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21 Dicembre 2023


Le Sezioni Unite sul delitto di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza: rileva solo il caso in cui la percezione del sussidio risulti indebita nell’an o nel quantum

Cass., Sez. un., sent. 13 luglio 2023 (dep. 13 dicembre 2023), n. 49686, Pres. Cassano, est. Aceto, ric. Giudice



1. Con la sentenza qui allegata le Sezioni unite si sono pronunciate sul quesito avanzato dalla terza Sezione della Corte di cassazione relativo all’ambito applicativo della fattispecie di omesse o false informazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza (Rdc) di cui all’art. 7, comma 1, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla l. 28 marzo 2019, n. 26[1]. Tale norma, nel sanzionare «salvo che il fatto costituisca più grave reato» il soggetto che «al fine di ottenere indebitamente» il sussidio in parola «rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute», costituisce un’ipotesi di «falso inteso all’ottenimento» del Rdc[2], a differenza della fattispecie di cui al secondo comma del medesimo articolo, ove invece viene sanzionato il «falso inteso al mantenimento» del predetto beneficio[3].

La questione rimessa al massimo organo nomofilattico, in particolare, riguardava la possibilità di ritenere integrata la figura delittuosa di cui all’art. 7, comma 1, anche nelle ipotesi in cui – a prescindere dalla condotta di mendacio – il richiedente fosse comunque nelle condizioni (reddituali, ma non solo) per accedere al beneficio[4].

Le Sezioni unite, mostrando di condividere il percorso argomentativo tracciato nell’ordinanza di rimessione, hanno risolto il contrasto giurisprudenziale aderendo all’orientamento restrittivo e più recente – ancorché minoritario – favorevole a riconoscere penale rilevanza alle sole false o omesse indicazioni strumentali al conseguimento del sussidio cui l’agente non avrebbe altrimenti avuto diritto.

 

2. Il caso sottoposto all’attenzione della cassazione vedeva coinvolto un soggetto il quale aveva attestato nella dichiarazione ISEE un valore del proprio patrimonio immobiliare inferiore a quello reale, omettendo di indicare alcune quote di comproprietà di terreni[5]; a seguito di tale dichiarazione l’INPS procedeva ad erogare al richiedere la somma di euro 4.431,78 a titolo di integrazione del reddito familiare per l’anno 2019. Condannato in primo e in secondo grado per i reati di cui agli artt. 640, secondo comma, n. 1, c.p. e 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019, l’imputato ricorreva per cassazione invocando, tra l’altro, l’interpretazione di quest’ultima fattispecie offerta da una recente pronuncia di legittimità – la sentenza “Gulino” del 2021[6] – la quale, valorizzando l’elemento strutturale del dolo specifico di cui all’art. 7, primo comma, aveva riconosciuto la possibilità di attribuire rilevanza penale della condotta decettiva nei soli casi in cui il soggetto avesse agito al fine di ottenere “indebitamente” un beneficio che altrimenti risulterebbe non dovuto, non sussistendo le condizioni per l’erogazione dello stesso.

 

3. Proprio in relazione a quest’ultimo profilo, come anticipato, si registrava una diversità di orientamenti nella giurisprudenza di legittimità, puntualmente ripercorsa tanto nell’ordinanza di rimessione della terza Sezione quanto nella sentenza delle Sezioni unite in commento.

Secondo un primo filone ermeneutico, affermatosi all’indomani della novella del 2019, la fattispecie di cui all’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019 dovrebbe ritenersi integrata a prescindere dall’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, e dunque anche nel caso in cui il mendacio non incida sul diritto a ottenere il Rdc (ovvero sull’ammontare di quest’ultimo), diritto effettivamente sussistente in capo al richiedente[7].

Tale orientamento si fondava su due ordini di argomenti, uno di matrice assiologica e un altro di tipo sistematico. In primo luogo veniva evidenziato come alla base della disciplina sanzionatoria de qua fosse individuabile un generale “principio antielusivo”, radicato nell’art. 53 Cost. e tale da riverberarsi in un «dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico»[8], idoneo di per sé solo a giustificare la punibilità del mendacio o della reticenza. Secondariamente, veniva operato un confronto tra la fattispecie in materia di falso per l’ottenimento del Rdc e l’ipotesi di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, relativa alle false dichiarazioni sostitutive per l’accesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato; stante la ritenuta omogeneità tra le due figure delittuose, l’orientamento in oggetto considerava invocabili anche in relazione all’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019 i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in materia di falso per l’ammissione al gratuito patrocinio, ipotesi che le Sezioni unite “Infanti” del 2008 avevano ritenuto configurabile indipendentemente dalla sussistenza effettiva delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio[9].

