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13 Gennaio 2023


False dichiarazioni per l’ottenimento del Reddito di cittadinanza e ignoranza inevitabile della legge penale

GUP Vercelli, 11.10.2022, dep. 2.11.2022, n. 313



1. Si segnala la recente sentenza in commento, con cui il Gup presso il Tribunale di Vercelli ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dell’imputato in relazione al reato previsto dall’art. 7 del D.L. 4/2019, norma che sanziona le false dichiarazioni rese dal percettore del reddito di cittadinanza.

La pronuncia si inserisce nel solco tracciato da altre sentenze di merito (di non luogo a procedere in sede di udienza preliminare o di assoluzione, a seguito di giudizio abbreviato) relative a procedimenti per falsi inerenti al possesso del requisito della residenza decennale in Italia (requisito soggettivo indispensabile per la concessione del beneficio - come previsto dall’art. 2 del D.L. 4/2019)[1]. Tali pronunce, valorizzando il contesto in cui gli imputati avevano presentato domanda per il reddito di cittadinanza (e, in particolare, il fatto di essersi rivolti ad un intermediario – un CAF –  per l’invio della domanda e di aver mostrato agli operatori del CAF i propri documenti, da cui emergeva l’assenza dei requisiti necessari per l’ottenimento del beneficio) e alcune caratteristiche soggettive dei richiedenti (difficoltà linguistiche e difficoltà di comprensione degli adempimenti richiesti), avevano escluso (all’esito, per la verità, di un percorso argomentativo assai scarno) la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato[2] e, in un caso, addirittura, dell’offensività della condotta[3].

La sentenza qui analizzata si distingue per lo sforzo motivazionale profuso dal giudice, volto a sostenere l’operatività, nel caso di specie, dell’esimente dell’ignoranza inevitabile della legge penale (art. 5 c.p.). Inoltre, costituisce un importante precedente alla luce dell’elevatissimo numero di revoche del beneficio economico registrate lo scorso anno per carenza dei requisiti di accesso alla misura: tra il 2021 e il primo semestre del 2022 si sono, infatti, registrate decine di migliaia di revoche del beneficio, la maggior parte delle quali ha come causa proprio l’accertamento della  mancanza del requisito della residenza decennale in Italia[4].

Si tratta di numeri esorbitanti, che si tradurranno presumibilmente in altrettanti procedimenti penali – con rischio di paralisi del sistema giustizia –, soprattutto nei confronti di stranieri, per aver reso false dichiarazioni sul possesso del requisito soggettivo richiamato. In questo contesto, come meglio si dirà nel prosieguo, l’argomento della carenza dell’elemento soggettivo per ignoranza scusabile della legge penale potrebbe essere valorizzato, in funzione deflattiva, già in sede di indagini, portando all’archiviazione di un gran numero di procedimenti penali iscritti nei confronti di stranieri per il reato in commento, quanto meno in tutti quei casi in cui i richiedenti la misura si siano avvalsi dell’ausilio di altri soggetti specificamente delegati dalla Legge (Centri di Assistenza Fiscale, Uffici Postali o centri di patronato, come disciplinato dall’art. 5, comma primo del d.l. 4/2019).

 

2. La vicenda da cui trae origine il procedimento riguarda un richiedente asilo che, giunto in Italia nel 2017, nella domanda per il reddito di cittadinanza (d’ora in avanti RDC) – presentata con il supporto degli operatori di un CAF– aveva dichiarato falsamente di risiedere in Italia da dieci anni.

Era stata, quindi, presentata nei suoi confronti, da parte del Pubblico Ministero competente, richiesta di rinvio a giudizio per il reato di false dichiarazioni di cui all’art. 7 del decreto sul RDC.

