ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Documenti  
02 Dicembre 2019


Il "nodo della prescrizione"

Estratto della relazione del Presidente della A.N.M. al XXXIV Congresso nazionale



N.d.r. - Pubblichiamo di seguito un estratto della relazione del Presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Dott. Luca Poniz, tenuta il 30 novembre 2019 a Genova al XXXIV Congresso nazionale della A.N.M.  L'estratto, qui pubblicato, è relativo alla parte della relazione dedicata al diritto e al processo penale e, per evidenti ragioni di attualità, ruota attorno alla riforma della prescrizione del reato attuata con la l. n. 3/2019, la cui (discussa) entrata in vigore è prevista per il 1° gennaio del 2020. Il testo integrale della relazione può leggersi in allegato. I neretti aggiunti al testo della relazione, qui sotto riprodotto, sono nostri. Sia consentito segnalare come nella relazione sia contenuta una citazione testuale a un passaggio di un articolo sul tema, pubblicato su Diritto penale contemporaneo dall'allora direttore di quella Rivista, oggi direttore di Sistema penale. E',  a noi pare, una significativa testimonianza del dialogo tra dottrina e operatori della giurisdizione.  

 

Il nodo della prescrizione.

Nessuna riforma, specie se ‘a costo zero’, senza una visione d’insieme ed una stagione riformatrice di grande respiro, capace di ripensare dalle fondamenta lo stesso sistema penale potrà essere davvero risolutiva; urge una riflessione profonda sulla funzione stessa del diritto penale, e della sua obiettiva ipertrofia; sull’idea della pena e dell’intero sistema delle sanzioni. Impossibile, oggi, non condividere molte delle analisi di larga parte della dottrina penalistica: prende corpo un diritto penale che non di rado riflette ed alimenta le paure; muove innanzitutto da un’enfatizzazione degli stessi dati, indicatori presuntamente obiettivi della criminalità, presentandoli normalmente come emergenze sociali. Politica criminale e diritto penale stringono un’alleanza dove al secondo si affida il compito di farsi carico interamente delle urgenze contingenti della prima, e per tale via il diritto penale si carica di finalità, oltre che condizionate da discutibili emergenze, anche improprie; con le correlate tensioni sulla giurisdizione, e con le aspettative sociali e “mediatiche” capaci di scaricare formidabili tensioni sul processo, e sulla magistratura : torna, come si vede, il tema di fondo, quello della fiducia ineluttabilmente destinata ad incrinarsi se la giurisdizione non saprà rispondere – o verrà indicata come responsabile della mancata risposta, che è, alla fine, lo stesso… – alle aspettative create da “norme manifesto”.

L’A.N.M. non ha mancato di esprimere il proprio pensiero ogni qualvolta l’intervento legislativo ha sollevato profili di criticità, o nel senso ora segnalato, o nella tecnica di normazione, o nella stesso fondamentale rispetto di principi costituzionali, come nel caso della recente riforma della legittima difesa (dove si è in ogni sede – inclusa l’audizione in Parlamento – manifestata la nostra articolata opinione assolutamente critica); o nei “pacchetti sicurezza”, ciclicamente riproposti… Uno dei punti centrali dell’idea di diritto penale è certamente quello della pena, della sua funzione, in cui naturalmente il momento esecutivo assume assoluta centralità. Nel rendere un parere sul testo di una proposta di riforma dell’ordinamento penitenziario – licenziata all’esito di un lungo lavoro di una composita commissione ministeriale, istituita nel Gabinetto precedente - l’A.N.M. aveva apprezzato la linea ispiratrice della riforma, caratterizzata nel suo insieme da “… interventi volti ad attuare il disposto costituzionale per cui, qualunque sia il reato commesso, il condannato deve essere considerato, nella sua dignità di essere umano, una persona da recuperare al consorzio civile e non un soggetto da neutralizzare. In tale prospettiva, l’aumentata efficacia degli strumenti affidati alla magistratura di sorveglianza, la centralità del procedimento di sorveglianza nel suo complesso, con il venir meno di automatismi e preclusioni, restituiscono al giudice il ruolo centrale proprio, il che costituisce per la magistratura tutta motivo di soddisfazione”. Principi fondamentali, che ci sembrano indiscutibili. Eppure la riforma non ha visto la luce, e plurime e reiterate dichiarazioni pubbliche, anche di esponenti delle istituzioni, sembrano contraddirli platealmente.

