1. Prova scientifica e teoria generale: il metodo avversativo della confutazione. – In quello che oramai si può definire un ventennio, in Italia si sono scritte in tema di prova scientifica nuove pagine nella storia del pensiero giuridico moderno. Se vogliamo trovare una data di inizio – l’archè secondo l’accezione cara a Tucidide e Polibio – essa è segnata senz’altro dal deposito della sentenza Franzese nel 2002[1]. Da allora è stato evidente che nel nostro Paese la prova scientifica incrocia il sistema accusatorio, il principio dispositivo, quello che Giovanni Canzio chiama il “modello della motivazione legale e razionale”[2], l’al di là del ragionevole dubbio in un unicum nel panorama internazionale con risultati concettualmente all’avanguardia rispetto ad altri ordinamenti.
Ebbene, da un lato, siffatte caratteristiche hanno scolpito il volto della prova scientifica; da un altro lato, la necessità di confrontarsi con quest’ultima ha determinato un’evoluzione in materia di teoria generale della prova che, dunque, va oltre la scienza e sortisce effetti anche sulle massime di esperienza e sulla prova rappresentativa. Quello che, con espressione mirabilmente sintetica, si denomina oggi il metodo avversativo della confutazione è diventato consustanziale al procedimento probatorio ed è legato a doppio filo con il principio dell’al di là del ragionevole dubbio. Tale metodo si esprime con la necessità di far operare sempre, nell’uso di ogni tipo di inferenza, il tentativo di smentita, quello che Karl Popper denomina il “tentativo di falsificazione”[3]. Lo ha affermato con disarmante chiarezza Margherita Cassano nella lectio magistralis tenuta a Firenze lo scorso novembre: il metodo della falsificazione è il nucleo essenziale del ragionamento del giudice e non è soltanto un problema etico ma anche giuridico, imposto oggi dall’art. 533 c.p.p.[4].
Letta in questa chiave, anche l’interpolazione dell’art. 546, lett. e c.p.p., attuata dalla riforma Orlando nel 2017, rivela potenzialità dirompenti: la nuova versione della norma – che introduce una “struttura dialogica rinforzata” per la motivazione – parrebbe aver codificato il tentativo di smentita anche per le massime di esperienza, laddove precisa che in motivazione occorre indicare «i risultati acquisiti e i criteri di valutazione della prova adottati enunciando le ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie»[5]. Ovvio che simili acquisizioni concettuali e metodologiche si ripercuotano a ritroso e con gli opportuni adeguamenti – basti rammentare le peculiarità della c.d. Inference to the best explanation, criterio logico seguito nella fase investigativa – sulle operazioni conoscitive effettuate nel corso delle indagini e sugli snodi decisioniali anteriori al dibattimento[6].
In definitiva, è possibile affermare che, valorizzato per contenere i rischi connessi alla prova scientifica, il ragionevole dubbio ha determinato il formarsi di una vera e propria “scienza delle prove”.
2. Le vette e la vertigine. – È, peraltro, eterna esperienza umana come, ogniqualvolta si raggiungano le vette più alte, oltre alla soddisfazione per l’agognata meta si percepisca anche, inevitabilmente, un senso di vertigine[7].
In tema di “epistemologia della scienza forense” le vette si colgono senz’altro nelle acquisizioni di una giurisprudenza illuminata che ha tracciato un vero e proprio discours de la méthode di cartesiana memoria, seguendo la via inaugurata dalla sentenza Franzese. Si può tentare di stilare un decalogo, con telegrafica sintesi.
a) La prova scientifica non è uno strumento gnoseologico sui generis ma è prova come tutte le altre: essa passa attraverso il contraddittorio, il processo di parti, il principio parzialmente dispositivo, il ragionevole dubbio[8]. Basti pensare alle Sezioni unite Pavan che hanno configurato un vero e proprio contraddittorio per la prova scientifica, considerando perizia e consulenza tecnica prove dichiarative in ragione del valore “formante” del contraddittorio[9].
b) Questi princìpi trovano formidabile riscontro nel falsificazionismo popperiano, che, con la sua forza espansiva, rappresenta il senso stesso del processo penale. Con vera e propria nonchalance le Sezioni unite Pavan hanno considerato il metodo di Popper come un’acquisizione epistemologica ormai assodata. D’altronde, a livello di filosofia della scienza si è dinanzi a princìpi tanto consolidati da essere espressi in un volume per ragazzi, dal titolo “Errori galattici. Errare è umano, perseverare è scientifico”, redatto con finalità divulgative da un giovane astrofisico[10].