L’imputato, sottopostosi ad interrogatorio in sede di Udienza Preliminare, aveva precisato di non comprendere la lingua italiana; che, pertanto, si era rivolto al CAF per un supporto nella predisposizione e presentazione della richiesta e che in nessun momento gli operatori del CAF gli avevano rappresentato che non avrebbe potuto presentare domanda, non possedendo tutti i requisiti di legge; che il CAF si era occupato anche della presentazione dell’attestazione ISEE, necessaria per la richiesta; che, recatosi al CAF per il ritiro dell’attestazione ISEE, un’operatrice gli aveva anche fatto firmare i moduli per la richiesta del RDC; inoltre che, sia in occasione della predisposizione della richiesta per l’ottenimento dell’attestazione ISEE, che al momento della sottoscrizione della richiesta del RDC, egli aveva esibito agli operatori del patronato il proprio permesso di soggiorno come richiedente asilo e un certificato di ospitalità.

 

3. Prima di addentrarci nell’analisi della parte motiva della sentenza – che, come anticipato, ha prosciolto l’imputato ritenendo che il predetto, al momento della compilazione della domanda del sussidio, si trovasse in una condizione di ignoranza scusabile e che gli operatori del CAF lo avrebbero tratto in errore facendogli compilare una domanda contenente false dichiarazioni –   occorre ricordare che l’art. 7 del d.l. 4/2019 ha introdotto due nuove fattispecie penali, che possono concretizzarsi sia in fase di presentazione della domanda di fruizione del RDC, sia dopo la concessione dello stesso, finalizzate a sanzionare coloro che, pur sprovvisti dei requisiti di legge (tra cui rientra il possesso della residenza almeno decennale in Italia), accedano alla misura presentando falsa documentazione o rendendo false dichiarazioni (comma 1), ovvero coloro che continuino a percepire il beneficio economico quando tali requisiti siano venuti meno (comma 2)[5].

In particolare, il primo comma dell’art. 7 – illecito contestato all’imputato nella sentenza qui commentata – punisce con la pena della reclusione da due a sei anni la condotta di chi “al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute”. Si tratta di reato avente natura plurioffensiva[6], posto a tutela dell’ottemperanza al dovere di lealtà del cittadino verso l’amministrazione e della corretta erogazione delle risorse pubbliche. Inoltre ha natura di reato di pericolo, poiché si considera integrato nel momento in cui vengono realizzate le condotte - presentazione della documentazione falsa, mendacio o omissione di informazioni dovute ai fini dell’ottenimento del beneficio - volte a precostituire sotto il profilo documentale e fattuale le condizioni per l’ottenimento del RDC e poiché non è richiesta, ai fini della consumazione del delitto, l’effettiva erogazione della misura.

Sotto il profilo soggettivo è richiesto il dolo specifico: la norma prevede, infatti, che si agisca nella consapevolezza di non avere i requisiti di legge per poter usufruire di tale reddito al fine di ottenere indebitamente il beneficio previsto per il reddito di cittadinanza.

 

4. Passando all’analisi del contenuto della sentenza, la stessa prende le mosse dal riconoscere la piena legittimità costituzionale della previsione della residenza almeno decennale in Italia quale requisito per l’accesso al beneficio. Secondo il GUP, infatti, anche rispetto al requisito della residenza decennale, valgono gli argomenti che hanno portato la Consulta, in due occasioni, a ritenere compatibile con i parametri costituzionali la disciplina del RDC – e, in particolare, la previsione della sospensione del reddito di cittadinanza in caso di applicazione di misura cautelare personale[7] e del requisito del possesso del permesso per lungo-soggiornanti in capo ai richiedenti la misura[8] .

In particolare, secondo il GUP, il RDC si differenzia da altre provvidenze sociali di contrasto alla povertà, poiché “non si risolve in una provvidenza assistenziale diretta a soddisfare un bisogno primario dell’individuo, ma persegue diversi e più articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale[9] che giustificano “la temporaneità della prestazione e il suo carattere condizionale”[10].

Sulla base di queste considerazioni, che hanno condotto la Consulta a ritenere la legittimità costituzionale del requisito del possesso del permesso di soggiorno di lunga durata, appare a detta del giudice del tutto legittima anche la previsione del requisito di residenza decennale.

 

5. Il GUP afferma, poi, la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, poiché l’imputato, nella richiesta di RDC, avrebbe reso un “doppio falso”[11], in quanto “era privo non solo della residenza decennale, ma anche del permesso di soggiorno di lunga durata richiesto dall’art. 2 D.L. 4/2019 conv. L. 26/2019”[12].

