Lo scritto qui di seguito pubblicato trae spunto da una relazione del Prof. Emilio Dolcini presentata alla Prima giornata di studio su Autoritarismo penale e diritti costituzionali, promossa dall’Osservatorio Autoritarismo, tenutosi nell’Università degli studi di Milano il 16 giugno 2025.
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SOMMARIO: 1. Alcune reazioni al ‘Pacchetto sicurezza 2025’. – 2. Sulla nozione di ‘sicurezza’. – 3. Lo strumento del decreto-legge per il varo dell’ennesimo ‘Pacchetto sicurezza’: la prassi istituzionale. – 4. Decreto-legge e diritto penale nella giurisprudenza della Corte costituzionale. – 5. Contro l’inclusione del decreto-legge tra le fonti di norme penali. – 6. Un sommario panorama della manualistica di diritto penale in tema di fonti. – 7. La totale assenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza a monte del d.l. n. 48/2025.
1. Il ‘Pacchetto sicurezza’ 2025 (d.l. 11 aprile 2025, n. 48, recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”, definitivamente approvato dal Parlamento il 4 giugno 2025 e convertito nella l. 9 giugno 2025, n. 80) si presta ad essere osservato dai più diversi angoli di visuale. In effetti ha attratto l'attenzione (e critiche radicali) da parte dell’accademia, della magistratura e dell’avvocatura: per una volta, in un coro pressoché unanime.
Quanto al mondo accademico, basterà rammentare le prese di posizione dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale relative sia al disegno di legge AS 1236 della XIX legislatura, sia al decreto-legge nel quale sono stati riversati i contenuti dell’originario disegno di legge; a tacere degli innumerevoli giuristi universitari – costituzionalisti, penalisti, processualpenalisti e altri ancora – che si sono pronunciati sul ‘pacchetto sicurezza’ a titolo individuale, in scritti scientifici, in audizioni parlamentari e nel corso di manifestazioni pubbliche: dato comune, una forte preoccupazione per la deriva securitaria sempre più marcata nel nostro Paese.
Quanto alla magistratura, la Giunta esecutiva centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati ha emesso un comunicato nel quale si denunciano molteplici profili di illegittimità costituzionale della nuova normativa e si censura l’assenza di misure idonee a fronteggiare la drammatica situazione delle carceri italiane. Inoltre, la VI Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura ha pubblicato un parere sul d.l. sicurezza, nel quale, dato atto che “esula dal perimetro della competenza consiliare (di cui all’art. 10 della legge n. 195 del 1958) ogni considerazione relativa alle ragioni per cui le disposizioni di un disegno di legge in materia penale in avanzata fase di esame parlamentare siano state trasfuse in un atto normativo urgente”, si passano in rassegna i contenuti dell’atto normativo, esprimendo riserve su diversi tra i suoi punti qualificanti: dalla “detenzione di materiale con finalità di terrorismo” ex art. 270 quinquies.3 alla “rivolta all’interno di uno stabilimento penitenziario” ex art. 415 bis c.p., dalle modifiche agli artt. 146 e 147 c.p. relative al rinvio dell’esecuzione della pena nei confronti di donne incinte o madri di prole di età inferiore a un anno agli interventi in tema di ‘blocco stradale’ e di ‘blocco ferroviario’ (d.lgs. n. 66 del 1948).
Quanto all’avvocatura, ha avuto grande risonanza l’astensione dalle udienze in materia penale proclamata dall’Unione Italiana delle Camere Penali per i giorni 5, 6 e 7 maggio, che è venuta ad aggiungersi a precedenti iniziative che avevano espresso un radicale dissenso nei confronti della normativa in gestazione.
Un momento di sintesi tra voci dell’accademia e voci della magistratura nei suoi gradi più elevati è poi rappresentato dall’Appello per una sicurezza democratica lanciato da Ugo De Siervo, Gaetano Silvestri e Gustavo Zagrebelsky: un appello in cui si denuncia “un disegno gravemente pericoloso” che “tradisce un’impostazione autoritaria, illiberale e antidemocratica”.
