Corte cost., 18 novembre 2020 (dep. 23 dicembre 2020), n. 278, Pres. Coraggio, Rel. Amoroso
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1. Con la sentenza n. 278 del 2020, depositata il 23 dicembre scorso, la Corte costituzionale ha escluso che integri una violazione del principio di irretroattività (art. 25, co. 2 Cost.) la sospensione del corso della prescrizione del reato prevista dall’art. 83, c. 4 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (conv. in l. 24 aprile 2020, n. 27). Come è noto, la sospensione è stata disposta dal 9 marzo all’11 maggio 2020, in ragione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, con riferimento a procedimenti penali per l’accertamento di fatti antecedentemente commessi. Di qui la dubbia compatibilità del provvedimento con il principio costituzionale di irretroattività della legge penale sfavorevole all’agente: tale si prospetta infatti una legge che comporti un allungamento del termine di prescrizione del reato – pari nel caso di specie a 64 giorni – sul presupposto della natura sostanziale e non già processuale della disciplina dell’istituto, affermata dalla giurisprudenza costituzionale.
La questione è stata seguita e approfondita dalla nostra Rivista, che nei mesi scorsi ha pubblicato le ordinanze di rimessione, da parte di giudici di merito, le decisioni della Corte di cassazione, che hanno invece optato per la manifesta infondatezza, e diversi contributi sul tema, che possono leggersi nella colonna di destra, tra i materiali correlati. Diamo dunque per noti i termini del problema e andiamo subito alle attese motivazioni della Corte costituzionale.
In sintesi, la Corte: a) ha ribadito il carattere inderogabile del principio di legalità ex art. 25, co. 2 Cost., inteso in senso lato come comprensivo della garanzia della irretroattività della legge penale sfavorevole all’agente; b) ha ribadito altresì, in linea con la propria giurisprudenza, la natura sostanziale dell’istituto della prescrizione del reato, che ricade pertanto nell’area coperta dal suddetto principio e dai suoi corollari (precisione o determinatezza); c) ha individuato nella disciplina emergenziale di cui all’art. 83 d.l. n. 18/2020 una ipotesi di generalizzata sospensione del procedimento penale per esigenze di tutela della salute pubblica; d) ha quindi ricondotto la disciplina emergenziale alla regola generale espressa nell’art. 159, co. 1 c.p., che attraverso un automatismo àncora la sospensione del termine di prescrizione del reato alla sospensione del procedimento penale “imposta da una particolare disposizione di legge”; e) ha escluso una violazione del principio di irretroattività dopo aver considerato come, proprio in virtù della disciplina dell’art. 159 c.p., al momento del fatto l’autore sapeva o era comunque in grado di sapere “che se il procedimento o il processo saranno sospesi in ragione dell’applicazione di una disposizione di legge che ciò preveda, lo sarà anche il decorso del termine di prescrizione”.
Il percorso argomentativo qui sintetizzato ha portato la Corte costituzionale – a mio avviso in modo ragionevole e senza arretramenti rispetto ai principi in gioco – a risolvere una questione indubbiamente complessa, che poneva seri problemi di equilibrio tra esigenze contrapposte (cfr. il § 7 della motivazione): da un lato, il rispetto di fondamentali principi e garanzie accordate all’imputato (oltre alla irretroattività in malam partem, la ragionevole durata del processo e il diritto ad essere lasciato in pace, decorso il ‘tempo dell’oblio’ predeterminato per legge); dall’altro lato, l’esigenza di garantire il rispetto della legge penale e dell’ordinato “vivere civile”, accertando fatti ed eventuali responsabilità attraverso il processo – anche durante un’emergenza sanitaria – garantendo così la “fiducia dei cittadini” nel sistema penale e “la tutela delle vittime dei reati”.
2. Nel ripercorrere l’iter argomentativo della sentenza in esame, va subito sottolineato come, nel riconoscere la compatibilità della disciplina emergenziale con l’art. 25, co. 2 Cost., la Corte non fa mezzo passo indietro rispetto all’affermazione del carattere inderogabile del principio di irretroattività, che anzi molto opportunamente ribadisce, in linea con tutta la propria precedente giurisprudenza (v. § 10): “la garanzia del principio di legalità (art. 25, secondo comma, Cost.) nel suo complesso (tale perciò da coprire anche le implicazioni sostanziali delle norme processuali) dà corpo e contenuto a un diritto fondamentale della persona accusata di aver commesso un reato, diritto che – avendo come contenuto il rispetto del principio di legalità –… non è comprimibile non entrando in bilanciamento con altri diritti in ipotesi antagonisti; si tratta, infatti, di una garanzia della persona contro i possibili arbìtri del legislatore, la quale rappresenta un «valore assoluto, non suscettibile di bilanciamento con altri valori costituzionali» (sentenze n. 32 del 2020, n. 236 del 2011 e n. 394 del 2006)”. Se la questione di legittimità costituzionale è infondata, pertanto, non lo è, come ha affermato una discutibile e isolata sentenza della Cassazione (n. 21367/2020), in ragione di una pretesa e inammissibile deroga al principio di irretroattività, dettata dall’emergenza sanitaria in corso; lo è invece, come si è anticipato e meglio si vedrà, perché a giudizio della Corte la disciplina emergenziale, nella parte in cui ha disposto la sospensione del termine di prescrizione del reato nei procedimenti penali essi pure sospesi a causa della pandemia e del temporaneo ‘lockdown della giustizia penale’, è espressione di una regola generale già prevista, al tempo del fatto-reato, dall’art. 159 c.p.