Passando alla valutazione della sussistenza dell’elemento soggettivo, il giudice evidenzia, invece, come la circostanza che l’imputato si sia rivolto ad un CAF per farsi aiutare nella predisposizione e presentazione di una pratica burocratica delicata comporti la necessità di valutare la sussistenza di una condizione di ignoranza scusabile della legge penale. Infatti, anche quando, come nel caso di specie, l’errore interessi una norma extrapenale che vada ad incorporarsi in una norma penale, trova applicazione il disposto dell’art. 5 c.p. (e non l’art. 47, comma 3, c.p., che, invece, attiene all’errore su norma penale privo di funzione integratrice)[13]; con l’effetto che l’errore, se scusabile, deve essere apprezzato come fattore di esclusione della colpevolezza.

Tale valutazione impone di indagare il processo formativo della volontà del soggetto agente “per stabilire se il medesimo soggetto, al momento dell’azione posta in essere, si sia o no reso conto dell’illiceità della sua condotta e del valore tutelato dalla norma violata”, a maggior ragione quando ci si trovi, come nel caso di specie, innanzi ad un reato c.d. artificiale[14]. In questi casi, in particolare, si deve tenere conto anche dei dati soggettivi inerenti alle conoscenze e alle capacità dell’agente[15].

 

6. In applicazione dei principi appena esposti, il Gup conclude che l’imputato, al momento della compilazione della richiesta per ottenere il RDC, “fosse in buona fede e realmente non fosse a conoscenza dei requisiti richiesti per la presentazione della domanda”[16], trovandosi, di conseguenza, in una condizione di ignoranza scusabile della legge penale. Il giudice, in particolare, nel giudizio di inevitabilità/scusabilità dell’errore/ignoranza, valorizza, da un lato, le scarse capacità linguistiche dell’imputato; dall’altro, la condotta tenuta dagli operatori del CAF, che, benché fossero stati messi nelle condizioni di conoscere l’assenza dei requisiti per accedere al beneficio in capo al richiedente (l’imputato al momento di presentazione della richiesta aveva consegnato il proprio documento di soggiorno, che non era di lunga durata), non lo avevano informato della circostanza.

Secondo il Gup, sebbene non esista alcun obbligo in capo ai CAF di fornire informazioni agli istanti, limitandosi il loro ruolo alla mera compilazione del modulo di richiesta, tuttavia, nel momento in cui l’operatore procede alla compilazione, dovrebbe porre le relative domande al richiedente e non, al contrario, accontentarsi della mera sottoscrizione del modulo, successiva al recepimento della documentazione esibita; a maggior ragione nel caso in cui il modulo – come nella specie – sia scritto interamente in italiano e il richiedente dimostri di non comprendere la lingua italiana.

D’altra parte, il principio cardine del nostro ordinamento secondo cui ignorantia legis non excusat deve, a detta del giudice, “trovare un temperamento nei casi in cui vi sia stato un tentativo di informazione e le persone preposte a fornirle non le abbiano date o abbiano dato indicazioni fallaci”[17].

Tali considerazioni hanno, quindi, portato il Gup all’emissione di una sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell’imputato; il giudice ha, inoltre, disposto la trasmissione degli atti alla Procura per valutare eventuali profili di responsabilità degli operatori del CAF ex artt. 48 c.p. e 7 D.L. 4/2019.

 

***

 

7. La pronuncia annotata merita di essere segnalata, come si è già evidenziato in premessa, poiché, da un lato, costituisce un esempio di applicazione del principio dell’ignoranza scusabile della legge penale e, dall’altro lato, affronta, seppur succintamente, il tema dell’errore sulla norma extrapenale e della distinzione, ai fini dell'individuazione della disciplina codicistica da applicare, tra legge extrapenale integratrice e legge extrapenale non integratrice del precetto penale.

La disciplina dell’errore su legge diversa da quella penale è oggetto di profondi contrasti in dottrina e giurisprudenza[18] e, come è noto, pone all’interprete il problema di individuare i parametri in base ai quali identificare l’errore su legge extrapenale che si risolve in un errore sul fatto che costituisce reato (che esclude il dolo, in base a quanto previsto dall’art. 47, comma 3, c.p.) e quello che si risolve in un errore sul precetto (al quale si riconoscerà una efficacia scusante in base a quanto previsto dall’art. 5 c.p., nella interpretazione che ne ha fornito la Corte Costituzionale nel 1988[19]).