Segnalo ancora lo sciopero della fame ‘a staffetta’ lanciato il 19 aprile da molteplici associazioni (Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti, A Buon Diritto, Acli, Antigone, Arci, Cgil, Forum Droghe, L’Altro Diritto, La Società della Ragione, Ristretti Orizzonti) per protestare contro il d.l. sicurezza.
Da ultimo, il 23 maggio il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ha depositato un parere sul disegno di legge recante conversione in legge del d.l. 1° aprile 2025, n. 48 nel quale vengono riproposte alcune considerazioni critiche precedentemente svolte in relazione al disegno di legge poi confluito nel d.l. n. 48/2025. Le critiche del Garante riguardano la disciplina dell’esecuzione della pena nei confronti di donne incinte o madri di prole di età inferiore a tre anni (art. 15 d.l.), la dotazione di videocamere al personale delle forze di polizia (art. 21), gli artt. 415 e 415 bis c.p. (art. 26), l'introduzione fra i c.d. reati ostativi dell'istigazione a disobbedire alle leggi (art. 34), nonché il lavoro e l'apprendistato per i detenuti (artt. 35 e 36): rilievi, per lo più, relativi all’imprecisione di alcune disposizioni, che non hanno trovato accoglimento da parte del Governo, benché non apparissero propriamente eversivi.
2. Solo un cenno ad un problema definitorio, in realtà estremamente complesso[1].
Come va intesa la formula ‘sicurezza’ nella legislazione contemporanea, decisamente sovrabbondante in questa materia? Accanto a ‘ordine pubblico’, la ‘sicurezza’ è uno dei “principali stendardi che, nel corso dei secoli e forse dei millenni, i governanti di turno hanno avvertito il bisogno di sventolare per giustificare un uso a volte legittimo, ma il più delle volte distorto e smisurato dell’arma penale”[2].
Di per sé, la formula ‘sicurezza’ è “vaga e onnicomprensiva” [3]: “il totem sicurezza è in grado di legittimare qualunque tipo di incriminazione”[4], a beneficio delle forze politiche preminenti in un determinato periodo storico. Sicurezza, in effetti, è uno di quei segni linguistici che “possono significare tutto e, proprio per questo, nulla” e che “hanno bisogno di ancorarsi ad altre entità più specifiche e reali per acquisire un senso tangibile”[5].
La Costituzione italiana non ci è d’aiuto nel tentativo di precisare la nozione di ‘sicurezza’. La Costituzione contiene soltanto riferimenti alla sicurezza come fondamento di limiti che possono essere apposti all’esercizio di alcuni diritti di libertà: libertà di circolazione (art. 16 co. 1), libertà di riunione (art. 17 co. 3), libertà di iniziativa economica privata (art. 41 co. 1)[6].
Più che la Costituzione, per far luce sulla nozione di sicurezza nella legislazione italiana può essere d’aiuto il TFUE, che all’art. 67 co. 3 recita: “L'Unione si adopera per garantire un livello elevato di sicurezza attraverso misure di prevenzione e di lotta contro la criminalità, il razzismo e la xenofobia, attraverso misure di coordinamento e cooperazione tra forze di polizia e autorità giudiziarie e altre autorità competenti, nonché tramite il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie penali e, se necessario, il ravvicinamento delle legislazioni penali”. Sicurezza e giustizia, dunque, come condizioni per il godimento delle libertà affermate dall’Unione.
In dottrina, si è parlato della sicurezza come “sicurezza dei beni giuridici meritevoli e bisognosi di tutela penale da perseguire (anche) mediante le consuete tecniche della posizione di precetti e sanzioni e del law enforcement attraverso il processo penale e l'esecuzione delle sanzioni” [7]. La sicurezza pubblica, dunque, non come autonomo bene giuridico, ma come il risultato della protezione di beni giuridici autentici e concreti, conseguita attraverso l’interazione tra le singole componenti statuali[8].
