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22 Luglio 2020


‘Tolleranza tra principi’ e ‘principi intolleranti’. L’emergenza sanitaria da Covid-19 non legittima deroghe al principio di irretroattività in malam partem: note critiche a una sentenza della Cassazione sulla sospensione della prescrizione del reato ex art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020

A proposito di Cass. Sez. III, 2 luglio 2020, n. 21367, Pres. Rosi, Est. Gai



 

1. La Terza Sezione della Corte di cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza, già segnalata dalla nostra Rivista attraverso l’informazione provvisoria, con la quale ha escluso la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della disciplina relativa alla sospensione del corso della prescrizione del reato, introdotta in relazione all’emergenza Covid-19 dall’art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020. La Terza Sezione della S.C. ha infatti ritenuto possibile e conforme a Costituzione una discutibile e, per quanto si dirà, a nostro avviso inammissibile interpretazione che legittima una deroga al principio di irretroattività della legge penale sfavorevole all’agente (art. 25, co. 2 Cost.): un principio – si legge nella sentenza – che “ai soli limitati fini della disciplina emergenziale e per un periodo predeterminato e circoscritto sopporta un sacrificio necessario”.

 

2.  Prima di tornare alle motivazioni della sentenza – destinata a far discutere i penalisti e i costituzionalisti – un veloce riepilogo delle posizioni della giurisprudenza. Quella di merito (Tribunali di Siena, Spoleto, Crotone e Roma) ha ritenuto non manifestamente infondata la questione rimettendone la soluzione alla Corte costituzionale. La giurisprudenza di legittimità ha invece ad oggi escluso la via della rimessione alla Corte costituzionale ritenendo possibili interpretazioni conformi a Costituzione che rendono applicabile retroattivamente la sospensione del corso della prescrizione causa Covid-19. Si profila tuttavia un contrasto, in seno alla S.C., per quanto riguarda l’interpretazione conforme a Costituzione capace di superare i dubbi di legittimità costituzionale. Con la sentenza qui annotata la Terza Sezione ritiene che il principio di irretroattività sia sacrificato in modo costituzionalmente ammissibile; la Quinta Sezione ritiene invece che quel principio non sia violato in quanto la disciplina dell’art. 83 d.l. n. 18/2020 è riconducibile alla previsione dell’art. 159 c.p., disposizione vigente al tempo del commesso reato che già prevedeva e prevede la sospensione del corso della prescrizione del reato “in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale…è imposta da una particolare disposizione di legge”. La tesi della Quinta Sezione, nota ad oggi solo grazie a un’informazione provvisoria pubblicata su questa Rivista, era stata peraltro in qualche modo anticipata già da alcune tra le ordinanze di merito sopra richiamate (Roma e Crotone) ed è invece ritenuta inammissibile proprio dalla sentenza della Terza Sezione, della quale diamo dunque conto.

 

3. La Terza Sezione è chiamata a giudicare, in ultima istanza, a riguardo di un’odiosa vicenda di violenza sessuale perpetrata sul luogo di lavoro – per ben dodici anni (dal 2000 al 2012)ai danni di una donna affetta da grave invalidità psico-fisica. Tra i motivi di ricorso, avverso la sentenza di condanna a sette anni di reclusione, pronunciata in secondo grado, ne viene accolto uno, relativo alla mancata declaratoria di prescrizione del reato in relazione ad alcuni soli dei reati, avvinti dalla continuazione. La Cassazione annulla pertanto la sentenza di condanna con rinvio in vista della rideterminazione della pena, che dovrà essere ridotta escludendo dal computo i reati prescritti.