Da siffatti approdi interpretativi hanno consapevolmente preso le distanze due più recenti pronunce di legittimità (la già richiamata sentenza “Gulino” del 2021 e la successiva sentenza “Pollara” del 2022[10]), le quali hanno contestato la ricostruzione dell’art. 7, primo comma, in termini di reato di pericolo astratto, ritenendo invece la fattispecie ascrivibile al paradigma del pericolo concreto, così da comportare la rilevanza penale delle sole condotte finalizzate all’ottenimento di un beneficio non dovuto. In questa prospettiva veniva valorizzato il dolo specifico costituito dal «fine di ottenere indebitamente» il Rdc, elemento non contemplato dall’ipotesi di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 e dal quale si dovrebbe ricavare la necessaria idoneità della condotta a perseguire l’obiettivo di ottenere un sussidio espressamente qualificato come “indebito”, e dunque per forza di cose non dovuto.

 

4. Le Sezioni unite dichiarano apertamente di aderire a quest’ultimo orientamento, sviluppando in tal senso un articolato apparato motivo all’interno del quale è facilmente individuabile una pars destruens, volta a criticare gli argomenti posti a fondamento del contrario indirizzo ermeneutico, e una successiva pars construens, nella quale la Corte – risolvendo il quesito formulato dalla terza Sezione – ricostruisce compiutamente struttura e oggettività giuridica della fattispecie di cui all’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019.

Prima di scendere nel merito delle correnti interpretative in contrasto, tuttavia, il massimo organo nomofilattico ha ritenuto opportuno richiamare la disciplina di diritto intertemporale intervenuta a seguito della abrogazione “differita”, a decorrere cioè dal 1° gennaio 2024, della norma de qua, operata con l’art. 1, comma 318, l. 29 dicembre 2022, n. 197[11]. A tal proposito viene ricordato come con il d.l. 4 maggio 2023, n. 48, istitutivo della nuova misura del c.d. “assegno di inclusione”, il legislatore abbia espressamente previsto (all’art. 13, comma terzo) che alle condotte di mendacio volte all’indebito ottenimento del Rdc commesse fino al 31 dicembre 2023 continuino ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019, fattispecie che pertanto – affermano le Sezioni unite – è da considerarsi «tutt’ora in vigore»[12].

 

5. Venendo alla richiamata pars destruens della pronuncia, i Giudici di legittimità, nel contestare l’orientamento giurisprudenziale non condiviso, censurano innanzitutto l’accostamento operato tra le ipotesi di cui all’art. 7, primo comma, e all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002. In questo senso vengono in primis rimarcate le differenze strutturali tra le due fattispecie, evidenziando come la prima risulti caratterizzata dal già evocato dolo specifico e prescinda dall’effettivo conseguimento del sussidio, laddove invece la seconda contempla il semplice dolo generico e offre rilevanza all’ottenimento del beneficio – qui costituito dall’accesso al gratuito patrocinio – in termini di circostanza aggravante. In secondo luogo, la Corte si sofferma sui diversi contesti procedimentali entro i quali si collocano gli illeciti, sottolineando come l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato segua una procedura «informata alla massima celerità e snellezza», nella quale il giudice procedente si limita di fatto a recepire quanto dichiarato dal richiedente, mentre con riferimento al Rdc, pur nella necessaria rapidità del procedimento, lo stesso risulti caratterizzato da «una (sia pur minima) attività istruttoria finalizzata alla verifica del possesso dei requisiti per l’accesso al beneficio»[13]. Siffatte differenze portano le Sezioni unite a ritenere il parallelismo tra l’ipotesi di cui all’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019 e quella ex art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 del tutto «improbabil[e] (…) essendo i termini di paragone indiscutibilmente eterogenei»[14].