c) Con specifico riferimento alla prova scientifica, è stato poi affermato che l’onere della prova sulla corretta acquisizione dei dati e sul fondamento della teoria posta a base della ricostruzione incombe sulla parte che introduce il dato scientifico[11].
d) La perizia non è prova neutra perché nessuno scienziato è neutro e perché nel processo penale essa si inserisce nelle dinamiche dell’onere della prova[12].
e) In tema di prova scientifica occorre garantire nella misura più ampia il diritto alla prova contraria. In arresti recenti la giurisprudenza sta affermando con sempre maggior vigore che, in caso di contrasto tra esperti, scatta il diritto alla prova peritale purché il contrasto sia effettivo e documentato[13].
f) Non vi è una prevalenza del perito sul consulente, né del consulente dell’accusa su quello della difesa. L’esperto è attendibile in ragione della sua posizione nel mondo scientifico e della qualità della teoria che prospetta[14]. Anche se, su questo punto, non si può fare a meno di ricordare come una nota stonata sia stata suonata da un recente arresto giurisprudenziale che ha considerato il consulente tecnico del pubblico ministero come una figura teleologicamente orientata verso l’accertamento della verità, nel prisma di una peculiare lettura dell’art. 358 c.p.p.[15].
g) Occorre rispettare la best practice nella raccolta degli elementi di prova fin dalla fase del sopralluogo, altrimenti quanto è stato repertato ed analizzato non assurge neppure a rango di circostanza indiziante. Siffatta affermazione resta ferma anche se la difesa non solleva eccezioni, perché la prova “raccolta male” non è prova e non può configurarsi alcuna acquiescenza espressa o tacita[16].
h) Il ragionevole dubbio è alfa e omega di ogni ragionamento in tema di prova. L’intuizione del giudice non può colmare eventuali lacune dimostrative. Il modo corretto di ragionare non è la convergenza del molteplice, ma il vaglio di precisione e gravità che – prima di procedere oltre – deve effettuarsi su ogni circostanza indiziante singolarmente considerata[17].
i) Anche le massime di esperienza devono essere sottoposte a tentativo di smentita[18].
l) Anche le prove rappresentative, nella valutazione sulla credibilità del dichiarante e sulla attendibilità di quanto affermato, richiedono l’applicazione di massime di esperienza e dunque passano per il tentativo di smentita[19].
3. La vertigine. – Così dipinto l’affresco con le luci delle vette, è il momento di posare lo sguardo sulle ombre della vertigine, in una emozionante atmosfera di sapore caravaggesco.
a) Una prima questione concerne il problema della gestione processuale della scienza controversa. La riflessione si è formata sul terreno della responsabilità da esposizione ad amianto (ove la controversia si appunta sull’incerto statuto della teoria dell’effetto acceleratore)[20] ma va ben oltre (è appena il caso di ricordare la materia scottante della responsabilità penale del medico, citando in tale ambito il tema delle prescrizioni off label divenuto di drammatica attualità durante la pandemia).
Ebbene, come è noto, la giurisprudenza ha individuato i criteri utili a sciogliere il contrasto tra teorie contrapposte – quello soggettivo, sintetizzabile con la “qualità dello studioso” e quello oggettivo rappresentato dalla “qualità della scienza”[21] – ma vi sono ancora difficoltà nel declinare compiutamente i singoli sotto-criteri, nel dare ad essi un ordine e nell’applicarli in concreto, scolpendone preliminarmente il contenuto specifico rispetto ad altri profili limitrofi ma non coincidenti[22].