Una notazione incidentale, non priva di qualche valore se inserita nel più ampio contesto del dibattito su prescrizione del reato e ragionevole durata del processo. Sappiamo che i fatti sono stati commessi tra il 2000 e il 2012, mentre non sappiamo quando sono stati denunciati e quando è stato avviato, e quanto è durato, il procedimento penale (verosimilmente molto). La Cassazione, ad ogni modo, ha considerato il termine ‘lungo’ di prescrizione del reato di violenza sessuale, comprensivo dell’aumento di un quarto per l’effetto degli atti interruttivi, pari a 12 anni e mezzo (10 anni, pari al massimo edittale della pena per il delitto di cui all’art. 609 bis c.p., al momento del fatto, più due anni e mezzo, pari a un quarto, a titolo di prolungamento per gli atti interruttivi). La dubbia legittimità costituzionale di un termine di prescrizione così ridotto, in rapporto alla gravità del reato e agli obblighi di tutela assunti anche a livello internazionale, è stata peraltro vagliata dalla Corte costituzionale in una pronuncia di inammissibilità del recente passato (sent. n. 143/2018), che implicava anche e proprio problemi di diritto intertemporale. Solo con la legge di ratifica della convenzione di Lanzarote, nel 2012 (quando sono terminate le condotte oggetto della sentenza annotata), attraverso una modifica dell’art. 157 c.p. è stato infatti previsto il raddoppio del termine di prescrizione per il delitto di cui all’art. 609 bis c.p., che è dunque oggi pari a 24 anni. E solo nel 2019, con la legge sul c.d. codice rosso (l. n. 69/2019), la pena massima per il delitto di violenza sessuale è stata elevata a 12 anni, con conseguente aumento del termine di prescrizione del reato. Reati come quelli oggetto del giudizio in esame, se commessi oggi, non potrebbero essere dichiarati prescritti non solo per l’elevato termine di prescrizione – trentennale – in caso di atti interruttivi, ma anche perché la riforma della prescrizione del reato, realizzata con la l. n. 3/2019, ha notoriamente bloccato il corso della prescrizione dopo il primo grado del giudizio. Sulla possibile applicazione retroattiva delle diverse riforme qui richiamate, che hanno comportato un significativo aumento del termine di prescrizione del reato – con effetti in malam partem –, la sentenza annotata non si sofferma, dando evidentemente per implicita l’applicazione del principio di irretroattività ex art. 25, co. 2 Cost. Senonché, per ragioni che ho esposto in un contributo pubblicato su questa Rivista, più di un argomento può essere portato a sostegno della tesi che esclude l’operatività del divieto di cui all’art. 25, co. 2 Cost. quando una legge sopravvenuta al fatto prolunghi il termine di prescrizione del reato e questo, come nel caso di specie, non sia ancora maturato.

 

4. Ma veniamo alla decisione della Terza Sezione, che motiva anzitutto la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, affrontata d’ufficio: per stabilire quali reati avvinti dalla continuazione sono prescritti – ai fini della rideterminazione della pena nel giudizio di rinvio – è necessario stabilire se si debba o meno tenere conto del periodo di sospensione determinato dal rinvio d’ufficio dell’udienza dal 13 marzo al 2 luglio 2020 causa Covid-19; un rinvio che ha comportato, ai sensi dell’art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020, un corrispondente prolungamento del termine di prescrizione del reato.

Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, la Terza Sezione ricorda correttamente come sia necessario, prima di sollevare una questione di legittimità costituzionale, tentare una interpretazione conforme a Costituzione, che la sentenza annotata ritiene per l’appunto possibile (§§ 6.4 e ss.). Si giunge così al nucleo della motivazione della sentenza che, come anticipavo, farà molto discutere perché afferma in modo netto, con sforzo argomentativo, un principio inedito e molto pericoloso, per la tenuta dei principi fondamentali, anche e proprio in situazioni di emergenza.