Sempre in chiave di critica all’indirizzo interpretativo disatteso, la Corte non ritiene condivisibile il riferimento a quel “principio antielusivo” che si radicherebbe nell’art. 53 Cost. e che costituirebbe il fondamento assiologico della fattispecie in parola. In termini davvero incisivi i Giudici di legittimità affermano in questo senso come «il dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico» sembri invero «costituire il corrispondente di un beneficio “graziosamente” concesso al cittadino, piuttosto che in forza di un diritto espresso riconosciuto per legge sulla base di dati obiettivi e verificabili»[15]. Così, richiamando i consolidati approdi della giurisprudenza costituzionale in materia di principio di offensività, il massimo organo nomofilattico riconosce come la violazione di un generico “dovere di lealtà” non possa costituire elemento idoneo a giustificare la sanzione penale, atteggiandosi piuttosto quale «vuoto guscio, privo di sostanza concreta, che attrae a sé (…) anche fatti del tutto inoffensivi»[16]. Piuttosto, il disvalore di fattispecie deve essere individuato nella circostanza per la quale il mendacio «possa ledere (o effettivamente leda) gli interessi pubblici alla cui tutela il beneficio economico è finalizzato»[17].

 

6. Proprio in quest’ultima prospettiva, all’interno di quella che abbiamo definito la pars construens della pronuncia qui annotata, le Sezioni unite si preoccupano di fornire una lettura della fattispecie di cui all’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019 «più aderent[e] al principio di offensività»[18]; a tal fine l’ipotesi delittuosa in parola viene espressamente qualificata in termini di «reato di pericolo concreto a consumazione anticipata», posto a tutela del patrimonio dell’ente erogante, inteso come le limitate risorse destinate all’erogazione del Rdc e al perseguimento del fine pubblico ad esso sotteso[19].

A sostegno di tale ricostruzione la Corte adduce in primis un argomento di ordine letterale, volto a valorizzare l’avverbio «indebitamente» utilizzato dal legislatore nella descrizione del dolo specifico. Tale sintagma, evidenziano le Sezioni unite, impone di differenziare l’elemento soggettivo di fattispecie rispetto alla mera consapevolezza del mendacio, così da richiedere un quid pluris, costituito appunto dalla volontà di accedere ad un beneficio che il soggetto sa essere non dovuto.

In secondo luogo, i Giudici di legittimità sviluppano un ragionamento di matrice sistematica relativo ai rapporti tra la fattispecie di cui al primo comma dell’art. 7, d.l. n. 4 del 2019 e quella di cui al successivo secondo comma, ove viene sanzionata l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio ovvero «di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione» del Rdc. In particolare la Corte sottolinea come la relazione tra le due ipotesi criminose possa essere ricostruita in termini di coerenza soltanto laddove si consideri quale comune bene giuridico protetto quello del patrimonio dell’ente erogante il beneficio, inteso in chiave “dinamica”, in modo cioè da contemplare anche l’interesse pubblico al cui perseguimento tali risorse patrimoniali risultano destinate. In questo senso viene richiamata la disciplina prevista per l’ipotesi di decadenza dal beneficio di cui al comma sesto dell’art. 7, ove il legislatore dispone che l’ente erogatore – in caso di percezione del Rdc in misura maggiore di quanto dovuto per effetto delle condotte decettive di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione – debba recuperare solo quanto versato in eccesso, e non l’intero ammontare del sussidio. Da tale dato normativo le Sezioni unite ritengono di ricavare, da un lato, l’impossibilità di attribuire rilievo al richiamato “dovere di lealtà” giacché, in caso contrario, la decadenza dal beneficio a seguito di false o omesso comunicazioni avrebbe dovuto determinare il recupero totale delle somme erogate; dall’altro, la Corte vede nella disciplina in parola una conferma dell’applicabilità della fattispecie di cui al primo comma dell’art. 7 non solo nel caso in cui il Rdc fosse tout court non dovuto, ma anche laddove il dichiarante agisca nella prospettiva di ottenere il sussidio in misura superiore a quanto spettante[20].

 

7. Alla luce di tale articolato percorso argomentativo il massimo organo nomofilattico ritiene in conclusione di dover espressamente escludere che la fattispecie di cui all’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019 «sia post[a] a tutela della fede pubblica e che si risolva in un reato di falso», essendo la stessa piuttosto riconducibile all’ambito di tutela delle risorse pubbliche e delle finalità (anch’esse di rilevanza pubblicistica) al cui perseguimento le stesse risorse sono destinate[21].

