che fare con la criminalità organizzata (ancorché in questa sfera sia difficile che si possano avere condanne all’ergastolo: difficile, ma non impossibile, come sottolinea la stessa Corte costituzionale nell’ordinanza in esame, al punto 10 del ‘considerato in diritto’).

A ben vedere, come è stato osservato in dottrina, già oggi «i criteri probatori di maggior rigore, chiamati a prendere il posto della prova legale della collaborazione, non dovrebbero valere quando si tratta di concedere … i permessi-premio… a condannati per i reati di cui al primo comma dell’art. 4 bis, diversi da quelli di criminalità organizzata di stampo mafioso o terroristico»[21]: e ciò in quanto nei confronti di quei condannati non c’è bisogno di dimostrare «l’assenza di legami con un, inesistente, sodalizio criminale di originaria appartenenza» (così si è espressa la stessa Corte costituzionale nella sent. n. 253 del 2019). Ciò dovrebbe valere anche per l’accesso alla liberazione condizionale, se mai la Corte costituzionale accogliesse le questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Corte di cassazione.

A mio avviso, il problema poteva comunque trovare soluzione in una dichiarazione di illegittimità conseguenziale[22], come già è avvenuto nella sent. n. 253 del 2019[23]. La questione di legittimità costituzionale affrontata dalla Corte in quella sentenza era stata infatti sollevata in relazione ai «delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste», mentre la dichiarazione di illegittimità ha riguardato, in via conseguenziale, tutti i delitti previsti dall’art. 4 bis co. 1 ord. penit. Quale che sia il reato ‘ostativo’ commesso, escludere in assoluto il condannato non collaborante dalla liberazione condizionale, da un lato, si porrebbe in contrasto con il finalismo rieducativo della pena, d’altro lato, creerebbe un’irragionevole disparità di trattamento all’interno della categoria dei condannati all’ergastolo ostativo: una pronuncia di accoglimento da parte della Corte costituzionale fondata sull’art. 27 co. 3 Cost. avrebbe potuto dunque estendersi a tutti i delitti dell’art. 4 bis co. 1 ord. penit.[24]

 

8. Accenno a un ulteriore problema. Una volta che la collaborazione con la giustizia non costituisse più l’unica via per accedere alla liberazione condizionale da parte del condannato all’ergastolo per un reato ostativo, si creerebbe un’ulteriore disarmonia nei rapporti tra condannato all’ergastolo e condannato alla reclusione per reati del 4 bis co. 1 ord. penit.: sarebbe ragionevole la condizione deteriore nella quale si troverebbe il secondo? Anche su questo punto, mi sembra, la soluzione potrebbe venire da una dichiarazione di illegittimità conseguenziale[25].      

 

9. Ancora. Nell’ordinanza in esame la Corte costituzionale rileva i tratti di incoerenza che sarebbero derivati da una pronuncia di accoglimento quanto ai rapporti tra le diverse misure che segnano il percorso del condannato all’ergastolo ex art. 4 bis co. 1 ord. penit., ove non collabori con la giustizia, verso l’eventuale ritorno in libertà. Il condannato può ora ottenere il vaglio nel merito di un’istanza che abbia per oggetto un permesso-premio, così come, in caso di accoglimento della questione sollevata dalla Corte di cassazione nell’ordinanza Pezzino, avrebbe potuto ottenere il vaglio nel merito di un’istanza di ammissione alla liberazione condizionale: sarebbero risultate, invece, inammissibili istanze tese ad ottenere l’accesso al lavoro all’esterno o alla semilibertà (cioè, come giustamente sottolinea la Corte al punto 10 del ‘considerato in diritto’, «proprio alle misure che invece normalmente segnano, in progressione dopo i permessi-premio, l’avvio verso il recupero della libertà»).

Il rilievo della Corte persuade solo in parte. La disarmonia è evidente. Tuttavia, la disarmonia è presente già oggi, in un assetto normativo che contrappone da un lato i permessi-premio, dall’altro il lavoro all’esterno, la semilibertà e la stessa liberazione condizionale.