La fondamentale chiave di lettura, adottata dalla Terza Sezione, è quella dello stato di emergenza e di eccezione, determinato da un fenomeno naturale come la pandemia e disciplinato da provvedimenti normativi (a partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Governo) che sono stati adottati nel quadro della Costituzione e dei relativi principi, che contemplano anche l’eventualità, appunto, di una emergenza. L’esegesi deve tenere conto – si legge nella sentenza annotata (p. 11) – della “capacità adattativa delle norme e dei principi costituzionali di fronte alla situazione di emergenza generatasi da un fatto esogeno, estraneo all’ordinamento”. Orbene, l’emergenza sanitaria ha imposto l’esigenza di limitare diritti e principi fondamentali, per realizzare un ragionevole bilanciamento tra gli interessi in gioco, primi tra i quali i diritti alla vita e alla salute (è per salvaguardare questi beni che si è disposto il rinvio delle udienze e quello che, altrove, ho chiamato per brevità ‘lockdown’ della giustizia penale). Si legge a pagina 12, in un passaggio molto significativo: “come osservato da una autorevole dottrina, nessun principio può avanzare la pretesa di valere fino al punto di annullare gli altri. Deve essere ricercata una formula di composizione o, quantomeno, di convivenza, che individua un metaprincipio, una Grundnorm”. La Cassazione sembra qui richiamare l’immagine della “tolleranza tra i principi” di G. Zagrebelsky, V. Marcenò, Giustizia costituzionale, I, Storia, principi, interpretazioni, Il Mulino, 2018, p. 129: un’immagine utilizzata per indicare la via della relativizzazione dei principi costituzionali che ne consente il bilanciamento: l’interpretazione costituzionale – si legge in quel Manuale – “si svolge attraverso la ricognizione e la composizione tramite bilanciamenti dei dati rilevanti”.

La Terza Sezione procede quindi a relativizzare il principio di irretroattività in malam partem avvertendo (p. 13) che tale relativizzazione è consentita in ragione e nei limiti della situazione di emergenza: “l’interpretazione secondo le ordinarie categorie giuridiche è messa in crisi dal fatto extra ordinem. La necessità di fronteggiare la diffusione del contagio, da cui dipende la salvaguardia di diritti, la vita e la salute, che preesistono e senza i quali neppure si può discutere di regole processuali e di diritti degli imputati nel processo, ha messo in chiaro il potenziale conflitto con altri diritti di pari rango la cui composizione non può prescindere dalla natura dell’intervento legislativo destinato ad operare in un contesto specifico e di durata temporanea”.

La sospensione retroattiva del corso della prescrizione del reato, secondo la Terza Sezione (pp. 14 e 15), andrebbe dunque letta come misura eccezionale, limitativa di un diritto fondamentale – incarnato nell’art. 25, co. 2 Cost. – che, secondo la logica propria del bilanciamento tra i principi e i diritti costituzionali, si giustificherebbe in ragione del carattere temporaneo, proporzionato/ragionevole e giustiziabile. Questa la conclusione: “la sospensione del corso della prescrizione, che determina una indubbia limitazione/compressione dell’art. 25, comma 2 Cost. può dirsi, in certa misura ed entro certi limiti, “sopportabile”, nel senso che nel bilanciamento con altri principi di rango costituzionale (diritto alla vita e alla salute), consente di ritenere la flessione del principio di irretroattività della legge sfavorevole, a tali condizioni…non costituzionalmente illegittima”.

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5. Per ragioni già espresse nel commentare l’informazione provvisoria, la sentenza della Terza Sezione non può a mio avviso essere condivisa. L’interpretazione proposta è contraria e non già conforme a Costituzione. Lo è per il carattere assolutamente inderogabile del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole all’agente, che discende tanto dall’art. 25, co. 2 Cost., come interpretato dalla Corte costituzionale nella sua costante giurisprudenza, quanto dall’art. 117, co. 1 Cost., in relazione agli artt. 7 e 15, co. 2 Cedu.