In questa prospettiva emerge la centralità della funzione attribuita al dolo specifico, il quale viene a fungere da parametro selettivo di fattispecie, idoneo ad attribuire rilevanza penale alle sole condotte che siano suscettibili di mettere in concreto pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma. È evidente dunque che laddove il richiedente abbia comunque diritto ad accedere al beneficio, a prescindere dalle informazioni mendaci o da quelle indebitamente omesse, non possa in radice sussistere la predetta offesa di ordine patrimoniale, rivelandosi la condotta descrittiva in sé atipica, essendo esclusa la natura “indebita” del beneficio.

 

***

 

8. La decisione delle Sezioni unite presenta molteplici profili di interesse, che non si limitano alla soluzione del quesito interpretativo formulata dalla terza Sezione della Cassazione; soluzione la quale, ad ogni modo, a noi pare ampiamente condivisibile, nella misura in cui si rivela funzionale a una ragionevole perimetrazione dell’ambito applicativo della fattispecie di cui all’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019, in contrasto rispetto alla prassi estensiva che si era imposta all’indomani della novella e che non aveva mancato di sollevare perplessità nella dottrina[22].

Particolarmente apprezzabile ci sembra lo sforzo profuso dal massimo organo nomofilattico nell’attribuire consistenza ermeneutica alle categorie del dolo specifico e dell’offensività: il primo, individuato quale vero filtro di selezione per le condotte rilevanti; la seconda, chiamata a fungere da criterio-guida per la ricostruzione della struttura di fattispecie in conformità al modello del pericolo concreto. È l’argomentazione condotta alla stregua di questi due elementi essenziali che consente alla Corte di elaborare quello che, ci sembra, costituisce il vero fulcro argomentativo della sentenza, e cioè la scelta espressa di smarcare l’ipotesi di cui all’art. 7, primo comma, dal paradigma dei reati di falso per ricondurla invece – attraverso una lettura in chiave patrimoniale dell’interesse protetto – entro quello delle frodi nelle erogazioni pubbliche.

 

9. Proprio in relazione a quest’ultimo profilo, tuttavia, la pronuncia delle Sezioni unite presenta a nostro modesto avviso taluni limiti, nella misura in cui mostra di non farsi carico delle questioni che siffatto inquadramento sistematico del reato di false o omesse dichiarazioni per ottenere il Rdc porta con sé. Questioni che, a ben vedere, erano state apertamente evocate dall’ordinanza di rimessione e che attengono tanto alla posizione dell’ente erogatore – specie alla luce delle modalità concrete di controllo dei dati autodichiarati dal richiedente – quanto alla conseguente individuazione dei rapporti con le fattispecie da ritenersi – a questo punto, effettivamente – contigue[23].

Lasciando le opportune riflessioni sul punto a lavori di commento più approfonditi di quello attuale, ci limitiamo in questa sede a ricordare come la fattispecie di cui all’art. 7, primo comma, in parola sia andata a posizionarsi su di un palcoscenico già particolarmente affollato, nel quale si sono progressivamente disposte – in modo tutt’altro che ordinato – una pluralità di ipotesi volte a sanzionare il mendacio o la reticenza diretti all’ottenimento di una erogazione pubblica: su tutte, basti richiamare gli artt. 316-ter, 640-bis e 640, secondo comma, n. 1, del codice penale.

La questione dei rapporti tra tali fattispecie e quella in materia di Rdc diviene di particolare rilievo specie in quelle situazioni nelle quali, a seguito delle informazioni false od omesse, il contributo sia stato poi effettivamente erogato. Stante l’anticipazione della tutela operata con l’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019, la cui condotta decettiva sembrerebbe «parifi[cabile] (…) ad un tentativo di truffa»[24], occorre infatti chiedersi se, nell’ipotesi in cui appunto il contributo sia stato erogato e si sia dunque consolidata l’offesa al bene patrimoniale in termini di effettiva lesione, la fattispecie in parola resti ancora applicabile, eventualmente in concorso con un’altra figura delittuosa che contempli l’ottenimento dell’erogazione come evento del reato (quali sono, appunto, gli artt. 316-ter, 640-bis e 640, comma secondo, n. 1, c.p. sopra richiamati), ovvero se la stessa non debba piuttosto ritenersi assorbita in tale diversa fattispecie criminosa[25].