La Corte costituzionale non si è posta questo problema nella sent. n. 253 del 2019, o comunque non vi ha ravvisato un ostacolo insuperabile all’accoglimento della questione sottoposta, allora, al suo giudizio. Anche allora, a mio avviso, la Corte avrebbe potuto imboccare la via della dichiarazione di illegittimità conseguenziale. In ogni caso, il problema si poneva, nel 2019 e nel 2021, negli stessi termini: la soluzione poteva dunque essere la stessa[26]. Semmai, proprio il carattere ‘apicale’ della disciplina da ultimo all’esame della Corte avrebbe potuto dare maggior forza alla soluzione dell’illegittimità conseguenziale.

Non mi nascondo che si tratta di chiedere molto alla Corte costituzionale, in termini di illegittimità conseguenziale: non mi sembra peraltro di chiedere troppo. Lascio la parola, comunque, sul punto, al costituzionalista[27].

Mi sembra, d’altra parte, opportuno ricordare un precedente nella giurisprudenza costituzionale relativo proprio all’art. 4 bis co. 1 ord. penit.[28], offerto dalla sent. n. 68 del 1995[29]. Una volta dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione, nella parte in cui non prevedeva la possibilità di concedere un permesso-premio anche nel caso in cui la collaborazione con la giustizia risultasse impossibile in quanto fatti e responsabilità erano ormai integralmente accertati, la Consulta ha esteso la portata della propria pronuncia alla liberazione condizionale: e lo ha fatto parlando di «automatici effetti» sull'istituto della liberazione condizionale.  

In ogni caso, se la Corte dovesse in futuro limitarsi a un intervento chirurgico sulla disciplina sottoposta al suo vaglio, entro i ristretti limiti del petitum, sarebbe d’obbligo – allora sì – l’intervento del legislatore, ‘costretto’ a mettere ordine in una materia percorsa da troppe incongruenze.

 

10. In definitiva, facendo ritorno al linguaggio della musica, evocato nel titolo di questo scritto, direi che l’ordinanza appare caratterizzata da un ampio, prolungato ‘crescendo’, al quale segue un inopinato ‘pianissimo’.

La soluzione adottata dalla Corte costituzionale in tema di ergastolo ostativo e liberazione condizionale richiama nel metodo – quello della pronuncia-monito – la soluzione adottata, tra l’altro, nel 2018 in relazione all’aiuto al suicidio ex art. 580 c.p. (ord. 16 novembre 2018, n. 207) e nel 2020 in relazione al trattamento sanzionatorio della diffamazione a mezzo stampa ex art. 595 co. 3 c.p. (ord. 9 giugno 2020, n. 132).

In questo caso, la pronuncia-monito ha però un costo diverso, del tutto peculiare: un costo, a mio giudizio, difficile da accettare. Da oggi a maggio 2022, o almeno fino a un intervento del legislatore, l’ergastolano ‘ostativo’ che chieda di essere ammesso alla liberazione condizionale non otterrà il vaglio nel merito della sua istanza. L’istanza sarà dichiarata inammissibile (inammissibile ‘allo stato’): e ciò, paradossalmente, in forza di una disciplina della quale la Corte ha accertato, con solide argomentazioni, l’illegittimità costituzionale. Il condannato non avrà alcuna chance di tornare in libertà, anche se la Costituzione impone che quella possibilità gli venga offerta. Al magistrato di sorveglianza si offrirà soltanto la possibilità di sollevare, nuovamente, una questione di legittimità costituzionale: ma si tratterebbe, a mio avviso, di un circolo vizioso, a fronte del rinvio della trattazione nel merito disposto dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 97 del 2021.

Aggiungo che lo impone anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il principio di umanità della pena ex art. 3 CEDU, nella lettura della Corte di Strasburgo, implica il principio della risocializzazione del condannato (non espressamente enunciato nella CEDU): l’anello di congiunzione è stato individuato dalla Corte nella dignità umana, diritto inviolabile della persona secondo la Costituzione e fulcro dell’intero sistema della Convenzione[30]. Ora, il principio di umanità della pena enunciato nell’art. 3 CEDU è inderogabile a norma dell’art. 15 co. 2 della stessa Convenzione: nondimeno, quel principio viene derogato dalla Corte costituzionale italiana in relazione al condannato all’ergastolo ostativo, al quale – ancora per un anno – potrà essere negato il diritto alla speranza.