Il Gup, in particolare, dimostra di aderire al prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità (cd. tesi dell’incorporazione) – che, di fatto, fornisce un’ interpretatio abrogans del terzo comma dell’art. 47 c.p.[20] –  basato sulla distinzione tra «norme extrapenali integratrici del precetto penale» (che, essendo in esso incorporate, sono da considerarsi legge penale, per cui l’errore su di esse di regola non scusa, ai sensi dell’art. 5 c.p.) e «norme extrapenali non integratrici del precetto penale» (ossia disposizioni destinate in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, non richiamate, neppure implicitamente, dalla norma penale, per cui l’errore su di esse esclude il dolo ex art. 47, comma 3, c.p.).

Applicando questo criterio al caso di specie il Gup ritiene - a dire il vero implicitamente - che l’art. 2 del D.L. 4/2019 (contenente i requisiti di legge per ottenere il beneficio del RDC) sia norma integratrice dell’art. 7 del D.L. citato; di conseguenza l’ignoranza dei requisiti soggettivi previsti per l’ottenimento del RDC non rileverà come ipotesi di errore su legge extra-penale, bensì come ipotesi di errore su legge penale,  con conseguente applicabilità della disciplina di cui all’art. 5 c.p. alla luce della interpretazione fornita dalla nota pronuncia Corte Cost. 364/1988.

In realtà, a giudizio di chi scrive, la natura di elementi normativi di tutti i requisiti elencati all’art. 2 del decreto 4/2019 induce a ritenere preferibile, sulla scorta della dottrina maggioritaria,  l’operatività dell’art. 47, comma 3 c.p.[21], con conseguente esclusione del dolo: infatti l’autore che, pur sapendo dell’incriminazione in astratto di false dichiarazioni volte ad ottenere indebiti benefici, ritiene in concreto, per errore, di richiedere benefici cui ha diritto, incorre in un errore di diritto sul fatto e non in un errore sul precetto penale[22].

8. Appare, comunque, condivisibile, nell’ambito del giudizio sulla inevitabilità-scusabilità dell’ignoranza della legge penale o dell’errore ex art. 5 c.p., l’adozione di c.d. criteri misti, che tengono conto contemporaneamente delle circostanze oggettive e delle caratteristiche del soggetto agente; e, in particolare, la valorizzazione, tra le circostanze di natura oggettiva, della condotta, quanto meno superficiale, degli operatori del CAF, che non hanno informato debitamente l’imputato dei requisiti di ammissione al beneficio e delle conseguenze penali del mendacio nella proposizione della domanda e che, benché messi nelle condizioni di conoscere l’insussistenza in capo al richiedente del requisito soggettivo della residenza decennale, hanno taciuto tale circostanza, ingenerando  nell’imputato il legittimo affidamento sulla regolarità della domanda presentata.

9. Meno convincente appare, invece, il tentativo di “spostare” la responsabilità per il “falso” commesso dal richiedente in capo agli operatori del CAF, tramite il richiamo all’art. 48 c.p., in tema di errore determinato dall'altrui inganno.

Infatti, la disposizione richiamata si applica al ricorrere di tutti i presupposti indicati all'art. 47 c.p.: è, dunque, necessario che l'errore (di fatto o di diritto su legge extrapenale) dell’ “autore mediato” determinato dall'altrui inganno verta sul fatto costitutivo del reato e non sul precetto penale (mentre il GUP, nel caso di specie, ha ritenuto di applicare il disposto dell’art. 5 c.p.)[23].