La problematica intreccia le questioni legate al vaglio di ammissibilità della scienza nuova, giacché i parametri individuati per l’ipotesi di irrisolto conflitto sono formidabili anche per effettuare il controllo sulla gestione processuale di teorie lato sensu innovative. Sul punto è appena il caso di ricordare la sentenza Spallanzani che (esprimendosi ancora una volta sul tema della esposizione ad amianto) ha affermato come non debba considerarsi nuova una teoria quando ciascuna delle assunzioni poste a base della stessa sia verificabile e verificata dalla comunità scientifica[23]. L’affermazione è senz’altro meritevole di cauto approfondimento, con l’accortezza di rammentare come in agguato vi sia il rischio di incorrere nella c.d. “fallacia della composizione”: si tratta di quell’errore del ragionamento che consiste nell’attribuire al tutto le proprietà delle sue parti, mentre non è affatto detto che le singole parti, combinandosi tra di loro, mantengano inalterate le proprie caratteristiche.
b) Una seconda questione riguarda il profilarsi del pericolo di una fuga dal merito del giudice di fronte alla scienza: finché è la Suprema Corte ad affermare che il giudice di legittimità deve esprimere il proprio vaglio sui “criteri” utilizzati nel giudizio di merito per valutare la prova scientifica, nulla quaestio purché, ovviamente, vi sia accordo sull’essenza di tali criteri. Quando, invece, si addiviene all’affermazione che anche il giudice di merito è chiamato a valutare per così dire “dall’esterno” la legge scientifica, occorre prestare la massima attenzione. Vi è, infatti, il rischio che ci si accontenti di una valutazione esteriore sull’identità dello scienziato e sul metodo di formazione della teoria che applica, senza poi stabilire se la teoria scientifica sia convincente nel suo contenuto conoscitivo e se essa, applicata al caso di specie, produca risultati affidabili. In definitiva, il giudice di merito non può rinunciare a cimentarsi – per quanto possibile – anche con profilo relativo ai “contenuti” della scienza ed agli esiti probatori cui essa conduce una volta applicata al fatto. Altrimenti, al limite, potrebbe paventarsi un ritorno al vecchio paradigma della perizia prova legale. Si tratta, ça va sans dire, di un problema di dosaggio nella valutazione dei vari aspetti; tuttavia, la questione è delicatissima e tutt’altro che risolta.
c) Ci sono, poi, alcune problematiche in relazione alle quali sembra si sia addivenuti ad una situazione di impasse, in cui si sente il bisogno del colpo d’ala di intuizioni geniali, come accadde quando, con la sentenza Franzese, si superò d’un balzo lo stallo esegetico determinato dalla querelle sulla percentuale di probabilità statistica della legge scientifica di copertura, introducendo l’innovativo concetto di probabilità logica.
Un primo aspetto riguarda l’individuazione dell’accreditamento della legge scientifica che si può porre a base della sentenza di condanna. In alcune pronunce, infatti, pare profilarsi una vera e propria equazione tra il criterio dell’al di là del ragionevole dubbio e la generale accettazione della teoria nel mondo scientifico, con un pericoloso ritorno al Frye test degli anni ’20 dello scorso secolo, in netta controtendenza rispetto alle acquisizioni del Daubert test che aveva reso quello della generale accettazione un criterio meramente residuale nel vaglio di scientificità[24]. Sarebbe dunque utile meditare sull’incrocio tra lo standard della probabilità logica, la regola di giudizio imposta dal criterio BARD ed i parametri di scientificità della teoria. Si tratta, all’evidenza, di una conseguenza necessitata del rilievo in forza del quale, nel nostro ordinamento, questi ultimi criteri trovano il proprio luogo sistematico di elezione non tanto nella fase di ammissione della prova quanto nella fase della valutazione della stessa e, dunque, debbono necessariamente confrontarsi con le regole probatorie e di giudizio che operano in tale fase. Nulla di più complesso per chi sia chiamato a farne applicazione.
Nel medesimo solco ermeneutico, in un rapporto di specularità, si riscontra incertezza anche con riferimento alla legge scientifica che può porsi a base dell’esistenza di un ragionevole dubbio sulla ricostruzione dell’accusa e che, di conseguenza, può giustificare l’assoluzione. Su questo fronte, il rischio è quello di fondare il ragionevole dubbio sul terreno paludoso delle leggi scientifiche opinabili o addirittura pseudoscientifiche, mentre è importante tenere presente che l’attributo della “ragionevolezza” appare addirittura incompatibile con la ricostruzione di un fatto basata su di una scienza non affidabile. È, dunque, importante individuare la linea di confine tra dubbio ragionevole e “dubbio pseudoscientifico”, che corre su di un crinale davvero sottile e difficile da individuare già a livello concettuale: la questione, tutt’altro che semplice, merita senz’altro di essere scandagliata. Il ragionevole dubbio, primum movens della scienza delle prove, non potrebbe fondarsi su prove non scientifiche o – ecco la vera insidia – “poco” scientifiche[25].