La rilevanza del quesito – e la connessa esigenza di fare ordine entro le diverse ipotesi apparentemente applicabili – risulta vieppiù confermata dal diffondersi di un orientamento ermeneutico nella giurisprudenza di merito secondo cui sarebbero configurabili, «in luogo o in aggiunta della fattispecie prevista dall’art. 7, anche le fattispecie di truffa aggravata (l’art. 640, comma 2, n. 1 c.p. o, in alternativa, l’art. 640-bis c.p.); soluzione che ha il vantaggio di consentire l’operatività dell’art. 640-quater c.p., che prevede la possibilità di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente per il recupero delle somme percepite indebitamente a titolo di RDC»[26].

Ed è proprio nell’individuazione della fattispecie (eventualmente) concorrente o assorbente che viene in rilievo la verifica circa la posizione assunta nel caso concreto dall’ente erogatore[27], effettivamente tratto in errore nonostante i controlli effettuati, secondo il modello di cui all’art. 640-bis c.p.[28], ovvero mero destinatario delle informazioni autodichiarate senza un controllo preventivo rispetto all’erogazione del sussidio, in conformità al paradigma proprio dell’art. 316-ter c.p.[29].

 

10. Non si tratta, evidentemente, di questioni semplici o di secondario momento, destinate a perdere rilevanza con il progressivo esaurirsi dei procedimenti relativi all’indebito ottenimento del Rdc dovuto all’ormai davvero prossima abrogazione (anche) della disciplina sanzionatoria penale relativa a tale beneficio, che si perfezionerà il 1° gennaio 2024. Basti infatti in questo senso evidenziare come il già richiamato d.l. n. 48 del 2023, istitutivo della nuova misura del c.d. “assegno di inclusione” destinata di fatto a sostituire il precedente Rdc, abbia introdotto all’art. 8, primo comma, una fattispecie delittuosa per il caso di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del predetto sussidio che ricalca in modo speculare gli elementi dell’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019, e in relazione alla quale – pertanto – si configurano le medesime questioni interpretative che le Sezioni unite con la pronuncia in commento, abbiamo visto, solo in parte hanno contribuito a chiarire[30].

 

[1] Con riferimento a tale fattispecie, nel contesto più generale della disciplina sanzionatoria penale introdotta a tutela del procedimento di richiesta ed erogazione del Rdc, v. per tutti R. Affinito-M.M. Cellini, Il reddito di cittadinanza tra procedimento amministrativo e processo penale, in questa Rivista, 2021, 9, 5 ss.; M. Carani, Una prima lettura della disciplina penale in materia di reddito di cittadinanza, in Cass. pen., 2021, 1297 ss.; R. Riverso, Reddito di cittadinanza: assistenza alla povertà o governo penale dei poveri?, in Questionegiustizia.it, 6 giugno 2019.

[2] Così R. Riverso, Reddito di cittadinanza: assistenza alla povertà o governo penale dei poveri?, cit., par. 1.1.

[3] Ibidem.

[4] Cass., Sez. III, ord. 20 gennaio 2023, n. 2588, in questa Rivista, con nota di P. Brambilla, La rilevanza penale delle false dichiarazioni nella richiesta per l’ottenimento del reddito di cittadinanza: l’ordinanza che rimette la questione alle Sezioni Unite, 15 febbraio 2023.

[5] Per un’analisi del caso concreto v. anche P. Brambilla, La rilevanza penale delle false dichiarazioni nella richiesta per l’ottenimento del reddito di cittadinanza, cit., par. 2.

[6] Cass., Sez. III, 15 settembre 2021, n. 44366, in OneLEGALE.

[7] In questo senso, tra le altre, Cass., Sez. III, 10 febbraio 2020, n. 5289, in Cass. pen., 2021, 1294 ss., con nota di M. Carani, Una prima lettura della disciplina penale in materia di reddito di cittadinanza, cit.; Cass., Sez. II, 20 gennaio 2021, n. 2402, in OneLEGALE; Cass., Sez. III, 13 settembre 2021, n. 33808, ivi; Cass., Sez. III, 9 settembre 2021, n. 33431, ivi; Cass., Sez. III, 15 febbraio 2022, n. 5309, ivi.

[8] In questi termini Cass., Sez. III, 10 febbraio 2020, n. 5289, cit., par. 3.1. del Considerato in diritto.