Appare dunque irrinunciabile sottolineare che il modello costituzionale di diritto penale ripudia esplicitamente l’idea dell’esemplarità della pena, che contraddice ontologicamente il principio di personalità della responsabilità e della sua sanzione, e prevede come una delle funzioni essenziali della pena la rieducazione del condannato. Per la nostra Costituzione, per princìpi di civiltà che credevamo acquisiti, nessun condannato può marcire in carcere, ed invocarlo pone chiunque lo faccia fuori dalla Costituzione; così come non possono esistere trofei giudiziari da esibire, o condannati da esporre all’applauso delle folle. In attesa, tuttavia, di riforme veramente “epocali” - che richiederebbero la convocazione di stati generali e tavoli allargati a tutte le voci del complesso mondo della Giustizia, ed un profondo ripensamento di modelli generali - crediamo che qualche significativo intervento possa contribuire a restituire funzionalità ed efficacia al processo penale, a 30 anni dalla sua introduzione: l’imprescindibile rispetto delle garanzie non deve mai essere disancorato dalla verifica della loro effettività, superandosi formalismi processuali che nulla hanno a che vedere con esse e con il rispetto dei fondamentali principi costituzionali.

In una visione leale del processo penale, la sua celerità e la sua efficacia dovrebbero essere obiettivi di tutti gli operatori del diritto, pur nella fisiologica e naturale diversità dei ruoli. Su questi presupposti, l’A.N.M. ha formulato una serie di proposte di riforma; tra esse, sicuramente la più discussa è quella relativa all’interruzione della prescrizione dopo la sentenza di condanna di primo grado, come del resto chiesto da sempre dall’ANM. La proposta si fonda sull’idea di trovare un diverso punto di equilibrio tra le “garanzie” dell’imputato e l’efficacia del processo, assegnando al raggiungimento di un risultato obiettivamente rilevante dal punto di vista processuale – quale l’affermazione della responsabilità nella sentenza di primo grado, e con essa il rafforzamento della manifestazione della volontà punitiva - un effetto rilevante nel decorso del termine della prescrizione, ossia la sua definitiva interruzione. Tale proposta va letta unitamente a quelle relative alla modifica dell’appello e dei suoi effetti, ciò da cui si ritiene di poter far discendere un radicale mutamento (anche) delle impugnazioni, e del loro uso potenzialmente strumentale. In tal modo siamo convinti conseguano plurimi effetti positivi: il processo recupererà certamente la genuinità della sua funzione – l’accertamento del fatto e non la corsa a farlo estinguere – e il sistema processuale una maggiore efficienza, restituendo alle impugnazioni (in primis, all’appello, ma evidentemente anche al giudizio di cassazione) la loro funzione propria, e non di surrettizia modalità per ottenere l’estinzione dei reati.

Non siamo soli, in questa valutazione: autorevole dottrina parla di “un equivoco suggerito da un insano realismo: quello di considerare la prescrizione del reato – che a processo in corso è una patologia del sistema – come un farmaco per curare la lentezza del processo, che è un’altra patologia del sistema. Un male non può rappresentare la cura di un altro male. Se la prescrizione del reato agisce di fatto come metronomo del processo, determinandone i tempi, è dovuto a una disfunzionalità del sistema, che mostra la sua inefficienza attraverso processi troppo lunghi e la sua inefficacia attraverso l’enorme numero di reati che annualmente cadono in prescrizione, garantendo l’impunità agli autori e negando giustizia alle vittime.”