Il ruolo e lo statuto costituzionale del principio di legalità/irretroattività sono fuori discussione e in linea con la giurisprudenza costituzionale, compresa quella relativa ai nessi con la prescrizione del reato (il pensiero corre in primis alla vicenda Taricco). La Corte lo sottolinea con decisione (§ 10): “…tale garanzia…appartiene al nucleo essenziale dei diritti di libertà che concorrono a definire la identità costituzionale dell’ordinamento giuridico nazionale, quale riconosciuta dall’ordinamento dell’Unione europea…Nello statuto delle garanzie di difesa dell’imputato, il principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., esteso fino a comprendere anche la determinazione della durata del tempo di prescrizione dei reati, ha un ruolo centrale, affiancandosi al principio di non colpevolezza dell’imputato fino alla condanna definitiva (art. 27, secondo comma, Cost.) e a quello della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.). Da ultimo, esso si proietta finanche sull’esecuzione della pena quanto al regime delle misure alternative della detenzione (sentenza n. 32 del 2020).
3. La Corte ribadisce dunque, senza tentennamenti, l’inquadramento della prescrizione del reato quale “istituto di natura sostanziale” (§ 9), soggetto alla garanzia dell’art. 25, co. 2 Cost.: “…la prescrizione, pur determinando, sul versante processuale, l’arresto della procedibilità dell’azione penale, si configura come causa di estinzione del reato sul piano più specificamente sostanziale”.
La sentenza in esame – con ciò segnando un avanzamento della giurisprudenza costituzionale in materia – si fa d’altra parte carico di meglio circoscrivere la portata del principio di legalità, inteso in senso lato, in rapporto all’istituto della prescrizione del reato.
Va precisato, a riguardo, che la Corte non distingue, ai fini dell’applicazione dell’art. 25, co. 2 Cost., tra profili di disciplina della prescrizione del reato sostanziali e processuali: rispetto alla garanzia costituzionale della ‘legalità’ la Corte considera la disciplina della prescrizione ‘tutta sostanziale’, anche, in particolare, per quel che riguarda le “implicazioni sostanziali” di norme processuali quali sono quelle che disciplinano la sospensione e l’interruzione del relativo corso.
3.1. Orbene, il complesso della disciplina della prescrizione del reato – comprensiva delle disposizioni relative alla sospensione e alla interruzione del termine – deve far sì, perché l’art. 25, co. 2 Cost. sia rispettato, che il tempo di prescrizione del reato sia stabilito (a) dalla legge, (b) “con sufficiente precisione e determinatezza” (§ 11), (c) prima della commissione del fatto di reato.
I requisiti sub (a) e (b) riguardano la legalità in senso proprio. A tal proposito va segnalato come la Corte, affermata la natura sostanziale della prescrizione del reato, estenda espressamente al termine prescrizionale il principio di precisione (o determinatezza) della legge penale, corollario del principio di legalità. La legge deve essere precisa non solo nel descrivere la condotta penalmente sanzionata, ma anche nel fissare il tempo di prescrizione del reato integrato da quella condotta (§ 11). E’ per questo, sottolinea la Corte nel riprendere per un attimo in mano, incidentalmente, il caso Taricco, che la relativa regola, “di derivazione dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale – amplia la misura ‘tabellare’ del tempo di prescrizione di alcuni reati fiscali in materia di tributi armonizzati – non ha ingresso nel nostro ordinamento, neppure ex nunc, stante il difetto di determinatezza del presupposto che condiziona la maggiore estensione temporale della prescrizione (sentenza n. 115 del 2018)”.
3.2. Il requisito sub (c) acquista un rilievo centrale e decisivo rispetto alla questione sottoposta alla Corte. Si legge così nella motivazione della sentenza annotata che “la determinazione della durata del tempo, il cui decorso estingue il reato prescrizione (art. 157, co. 1 c.p.) ricade nell’area di applicazione del principio di legalità posto dall’art. 25, co. 2 Cost.” (§ 9). Pertanto, “è la legge del tempus commissi delicti che…fissa il tempo oltre il quale la sanzione non potrà essere applicata per essere il reato estinto per prescrizione (art. 157 c.p.), tempo che può anche essere illimitato…per delitti gravissimi…” (§ 9). Ne consegue che “il rispetto del principio di legalità implica la non retroattività della norma di legge che, fissando la durata del tempo di prescrizione dei reati, ne allunghi il decorso ampliando in peius la perseguibilità del fatto commesso” (§ 11). Simmetricamente, osserva per inciso la Corte sulla linea della propria precedente giurisprudenza, richiamando la sent. n. 393/2006 relativa alla riforma della prescrizione del reato attuata dalla legge ex Cirielli nel 2005, “la norma che invece riduca la durata del tempo di prescrizione costituisce disposizione penale più favorevole ai sensi dell’art. 2 c.p., applicabile in melius anche ai fatti già commessi in precedenza (quindi retroattivamente) nei limiti di operatività della lex mitior”, la cui estensione retroattiva può subire deroghe, ma entro i limiti consentiti dal canone della ragionevolezza ex art. 3 Cost. (§ 11).