 

11. Un primo segnale di quanto potrà accadere nell’arco di tempo individuato dalla Corte costituzionale viene da una proposta di legge, per ora solo annunciata, che ha come primo firmatario il deputato Vittorio Ferraresi (M5S)[31]. Quella parte politica non intende dunque restare inerte, rimettendosi alla Corte costituzionale: sull’ergastolo ostativo sta dunque per aprirsi il dibattito in Parlamento.

La proposta di legge accoglie l’invito della Corte costituzionale, che chiamava il legislatore ad intervenire, individuando le condizioni in presenza delle quali potrà essere concessa la liberazione condizionale al condannato per delitti dell’art. 4 bis co. 1 ord. penit. che non collabori con la giustizia.

La soluzione prefigurata dalla proposta di legge Ferraresi appare estremamente restrittiva. Tra i punti qualificanti: l’esplicita inversione dell’onere della prova in merito all’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e al pericolo del loro ripristino, e inoltre in merito all’integrale adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, alla provenienza delle risorse impiegate per adempiere a quelle obbligazioni ovvero all’assoluta impossibilità di adempiervi; l’ampio riferimento ai collegamenti con «il contesto in cui il reato è stato commesso», tale da superare ogni dubbio circa l’applicabilità della disciplina dell’art. 4 bis co. 1 ord. penit. a reati che non nascano nel quadro di organizzazioni criminali; l’intervento, nel procedimento per la concessione della liberazione condizionale davanti alla magistratura di sorveglianza, del procuratore nazionale antimafia e del procuratore del distretto del tribunale che ha emesso la sentenza di condanna; l’accentramento delle decisioni in questa materia presso il Tribunale di sorveglianza di Roma, da prevedersi attraverso una delega al Governo; un ruolo più pregnante della libertà vigilata, per il caso in cui la liberazione condizionale venga accordata a un ergastolano ostativo non collaborante.

Un dubbio e un’osservazione.

Se la proposta Ferraresi divenisse legge, la pena perpetua che ne risulterebbe potrebbe considerarsi ‘riducibile de iure e de facto’?

Delle disarmonie e delle incongruenze prospettate dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 97/2021 non c’è traccia nella proposta di legge, almeno secondo i resoconti di stampa dei quale ho conoscenza: il superamento di quelle disarmonie non sembra minimamente presente all’attenzione dell’aspirante legislatore, preoccupato soltanto di conservare nella sostanza l’attuale ergastolo ostativo, riducendo al minimo i progressi nella direzione di una pena aperta alla rieducazione del condannato e a valori di umanità. Questo, a mio avviso, lo spirito che anima la proposta di legge: se proprio si deve offrire una speranza al condannato, non si vada oltre un barlume di speranza. Sarà sufficiente perché una normativa di questo tenore possa superare il vaglio della Corte costituzionale, preannunciato a chiare lettere nell’ordinanza n. 97/2021[32]

La Corte costituzionale ha fondato la sua recente pronuncia, pure ispirata a grande prudenza, sul principio della rieducazione del condannato. Ma quel principio non traspare, neppure minimamente, nella proposta di legge Ferraresi.

 

12. Per l’ergastolo ostativo sembrava arrivato il momento della resa dei conti[33].

È stato invece congelato.

Sottolineo che una pronuncia di accoglimento da parte della Corte costituzionale non avrebbe significato, e non significherebbe, ‘liberi tutti’. Non conosco il numero dei provvedimenti emessi dalla magistratura di sorveglianza in materia di permessi-premio dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 253/2019. Le frammentarie informazioni di cui dispongo parlano nel senso di un esiguo numero di provvedimenti di concessione a favore di ergastolani ostativi[34]; il tenore di alcune ordinanze che ho potuto leggere, emesse dalla magistratura di sorveglianza di Sassari e di Perugia, attesta, d’altra parte, un esame estremamente rigoroso della situazione del detenuto istante (si trattava, per inciso, di persone che si trovavano in stato di ininterrotta detenzione da un massimo di 29 anni a un minimo di 24). In relazione ai permessi-premio la magistratura di sorveglianza si è confermata meritevole della massima fiducia: una fiducia non condivisa, evidentemente, dalla proposta di legge Ferraresi, nel momento in cui, facendo violenza alla funzione di ‘giudice della rieducazione’ propria della magistratura di sorveglianza[35], accentra tutti i procedimenti in materia di ergastolo ostativo nelle mani del Tribunale di sorveglianza di Roma[36].