L’assoluta inderogabilità del divieto di applicazione retroattiva della legge penale sfavorevole all’agente appartiene alla radice illuministica del relativo principio, volto a evitare possibili abusi e sopraffazioni da parte del legislatore e del giudice anche e proprio a fronte di vere o asserite emergenze che mettono a rischio la vita del paese o la tenuta dell’ordinamento. Il richiamo alla “tolleranza dei principi” è suggestivo ma fuorviante: l’irretroattività della legge penale in malam partem è ‘un principio intollerante’, che non può essere bilanciato con altri principi di rango costituzionale. La Corte costituzionale lo ha affermato a più riprese e l’argomento addotto dalla sentenza annotata (p. 16) per superare l’obiezione – individuato nel carattere naturalistico dell’emergenza sanitaria, mai prima presa in considerazione dalla Corte come fattore eccezionale – non persuade. La nostra Costituzione nasce dalle rovine di una guerra e di un regime autoritario, le radici del principio di irretroattività sono ancor più antiche, e la sua storia, anche nel diritto internazionale, è la storia di un principio inderogabile proprio perché la derogabilità rappresenta un possibile ventre molle dietro il quale si possono nascondere abusi. Non solo, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 7, co. 2) – firmata anch’essa dopo la caduta dei regimi autoritari in Europa, che avevano legittimato orrori inauditi – si è preoccupata di fissare un’unica possibile deroga, relativa ai crimini contro l’umanità, perseguibili, retroattivamente, dopo la caduta dei regimi stessi.

La stessa Cedu, nell’art. 15, co. 2, ha dettato d’altra parte una fondamentale e vincolante regola – ignorata dalla sentenza in commento – che non autorizza alcuna deroga all’art. 7 (salva quella di cui si è detto, relativa ai crimini contro l’umanità) “in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione”. La lezione del XX secolo è che la fedeltà ai principi va tenuta ferma anche e proprio durante l’emergenza. E a mio avviso sbaglia la Cassazione a legittimare, con l’autorevolezza delle sue decisioni, deviazioni pericolose, per quanto limitate e financo ragionevoli nello scopo perseguito. Il rischio è di aprire una breccia che possa portare, un domani, in nome di questa o quella emergenza, all’applicazione retroattiva di nuove incriminazioni o di un trattamento più sfavorevole per offese a beni fondamentali quali la vita e la salute. I principi vanno difesi anche e proprio in periodi di emergenza.

 

6. Stupisce, d’altra parte, come la sentenza annotata giunga a motivare un giudizio relativo alla non manifesta infondatezza con un percorso argomentativo che avrebbe dovuto suggerire proprio il rinvio della questione alla Corte costituzionale, che è l’organo deputato a compiere il delicato bilanciamento tra i principi costituzionali cui ha invece proceduto la Corte di cassazione. L’ammissibilità della prospettata interpretazione conforme a Costituzione – inedita e problematica – è tutt’altro che pacifica; questo solo, a mio avviso, avrebbe suggerito di sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale, già investita da diversi giudici di merito. L’impressione è che la Cassazione, in questa occasione, abbia sconfinato in un’area coperta dal sindacato della Corte costituzionale.

 

7. La Terza Sezione avrebbe d’altra parte potuto seguire un’altra possibile interpretazione conforme a Costituzione, come sembra aver fatto la Quinta Sezione. Si sta facendo infatti strada in giurisprudenza come ho accennato in apertura, una lettura dell’art. 159 c.p. che consente l’applicazione della sospensione del corso della prescrizione del reato ex art. 83 d.l. n. 18/2020 senza mettere in discussione l’art. 25, co. 2 Cost. e, ancor prima, la natura (integralmente) sostanziale della disciplina della prescrizione del reato. Stabilendo il rinvio delle udienze e la sospensione dei termini la citata disposizione ha determinato una sospensione del processo penale e l’art. 159 c.p. prevede che il corso della prescrizione sia sospeso “in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale…è imposta da una particolare disposizione di legge”.