In ogni caso, anche considerando l’applicabilità al caso in esame dell’art. 47, comma 3, c.p., perché il deceptor sia chiamato a rispondere a titolo di dolo del fatto commesso dal deceptus, è necessario che egli possegga il quadro conoscitivo e volitivo tipico del dolo di quel reato (al limite, sub specie di dolo eventuale)[24]. Nel caso in esame, sulla base degli elementi fattuali descritti in sentenza, la condotta degli operatori dei CAF sembra connotarsi, piuttosto, per trascuratezza e superficialità, caratteristiche tipiche dei rimproveri colposi. Residua, tuttavia, uno spazio applicativo della norma citata nell’ipotesi in cui si dimostri, in concreto, la sussistenza in capo agli operatori del CAF del dolo (almeno eventuale) nel reato; si tratta di un’evenienza senz’altro plausibile se si considera che CAF e Patronati potrebbero avere un interesse a processare più richieste possibili (anche prive dei requisiti di legge), al fine di ottenere i rimborsi erogati a cura del Ministero del Lavoro e Politiche sociali, tramite l’INPS, per l’istruttoria di ogni singola domanda[25]. La condotta descritta, tuttavia, integrerebbe piuttosto gli estremi del reato previsto e punito dall’art. 640 bis c.p., in cui risulta pacificamente assorbita la condotta di falso per induzione ex artt. 48 c.p. e 7 d.l. 4/2019 (alla luce della clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato” contenuta proprio nell’art. 7 citato).

 

10. Da ultimo, sebbene la sentenza in commento abbia pacificamente ritenuto la legittimità costituzionale del requisito della residenza decennale in Italia previsto dall’art. 2 D.L.  4/2019, chi scrive condivide i dubbi, sollevati dalla dottrina, di compatibilità con il dettato costituzionale e con la normativa europea della previsione di tale requisito[26], che appare irragionevole, sproporzionata e genera una discriminazione indiretta tra cittadini e stranieri (la previsione di tale requisito esclude, per esempio, dal novero dei beneficiari della misura un’ampia quota di stranieri, inclusi i titolari di protezione internazionale[27], che difficilmente possono documentare una residenza così lunga)[28]. Tali dubbi sono stati, peraltro, condivisi dalla giurisprudenza di merito: si segnala, in particolare, come, con ordinanza del 30 maggio 2022, la Corte d’Appello di Milano abbia sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, co. 2, lett.a), n. 2) del D.L. 4/2019, nella parte in cui prevede che il beneficiario del reddito di cittadinanza, cittadino di uno Stato membro dell’Unione Europea, debba essere residente in Italia per almeno dieci anni, in relazione agli artt. 3, 11 e 117, primo comma, Cost. Inoltre, recentemente, il Tribunale di Napoli, con due ordinanze di rinvio (cause C-112/22 e C-223/22), ha posto il problema della compatibilità con il diritto europeo del requisito della residenza al giudizio della Corte di Giustizia Ue[29].

 

11. Nell’attesa che la Corte costituzionale o la Corte di Giustizia si pronuncino sulla legittimità del requisito soggettivo richiamato, alla luce dei dati relativi alle revoche del RDC citati in premessa, è verosimile ritenere che un gran numero di procedimenti penali per condotte di falso nella richiesta del RDC impegneranno in maniera consistente, nel prossimo futuro, la giustizia penale, andando ad incidere negativamente sull’efficienza del sistema giudiziario.

Le statistiche citate suggeriscono, inoltre, che la maggior parte di tali procedimenti riguarderà in larga parte indagati stranieri, privi del requisito della residenza decennale in Italia, che, verosimilmente – stanti le difficoltà linguistiche e burocratiche nella presentazione della domanda – si sono avvalsi dell’assistenza di Caf e Patronati. Rispetto a questi casi – del tutto sovrapponibili a quello oggetto della pronuncia commentata – proprio la valorizzazione del principio dell’ignoranza inevitabile della legge penale contenuto nell’art. 5 c.p. potrebbe produrre effetti deflattivi su larga scala e portare alla definizione, già nella fase delle indagini preliminari a seguito di richiesta di archiviazione, della maggior parte delle iscrizioni relative alla fattispecie di reato prevista dall’art. 7, comma 1, d.l. 4/2019.