Auspico che il cammino verso il superamento dell’ergastolo ostativo possa riprendere al più presto, senza ripensamenti o compromessi: i primi segnali non sono però incoraggianti. Il senatore Marco Pellegrini, del Movimento 5 Stelle, nella conferenza stampa nella quale è stata presentata la proposta di legge Ferraresi, dopo aver affermato che «sarebbe felice se la Ministra Cartabia sottoscrivesse» quella proposta, ha pronunciato una frase sibillina: «se così non fosse useremo argomenti più ficcanti per convincerla della sua bontà»[37].

L’inquietudine di chi osserva e attende gli sviluppi futuri è davvero forte.

 

 

[1] A commento, cfr. L. Cremonesi, La Consulta “stoppa” la rieducazione, in Diritto e Giustizia, 2003, n. 19, p. 14 ss.; A. Morrone, Liberazione condizionale e limiti posti dall'art. 4-bis ord. penit., in Dir. pen. proc., 2003, p. 1351 ss.; G. Varraso, Ergastolo, liberazione condizionale ed art. 4 bis ord. penit.: la parola di nuovo alla Consulta, in Giust. pen., 2004, pt. I, p. 81 ss.

[2] Cfr. E. Dolcini, L’ergastolo ostativo non tende alla rieducazione del condannato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1500 ss.

[3] Può vedersi, in proposito, E. Dolcini, Ergastolo ostativo, liberazione condizionale, diritto alla speranza, in G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Il fine e la fine della pena. Sull’ergastolo ostativo alla liberazione condizionale, Atti del Seminario Ferrara, 25 settembre 2020, p. 124 ss. 

[4] «Il 4-bis è ormai divenuto una specie di contenitore di raccolta indifferenziata in cui il legislatore “getta” i reati demagogicamente più à la page senza tenere nella dovuta considerazione la loro gravità, la loro struttura e il loro profilo criminologico»: così G. Giostra, Verso un’incostituzionalità prudentemente bilanciata? Spunti per una discussione, in G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Il fine e la fine della pena, cit., p. 37 ss., in particolare p. 46. 

[5] Tale soluzione non ha colto di sorpresa la dottrina costituzionalistica: cfr. A. Liggiero, Ancora una quaestio in tema di ergastolo: un’ingravescente idiosincrasia verso l’ostatività?, in G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Il fine e la fine della pena, cit., p. 181; M. Ruotolo, L’ergastolo ostativo è costituzionale?, ivi, p. 28; P. Veronesi, «Un passo dopo l’altro», è in arrivo il knock-down per la disciplina dell’ergastolo ostativo?, ivi, p. 248.

[6] Cfr. D. Galliani, Il chiaro e lo scuro. Primo commento all’ordinanza 97/2021 della Corte costituzionale sull’ergastolo ostativo, in Giustizia insieme, 20 maggio 2021, p. 4: «La Corte… accerta l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo… se il Parlamento nulla farà entro il 10 maggio 2022, l’ergastolo ostativo sarà dichiarato incostituzionale, con una sentenza di accoglimento manipolativo».

[7] A commento, cfr. E. Fassone, Riduzioni di pena ed ergastolo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, p. 799 ss.; V. Grevi, Sulla configurabilità di una liberazione condizionale "anticipata" per i condannati all'ergastolo, in Foro it., 1984, pt. I, p. 19 ss.

[8] A commento, cfr. E. Gallo, Un primo passo per il superamento dell'ergastolo, in Giur. cost., 1994, p. 1267 ss.; M. Ruotolo, L'illegittimità costituzionale della pena dell'ergastolo nei confronti del minore: un segno di civiltà giuridica, in Giur. it., 1995, p. 358 ss. In precedenza, in tema di legittimità costituzionale dell’ergastolo nei confronti del minorenne, cfr. Corte cost. 16 aprile 1993, n. 140.