d) Un ulteriore aspetto problematico, con il quale è necessario oggi confrontarsi, concerne un’affermazione spesso contenuta all’interno di quelle sentenze che accolgono l’orientamento consolidato ed espresso dalla massima ormai tralatizia secondo cui il processo non è il luogo ove si forma il sapere scientifico ed il giudice non deve vagliare i contenuti scientifici, bensì i criteri di scientificità. In tali decisioni si legge, infatti, anche che, nello scegliere tra due ricostruzioni, il giudice non deve motivare su ogni singolo passaggio della teoria che non accoglie[26]. Anche stavolta si è dinanzi ad un problema di dosaggio: occorre fare attenzione a non avallare motivazioni troppo sintetiche che, al limite, potrebbero giungere a non rispettare quella struttura dialogica che, come si è accennato in apertura, è addirittura “rinforzata” dalla versione attuale dell’art. 546, lett. e c.p.p.
e) Il profilo appena accennato offre il destro per ricordare l’ultimo e forse il più subdolo dei pericoli. Il tema del momento – istituzionalizzato a vari livelli – è quello della chiarezza, concisione e sinteticità dell’apparato giustificativo della decisione. Il che poi significa prospettare in alcuni settori “sensibili” una motivazione rafforzata, che deve affrontare e risolvere alcuni passaggi necessitati. Ebbene, la motivazione rafforzata sulla scienza – come in ogni altra materia d’altronde – funziona se e nella misura in cui costringe il giudice a porsi delle domande ed a dare delle risposte, mentre il valore di tale concetto si perde nel momento in cui le domande hanno risposte retoriche e vuote di contenuti. È noto, infatti, che la motivazione rafforzata non è immune dal vizio di motivazione apparente ed anche il tentativo di confutazione può essere solo di facciata. E qui davvero l’apparenza può ordire sottili e insidiosi inganni: molte sentenze ripetono come un “mantra” i princìpi introdotti dalle decisioni Franzese e Cozzini ma, nella sostanza, non applicano il metodo ivi prospettato[27]. Viene alla mente la bella espressione utilizzata ad altro proposito da Massimo Nobili per stigmatizzare il tradimento più grave delle garanzie: “l’accusatorio sulle labbra e l’inquisitorio nel cuore”[28].
È, dunque, necessario attrezzarsi per riconoscere queste insidie ed evitarle. Una strada interessante consiste nell’approfondimento delle c.d. fallacie del ragionamento, materia che si studia nell’ambito della filosofia della conoscenza. La chiarezza circa le tipologie di errori, nei quali si può incorrere, ex ante può evitare che vi si cada ed ex post può permettere a chi è chiamato a controllare il ragionamento di porvi rimedio[29]. Analoghe cautele sono ancor più necessarie in tema di scienza ove, peraltro, il giudice si confronta con una sorta di “metalinguaggio” di secondo grado[30]: egli deve decriptare un sapere che non è giuridico, farlo passare attraverso le categorie del diritto e poi rendere trasparente dentro e fuori dal processo la sua decisione.
Le considerazioni appena svolte lasciano, dunque, intravvedere un possibile ancoraggio per vincere la vertigine del vuoto che atterrisce chi abbia raggiunto le vette: «car enfin, soit que nous veillions, soit que nous dormions, nous ne nous devons jamais laisser persuader qu’à l’évidence de notre raison». Questo appare oggi l’unico sentiero rassicurante da percorrere in ogni campo[31].
[1] Cass., sez. un., 10 luglio 2002 (dep. 11 settembre 2002), n. 30328, Franzese.
[2] Si veda G. Canzio, Prova scientifica, ricerca della “verità” e decisione giudiziaria nel processo penale, in Aa. Vv., Decisione giudiziaria e verità scientifica, Milano, 2005, 71 ss.
[3] K.R. Popper, Logik der Forschung, Springer-Verlag, 1935.
[4] M. Cassano, La motivazione della sentenza penale, Lectio magistralis, Firenze, 24 novembre 2020.
[5] Volendo, C. Conti, Il BARD paradigma di metodo: legalizzare il convincimento senza riduzionismi aritmetici, in Dir. pen. proc., 2020, 833.
