1. Merita senz’altro attenzione e apprezzamento l’idea “ardita” che Silvia De Blasis prospetta nel suo libro di valorizzare l’“intellegibilità” della “norma penale”, riferita non solo alla legge astratta, ma anche all’esito interpretativo concreto. Soprattutto oggi, che, come dimostra la recente sentenza della Corte di cassazione n. 28594/2024, anche la giurisprudenza di legittimità inizia ad affrontare il tema della prevedibilità dei contrasti e dei mutamenti giurisprudenziali.
2. Anzitutto, più che condivisibile il punto di partenza, riassumibile nella circostanza che negli ultimi decenni la legalità è notevolmente mutata. Tuttavia, la trasformazione alla quale si riferisce De Blasis sta non soltanto nel riconoscimento di un ruolo sempre più significativo all’interpretazione giudiziale nell’applicazione della legge, ma prima ancora nella necessità di valorizzare il rapporto che intercorre tra i consociati e la norma penale. Se, infatti, prima del costituzionalismo personalistico, il principio di legalità è stato concepito prevalentemente nel rapporto tra legislatore e giudice, trascurando il destinatario della legge astratta e della decisione, oggi, in una prospettiva di autentica garanzia, all’interno di questo rapporto deve essere inserito anche il consociato. Non solo, ma, come mette bene in evidenza De Blasis, una visione siffatta è il frutto di una concezione personalistica del nostro ordinamento, che nel porre al centro ciascuna persona, rende quest’ultima un vero e proprio contraltare a un potere che in ogni momento può andare a scapito dei consociati: «la questione personalistica – afferma De Blasis – non deve venire in gioco solo al momento dell’accertamento del nesso materiale e psicologico tra autore e fatto o in quella della valutazione della personalità del reo per la commisurazione della pena, ma ancora prima nel momento della previsione della fattispecie di reato [e della sua applicazione, aggiungiamo noi] affinché queste siano riconosciute e comprese dal cittadino in modo da consentire al principio personalistico di trovare effettiva e compiuta realizzazione» (p. 45).
3. Ecco che, in questa prospettiva, assume peculiare rilevanza il concetto di intellegibilità della norma penale, da intendersi proprio come la relazione conoscitiva e comprensiva che intercorre tra i consociati e la norma penale. Non saprei dire se l’intellegibilità sia da collocare come categoria tra la determinatezza della legge in astratto e la prevedibilità della decisione in concreto o se, piuttosto, e più semplicemente, costituisca un criterio destinato ad arricchire sia il giudizio di determinatezza che quello di prevedibilità, affiancando alla tradizionale visione basata sul rapporto tra poteri quella per l’appunto personalistica basata sul rapporto tra poteri e consociati. Certo è che, se la legge e l’esito interpretativo non solo intellegibili ovvero, come vedremo, si vengono a creare insanabili spaccature tra norma astratta e norma interpretata, la persona non può essere fatta responsabile in virtù della mancanza di precondizioni indispensabili per un’autentica libera scelta di comportamento.
4. Ebbene, ciò che deve essere particolarmente valorizzato di questa ricostruzione sono soprattutto tre conseguenze/proposte. Anzitutto, mediante l’intellegibilità può uscire rafforzato lo stesso giudizio di determinatezza della formulazione della fattispecie, per cui la norma deve essere non solo interpretabile da parte del giudice, ma anche in grado di comunicare con chiarezza ai destinatari ciò che assume rilevanza penale ovvero la distinzione tra lecito e illecito.
Tre i problemi che qui si pongono. Per prima cosa, torna a presentarsi una problematica di rapporto tra poteri: una norma che risulta in astratto indeterminata potrà poi essere “rideterminata” dalla giurisprudenza? Si tratta di una questione ineludibile che l’impianto del libro rende particolarmente urgente da risolvere. Ed infatti, se ci si muove nella prospettiva dei poteri, non si può che condividere l’orientamento della Corte costituzionale che attribuisce rilevanza al diritto vivente o addirittura un ruolo tassativizzante alla giurisprudenza. Anche perché si tratta di un orientamento che sapientemente persegue lo scopo di raggiungere un punto di equilibrio tra i poteri. Ed infatti, questa prospettiva solo in apparenza esprime una valorizzazione del ruolo del giudice che viene spesso contestata, costituendo piuttosto un modo per tutelare le scelte di criminalizzazione del legislatore e le esigenze punitive espresse dalla società, non potendosi dimenticare che se la fattispecie fosse dichiarata illegittima sulla base del solo testo e a prescindere dal ruolo giocato dall’interpretazione, si verrebbero a generare margini assai più ampi per la creazione di vuoti di tutela.
Se invece ci si muove nella prospettiva personalistica dell’intellegibilità, si potrebbe dire che la ricerca di un equilibrio tra poteri finisce per andare a scapito dei consociati, anche solo in ragione della discrasia che si crea tra testo e interpretazione. Ecco che, in una forma forse eccessivamente radicale, si può concludere addirittura nel senso che sono da considerare comunque indeterminate le norme che risultano intellegibili grazie al ruolo suppletivo della giurisprudenza. In termini più sfumati, si aprono comunque questioni di enorme interesse, in virtù della registrazione di un vero e proprio iato tra legge astratta e interpretazione giudiziale: l’esito tassativizzante quanto può distaccarsi dalla formulazione astratta? Nessun problema se l’esito interpretativo è alla fin fine analogo a quello che emerge dalla legge in astratto, ma cosa accade se si finisce per comunicare un messaggio in parte diverso con il rischio di disorientare i consociati? E quindi, soprattutto, è ammissibile un effetto comunque tassativizzante che tuttavia fuoriesce dalla legalità? Torneremo a brevissimo su tali questioni. Qui interessa osservare come esca rafforzata una legalità che va oltre le problematiche relazioni tra legislatore e giudice per investire quella tra poteri dell’ordinamento e consociati.