[9] A commento, cfr. A. Longo, Brevi osservazioni sui rapporti tra ergastolo e liberazione condizionale suggerite dalla sentenza n. 161/97, in Giur. it., 1999, p. 121 ss.

[10] Per un quadro della giurisprudenza della Corte Edu in tema di pena detentiva perpetua, può vedersi E. Dolcini, La pena detentiva perpetua nell’ordinamento italiano. Appunti e riflessioni, in E. Dolcini, E. Fassone, D. Galliani, P. Pinto de Albuquerque, A. Pugiotto, Il diritto alla speranza. L’ergastolo nel diritto penale costituzionale, 2019, p. 36 ss. (e ivi ampia bibliografia).

[11] In proposito, anche in relazione alla giurisprudenza immediatamente successiva, cfr. A. Colella, La giurisprudenza di Strasburgo 2008-2010: il divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2011, p. 243.

[12] A commento, cfr. E. Dolcini, Dalla Corte Edu una nuova condanna per l’Italia: l’ergastolo ostativo contraddice il principio di umanità della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 925 ss.; D. Galliani, “La forza della democrazia è non avere paura”, in ristretti.org, 16 giugno 2019; D. Mauri, Nessuna speranza senza collaborazione per i condannati all’ergastolo ostativo? Un primo commento a Viola c. Italia, SIDIBlog, 20 giugno 2019; M. Pelissero, Verso il superamento dell’ergastolo ostativo: gli effetti della sentenza Viola c. Italia sulla disciplina delle preclusioni in materia di benefici penitenziari, SIDIBlog, 21 giugno 2019; S. Santini, Anche gli ergastolani ostativi hanno diritto a una concreta “via di scampo”: dalla Corte di Strasburgo un monito al rispetto della dignità umana, in Dir. pen. cont., 1° luglio 2019.  

[13] A commento, cfr., fra molti, S. Bernardi, Sull'incompatibilità con la Costituzione della presunzione assoluta di pericolosità dei condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia: in margine a Corte cost. sentenza del 23 ottobre 2019 (dep. 4 dicembre 2019), n. 253, in associazionedeicostituzionalisti.osservatorio.it, 3 marzo 2020; M. Bortolato, Il futuro rientro nella società non può essere negato a chi non collabora, ma la strada è ancora lunga, in Dir. pen. proc., 2020, p. 632 ss.; M. Chiavario, La sentenza sui permessi-premio: una pronuncia che non merita inquadramenti unilaterali, in associazionedeicostituzionalisti.osservatorio.it, 4 febbraio 2020; R. De Vito, Mancata collaborazione e permessi premio: cade il muro della presunzione assoluta, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, p. 349 ss.; G. Dodaro, L'onere di collaborazione con la giustizia per l'accesso ai permessi premio ex art. 4-bis, comma 1, ord. penit. di fronte alla Costituzione, ivi, 2020, p. 259 ss.; F. Fiorentin, Preclusioni penitenziarie e permessi premio, in Cass. pen., 2020, p. 1019 ss.; D. Galliani, R. Magi, Permesso premio e regime ostativo. La Corte costituzionale si è espressa, ora la parola passa ai giudici, in Quaderni cost., 2020, num. 1, pag. 134; A. Menghini, Permessi premio: la Consulta apre un varco nell'art. 4 bis 1° comma ord. pen., in Giur. it., 2020, p. 410 ss.; A. Pugiotto, La sent. n. 253/2019 della Corte costituzionale: una breccia nel muro dell'ostatività penitenziaria, in forumcostituzionale.it, 4 febbraio 2020; A. Ricci, Ancora sul rapporto tra permessi premio e sentenza costituzionale n. 253 del 2019: sì al riconoscimento di interesse per il giudizio ex art. 4-bis, comma 1-bis, o.p., ma con qualche incertezza ancora da eliminare, in giurisprudenzapenale.com, 2020.

[14] Così M. Ruotolo, L’ergastolo ostativo è costituzionale?, in G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Il fine e la fine della pena, cit., p. 17. Avanza dubbi in proposito anche D. Galliani, Il chiaro e lo scuro, cit., p. 4.