Secondo la sentenza annotata (p. 13), se tra le disposizioni di legge richiamate dall’art. 159 c.p. si include il citato art. 83 d.l. n. 18/2020 si legittima “un surrettizio aggiramento del principio di irretroattività in peius. Se la prescrizione del reato è un istituto di diritto penale sostanziale, il rinvio operato dall’art. 159 non può essere mobile e le norme richiamate devono essere in vigore al momento del fatto; se così non fosse, la disposizione codicistica conterrebbe “una deroga indeterminata al principio di irretroattività” e sarebbe in contrasto con l’art. 25, co. 2 Cost.

L’argomento non persuade: la disciplina della sospensione del corso della prescrizione è costruita attraverso la previsione di ipotesi eventuali, al verificarsi delle quali si determina una sospensione del corso della prescrizione: la richiesta di una autorizzazione a procedere, la necessità di svolgere una rogatoria all’estero, il deferimento della questione ad altro giudice (ad es., la Corte costituzionale o la Corte di Giustizia dell’UE), la richiesta delle parti o dei difensori di sospendere il giudizio per un impedimento, l’ammissione dell’imputato al procedimento di messa alla prova ex art. 168 bis c.p., ecc. A queste ipotesi tipiche la legge, attraverso una clausola generale, affianca quella in cui la sospensione del procedimento o del processo sia “imposta da una particolare disposizione di legge”. Attraverso questa previsione, al momento del fatto l’autore sa e può prevedere che tra le tante possibili evenienze, che condizionano il decorso del termine di prescrizione del reato, vi è anche e proprio l’introduzione per legge di una disciplina che integri il presupposto normativo della sospensione del procedimento o del processo. Questa garanzia è necessaria e sufficiente, alla luce dell’art. 25, co. 2 Cost. senza che il soggetto agente possa invocare la mancata previa conoscenza della particolare disposizione di legge, sopravvenuta, che come nel caso dell’art. 83, co. 2 d.l. n. 83/2020 integri il presupposto della sospensione legale del procedimento o del processo penale, per questa o per quella ragione. Questa lettura dell’art. 159, co. 1 c.p. sembra compatibile con l’art. 25, co. 2 Cost. e, in particolare, con tutte le rationes del principio di irretroattività in malam partem, da ultimo richiamate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 32/2020. Una volta che l’agente sa che, dopo la commissione del fatto, potrà essere sospeso il procedimento penale eventualmente instaurato contro di lui, in ragione di una previsione legale – quale che ne sia il motivo – è nelle condizioni di compiere libere scelte d’azione, di calcolare le conseguenze dell’illecito e di compiere le proprie scelte difensive, senza essere esposto ad abusi da parte del legislatore. Fermo restando che la causa di sospensione del procedimento e della prescrizione deve comunque essere compatibile con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), il che rappresenta una fondamentale garanzia per l’indagato o per l’imputato.

 

8. Prima di concludere, osservo come i disorientamenti della giurisprudenza di fronte al problema posto dalla sospensione, retroattiva, del corso della prescrizione del reato risentono di quello che, a mio avviso, è un vizio di fondo, ingenerato dall’affermata natura sempre e comunque sostanziale della disciplina della prescrizione del reato. Mi riferisco al presupposto di ritenere operante il principio di irretroattività ex art. 25, co. 2 Cost. in presenza di modifiche normative che comportino un allungamento del termine di prescrizione quando questa non sia già maturata. Come ho sostenuto altrove, modifiche siffatte non rendono punibile un fatto non punibile, restituendo allo Stato la potestà punitiva, e, pertanto, sono a ben vedere estranee all’ambito di operatività e alla ratio di garanzia dell’art. 25, co. 2 Cost. Che sia questa la via per risolvere la questione oggetto della sentenza annotata è realisticamente dubitabile, in considerazione della giurisprudenza costituzionale sulla natura sostanziale della prescrizione del reato, figlia oggi del caso Taricco. Per questo la lettura dell’art. 159 c.p. sopra proposta può rappresentare una plausibile e persuasiva strada da imboccare per la soluzione del problema.