Sottolineo come l’enfasi che oggi, secondo l’approccio dominante nel discorso pubblico, si pone sulla sicurezza sia la matrice di gravi attentati ai principi fondanti dello Stato di diritto: lo attesta emblematicamente il d.l. sicurezza del 2025. Parlano in questo senso la dilatazione dei campi di riferimento, l’accentuata anticipazione delle soglie di intervento penale, l’utilizzazione di strumenti coercitivi spesso sproporzionati, le diverse, intollerabili concessioni alla logica del diritto penale del nemico. Si esaspera dunque il ‘problema della sicurezza attraverso il diritto penale’, mentre si mette la sordina al ‘problema della sicurezza nei confronti del diritto penale’[9]: un ramo del diritto che è strumento di tutela di beni giuridici, ma – secondo la celebre enunciazione di Franz von Liszt[10]– realizza tale tutela attraverso la lesione di beni giuridici.
3. Dell’ultimo ‘pacchetto sicurezza’ in un’altra occasione ho preso in esame alcuni contenuti, di rilievo per il penalista[11]. Intendo ora soffermarmi, invece, sullo strumento adottato per il varo della nuova normativa: lo strumento del decreto-legge.
Pongo due distinti quesiti. Un primo quesito di portata generale: se il decreto-legge abbia diritto di cittadinanza tra le fonti di norme penali, e in particolare tra le fonti di norme che introducono nuovi reati o inasprimenti del trattamento sanzionatorio di questo o quel reato. Un secondo quesito più specifico, mirato sul d.l. n. 48/2025: se nel caso di specie potessero ravvisarsi gli estremi della straordinaria necessità ed urgenza di cui all’art. 77 co. 2 Cost.
Un cenno, in primo luogo, alla prassi istituzionale: allo strumento del decreto-legge si è fatto ampiamente ricorso anche in passato in materia di sicurezza pubblica[12].
Lo hanno fatto Governi dai colori diversi. Rammento: i ‘decreti Maroni’ del 2008 e del 2009[13], emanati da un Governo Berlusconi; il ‘decreto Minniti’ del 2017[14], emanato dal Governo Gentiloni; i ‘decreti Salvini’ del 2018 e del 2019[15], emanati dal Governo Conte I; il ‘decreto Lamorgese’ del 2020[16], emanato dal Governo Conte 2. Dunque: Governi di centro-destra, Governi di centro-sinistra e un Governo… giallo-verde.
Il decreto-legge, dunque, non solo trova ampio spazio nella prassi, ma anzi è stato costantemente assunto quale strumento principe per la tutela della sicurezza collettiva.
4. Quale l’orientamento della Corte costituzionale in relazione al rapporto tra decreto-legge e diritto penale?
La Corte si è costantemente attenuta ad un’interpretazione della nozione di ‘legge’ ai fini della riserva di legge in materia penale quale legge in senso materiale, inclusiva degli atti aventi forza di legge (artt. 13 co. 2, 25 co. 2 e 77 co. 2 Cost.): non ha mai dichiarato illegittima una disposizione penale in quanto – solo in quanto – introdotta con decreto-legge[17]. La Corte ha anzi affermato più volte, a partire da una sentenza del lontano 1974, che “la parificazione alle leggi formali degli atti ‘aventi forza di legge’ (tra i quali certamente rientra il decreto-legge) abilita tali atti a incidere validamente, al pari delle leggi, nelle materie a queste riservate”[18]: una scelta interpretativa ribadita dalla Corte, anni dopo, ad es., nella sent. n. 330 del 1996, nella quale si legge che “non si può affermare, in linea di principio, che i decreti-legge non possano toccare fattispecie e sanzioni penali. Se così fosse, verrebbe introdotto un limite al contenuto dei decreti-legge non previsto dall'art. 77 Cost. e che non può essere desunto dal principio di riserva di legge in materia penale (art. 25 Cost.), venendo tale riserva osservata anche da atti aventi forza di legge”[19].