[15] Cfr. M. Ruotolo, L’ergastolo ostativo è costituzionale?, cit., p. 17 ss.

[16] Così G. Giostra, Verso un’incostituzionalità prudentemente bilanciata?, cit., p. 45.

[17] Cfr. D. Galliani, Il chiaro e lo scuro, cit., p. 22 s.

[18] Cfr. C. Ruga Riva, Il premio per la collaborazione processuale, 2002, p. 341 ss.

[19] Cfr. art. 13 d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, come modificato dalla l. 11 gennaio 2018, n. 6.

[20] Cfr. C. Ruga Riva, Il premio per la collaborazione processuale, cit., p. 350 ss.   

[21] Così G. Giostra, Verso un’incostituzionalità prudentemente bilanciata?, cit., p. 46. Nello stesso senso E. Dolcini, Ergastolo ostativo, liberazione condizionale, diritto alla speranza, cit., p. 129. 

[22] Come è noto, dispone in proposito l’art. 27 l. 11 marzo 1953, n. 87: «La Corte costituzionale, quando accoglie una istanza o un ricorso relativo a questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell’impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime. Essa dichiara, altresì, quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata». Sul tema, cfr., per tutti, A. Morelli, L’illegittimità conseguenziale delle leggi. Certezza delle regole ed effettività della tutela, 2008, il quale sottolinea che lo strumento della pronuncia conseguenziale è prezioso per la «assicurazione di una garanzia piena ed effettiva dei beni giuridici per i quali si sia richiesto l’intervento della Corte nel giudizio a quo» e anzi «sovente… risulta indispensabile per la soddisfacente risoluzione del problema di giustizia costituzionale che la Corte è ritualmente chiamata a risolvere» (p. 21).  

[23] Lo sottolinea, fra gli altri, P. Veronesi, «Un passo dopo l’altro», è in arrivo il knock-down per la disciplina dell’ergastolo ostativo?, cit., p. 241.

[24] Cfr. G. Giostra, Verso un’incostituzionalità prudentemente bilanciata?, cit., p. 43. A favore di questa soluzione, si esprimono anche M. Ruotolo, L’ergastolo ostativo è costituzionale?, cit., p. 13 (sia pure in forma dubitativa) e P. Veronesi, «Un passo dopo l’altro», è in arrivo il knock-down per la disciplina dell’ergastolo ostativo?, cit., p. 247. Secondo D. Galliani, Il chiaro e lo scuro, cit., la motivazione dell’ordinanza 97/2021, peraltro, «spinge a considerare fuori dalla portata» della Corte «un successivo intervento in via di incostituzionalità consequenziale».   

[25] In questo senso, cfr. G. Giostra, Verso un’incostituzionalità prudentemente bilanciata?, cit., p. 43.

[26] Cfr. G. Giostra, Verso un’incostituzionalità prudentemente bilanciata?, cit., p. 43 ss., per il quale «la Consulta, nel caso di incostituzionalità incardinata sul finalismo rieducativo della pena, potrebbe (e credo dovrebbe) cogliere l’opportunità per “sanificare” il sistema nel suo complesso»: ipotizzando una pronuncia di accoglimento in tema di liberazione condizionale, Giostra osserva che «rimossa tramite giudicato costituzionale l’ostatività penitenziaria per la tappa iniziale (il permesso-premio) e per quella finale (la liberazione condizionale) del percorso risocializzativo del detenuto, sarebbe del tutto irragionevole mantenerla per le tappe intermedie». In questo senso v. anche A. Pugiotto, Dopo la sentenza (di accoglimento) che verrà, in G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Il fine e la fine della pena, cit., p. 213 ss., in particolare p.  217 s., nonché P. Veronesi, «Un passo dopo l’altro», è in arrivo il knock-down per la disciplina dell’ergastolo ostativo?, cit., p. 248. Di diverso avviso M. Ruotolo, L’ergastolo ostativo è costituzionale?, cit., p. 25, nt. 61, per il quale è «il legislatore a dover procedere nell’opera di ‘sanificazione’ complessiva del sistema, potendo la Corte intervenire solo chirurgicamente, di volta in volta, per rimuovere le ostatività che ancora precluderebbero le predette ‘tappe intermedie’».