Si pone poi il problema del criterio per definire la comunicazione ai consociati. Ebbene, proprio qui emerge come lettera e tipo criminoso debbano andare di pari passo, non costituendo criteri alternativi, ma piuttosto “cumulativi”, in grado di misurare la determinatezza in astratto oppure la conformità dell’interpretazione alla legalità. Per cui determinate sono senza dubbio quelle norme in cui lettera e scopo si coniugano perfettamente ovvero l’interpretazione diviene ammissibile se rientra nella lettera e nello scopo. Diversamente risultano indeterminate quelle norme in cui la lettera non è in grado di esprimere uno scopo univoco ovvero non è ammissibile l’interpretazione il cui l’esito si pone fuori dalla lettera e dallo scopo. Molto più complesse tutte quelle interpretazioni “intermedie” in cui il rispetto della lettera contrasta con lo scopo o, viceversa, nell’uscire dalla lettera si resta coerenti allo scopo.
Terzo aspetto problematico. La determinatezza mediante intellegibilità finisce per trasformare il ruolo della Corte costituzionale, che invece di porsi nel mezzo tra legislatore e giudice, si colloca tra legislatore/giudice e consociati. L’esito a ben vedere è di un rafforzamento della Corte, ponendosi però anche un rischio di sovraccarico. Ma non di sovraesposizione: proprio se si valorizza il nuovo scenario personalistico, non ci si deve scandalizzare davanti a esiti di garanzia più stringenti e rigorosi, anche perché, a ben vedere, non sono a favore del legislatore o del giudice, ma piuttosto costituiscono bilanciamenti all’operato del legislatore/giudice, andando a favore dei consociati.
5. In secondo luogo, la valorizzazione della intellegibilità della norma penale comporta inevitabilmente la valorizzazione della ignorantia legis, almeno su due nuovi fronti, che si aggiungono a quello dei contrasti giurisprudenziali di cui diremo meglio a breve. Da un lato, su un piano astratto, là dove l’intellegibilità risulta minima, nel senso che il precetto si presenta particolarmente complesso, equivoco o addirittura oscuro, è possibile valorizzare un giudizio di evitabilità/inevitabilità individualizzato che consente di ampliare la portata applicativa dell’art. 5 c.p.
Dall’altro lato, anche su un piano concreto, si può valorizzare il giudizio di evitabilità/inevitabilità, là dove si crea una scissione tra testo e interpretazione, nel senso che si fa particolarmente pronunciato lo iato tra previsione astratta e interpretazione giudiziale, potendosi osservare come, per un verso, mediante una sapiente individualizzazione, si può giungere addirittura ad escludere la responsabilità, mentre, per altro verso, la persona che comunque poteva conoscere non può che andare incontro a una minore responsabilità, ipotizzandosi così una necessaria attenuazione della pena che De Blasis, condivisibilmente, ritiene poi di dover estendere a tutte le ipotesi di conoscibilità.
6. Infine, il tema delle dinamiche interpretative. De Blasis distingue tra contrasto, al quale si può applicare l’art. 5 e mutamento sfavorevole, al quale si potrebbe invece applicare l’art. 2, prospettando come riforma la previsione di un comma 1-bis che appunto dia espressa rilevanza alla irretroattività del mutamento sfavorevole. Punto qualificante di quest’ultima proposta è che, avendo la nuova norma una portata generale, essa dovrebbe trovare applicazione non solo in presenza di un mutamento sfavorevole tra Sezioni Unite, ma anche tutte le volte in cui orientamenti stabilizzati nel senso della liceità sono poi contraddetti da una pronuncia nel senso della illiceità: e quindi sia nell’ipotesi in cui, davanti a un orientamento consolidato delle Sezioni semplici viene pronunciata una sentenza che rende un comportamento punibile, sia nell’ipotesi in cui, dopo una sentenza delle Sezioni Unite, v’è una sentenza delle Sezioni semplici che decide di distaccarsi dal precedente qualificato. Prospettiva che quindi finirebbe per ampliare ulteriormente l’ambito applicativo della irretroattività dei mutamenti sfavorevoli.
7. Prendere sul serio l’idea che la legalità è cambiata non solo per il riassetto dei poteri, ma anche per la valorizzazione del personalismo, apre a scenari di grande interesse che si potranno percorrere soprattutto se, come fa De Blasis, si avrà il coraggio di indossare nuove lenti capaci di mettersi in sintonia con la nuova prospettiva. Insomma: e se fosse il personalismo a limitare la tendenza di ampliamento della penalità non solo del legislatore ma anche del potere giudiziario? Di più: e se fosse il personalismo a creare le condizioni per incrementare quel raccordo tra legge in astratto e interpretazione concreta che permette ai consociati, alle persone appunto, di orientarsi in modo autenticamente consapevole?
Punto centrale è che concepire la legalità in questa diversa prospettiva personalistica comporta un potenziamento delle garanzie, perché il ragionamento di fondo è il seguente: legislatore e giudice trovino pure i loro punti di equilibrio, ma una cosa è certa, il crearsi di contrasti, divergenze, tensioni, mutamenti tra questi due poteri non potrà andare a scapito dei consociati. E più l’ordinamento valorizzerà le garanzie in questa prospettiva, più la stessa tensione tra i poteri si stempererà, perché l’intellegibilità, spingendo per far coincidere la determinatezza in astratto con l’interpretazione in concreto, costringerà i poteri a raccordarsi.