 

 

 

 

[1] L’art. 2 del d.l. 4/2019 – oltre a prevedere alcuni requisiti patrimoniali e reddituali per l’ottenimento del reddito di cittadinanza - ricomprende tra i beneficiari i nuclei familiari in cui il richiedente sia cittadino italiano, cittadino di uno Stato membro dell’UE (o suo familiare) titolare del diritto di soggiorno o di soggiorno permanente, oppure cittadino di Paese terzo soggiornante di lungo periodo (art. 2, co. 1, lett. a), n. 1). Il richiedente deve, inoltre, risiedere in Italia da almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo (art. 2, co. 1, lett. a), n. 2). Infine, non deve essere sottoposto a misura cautelare personale o condannato per alcuni reati nei dieci anni precedenti (art. 2, co. 1, lett. c-bis).

[2] Cfr. Gup Asti, sent. n. 433 del 26 settembre 2022; Gup Venezia, sent. n. 355 del 24 maggio 2022; Gup Verbania, sent. n. 300 del 16 novembre 2022; le sentenze sono pubblicate sul sito internet di ASGI al link.

[3] Cfr. Gup Asti, sent. n. 208 del 26 aprile 2022; il testo della pronuncia è pubblicato sul sito internet di ASGI al link.

[4] Un’analisi svolta dall’ Osservatorio sul Reddito e Pensione di Cittadinanza istituito presso l’INPS ha evidenziato come tra gennaio e settembre 2022 il beneficio è stato revocato a circa 46mila nuclei (le revoche sono state quasi 108mila nell’anno 2021 e 25mila nel 2020) e che la motivazione più frequente la revoca è proprio l’accertamento della “mancanza del requisito di residenza/cittadinanza”. Cfr. Report ottobre 2022 dell’ Osservatorio sul Reddito e Pensione di Cittadinanza, pag. 5, reperibile al link.

[5] Per un’analisi più approfondita delle fattispecie di reato previste dall’art. 7 del D.L. 4/2019 si rinvia a: M. Carani, Una prima lettura della disciplina penale in materia di reddito di cittadinanza, in Cassazione Penale, fasc.4, 2021, pp. 1297 ss; R. Affinito, M.M. Cellini, Il reddito di cittadinanza tra procedimento amministrativo e processo penale, in questa rivista, 13 settembre 2021; P. Brambilla, False dichiarazioni per ottenere il reddito di cittadinanza: profili di illegittimità del requisito soggettivo della residenza decennale in Italia per ottenere il beneficio e conseguenze in sede penale, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2, 2022, pp. 242 ss.

[6] M. Carani, op. cit.., pp. 1297 ss. Rispetto all’individuazione del bene giuridico tutelato, la giurisprudenza di legittimità, nelle prime applicazioni delle fattispecie citate, ha  sostenuto talvolta la natura monoffensiva delle stesse, poiché  poste a tutela dell’unico bene giuridico della leale collaborazione tra cittadino e  amministrazione (cfr. Cass., sez. III, 25.10.2019, n. 5289; conforme: Cass., sez. III, 9 settembre 2021, n. 33431); in un’altra occasione ha, invece, sostenuto la natura plurioffensiva delle fattispecie previste dall’art. 7 D.L. 4/2019  (Cass., n. 44366 del 30 novembre 2021).

[7] Corte Cost., sent. n. 126 del 12 maggio 2021.

[8] Corte Cost., sent. n. 19 del 25 gennaio 2022.

[9] Gup Vercelli, n. 313/2022, p. 2.

[10] Ibid., p. 2.

[11] Ibid., p. 3.

[12] Ibid., p. 2.

[13] Il Gup richiama Cass. Pen., Sez VI, 22 giugno 2011, n. 43646.

[14] Gup Vercelli, cit., p. 4.

[15] Ibid., p. 4.

[16] Ibid., p. 4.

[17] Ibid., p. 4.

[18] Si rinvia per una ricognizione degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in materia a G. Leo, Art. 47 (C), in Codice penale commentato, tomo I, a cura di E. Dolcini, G.L. Gatta, Milano, Ipsoa, 2021, pp. 749 ss.

[19] Corte Cost., 23 marzo 1988, n. 364.