[27] Anche nella dottrina costituzionalistica la questione appare peraltro aperta. V., ad esempio, R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, VII ed., 2006, p. 425 s., i quali segnalano come l’atteggiamento della Corte in proposito sia «tutt’altro che lineare»: la dichiarazione di illegittimità conseguenziale riguarda talora «norme “strumentali” o che comunque diverrebbero inapplicabili a seguito dell’annullamento della legge “principale” », altre volte «norme che sono applicazione del medesimo principio», altre volte, ancora, «norme che, annullata una legge, resterebbero “sbilanciate” ». A quest’ultima categoria sembra di potersi ascrivere il caso relativo a una dichiarazione di illegittimità costituzionale della disciplina dell’ergastolo ostativo, che avesse come oggetto l’accesso del condannato alla liberazione condizionale. Con riferimento a tale specifica questione, cfr. M. D’Amico, S. Bissaro, Il “commiato” dell’ergastolo ostativo? La parola spetta ora alla Corte costituzionale, in G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Il fine e la fine della pena, cit., p. 108, per i quali «una eventuale applicazione dell’istituto della illegittimità consequenziale, per colpire anche gli ulteriori reati contenuti nell’art. 4-bis oppure per far venire meno l’ostatività anche nei confronti dei benefici penitenziari che si collocano, come le misure alternative, “in mezzo al guado”, tra la tappa iniziale, il permesso premio, e la tappa finale, la liberazione condizionale» rappresenta un «serio problema» (corsivo aggiunto).

[28] Mette l’accento su questo precedente S. Grieco, Liberazione condizionale e regime ostativo: perché non si può più tornare indietro, in G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Il fine e la fine della pena, cit., p. 170, nt. 14.

[29] Corte cost. 1° marzo 1995, n. 68. A commento, cfr. M. Margaritelli, La "politica penitenziaria" della Corte costituzionale: una progressione lenta ma inesorabile, in Giur. cost., 1995, p. 3693 ss. 

[30] Cfr. Corte Edu, Grande Camera, 9 luglio 2013, Vinter c. Regno Unito, §113. In dottrina, v. E. Dolcini, Ergastolo ostativo, liberazione condizionale, diritto alla speranza, cit., p. 126 s.

[31] Cfr. L. Milella, Ergastolo ostativo, M5S contro la Consulta: "Il suo è un colpo mortale alla lotta alla mafia", La Repubblica, 19 maggio 2021; S. Musco, Ergastolo ostativo, il M5S “corregge” la Consulta, Il Dubbio, 19 maggio 2021, p. 3; A. Stella, Ergastolo: il trucco 5S per beffare la Consulta, Il Riformista, 19 maggio 2021, p. 5.  

[32] «Compito di questa Corte sarà quello di verificare ex post la conformità a Costituzione delle decisioni effettivamente assunte» (da parte del legislatore): così Corte cost., ord. n. 97/2021, punto 11 del ‘considerato in diritto’.  

[33] Cfr. E. Dolcini, L’ergastolo ostativo alla resa dei conti? Impossibile ogni compromesso con l’idea dello ‘scopo’, in Studi in onore di L. Monaco, 2020, p. 375 ss.

[34] Cfr. D. Galliani, Il chiaro e lo scuro, cit., p. 10, il quale riferisce di otto permessi-premio accordati al 20 maggio 2021. 

[35] «Cosa può sapere il Tribunale di Sorveglianza di Roma del percorso trattamentale del detenuto che sta ad esempio ad Udine? È una totale alterazione della giurisdizione di prossimità che è il fondamento di quella rieducativa»: così si è espresso Marcello Bortolato, Presidente del Tribunale di Firenze, in una intervista di cui riferisce A. Stella, Ergastolo: il trucco 5S per beffare la Consulta, cit.

[36] Di «folle idea» parla D. Galliani, Il chiaro e lo scuro, cit., p. 21.

[37] Cfr., ancora, A. Stella, Ergastolo: il trucco 5S per beffare la Consulta, cit.