L’ancoraggio della disciplina della prescrizione del reato all’art. 25, co. 2 Cost. implica secondo la Corte che, a garanzia della calcolabilità delle conseguenze della propria condotta, e della libertà delle proprie scelte d’azione, l’autore del fatto debba avere “…previa consapevolezza della disciplina concernente la dimensione temporale in cui sarà possibile l’accertamento nel processo, con carattere di definitività, della sua responsabilità penale (ossia la durata del tempo di prescrizione del reato), anche se ciò non comporta la precisa predeterminazione del dies ad quem in cui maturerà la prescrizione” (§ 9).
Opportunamente la Corte sottolinea, a tale ultimo riguardo, quel che i ‘penalisti pratici’ sanno bene: a procedimento penale avviato “non è mai prevedibile ex ante l’esatto termine finale in cui si compie e opera la prescrizione, termine che può essere raggiunto in un arco temporale variabile e dipendente da fattori plurimi e in concreto non predeterminabili” (§ 10).
Avvicinandosi al nucleo della motivazione, la Corte osserva poi come sulla complessiva durata del termine di prescrizione del reato incidano vicende processuali in concreto imprevedibili ex ante, comprese in particolare quelle che comportano l’interruzione e la sospensione del termine stesso (§ 12). La Corte riconosce che se è vero che “il rispetto del principio di legalità coinvolge anche la disciplina della decorrenza, della sospensione e dell’interruzione della prescrizione” (§ 12), ne consegue che in relazione alle cause sospensive e interruttive la prevedibilità ex art. 25, co. 2 Cost. deve essere rapportata al carattere variabile e non predeterminabile degli eventi processuali che, secondo la valutazione del legislatore, possono integrare quelle stesse cause.
4. Fatta questa premessa – che si rivelerà centrale rispetto alla ratio decidendi – la sentenza annotata affronta direttamente il problema della legittimità costituzionale della disciplina di cui all’art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020, disposizione censurata dai giudici a quibus. A tal fine la Corte muove dalla disciplina generale di cui all’art. 159 c.p., che oltre a elencare una serie di casi particolari enuncia la regola generale secondo cui “il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale…è imposta da una particolare disposizione di legge”.
La decisiva premessa della Corte – invero non pacifica nel dibattito attorno alla questione ma, a mio avviso, condivisibile – è che la disciplina emergenziale abbia integrato la predetta fattispecie sospensiva, prevedendo una ipotesi di sospensione del procedimento e del processo penale: “il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 83 contempla l’integrale sospensione dell’attività giurisdizionale nel periodo emergenziale, prevedendo non solo il rinvio delle udienze (comma 1), ma anche la sospensione dei termini processuali di qualsiasi natura (comma 2)” (§ 15).
La disposizione censurata (art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020) non fa altro che ribadire la regola generale già prevista dall’art. 159, co. 1 c.p.: trova così conferma la tesi già espressa in dottrina e dalla prevalente giurisprudenza della Corte di cassazione nell’ambito di pronunce che hanno escluso la fondatezza di analoghe questioni di legittimità costituzionale.
Se è vero che l’art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020 esprime una regola già prevista dall’art. 159, co. 1 c.p., e che pertanto, nel disporre la sospensione della prescrizione del reato, non ha una portata innovativa, che come tale sarebbe in contrasto con il principio di irretroattività, ne consegue, da un lato, che la compatibilità con l’art. 25, co. 2 Cost. deve essere vagliata in rapporto alla disposizione codicistica già vigente al tempo del fatto e, dall’altro lato, che ci si deve interrogare sulla stessa ragion d’essere della citata disposizione emergenziale (sulla sua ridondanza o meno).
4.1. Secondo la Corte, la causa generale di sospensione della prescrizione ex art. 159, co. 1 c.p. “rispetta il principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.” (§ 13): essa infatti, da un lato, ha “un contenuto sufficientemente preciso e determinato, aperto all’integrazione di altre più specifiche disposizioni di legge”; dall’altro lato, fa sì che “al momento della commissione del fatto il suo autore sa ex ante che, se il procedimento o il processo saranno sospesi in ragione dell’applicazione di una disposizione di legge che ciò preveda, lo sarà anche il decorso del termine di prescrizione”. Orbene, secondo la sentenza annotata “la consapevolezza di tale automatismo nell’autore della condotta penalmente rilevante è sufficiente ad assicurare il rispetto del principio di legalità”.
L’opinione della Corte è a mio avviso pienamente condivisibile, per ragioni che ho provato a esporre in un contributo pubblicato su questa Rivista. La fattispecie sospensiva di cui all’art. 159, co. 1 c.p. non è una ‘fattispecie aperta’, bisognosa di essere riempita di significato dalle norme richiamate. La “disposizione di legge” che, di volta in volta, dispone la sospensione del procedimento o del processo non aggiunge nulla alla descrizione della fattispecie sospensiva della prescrizione di cui all’art. 159 c.p., che è completa nello stabilire una corrispondenza automatica tra sospensione del processo e sospensione della prescrizione. Quella disposizione non si incorpora nella legge penale, assumendone la natura e attirandone le garanzie costituzionali, a partire da quella di cui all’art. 25, co. 2 Cost.: resta processuale e soggetta alle sole garanzie costituzionali previste per le leggi processuali, tra le quali non si annovera l’irretroattività (è allora a ben vedere improprio il riferimento della sentenza annotata a una fattispecie aperta alla “integrazione” di altre specifiche disposizioni di legge). Non si tratta, insomma, di una fattispecie sospensiva ‘in bianco’, che prende corpo – e contenuto – attraverso la disposizione di legge richiamata (se così fosse, i dubbi di legittimità costituzionale sarebbero fondati). Si tratta piuttosto di una fattispecie sospensiva descritta attraverso un elemento normativo (il concetto di “particolare disposizione di legge”); e, come ha mostrato da tempo la dottrina penalistica, su diversi terreni (precisione della legge penale, errore di diritto, successione di leggi penali) le norme richiamate dagli elementi normativi non integrano la legge penale: rappresentano solo i criteri (o parametri) di applicazione degli elementi normativi stessi (dotati, nel testo della norma penale, di autonomia concettuale e funzionale). Esse servono cioè – come nel caso che ci occupa – ad accertare se la fattispecie sospensiva – compiutamente descritta dalla legge – risulta integrata o meno nel caso concreto.
4.2. Quanto alla possibile obiezione relativa alla ridondanza dell’art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020, la Corte replica (§ 17) osservando in modo persuasivo che la disposizione “non è inutile perché fissa, in modo espresso e quindi in termini maggiormente chiari, compatibili con il rispetto del principio di eguaglianza, la collocazione della disposizione nell’alveo della causa generale di sospensione contenuta nell’art. 159, co. 1 c.p., secondo una tecnica legislativa non nuova. Una fattispecie analoga si rinviene, con riferimento ad altra situazione emergenziale che ha imposto la stasi dei processi penali, nell’art. 49, co. 6 e 9, del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma del 24 agosto 2016), convertito, con modificazioni, nella legge 15 dicembre 2016, n. 229”.
5. In modo lineare, la sentenza annotata conclude dunque nel senso che “il principio di legalità è rispettato perché la sospensione del corso della prescrizione di cui alla disposizione censurata, essendo riconducibile alla fattispecie della «particolare disposizione di legge» di cui al primo comma dell’art. 159 c.p., può dirsi essere anteriore alle condotte contestate agli imputati nei giudizi a quibus. La regola, secondo cui quando il procedimento o il processo penale è sospeso in applicazione di una particolare disposizione di legge lo è anche il corso della prescrizione, è certamente anteriore alle condotte penalmente rilevanti proprio perché contenuta nel codice penale del 1930…” (§ 16).
D’altra parte, sottolinea ad abundantiam la Corte, l’interpretazione che riconduce la sospensione della prescrizione ex art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020 alla regola generale dell’art. 159 c.p. è in linea di continuità con altri casi di sospensione di processi e della prescrizione collegati a situazioni di emergenza, quali eventi sismici. Ebbene, sottolinea la sentenza annotata (§ 15), riprendendo un argomento già bene evidenziato dalla Corte di cassazione (v. ad es., Sez. V, sent. n. 25222/2020), mai si è posto in giurisprudenza, in relazione a quei precedenti casi, “alcun dubbio in ordine al rispetto del principio di legalità”.
6. La logica della sospensione del corso della prescrizione del reato vuole che il momento in cui si deve accertare se la fattispecie sospensiva è integrata sia un momento sempre successivo alla commissione del fatto di reato. La fattispecie sospensiva deve essere predeterminata dalla legge, in modo preciso. L’art. 159, co. 1 àncora come si è detto la sospensione della prescrizione del reato alla sospensione del procedimento o del processo penale, imposta per una qualche ragione da una legge che, secondo la sentenza qui annotata – questo è esattamente il punto – può essere successiva al momento del fatto, senza che ne risulti violato l’art. 25, co. 2 Cost. Le ragioni a fondamento di questa conclusione – che a dispetto di quanto potrebbe apparire non elude il principio di irretroattività e la relativa garanzia, aprendo “una falla” (§ 14) – devono rinvenirsi nel carattere sufficientemente preciso e chiuso della fattispecie sospensiva generale dell’art. 159 c.p.; carattere che, come conferma in dottrina la diversità di vedute sulla questione oggetto della sentenza annotata, può sì apparire dubbio – per via del rinvio ad altre disposizioni di legge – ma che si giustifica a mio parere in ragione della natura non integratrice delle norme richiamate dagli elementi normativi della fattispecie penale, che non si incorporano nella legge penale e che pertanto restano estranee all’art. 25, co. 2 Cost. (una natura recentemente ribadita dalla Corte di cassazione – Sez. VI, sent. n. 36317/2020, Pres. Bricchetti, Est. Calvanese, depositata il 17.12.2020 – nel quadro della diversa vicenda relativa al venir meno della qualifica pubblicistica degli albergatori, in rapporto al peculato e al mancato versamento della tassa di soggiorno).
7. L’esito della decisione della Corte è di ritenere legittima la sospensione della prescrizione per 64 giorni, disposta dall’art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020 nei procedimenti per fatti antecedentemente commessi, facendo sì (di qui la rilevanza delle questioni) che non possa essere dichiarata la prescrizione del reato nei giudizi a quibus (tutti, peraltro, non di ultima istanza e pertanto, verosimilmente, destinati a una prescrizione solo rinviata alla fase di appello); giudizi dei quali la Corte sottolinea incidentalmente la “eccessiva durata”, essendo il termine di prescrizione del reato quasi interamente decorso “già solo in primo grado” (§ 5).
Di fatto, l’intervento legislativo ‘salvato’ dalla Corte ha prodotto un effetto pregiudizievole per l’imputato: non già, per quanto si è detto, dichiarando sospesa la prescrizione del reato (un risultato determinato dall’art. 159 c.p.), bensì sospendendo i procedimenti penali a causa dell’emergenza Covid-19. La Corte ne è consapevole e si preoccupa di sottolineare come, in realtà, la sospensione dei procedimenti, imposta dall’epidemia, produca conseguenze negative non solo per l’imputato ma anche per tutti gli attori del processo, comprese le vittime, che dal processo penale – come la Corte ha ricordato (§ 7) attendono risposte circa l’accertamento di eventuali responsabilità, oltre che forme di ristoro, anche economico, quando si siano costituite come parti civili.
Riferendosi alla regola generale contenuta nell’art. 159, co. 1 c.p., la Corte osserva quel che nel dibattito pubblico – per lo più focalizzato sui soli interessi dell’imputato – sembra essere passato in secondo piano: “se il processo ha una stasi, le conseguenze investono tutte le parti: la pubblica accusa, la persona offesa costituita parte civile e l’imputato. Come l’azione penale e la pretesa risarcitoria hanno un temporaneo arresto, così anche, per preservare l’equilibrio della tutela dei valori in gioco, è sospeso il termine di prescrizione del reato per l’indagato o l’imputato”. Ciò, sottolinea altresì la Corte, “è coerente con il richiamato bilanciamento (sopra al punto 7), che è al fondo della fissazione del termine di durata del tempo di prescrizione dei reati; bilanciamento che rischierebbe di essere alterato se «una particolare disposizione di legge», che preveda la sospensione del procedimento o del processo penale, in ipotesi, per la ragione imperiosa di una sopravvenuta calamità (quale, nell’attualità, la pandemia da COVID-19, ma similmente in precedenza eventi tellurici, disastri idrogeologici e altri), debba sempre – come ritengono i giudici rimettenti a fondamento delle loro censure di illegittimità costituzionale – lasciar scorrere il tempo di prescrizione dei reati già commessi prima della disposizione censurata e invece arrestarne il decorso solo per i reati commessi dopo, così decurtandone soltanto per questi ultimi la durata, incongruamente quanto inutilmente per essere la prescrizione appena iniziata a decorrere”. Se il ‘lockdown della giustizia penale’ imposto dall’emergenza sanitaria impedisce di celebrare i processi – sembra dire la Corte, in altri termini – non è colpa di nessuno dei soggetti processuali e non deve andare a vantaggio di nessuno.
8. Ciò detto, la Corte non trascura affatto la posizione dell’imputato, che subisce il processo penale e che, pertanto, deve essere destinatario di garanzie in conformità ai principi costituzionali; garanzie che devono essere riconosciute anche e proprio in relazione alla regola e al meccanismo legale di sospensione della prescrizione, di cui all’art. 159, co. 1 c.p. (cfr. i §§ 13 e 14).
a) La Corte menziona, in primo luogo, “la garanzia della riserva alla legge della previsione delle ipotesi di sospensione del procedimento o del processo (ex art. 111, co. 1 Cost.)”.
b) In secondo luogo, la Corte limita la portata della regola generale di cui all’art. 159, co. 1 c.p. affermando che “una nuova causa di sospensione – riconducibile alla causa generale di cui all’art. 159, co. 1 c.p. e quindi applicabile anche a condotte pregresse – non può decorrere da una data antecedente alla legge che la prevede”. A tal proposito la sentenza annotata osserva (§ 17) come l’art. 83, co. 1 e 2 d.l. n. 18 del 2020, entrato in vigore il 17 marzo 2020, “ha previsto la sospensione dei processi e dei procedimenti penali fin dal 9 marzo e quindi (apparentemente) in modo retroattivo quanto al periodo dal 9 al 17 marzo”. In realtà, però – osserva la Corte – “così non è perché il rinvio ex lege (e quindi la sospensione temporanea) dei procedimenti e dei processi penali nel (breve) periodo precedente il 17 marzo 2020 e la simmetrica sospensione del termine di prescrizione trovano il loro fondamento normativo nell’art. 1 del d.l. n. 11 del 2020, entrato in vigore il 9 marzo 2020, il quale sì non è stato convertito in legge, e anzi prima ancora è stato abrogato dall’art. 1 della legge n. 27 del 2020, ma la stessa disposizione ne ha fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo, unitamente a quelli oggetto del precedente d.l. n. 9 del 2020. Vi è pertanto continuità normativa tra la disposizione (fin quando vigente) del d.l. n. 11 del 2020, che all’art. 1, comma 3, richiama l’art. 10 del d.l. n. 9 del 2020 (e quindi anche il suo comma 13 sulla sospensione del corso della prescrizione), e quella di salvezza della legge n. 27 del 2020, sicché il periodo di rinvio (id est sospensione) di procedimenti e processi penali dal 9 al 17 marzo trova il suo fondamento in una norma vigente già alla data iniziale di questo intervallo temporale. Non c’è stata pertanto alcuna sospensione retroattiva del corso della prescrizione come conseguenza della sospensione di procedimenti e processi penali, bensì ha trovato piena applicazione il principio secondo cui la legge (nella specie, di contenuto processuale) dispone per l’avvenire (art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale) e pertanto legittima è la ricaduta sulla prescrizione in termini di sospensione della sua durata, prevista dall’art. 1 del d.l. n. 11 del 2020, in combinato disposto con l’art. 10, comma 13, del d.l. n. 9 del 2020, in piena sintonia con l’art. 159, co. 1 c.p.”.
c) In terzo luogo, soprattutto, la Corte osserva come, in situazioni analoghe a quelle oggetto delle questioni di legittimità costituzionale in esame, l’imputato sia garantito dal possibile “abuso del potere legislativo” non già attraverso il principio di irretroattività della legge penale – non operante, per quanto si è detto – bensì attraverso la “verifica di conformità sia al canone della ragionevole durata del processo (art. 111, co. 2 Cost.), sia al principio di ragionevolezza e proporzionalità (art. 3, co. 1 Cost.), a confronto dei quali sarà sempre possibile il sindacato di legittimità costituzionale della stessa sospensione dei procedimenti e dei processi penali, nonché, più specificamente, della conseguente sospensione del termine di prescrizione”. In altri termini, l’imputato deve essere garantito contro il rischio di una irragionevole durata del processo, determinata da una sospensione per lungo periodo, e ancor prima contro il rischio di una sospensione (del processo e della prescrizione) irragionevole, priva cioè di un fondamento che giustifichi, in un bilanciamento di interessi contrapposti, il sacrificio di quelli che fanno capo all’imputato. Orbene, in modo del tutto condivisibile la Corte afferma, a riguardo, che “nella fattispecie in esame…non vengono sollevati dubbi di legittimità costituzionale da parte dei giudici rimettenti sotto questo profilo, ma non può non osservarsi, da una parte, che la breve durata della sospensione del decorso della prescrizione è pienamente compatibile con il canone della ragionevole durata del processo e, dall’altra parte, che, sul piano della ragionevolezza e proporzionalità, la misura è giustificata dalla finalità di tutela del bene della salute collettiva (art. 32, co. 1 Cost.) per contenere il rischio di contagio da COVID-19 in un eccezionale momento di emergenza sanitaria”.
Quanto in particolare alla durata della sospensione, incidente sulla durata complessiva del processo, la Corte sottolinea infine come “rimane…nella discrezionalità del legislatore prevedere eventualmente, in riferimento a specifiche fattispecie, l’ulteriore garanzia di un limite massimo di durata dell’arresto temporaneo del decorso della prescrizione, come nell’ipotesi di sospensione del processo per assenza dell’imputato (art. 159, co. 1 c.p.)”.
9. In conclusione, per le ragioni sopra esposte la Corte ha dichiarato non fondate le questioni sollevate con riferimento all’art. 25, co. 2 Cost.
E’ interessante segnalare come la Corte (§ 19) abbia al contempo dichiarato inammissibili le questioni sollevate da alcune ordinanze in riferimento all’art. 117, co. 1 Cost. e ai parametri europei di cui agli artt. 7 Cedu e 49 CDFUE.
Quanto all’art. 7 Cedu, osserva la Corte come il giudice a quo “non indica benché minimamente in che termini il parametro convenzionale offrirebbe…una protezione del principio di legalità maggiore di quella dell’art. 25, co. 2 Cost. Anzi, la predicata natura processuale della prescrizione [da parte della giurisprudenza di Strasburgo – n.d.r.] riduce il perimetro della non retroattività della norma penale rispetto alla ricostruzione dell’istituto, quale presente nella giurisprudenza di questa Corte, che…ne afferma la natura sostanziale.
Quanto all’art. 49 CDFUE – osserva infine la Corte – alla stessa carenza motivazionale in ordine al parametro convenzionale si aggiunge – nel contesto di un’ordinanza pronunciata dal giudice a quo in un procedimento per il delitto di calunnia – “l’assoluta mancanza di motivazione in ordine alla riferibilità a una materia rientrante nell’ambito di attuazione del diritto dell’Unione europea. La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che la CDFUE può essere invocata, quale parametro interposto in un giudizio di legittimità costituzionale, soltanto quando la fattispecie oggetto di legislazione interna sia disciplinata dal diritto europeo (ex plurimis, da ultimo, sentenza n. 254 del 2020)”.
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10. Qualche riflessione conclusiva può essere utilmente riservata al possibile impatto della sentenza 278/2020 rispetto alla valutazione dei profili di diritto intertemporale di altre ipotesi di sospensione della prescrizione del reato.
10.1. In primo luogo, restando nell’ambito del diritto dell’emergenza Covid-19, viene in rilievo la disciplina introdotta dal c.d. decreto-ristori bis (art. 24 d.l. 9 novembre 2020, n. 149, convertito definitivamente in legge, dalla Camera, il 18 dicembre 2020: v. ora l’art. 23 ter della legge di conversione), che dispone “a decorrere dal 9 novembre 2020 e fino alla scadenza del termine di cui all’articolo 1 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35” – cioè fino al cessare dello stato di emergenza – la sospensione dei “giudizi penali” e del corso della prescrizione del reato “durante il tempo in cui l’udienza è rinviata per l’assenza del testimone, del consulente tecnico, del perito o dell’imputato in procedimento connesso i quali siano stati citati a comparire per esigenze di acquisizione della prova, quando l’assenza è giustificata dalle restrizioni ai movimenti imposte dall’obbligo di quarantena o dalla sottoposizione a isolamento fiduciario in conseguenza delle misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19”.
Questa diversa ipotesi di sospensione – del processo e del corso della prescrizione – sembra pure riconducibile alla regola generale di cui all’art. 159, co. 1 c.p. e parimenti compatibile con i principi costituzionali (legalità/irretroattività, ragionevole durata del processo, ragionevolezza) per ragioni analoghe a quelle esposte dalla sentenza annotata. La sospensione è stata d’altra parte prevista con decorrenza dall’entrata in vigore del decreto-ristori bis (9 novembre 2020) – in modo cioè non retroattivo – e si è anche previsto un limite massimo al periodo di sospensione (art. 23 ter, co. 2): “l’udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione delle restrizioni ai movimenti, dovendosi avere riguardo, in caso contrario, agli effetti della durata della sospensione del corso della prescrizione…al tempo della restrizione aumentato di sessanta giorni”. Questa previsione appare ancor più opportuna considerato il termine finale, di fatto indeterminato (prorogato più volte e prorogabile), della vigenza della causa sospensiva in esame: la fine dello stato di emergenza, dichiarato ai sensi di legge.
10.2. Di particolare rilievo, al di fuori dell’ambito della legislazione dell’emergenza, è valutare se e quali indicazioni possano trarsi dalla sentenza 278/2020 in rapporto alla riforma della prescrizione del reato, introdotta a decorrere dal 1° gennaio 2020 dalla legge Bonafede (n. 3/2019). Come è noto quella riforma, non accompagnata da una disciplina transitoria, ha modificato l’art. 159 c.p. prevedendo, al secondo comma, che il corso della prescrizione sia sospeso (rectius, interrotto) dalla pronuncia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio.
Certamente non possono trarsi dalla sentenza 278/2020 argomenti a favore della retroattività della riforma Bonafede, cioè della sua applicabilità in rapporto a fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Nell’escludere la violazione del principio di irretroattività della legge penale la Corte ha fatto leva sull’art. 159, co. 1 c.p., cioè sulla regola generale – vigente dal 1930 – che àncora la sospensione della prescrizione alla sospensione del processo. La riforma Bonafede si colloca chiaramente al di fuori di quella regola e delinea un nuovo assetto del corso della prescrizione a processo in corso, anticipandone il dies ad quem. La sentenza 278/2020 precisa, in un breve ma significativo passaggio incidentale (§ 14), che “il necessario collegamento con la sospensione del processo fa sì che, ove esso manchi, diversa risulta essere la fattispecie di sospensione del decorso della prescrizione, la quale non sarebbe riconducibile alla causa generale dell’art. 159, co. 1 c.p.”. La Corte non si spinge a citare la riforma Bonafede ma fa un significativo riferimento alla precedente riforma Orlando – che contemplava sospensioni della prescrizione correlate alle fasi del giudizio (anche in quel caso non sospeso) – i cui effetti erano stati espressamente limitati dal legislatore ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore (art. 1, co. 15 l. 23 giugno 2017, n. 103).
La riforma Bonafede ha bloccato il corso della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado (o il decreto di condanna), rendendo da quel momento il reato di fatto imprescrittibile e, pertanto, comportando un allungamento, sine die, del termine di prescrizione. In una simile situazione la regola generale che si ricava dalla sentenza in esame, che afferma la natura sostanziale della disciplina della prescrizione del reato, anche per quel che riguarda la sua anima processuale (cause sospensive e interruttive), è a me pare quella della irretroattività. Come ho provato a mostrare in un contributo pubblicato su questa Rivista, una diversa soluzione, in via di principio, potrebbe argomentarsi, sulla base della indicazioni di autorevole dottrina e della giurisprudenza sovranazionale e di ordinamenti stranieri, vuoi sostenendo la natura processuale della disciplina della sospensione/interruzione della prescrizione (soggetta pertanto al principio tempus regit actum), vuoi escludendo che il principio di irretroattività della legge penale operi quando l’allungamento del termine di prescrizione si verifichi a prescrizione non ancora maturata. Ma non è questa la strada intrapresa dalla giurisprudenza costituzionale, che la sentenza n. 278/2020 ribadisce in modo chiaro.
11. Una notazione finale. Mentre è stata depositata dalla Corte costituzionale la sentenza 278/2020, deve esserlo ancora quella pronunciata dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione all’udienza del 26 novembre scorso. La questione rimessa alle Sezioni Unite riguarda la diversa disciplina della sospensione della prescrizione nel giudizio di legittimità, prevista dall’art. 83, co. 3 bis d.l. n. 18/2020 e, da quanto si è appreso da un’informazione provvisoria, pubblicata su questa Rivista, secondo le Sezioni Unite “opera esclusivamente con riferimento ai procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di cassazione che siano pervenuti alla cancelleria stessa nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020”.
Dalla stessa informazione provvisoria, piuttosto articolata, sembra peraltro che le Sezioni Unite non si siano limitate a pronunciarsi sulla disciplina della sospensione della prescrizione nei procedimenti davanti alla Cassazione, avendo affermato che: “il corso della prescrizione è rimasto sospeso ex lege, ai sensi dei commi 1, 2 e 4 del citato art. 83, dal 9 all’11 maggio 2020, nei procedimenti nei quali nel suddetto periodo era stata originariamente fissata udienza e questa sia stata rinviata ad una data successiva al termine del medesimo. Analogamente, ai sensi del successivo comma 9 dello stesso art. 83, la prescrizione è rimasta sospesa dal 12 maggio al 30 giugno 2020 nei procedimenti in cui in tale periodo era stata fissata udienza e ne è stato disposto il rinvio a data successiva al termine del medesimo in esecuzione del provvedimento emesso dal capo dell’ufficio giudiziario ai sensi dell’art. 83, comma 7, lett. g). Nel caso in cui il provvedimento ex art. 83, comma 7, lett. g) del citato decreto legge sia stato adottato successivamente al 12 maggio 2020, la sospensione decorre dalla data della sua adozione. Le Sezioni unite hanno, altresì, precisato che i due periodi di sospensione suindicati si sommano in riferimento al medesimo procedimento esclusivamente nell’ipotesi in cui l’udienza, originariamente fissata nel primo periodo di sospensione obbligatoria, sia stata rinviata a data compresa nel secondo periodo e, quindi, ulteriormente rinviata in esecuzione del provvedimento del capo dell’ufficio».
L’attesa decisione delle Sezioni Unite, pertanto, non riguarda la riferibilità della sospensione della prescrizione ai procedimenti per fatti commessi prima del d.l. n. 18/2020 – questione, questa, risolta come sappiamo dalla Corte costituzionale – bensì il novero dei procedimenti interessati dalla causa sospensiva e la durata della sospensione stessa. In attesa del deposito delle motivazioni della sentenza delle Sezioni Unite, ci sembra di notare, rileggendo l’informazione provvisoria dopo il deposito della sentenza della Corte costituzionale, relativa – lo precisiamo – alla sola ipotesi dell’art. 83, co. 1-4 d.l. n. 83/2020, che la Consulta, diversamente dalle Sezioni Unite, abbia inteso il periodo di sospensione come relativo a tutti i procedimenti interessati dalla sospensione dei termini – compresi pertanto quelli la cui udienza non era stata fissata nel periodo considerato – e altresì come unitario, pari cioè a 64 giorni decorrenti dal 9 marzo 2020. Si tratterà ora di vedere se i principi espressi dalle Sezioni Unite siano conciliabili con l’interpretazione della disciplina emergenziale fornita dalla Corte costituzionale.