[6] Si veda, ancora, G. Canzio, La motivazione della sentenza e la prova scientifica: “reasoning by probabilities”, in G. Canzio e L. Lupària, Prova scientifica e processo penale, Cedam, 2017, 1 ss.
[7] G. Canzio, La motivazione della sentenza e la prova scientifica: “reasoning by probabilities”, cit., 4, utilizza tale metafora con riferimento all’impiego del ragionamento probabilistico nel giudizio penale.
[8] Cass., sez. un., 10 luglio 2002 (dep. 11 settembre 2002), n. 30328, Franzese; Cass., sez. V, 25 marzo 2015 (dep. 7 settembre 2015), n. 36080, Sollecito e altra.
[9] Cass., sez. un., 28 gennaio 2019 (dep. 2 aprile 2019), n. 14426, Pavan. Sulle acquisizioni epistemologiche che caratterizzano la decisione in esame, C. Bonzano, La parabola del contraddittorio dal giusto processo all’efficientismo emergenziale, in Dir. pen. proc., 2020, 1415.
[10] L. Perri, Errori galattici. Errare è umano, perseverare è scientifico, De Agostini, 2018.
[11] Corte di assise di appello di Perugia, 3 ottobre 2011 (dep. 15 dicembre 2011), Knox e Sollecito e Cass., sez. IV, 14 novembre 2017 (dep. 16 aprile 2018), n. 16713, Cirocco. Sulla centralità del concetto di onere della prova nel sistema probatorio, P. Tonini, Manuale di procedura penale, 21^ ed., 2020, pp. 243-246.
[12] Cass., sez. un., 28 gennaio 2019 (dep. 2 aprile 2019), n. 14426, Pavan. In proposito, diffusamente, P. Tonini e C. Conti, Il diritto delle prove penali, 2^ ed. aggiornata, Giuffrè, 2014, pp. 325 ss.
[13] Cass., sez. I, 12 ottobre 2018 (dep. 23 novembre 2018), n. 52872, Bossetti; Cass., sez. IV, 16 novembre 2018 (dep. 8 gennaio 2019), n. 412, De Santis; Cass., sez. IV, 3 ottobre 2017 (dep. 17 gennaio 2018), n. 1886, Cappel.
[14] Lo si ricava dalla sentenza Cozzini (Cass., Sez. IV, 17 settembre 2010 (dep. 13 dicembre 2010), n. 43786, Cozzini). Successivamente, la Cassazione si è espressa nel senso che il giudice possa trarre il proprio convincimento dalla consulenza tecnica di parte senza nominare il perito, purché sia in grado di stilare congrua motivazione (Cass., Sez. IV, 13 febbraio 2015 (dep. 25 febbraio 2015), n. 8527, Sartori; Cass., Sez., 25 ottobre 2017 (dep. 26 marzo 2018), n. 13997, P.).
[15] Cass., Sez. III, sent. 18 febbraio 2020 (dep. 29 maggio 2020), n. 16458, in questa Rivista, 25 settembre 2020, con nota di R.E. Kostoris, Una grave mistificazione inquisitoria: la pretesa fede privilegiata del responso del consulente tecnico dell’accusa. V. anche Cass., sez. I, 18 maggio 2018 (dep. 18 marzo 2019), n. 11897, Palleschi, che richiama il «consolidato orientamento di legittimità» secondo cui «il giudice di merito che intenda discostarsi dalle conclusioni del perito d’ufficio è tenuto ad un più penetrante onere motivazionale».
[16] Cass., sez. V, 25 marzo 2015 (dep. 7 settembre 2015), n. 36080, Sollecito e altra.
[17] Cass., sez. V, 25 marzo 2015 (dep. 7 settembre 2015), n. 36080, Sollecito e altra.
[18] Corte di assise di appello di Perugia, 3 ottobre 2011 (dep. 15 dicembre 2011), Knox e Sollecito. La necessità di applicare il tentativo di falsificazione delle massime di esperienza è prospettata da P. Tonini, La Cassazione accoglie i criteri Daubert sulla prova scientifica. Riflessi sulla verifica delle massime di esperienza, in Dir. pen. proc., 2011, 1346.
[19] Corte di assise di appello di Perugia, 3 ottobre 2011 (dep. 15 dicembre 2011), Knox e Sollecito.