Naturalmente, la riforma della prescrizione – svincolata dall’insieme di riforme strutturali necessarie, come infatti da noi contestualmente richieste, ed inserita incidentalmente nel testo di una Legge (cd. Spazzacorrotti) che disciplina materia affatto diversa rischia di produrre squilibri complessivi, che sarebbe però errato, secondo noi, attribuire alla riforma in sé ed alla sua ratio ispiratrice: è oggi però compito della Politica trovare un punto di equilibrio tra le irrinunciabili riforme organiche di un sistema complesso, sapendo percorrere vie - ad esempio, il significativo potenziamento di riti alternativi, oggetto talvolta di pregiudiziali ostilità che nulla hanno a che vedere con una meditata valutazione sul loro fondamento e irrinunciabilità nel sistema processuale vigente - che siano in grado di restituire una coerente efficienza al sistema accusatorio.

Non è noto, ad oggi, ufficialmente, lo stato di elaborazione delle riforme annunciate dal Ministro della Giustizia, parte delle quali frutto anche dei tavoli comuni a Magistratura ed Avvocatura; per quanto ad oggi dato di conoscere, emergono alcune apprezzabili proposte, soprattutto in materia ordinamentale: tra esse, in particolare, il ritorno al libero accesso al concorso dopo la laurea magistrale, accogliendosi in questo senso una più volte ribadita posizione della magistratura; la valutazione dei magistrati dell’ufficio espressa in occasione della conferma del direttivo, e la valorizzazione dell’esperienza professionale maturata nella giurisdizione; la riduzione del termine di legittimazione per i trasferimenti dei magistrati di prima nomina. Il tema dell’accesso in magistratura costituisce un nodo cruciale: ha a che fare non solo con il centrale problema di tempi concorsuali compatibili con le esigenze di reclutamento di nuovi magistrati, ma ancora di più con il significato e la finalità del concorso, non a caso scelto dalla stessa Costituzione come inderogabile regola, saggia e lungimirante, di accesso alla magistratura. E’ giudizio largamente condiviso l’insuccesso del concorso di “secondo grado” : come autorevolmente sostenuto, “il filtro intermedio derivante dal concorso di secondo grado ritarda irragionevolmente l’ingresso in magistratura delle energie intellettuali migliori, senza aumentare il bagaglio iniziale dei giovani laureati;…non è utile che abbia affinato la sua preparazione giuridica universitaria in percorsi professionali improntati a princìpi istituzionali diversi dall’indipendenza e dall’imparzialità richiese dalla funzione giurisdizionale”. Valutazioni che l’ANM condivide sulle base delle quali abbiamo indicato, in tutte le sedi di confronto, l’esigenza di un urgente ripensamento delle regole attuali d’accesso. Riconosciamo certamente la disponibilità del Ministro ad un confronto aperto e una genuina attenzione ai temi sottoposti; ma non possiamo non ribadire la nostra ferma contrarietà ad ogni riforma che muova dal presupposto dell’inefficienza del lavoro dei Magistrati e, senza alcuna ragionata valutazione sul rapporto tra i carichi di lavoro, la loro evidente onerosità, e gli strumenti a disposizione, individui in una sorta di inerzia delle indagini la causa del rallentamento del processo, e, preveda sanzioni processuali, e perfino del tutto irragionevolmente, disciplinari.

Tali proposte di riforma sono inaccettabili in quanto esprimono una aperta sfiducia nella Magistratura, tradiscono un intento punitivo e sono il frutto di un approccio non adeguatamente meditato alle complesse questioni che riguardano il funzionamento del processo. Trattasi, come abbiamo più volte detto, di misure che hanno la stessa forza persuasiva e risolutiva di un pugno battuto sul tavolo: il rumore del momento, e dopo il fragore, resta l’assenza di soluzione…