[9] Cass., Sez. Un., 16 febbraio 2009, n. 6591, in Cass. pen., 2009, 2323 ss., con nota di L. Dipaola, Qualsivoglia autocertificazione “non veritiera” configura l’ipotesi di reato di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002.

[10] Cass., Sez. II, 27 luglio 2022, n. 29910, in OneLEGALE.

[11] Per le complesse questioni poste dall’intervento di abrogazione “in blocco” delle norme in materia di Rdc, con effetti differiti al 1° gennaio 2024, rinviamo a G.L. Gatta, Reddito di cittadinanza e “abrogatio per aberratio” delle norme penali: tra abolitio criminis e possibili rimedi, in questa Rivista, 6 marzo 2023.

[12] Così la sentenza in commento, al par. 2 del Considerato in diritto.

[13] Ivi, par. 5 del Considerato in diritto.

[14] Ibidem.

[15] Così la sentenza in commento, al par. 6 del Considerato in diritto.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem.

[18] Ibidem.

[19] Così la sentenza in commento, al par. 7 del Considerato in diritto.

[20] Ibidem.

[21] Ibidem.

[22] In senso critico rispetto all’orientamento estensivo affermatosi subito dopo la novella normativa v. R. Affinito-M.M. Cellini, Il reddito di cittadinanza tra procedimento amministrativo e processo penale, cit., 11 ss.; P. Brambilla, La rilevanza penale delle false dichiarazioni nella richiesta per l’ottenimento del reddito di cittadinanza, cit., par. 6; G.J. Sicignano, L’omessa comunicazione delle variazioni del reddito e del patrimonio ai fini del reddito di cittadinanza, in Riv. it. dir. lav., 2022, 713 ss.

[23] Sul punto in effetti l’ordinanza di rimessione riconosceva come l’orientamento restrittivo, poi fatto proprio dalle Sezioni unite, «lascia[sse] tuttavia aperto il quesito relativo al ruolo rivestito dalla P.A.», sullo sfondo di una scelta interpretativa che «è condizione anche per l'individuazione di reati concorrenti o eventualmente assorbiti»: così Cass., Sez. III, ord. 20 gennaio 2023, n. 2588, cit., par. 3 del Considerato in diritto.

[24] Espressamente in questi termini, riferendosi ancora una volta all’opzione interpretativa successivamente accolta dal massimo organo nomofilattico, Cass., Sez. III, ord. 20 gennaio 2023, n. 2588, cit., par. 3 del Considerato in diritto.

[25] In relazione al tema, che non può che essere accennato in questa sede, dei rapporti tra la fattispecie di cui all’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019 e le fattispecie in materia di frode nelle erogazioni v., pur in termini parzialmente differenti, R. Affinito-M.M. Cellini, Il reddito di cittadinanza tra procedimento amministrativo e processo penale, cit., 12 ss.; M. Carani, Una prima lettura della disciplina penale in materia di reddito di cittadinanza, cit., 1301-1302, spec. nota n. 25; G.L. Gatta, Reddito di cittadinanza e “abrogatio per aberratio” delle norme penali, cit., par. 8; P. Brambilla, La rilevanza penale delle false dichiarazioni nella richiesta per l’ottenimento del reddito di cittadinanza, cit., par. 7; M. De Chiara, Brevi note sui rapporti tra il reato di cui all’art. 7, co. 1, d.l. 28.01.2019, n. 4 e la truffa aggravata per il conseguimento delle erogazioni pubbliche alla luce delle prime applicazioni, in Dirittogiustiziaecostituzione.it, 11 marzo 2022.

[26] Così P. Brambilla, La rilevanza penale delle false dichiarazioni nella richiesta per l’ottenimento del reddito di cittadinanza, cit., par. 7, ove si riporta la ricognizione degli orientamenti della giurisprudenza di merito già operata da M. De Chiara, Brevi note sui rapporti tra il reato di cui all’art. 7, co. 1, d.l. 28.01.2019, n. 4 e la truffa aggravata, cit., par. 1.