[20] S. Zirulia, Contrasti reali e contrasti apparenti nella giurisprudenza post-Cozzini su causalità e amianto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 1308
[21] Cass., Sez. IV, 17 settembre 2010 (dep. 13 dicembre 2010), n. 43786, Cozzini; Cass., sez. IV, 29 gennaio 2013 (dep. 9 aprile 2013), n. 16237, Cantore.
[22] Si veda D. Canale, Il disaccordo tra gli esperti nel processo penale: profili epistemologici e valutazione del giudice, in questa Rivista, 27 luglio 2020.
[23] Cass., sez. IV, 13 giugno 2019 (dep. 12 novembre 2019), n. 45935, Spallanzani, in questa Rivista, 13 febbraio 2020, con nota di S. Zirulia, Morti da amianto ed effetto acceleratore: la Cassazione interviene (tra l’altro) sui criteri di selezione della scienza nuova. Qualcosa di simile lo aveva già affermato la Cassazione nel Caso Cogne con riferimento alla BPA: quasi in applicazione della proprietà transitiva, si escluse allora la natura di prova scientifica nuova della BPA giacché essa comporta l’impiego combinato di scienze tradizionali (Cass., sez. I, 21 maggio 2008 (29 luglio 2008), n. 31456, Franzoni).
[24] Si fa riferimento a Cass., sez. IV, 15 maggio 2018 (dep. 12 ottobre 2018), n. 46392, Beduschi e Cass., sez. IV, 10 novembre 2017 (dep. 7 dicembre 2017), n. 55005, Pesenti: «il ragionamento sulla prova deve trovare il proprio aggancio e la propria motivazione in un sapere scientifico largamente accreditato tra gli studiosi. La generalizzazione scientifica, in altri termini, porterà alla condanna oltre ogni ragionevole dubbio, solo quando sia ampiamente condivisa dalla comunità degli esperti». Le ricordate sentenze della Corte Suprema sono Frye v. United States, 293 F. 1013, D.C. Circ. 1923 e Daubert v. Merrel Dow Pharmaceuticals, Inc., 509 U.S. 579, 113 S. Ct. 2786 (1993).
[25] In un caso in cui occorreva stabilire il nesso causale tra una lesione cerebrale da incidente stradale ed il successivo comportamento sessuale distruttivo, la Cassazione ha fondato la riduzione della pena dall’ergastolo a venti anni su prove scientifiche piuttosto problematiche, affermando che nelle valutazioni condotte pro reo opera il criterio del “più probabile che non” (Cass., sez. I, 18 maggio 2018 (dep. 18 marzo 2019), n. 11897, Palleschi).
[26] Cass., sez. I, 18 giugno 2020 (dep. 29 settembre 2020), n. 27115, H.P.D.S.; Cass., sez. I, 17 giugno 2020 (dep. 28 agosto 2020), n. 24421, S.B.; Cass., sez. V, 13 febbraio 2017 (dep. 20 aprile 2017), n. 18975, C.L.; Cass., sez. IV, 10 marzo 2016 (dep. 14 aprile 2016), n. 15493, B.R.; Cass., sez. VI, 9 gennaio 2014 (dep. 5 febbraio 2014), n. 5748, L.A.; Cass., sez. IV, 17 aprile 2012 (dep. 12 giugno 2012), n. 23146, S.U.; Cass., sez. IV, 13 maggio 2011 (dep. 20 giugno 2011), n. 24573, M.M.N.C.N.L.
[27] «I principi posti dalla sentenza Cozzini sono ormai del tutto introiettati, sino a divenire un mantra sempre ripetuto; salvo defaillance, forzature e incongruenze nel passaggio dall'enunciazione all'applicazione». Così, Cass., sez. IV, 14 marzo 2017 (dep. 3 novembre 2016), n. 12175, Bordogna.
[28] M. Nobili, L’accusatorio sulle labbra, l’inquisitorio nel cuore, in Crit. dir. 1992, IV-V, 11 ss.
[29] Volendo C. Conti, Il BARD paradigma di metodo: legalizzare il convincimento senza riduzionismi aritmetici, cit., 836.
[30] Sul concetto di metalinguaggio, G. Canzio, Trascrizione dell’Intervento svolto all’Incontro di studio su La motivazione dei provvedimenti giudiziari, Firenze, 8 maggio 2017, 28.
[31] R. Descartes, Discours de la méthode (1637), in R. Descartes, Œuvres de Descartes, (publiées par) V. Cousin, 1824, t. I, 166.