[20] D. Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano, Giuffrè, 1976, pp. 270 ss.; A. Lanzi, l’errore su legge extra-penale. La giurisprudenza degli ultimi anni e la non applicazione dell’art. 47/3 c.p., in Ind. Pen., 1976, p. 299; G. Fiandaca, E. Musco, op. cit., p. 399; G. Leo, op. cit., p. 750.

[21] Ritengono pacificamente applicabile l’art. 47, comma 3, c.p. all’ipotesi di errore su elementi normativi richiamati dalla fattispecie incriminatrice, ex multis: G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di Diritto penale. Parte generale, XI ed., Milano, Giuffrè, 2022, p. 391; G. Fiandaca, E. Musco, Diritto Penale. Parte Generale, Bologna, Zanichelli, 2019, p. 402; L. Risicato, Art. 47 c.p., in Codice Penale, a cura di T. Padovani, Giuffrè, 2019, pp. 384 ss.; G. Flora, voce Errore, in Dig.disc.pen., Torino, Utet Giuridica, 1990, p. 264; F. Palazzo, L’errore sulla legge extra penale, Milano, Giuffrè, 1974; G. Grasso, Considerazioni in tema di errore su legge extrapenale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1976, pp. 165 ss.

[22] Chi scrive ha, in altra sede, già avuto modo di evidenziare la preferibile applicazione dell’art. 47, comma 3, c.p. nel caso di errore sui requisiti elencati nell’art. 2, D.L. 4/2019. Nell’occasione si era, tuttavia,  alternativamente ipotizzata -  proprio tenuto conto della sostanziale interpretatio abrogans che fornisce la giurisprudenza del comma 3 dell’art. 47 - l’operatività dell’art. 5 c.p., con possibilità di valorizzare, per sostenere la scusabilità dell’ignoranza e/o dell’errore sul requisito della residenza decennale, il livello di socializzazione di chi abbia presentato domanda per l’ottenimento del beneficio e le specifiche informazioni fornite al predetto da parte dei soggetti preposti alla presentazione della domanda. Cfr. P. Brambilla, op. cit., p. 254.

[23] Ritengono pacificamente inapplicabile l’art. 48 c.p. ai casi di errore ex art. 5 c.p. su legge penale: De Simone, L’errore su legge extrapenale, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale. Codice penale. Parte generale, F. Bricola – V. Zagrebelsky (diretto da), I, Torino, 1996, p. 721; G. Flora, op. cit., p. 267. Cfr. anche G.P. Demuro, Art. 48, in Codice penale commentato, op. cit., p. 764, che dà conto di una sentenza isolata di merito che applica analogicamente il disposto dell’art. 48 c.p. ad un caso di errore sul precetto ex art. 5 c.p.: Trib. Pisa, 5.2.1982, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 1982, p. 1630, con nota critica di T. Padovani.

[24] G.P. Demuro, op. cit., p. 767.

[25] Ogni CAF ha facoltà di stipulare con l’INPS una convenzione con cui quest’ultimo affida ai CAF in via non esclusiva ed a titolo oneroso (euro 10,00 per la compilazione e l’inoltro di ciascuna domanda) il servizio di raccolta e trasmissione della domanda di reddito di cittadinanza. Si vedano le indicazioni fornite dall’INPS sul punto con messaggio n. 3785 del 18 ottobre 2019 e n. 309 del 10 agosto 2020.

[26] Cfr. C. App. Milano, ord., 30 maggio 2022, n. 943.

[27] Per approfondimenti sui profili connessi all’esclusione dei rifugiati e dei beneficiari della protezione sussidiaria dal novero dei richiedenti la misura, cfr. G. Morgese, Discriminazioni dirette e indirette a carico dei cittadini non-italiani nell’accesso al reddito e alla pensione di cittadinanza, in Studi sull’integrazione europea, XIV, 2019, p. 667.

[28] Ci si permette, ancora una volta, di rinviare a P. Brambilla, op. cit., pp. 238 ss., ove sono ricostruiti i termini del dibattito e le possibili conseguenze sui procedimenti penali in corso di una pronuncia di illegittimità costituzionale del requisito ovvero della disapplicazione del requisito da parte dei giudici di merito per contrasto con la normativa europea.

[29] Il testo delle domande pregiudiziali è reperibile al link.