[27] In questa prospettiva vengono evidentemente in rilievo le modalità concrete del procedimento di concessione del Rdc, disciplinate all’art. 5 del d.l. n. 4 del 2019. A tal proposito è stato opportunamente evidenziato come, se di regola è prevista una fase – immediatamente successiva alla domanda – nella quale l’INPS verifica il possesso dei requisiti sulla base delle informazioni presenti nei suoi archivi e in quelli di altre amministrazioni, è comunque ben possibile che, laddove i dati in possesso di altre amministrazioni tardino ad arrivare, l’INPS eroghi subito il contributo («entro la fine del mese successivo alla trasmissione della domanda») senza la previa verifica di tutti i presupposti di legge, in modo dunque quasi automatico. Sul punto, in particolare, P. Brambilla, La rilevanza penale delle false dichiarazioni nella richiesta per l’ottenimento del reddito di cittadinanza, cit., par. 7; M. De Chiara, Brevi note sui rapporti tra il reato di cui all’art. 7, co. 1, d.l. 28.01.2019, n. 4 e la truffa aggravata, cit., par. 3.

[28] Il che avverrà, con ogni evidenza, nel caso in cui l’INPS abbia ottenuto per tempo le informazioni dalle altre amministrazioni coinvolte, operando gli opportuni controlli, e ciononostante – indotto in errore dalla condotta mendace o reticente – abbia comunque erogato il sussidio. In questo caso, a noi pare, il rapporto tra l’art. 640-bis c.p. e la fattispecie di cui all’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019, è risolto già sul piano normativo dalla clausola di riserva con la quale si apre tale ultima ipotesi delittuosa; in questi termini anche M. Carani, Una prima lettura della disciplina penale in materia di reddito di cittadinanza, cit., 1301, nota n. 25; G.L. Gatta, Reddito di cittadinanza e “abrogatio per aberratio” delle norme penali, cit., par. 8; P. Brambilla, La rilevanza penale delle false dichiarazioni nella richiesta per l’ottenimento del reddito di cittadinanza, cit., par. 7; M. De Chiara, Brevi note sui rapporti tra il reato di cui all’art. 7, co. 1, d.l. 28.01.2019, n. 4 e la truffa aggravata, cit., par. 3).

[29] Ipotesi che, invece, potrà verificarsi laddove l’INPS proceda ad erogare il sussidio senza attendere le informazioni in possesso di altre amministrazioni, al fine di rispettare il termine della «fine del mese successivo alla trasmissione della domanda»; in questo caso la vicenda concreta è evidentemente attratta nell’ambito applicativo del delitto di cui all’art. 316-ter c.p., fattispecie di evento che, tuttavia, risulta sanzionata meno gravemente rispetto all’ipotesi di mero pericolo di cui all’art. 7, primo comma, d.l. n. 4 del 2019. I rapporti tra le due figure di reato, a noi pare, non possono essere risolti semplicemente invocando l’elemento della soglia quantitativa presente nell’art. 316-ter c.p., la quale nel caso del Rdc non sarebbe mai integrata, considerato che quest’ultimo è «un contributo mensile che non supera mai quella soglia» (così R. Affinito-M.M. Cellini, Il reddito di cittadinanza tra procedimento amministrativo e processo penale, cit., 13, alle cui considerazioni aderisce G.L. Gatta, Reddito di cittadinanza e “abrogatio per aberratio” delle norme penali, cit., par. 8). In tal senso basti richiamare quella giurisprudenza che ha specificato come, nel caso in cui «le indebite erogazioni consegu[ano] ad una singola e unitaria condotta tipica dalla quale erano derivate delle erogazioni “dilatate” nel tempo (…) occorr[a] tener conto della complessiva somma indebitamente percepita dal beneficiario e non di quella allo stesso corrisposta con cadenza periodica»: così espressamente Cass., Sez. VI, 14 aprile 2022, n. 20531, in OneLEGALE; in relazione a tale orientamento, e alla conseguente modalità di calcolo della soglia quantitativa di cui all’art. 316-ter c.p., v. in dottrina C. Benussi, art. 316-ter, in Codice penale commentato, II, diretto da E. Dolcini e G.L. Gatta, Milano, 2021, 559, nonché, volendo, E. Penco, Soglie di punibilità ed esigenze di sistema, Torino, 2023, 293.

[30] L’art. 8 del d.l. n. 48 del 2023, rubricato «Sanzioni e responsabilità penale, contabile e disciplinare», al primo comma sanziona con la reclusione da due a sei anni «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio economico di cui all'articolo 3, ovvero il beneficio economico di cui all'articolo 12, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute».