1. Il 20 maggio 2020 la Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere[1], ha approvato la presente Relazione, che è stata poi comunicata alla Presidenze della Camera e del Senato in data 1 giugno 2020 e presentata successivamente in conferenza stampa il 3 giugno.
2. La premessa da cui prende le mosse l’analisi della Commissione è che, tra i compiti istituzionali che le sono stati attribuiti, vi è non solo quello di verificare lo stato di attuazione delle disposizioni di cui agli artt. 4-bis e 41-bis ord. pen.[2], ma anche quello di indicare le iniziative di carattere normativo e amministrativo che ritenga necessarie per rafforzare l’efficacia delle leggi e degli indirizzi del Parlamento, con riferimento al fenomeno mafioso e alle altre principali organizzazioni criminali.
Nel quadro delle strategie di contrasto del fenomeno mafioso, la politica penitenziaria è stata, infatti, sempre un argomento centrale delle inchieste svolte dalle diverse Commissioni antimafia, avvicendatesi nel corso delle legislature, che si sono però quasi esclusivamente concentrate – per espresso riconoscimento della stessa Relazione – sul regime del carcere duro di cui all’art. 41-bis ord. pen., confinando così inevitabilmente sullo sfondo le problematiche legate alle preclusioni stabilite dall’art. 4-bis ord. pen.
Soltanto una volta, in passato, nel corso della XIII legislatura, la Commissione si era soffermata su quest’ultima norma, con riferimento in particolare alla possibilità di includere nella disciplina di cui al 4-bis anche la liberazione anticipata, al fine di rendere più efficace l’azione di contrasto nei confronti dell’allora dilagante fenomeno dei sequestri di persona a scopo di estorsione[3].
Nella Relazione in commento, invece, la prospettiva risulta decisamente ribaltata: la Commissione si mostra ben consapevole del fatto che il compito di individuare nuove soluzioni normative e di sollecitare un serio e concreto intervento del legislatore sulla disciplina di cui all’art. 4-bis ord. pen. non può, davvero, essere più rimandato dopo l’intervento delle sentenze Viola c. Italia della Corte EDU del 13 giugno 2019[4] e della n. 253 del 2019 della Corte costituzionale[5], che hanno entrambe avuto ad oggetto, seppur sotto aspetti diversi, proprio quest’ultima norma.
Pertanto, la Commissione intende concentrare la sua attenzione esclusivamente sul 4-bis ord. pen. e sul regime ostativo da essa derivante, con l’obiettivo di individuare le possibili ricadute di tali pronunce sul diritto interno e sul regime penitenziario dei condannati per i reati contemplati nella norma, anche in vista di un nuovo testo normativo che, senza retrocedere nel contrasto della criminalità organizzata, sia però in grado di resistere ad un futuro vaglio di legittimità[6].
3. Dopo aver accuratamente ripercorso l’evoluzione normativa dell’art. 4-bis e ricostruito le motivazioni delle due fondamentali sentenze intervenute in materia (ossia, come accennato, la sentenza Viola c. Italia della Corte EDU del 13 giugno 2019 e della n. 253 del 2019 della Corte costituzionale), la Relazione dà conto di un ciclo di audizioni, in cui un apposito gruppo di lavoro formato all’interno della Commissione si è confrontato con alcune figure professionali esperte[7] in materia e che ha condotto poi la Commissione ad elaborare alcune proposte di riforma.
4. I punti fondamentali emersi dal dibattitto, che sono poi confluiti nelle proposte di riforma avanzate dalla Commissione, hanno riguardato, in primis, l’opportunità che un’eventuale modifica legislativa riguardasse tutti i benefici penitenziari compresi nell’art. 4-bis ord. pen., inclusa quindi la liberazione condizionale[8]. Tale affermazione di apertura, apparentemente dirompente, viene in realtà in parte neutralizzata dalla successiva asserzione secondo cui il superamento della presunzione di attualità di collegamenti con l’organizzazione criminale potrà avvenire solo in presenza di rigide condizioni probatorie, al punto che – come espressamente si evidenzia – la concessione del beneficio rappresenterà pur sempre un’eccezione alla regola[9].
5. Con riferimento al regime probatorio, la Commissione evidenzia la necessità di individuare – all’interno dell’elenco dei reati di cui al co. 1 dell’art. 4 bis – “un nuovo doppio binario”, che preveda per i condannati per reati connessi con la criminalità organizzata, terroristica ed eversiva di mafia un più rigoroso procedimento di accertamento da parte della magistratura di sorveglianza dei presupposti per la concessione del beneficio ed una scansione più rigida delle fasi della verifica sul venir meno dei legami con l’organizzazione criminale.
La proposta della Commissione è che, per tali delitti, l’attività di acquisizione degli elementi in grado di escludere sia l’attualità di collegamenti con le suddette organizzazioni, sia il pericolo di un loro ripristino, debba passare attraverso un’allegazione proveniente dalla stessa parte istante, sul quale graverà quindi l’onere di fornire elementi fattuali specifici, concreti ed attuali, a sostegno della sua richiesta.
A tal fine, non basterà allegare la regolare condotta o il mero decorso del tempo, ma dovranno essere elaborati dei criteri in presenza dei quali la magistratura di sorveglianza possa procedere ad una verifica individualizzata di ricorrenza dei presupposti ai fini della decisione di merito sull’istanza[10].
Una volta acquisiti tali elementi forniti dall’istante, ulteriori informazioni dovranno essere acquisite di concerto con le altre competenti autorità.
In particolare, oltre alla direzione del carcere in cui l’istante si trova detenuto, avrà un ruolo di fondamentale importanza la Procura nazionale antimafia, deputata ad acquisire i dati provenienti dal territorio, relativi al luogo di svolgimento del processo definito con sentenza di condanna, al luogo di origine e operatività dell’organizzazione criminale e a quello in cui si darà attuazione al beneficio richiesto. Tramite le procure distrettuali, la Procura antimafia dovrà inoltre acquisire informazioni di natura economico-patrimoniale sul condannato e sui suoi familiari.
In tal senso, la Commissione propone di estendere l’art. 79 cod. antimafia relativo alle “verifiche fiscali, economiche e patrimoniali a carico di soggetti sottoposti a misure di prevenzione” nei confronti dei condannati con sentenza passata in giudicato per delitti di cui al 4-bis.
Inoltre, dovrà essere acquisito il parere del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica del luogo in cui il soggetto è detenuto, che sarà in grado di fornire le notizie provenienti dalle Forze di polizia del luogo in cui il reato è stato commesso, ovvero del luogo di godimento del beneficio nonché di quello di origine ed operatività del gruppo criminale di riferimento.
In ogni caso, la Commissione ritiene che per tale complessa attività di acquisizione di informazioni debba essere previsto un termine ampio, pari a 30 giorni, prorogabile una sola volta dal magistrato di sorveglianza.
Per gli altri reati previsti dal comma 1 dell’art. 4-bis, ciò che dovrà essere tenuto in considerazione non è l’attualità di collegamenti con l’associazione criminale – che verosimilmente potrebbe non esistere – bensì l’attuale pericolosità sociale del detenuto e i rischi connessi ad un suo eventuale ritorno in società[11].
Per effettuare tale valutazione, dovranno essere acquisite informazioni tramite le competenti questure e le prefetture e al Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica dovranno pervenire tutte le informazioni di polizia sul luogo in cui è stata emessa la sentenza e su quello in cui verrà fruito il beneficio.
Per entrambe le categorie di reati, la Commissione propone di subordinare la concessione del beneficio all’adempimento delle obbligazioni civili nascenti dal reato, salvo casi di impossibilità.
6. Infine, un altro aspetto essenziale che viene affrontato durante questo confronto e che si traduce poi in due distinte proposte normative avanzate dalla Commissione, attiene al tema della competenza.
Attualmente, la competenza a decidere sulle richieste di permesso appartiene al magistrato di sorveglianza, ai sensi dell’art. 69 ord. pen., mentre gli altri benefici penitenziari sono attribuiti al Tribunale di sorveglianza, ai sensi dell’art. 70 ord. pen.
La prima proposta è quella di accentrare la competenza in capo al Tribunale di sorveglianza di Roma, in analogia a quanto previsto dall’art. 41-bis co.2-quinquies, al fine di evitare una giurisprudenza “a macchia di leopardo”.
Secondo una diversa proposta, invece, appare più opportuno conservare la giurisdizione di prossimità e distinguere la competenza in ragione della tipologia dei reati per il cui il soggetto è stato condannato: andrebbe spostata in capo al Tribunale di sorveglianza territoriale la sola competenza sulle istanze di permessi premio avanzate da detenuti per reati di mafia, criminalità organizzata, eversiva o terroristica e per traffico di stupefacenti, lasciando in capo al magistrato di sorveglianza quella relativa ai reati di natura monosoggettiva[12].
La Commissione ritiene, inoltre, opportuno intervenire sull’esiguo termine di 24 ore attualmente previsto per proporre reclamo avverso il provvedimento di diniego o concessione del permesso premio, inserendo un nuovo e più lungo termine, pari a 15 giorni. Una questione risolta peraltro in questo senso recentissimamente dalla Consulta[13], con un sentenza depositata lo scorso 12 giugno[14].
[1] Il fenomeno della criminalità organizzata di stampo mafioso ha ricevuto considerazione a livello parlamentare, per la prima vota, nel 1962, quando venne istituita la prima Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia con la legge 20 dicembre 1962, n. 1720, nel corso della III legislatura, con Presidente l'Onorevole Paolo Rossi. La Commissione d’inchiesta bicamerale attualmente in carica è stata istituita nel corso della XVIII legislatura con l. 7 agosto 2018, n. 99.
[2] La relazione fa riferimento, in particolare, alla verifica “dell’attuazione delle disposizioni di cui alla legge 23 dicembre 2002 n. 279 relativamente all’applicazione del regime carcerario previsto dagli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 175 n. 354…”. Con la legge 279/2002 vengono, infatti, apportate modifiche rilevanti sia sull’art. 4-bis che sul 41-bis ord. pen.: tra i principali interventi relativi al 4-bis vi è l’integrale sostituzione del co.1, in un’ottica di armonizzazione dei contenuti, e il contestuale inserimento al suo interno di altri reati (es. delitti commessi con finalità di terrorismo, riduzione in schiavitù); per quanto riguarda, invece, il 41-bis viene sostituito il co.2-bis e vengono introdotti i commi da 2-ter a 2-sexies. Il co.2-ter, che prevedeva una forma revoca anticipata e officiosa del decreto ministeriale, qualora fossero venute meno le condizioni che ne hanno giustificato l’adozione o la proroga, è stato poi abrogato in seguito dalla l. 15 luglio 2009 n. 94.
[3] Cfr. pag. 9 della Relazione, ultimo capoverso.
[4] Per un approfondimento dei passaggi argomentativi della sentenza della Corte EDU, si rinvia a S. Santini, Anche gli ergastolani ostativi hanno diritto a una concreta “via di scampo”: dalla Corte di Strasburgo un monito al rispetto della dignità umana, in Dir. pen. cont., 1 luglio 2019.
[5] Per un approfondimento dei contenuti delle ordinanze di rimessione e dei passaggi motivazionali della sentenza, si rinvia al commento di S. Bernardi, Per la Consulta la presunzione di pericolosità dei condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia è legittima solo se relativa: cade la preclusione assoluta all’accesso ai permessi premio ex art. 4-bis comma 1 ord. pen., in questa Rivista, 28 gennaio 2020.
[6] Non può non segnalarsi che, secondo quanto reso noto dal servizio novità della Corte di cassazione, la I Sezione penale ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 4-bis comma 1, 58-ter ord. penit. e 2 d.l. 152 del 1991, convertito con modificazioni nella legge n. 203 del 1991, per contrasto con gli artt. 3, 27 e 117 Cost., “nella parte in cui escludono che il condannato all’ergastolo per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis c.p. o al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla liberazione condizionale”.
[7] Sono stati sentiti, in particolare, il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (dott. Federico Cafiero De Raho), il Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (dott. Francesco Basentini), il Presidente della Commissione “carceri ed esecuzione della pena” del Consiglio superiore della magistratura (dott. Sebastiano Ardita), i Presidenti di tribunale di sorveglianza di Bologna (dott.ssa Antonietta Fiorillo) e Roma (Maria Antonio Veraldi, accompagnato dal presidente vicario dott.ssa Maria Teresa Saragnano) e un accademico, esperto della tematica, docente di diritto costituzionale (prof. Marco Rutolo).
[8] Cfr. pag. 36 della Relazione. In dottrina era stata avanzata la proposta di introdurre, con riguardo alla liberazione condizionale, una presunzione relativa a condizioni simili, se non identiche, a quelle già previste per la concessione dei permessi premio, che andrebbero comunque espressamente estese anche al lavoro all’esterno e alle misure alternative di cui al capo VI ord. pen. Cfr., M. Ruotolo, Reati ostativi e permessi premio. Le conseguenze della sent. n. 253 del 2019 della Corte costituzionale, in questa Rivista, 12 dicembre 2019.
[9] Cfr. pag. 27 della Relazione.
[10] La Relazione individua alcune circostanze che la magistratura di sorveglianza potrà tenere in considerazione ai fini della concessione del beneficio, quali, ad esempio, il perdurare o meno della operatività del sodalizio criminale, ovvero il profilo criminale del condannato e la sua posizione all’interno dell’associazione, nonché la capacità eventualmente manifestata nel corso della detenzione di mantenere collegamenti con l’originaria associazione di appartenenza o con altre organizzazioni, reti o coalizioni anche straniere; la sopravvenienza di nuove incriminazioni o significative infrazioni disciplinari; l’ammissione dell’attività criminale svolta e delle relazioni e rapporti intrattenuti; la valutazione critica del vissuto in relazione al ravvedimento; le disponibilità economiche del condannato all’interno degli istituti penitenziari nonché quelle dei suoi familiari; la sussistenza di concrete e congrue condotte riparatorie, anche di natura non economica; l’applicazione di una delle circostanze attenuanti previste dall’articolo 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, e delle circostanze previste dall’articolo 114 ovvero dall’articolo 116, secondo comma, del codice penale; l’intervenuta adozione di provvedimenti patrimoniali ed il loro stato di concreta esecuzione. Cfr. pagg. 31-32 della Relazione.
[11] Per quanto riguarda la pericolosità sociale, saranno determinanti, in senso negativo, elementi come la sopravvenienza di nuove incriminazioni. Rileveranno in positivo, invece, condizioni quali il risarcimento dei danni o la valutazione critica del vissuto criminale, la prognosi di conformità della futura condotta di vita al rispetto della legalità e delle regole dettate dall’ordinamento; la sussistenza di concrete e congrue condotte riparatorie, anche di natura non economica e l’essersi distinti per comportamenti particolarmente lodevoli. Cfr. pag. 33 della Relazione.
[12] Cfr. pagg. 34, 35, 36 della Relazione.
[13] La Corte di cassazione, Sezione prima penale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 30-bis, comma 3, dell’O.P., in relazione all’articolo 30-ter, comma 7, ord. pen. « nella parte in cui prevede che il termine per proporre reclamo [...] è pari a 24 ore » indicando come possibile termine diverso quello di quindici giorni previsto dall’articolo 35-bis ord. pen. per il reclamo giurisdizionale avverso gli atti dell’Amministrazione penitenziaria asseritamente lesivi di diritti. Per una sintetica analisi dell’ordinanza di rimessione del 30 ottobre 2019 n. 45976, sia consentito rinviare a C. Cataneo, Permessi-premio e termine di 24 ore per impugnare la decisione del magistrato di sorveglianza: la Cassazione solleva una questione di legittimità costituzionale, in questa Rivista, 17 gennaio 2020.
[14] Cfr. Corte cost. 12 giugno 2020, n. 113 che ha dichiarato “l'illegittimità costituzionale dell'art. 30-ter, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui prevede, mediante rinvio al precedente art. 30-bis, che il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere a tal fine il termine di quindici giorni”.