La Corte costituzionale ha apposto però importanti limiti alla decretazione d’urgenza. Ne ricordo alcuni.
Di particolare rilievo la sent. n. 360 del 1996, secondo la quale la riproposizione dei decreti-legge non convertiti “viene… a incidere negli equilibri istituzionali, alterando i caratteri della stessa forma di governo e l'attribuzione della funzione legislativa ordinaria al Parlamento (art. 70 Cost.)”[20]. La Corte statuisce pertanto che devono considerarsi costituzionalmente illegittimi i decreti-legge reiterati che riproducono sostanzialmente il contenuto di precedenti decreti non convertiti: un decreto-legge reiterato sarà legittimo solo a condizione che “risulti fondato su autonomi (e, pur sempre, straordinari) motivi di necessità ed urgenza, motivi che, in ogni caso, non potranno essere ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente dalla mancata conversione del precedente decreto”[21].
Nella sent. n. 32 del 2014 la Corte costituzionale enuncia almeno due principi di portata generale in ordine all’ammissibilità della decretazione d’urgenza.
Il primo principio. La Corte rileva che “benché contenute in soli due articoli, le modifiche introdotte nell’ordinamento” (nel caso di specie, in sede di conversione di un decreto-legge) “apportano una innovazione sistematica alla disciplina dei reati in materia di stupefacenti, sia sotto il profilo delle incriminazioni sia sotto quello sanzionatorio, il fulcro della quale è costituito dalla parificazione dei delitti riguardanti le droghe cosiddette ‘pesanti’ e di quelli aventi ad oggetto le droghe cosiddette ‘leggere’, fattispecie differenziate invece dalla precedente disciplina”[22]. Ciò premesso, la Corte osserva che “tale penetrante e incisiva riforma, coinvolgente delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica, avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge ex art. 72 Cost.”[23]. In altri termini: in considerazione della procedura semplificata e dei tempi accelerati imposti dall’art. 77 commi 2 e 3 Cost., riforme di grande momento – che profondamente innovino, cioè, rami importanti dell’ordinamento – non possono essere realizzate attraverso un decreto-legge.
Un secondo principio. Tra le disposizioni contenute nel decreto-legge e quelle introdotte con la legge di conversione, oggetto della questione di legittimità costituzionale, deve esistere un nesso di omogeneità contenutistica: ex art. 77 co. 2 Cost. le riforme non possono realizzarsi attraverso norme ‘intruse’ con la legge di conversione in un contesto normativo del tutto inconferente[24]. Nel caso di specie, si trattava di rilevatissime modifiche della disciplina penale degli stupefacenti inserite in un contesto di misure finanziarie relative alle Olimpiadi invernali di Torino del 2006.
Nella sent. 146 del 2024 la Corte costituzionale evidenzia come il ruolo della decretazione d’urgenza coinvolga uno dei principi-cardine dello Stato di diritto: la separazione dei poteri. La Corte ammonisce che non è dato di vanificare la funzione legislativa del Parlamento: “l’art. 77 Cost. attribuisce al Governo il potere di adottare decreti-legge, ma il Governo non può dare un’interpretazione talmente ampia dei casi straordinari di necessità e urgenza da sostituire sistematicamente il procedimento legislativo parlamentare con il meccanismo della successione del decreto-legge e della legge di conversione”[25]. “La brevità del termine, assegnato al Parlamento per decidere se approvare la legge di conversione e con quali emendamenti, esige, affinché sia rispettata la funzione legislativa del Parlamento, che l’oggetto da disciplinare sia circoscritto”. Il decreto-legge non deve tramutarsi in un ‘disegno di legge ad urgenza garantita’[26].
Richiamo, infine, un’acuta, interessante lettura che è stata recentemente fornita[27] delle vicende che hanno portato all’attuale disciplina dell’ergastolo ostativo, introdotta con lo strumento del decreto-legge (d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito nella l. 30 dicembre 2022, n. 199). L’A. sottolinea come nel testo del decreto-legge si faccia esplicito riferimento alla “straordinaria necessità e urgenza di modificare l'art. 4 bis ord. penit. in ragione dei moniti rivolti dalla Corte costituzionale al legislatore”; rileva che nelle due ordinanze della Corte costituzionale che hanno aperto la strada alla nuova disciplina si esprima l’esigenza di una “ponderata… valutazione legislativa” e all’esigenza di dare “al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia”. Di qui la conclusione: “mi pare esistano argomenti letterali per dire che ad intervenire, secondo la Corte, doveva essere il Parlamento”. Se questa ricostruzione è corretta, la vicenda dell’ergastolo ostativo potrebbe contribuire – in consonanza con le sentenze che ho citato in precedenza – a ridimensionare il ruolo del decreto-legge in materia penale.
5. In dottrina è controverso se, alla luce dell’art. 1 c.p. e dell’art. 25 co. 2 Cost., la produzione di norme penali debba intendersi riservata alla legge formale o estesa, invece, anche agli atti aventi forza di legge di cui all’art. 77 Cost.
Giorgio Marinucci ed io abbiamo affrontato questo problema nel “Corso di diritto penale”[28], un’opera alla quale ci siamo dedicati nell’ultima decade degli anni Novanta. Condividendo appieno le considerazioni svolte da un’autorevole dottrina costituzionalistica[29] in merito al fondamento politico della riserva di legge in materia penale, così scrivevamo: “Riservare il monopolio nella produzione delle norme penali alla legge formale, emanata da un Parlamento eletto a suffragio universale, le cui scelte sono dunque il risultato della dialettica tra maggioranza e minoranza, significa garantire a tutti i cittadini – anche alle minoranze – che scelte sul se, che cosa e come punire verranno compiute dal potere dello Stato che è in grado di esprimere nella forma più ampia possibile le loro valutazioni su quel che merita e ha bisogno della più dura tra le reazioni statuali”[30]: concludevamo dunque che “la riserva di legge in materia penale va intesa come riserva di legge formale”[31], con estromissione dal sistema delle fonti del diritto penale di tutti gli atti promananti dall’esecutivo, anche di quelli che hanno ‘forza di legge’.
Non ho cambiato idea. Marinucci ed io abbiamo ribadito quella scelta interpretativa nel “Manuale di diritto penale”, che si avvale ora, quale coautore, di Gian Luigi Gatta e che sta per approdare alla 14a edizione. Sempre decisivo, a nostro giudizio, il rilievo che “solo il Parlamento, come espressione dell’intero popolo, è in grado di compiere le scelte punitive nel rispetto della dialettica tra maggioranza e minoranza”[32]. È un rilievo risalente a Cesare Beccaria, riproposto in tempi meno lontani da Giacomo Delitala, per il quale “la sola ragione che giustifichi la scelta del potere legislativo come unico detentore del potere normativo in materia penale risiede nella rappresentatività di quel potere, nel suo essere espressione non di una stretta oligarchia, ma dell'intero popolo”[33].
Contro l’estromissione del decreto-legge dalle fonti di norme penali non vale, a nostro avviso, obiettare che in caso di conversione i contenuti del decreto-legge vengono incorporati in una legge formale, mentre in caso di mancata conversione gli effetti del decreto-legge risulterebbero integralmente travolti sin dall’inizio, secondo la previsione dell’art. 77 Cost. A ben vedere, infatti, sulla legge di conversione il Governo pone spesso la questione di fiducia (come nel caso del d.l. sicurezza del 2025)[34]: la legge viene dunque adottata senza un autentico vaglio da parte del Parlamento. In caso invece di mancata conversione, un decreto-legge nel quale siano previste nuove incriminazioni o inasprimenti di pena nel periodo della sua temporanea vigenza può produrre effetti sulla libertà personale, vuoi nella forma di misure cautelari, vuoi nella forma di una pena conseguente a una condanna definitiva, eventualmente pronunciata all’esito di un giudizio direttissimo ex art. 449 c.p.p.: tali effetti saranno irreversibili.
Sottolineo che quanto scrivevamo già nel “Corso di diritto penale” in merito al ruolo del Parlamento, trova ampia eco nella giurisprudenza costituzionale: lo attesta, da ultimo, la citata sent. n. 146 del 2024, nella quale la Corte costituzionale evidenzia il “ruolo politico e legislativo del Parlamento, ... in cui le minoranze politiche possono esprimere e promuovere le loro posizioni in un dibattito trasparente (art. 64 co. 2 Cost.), sotto il controllo dell’opinione pubblica”[35].
Mi limito qui a sviluppare l’argomento centrale contro il decreto-legge in materia penale, che risiede, a mio avviso, nella ratio di garanzia democratica della riserva di legge ex art. 25 co. 2 Cost. Accenno soltanto all’esigenza di conoscibilità della legge penale ex art. 27 co. 1 Cost., contraddetta dalla mancanza di un periodo di vacatio legis[36], una mancanza che compromette, tra l’altro, la funzione generalpreventiva di una norma incriminatrice introdotta per decreto-legge[37].
Quando Marinucci ed io affrontavamo il tema per la prima volta, nella seconda edizione del “Corso”, la tesi da noi accolta trovava consensi davvero isolati: tra i primi a pronunciarsi in questo senso, Giuseppe Carboni[38] e Franco Bricola[39]. Carboni metteva l’accento sulle gravi conseguenze che il decreto-legge produce nel periodo di tempo che intercorre tra il momento della sua approvazione e il momento della conversione in legge da parte del Parlamento: “in tale periodo tutte le garanzie legate al principio costituzionale della riserva di legge vengono di fatto completamente annullate, i diritti delle minoranze elusi ed arbitrariamente violati i diritti fondamentali dell'individuo”; in particolare, in caso di mancata conversione di un decreto-legge contenente norme incriminatrici, può essere violata la libertà personale del cittadino[40]. Bricola, dopo aver espresso apprezzamento per l’elaborazione di Carboni[41], concludeva affermando che la ratio di garanzia che sta alla base dell’art. 25 co. 2 Cost., coerentemente sviluppata, parla nel senso di una delimitazione delle fonti in materia penale alla sola legge formale, con esclusione, quindi, sia del decreto legislativo, sia del decreto-legge[42].
6. Venendo ad anni più recenti, abbozzo una sommaria panoramica della manualistica di diritto penale.
La tesi favorevole al decreto-legge quale fonte di norme penali è tuttora maggioritaria: raccoglie il consenso, tra gli altri, di Marcello Gallo, di Carlo Fiore e di Stefano Fiore, di Ferrando Mantovani e Giovanni Flora, di Tullio Padovani, di Antonio Pagliaro, di Carlo Enrico Paliero, di Domenico Pulitanò, di Bartolomeo Romano e di Mario Romano.
Per Marcello Gallo, “a favore dell’opinione che annovera il decreto-legge tra le fonti… di produzione di regole penali sta, in primo luogo, il dato di diritto positivo: la Costituzione attribuisce a tali atti normativi efficacia pari a quella delle leggi ordinarie… L'espressione ‘aventi forza di legge’ riassume sinteticamente una complessa disciplina alla quale, senza decisive controindicazioni, non possono essere sottratti temi e materie regolabili per leggi ordinarie”. D’altra parte – aggiunge Gallo – “non può dirsi che il controllo da parte delle Camere sia eluso: è soltanto rinviato, con effetti tali da produrre, per così dire, l'azzeramento del decreto non convertito”[43].
Per Donini, il decreto-legge “è da annoverare con certezza tra le fonti del diritto”: peraltro, gli equilibri che la Carta fondamentale instaura tra Governo e Parlamento impongono che la possibilità per il Governo di ricorrere al decreto-legge sia “realmente limitata ai soli casi straordinari di necessità e urgenza di cui all'art. 77 Cost.”[44].
Carlo Fiore e Stefano Fiore osservano che sui decreti-legge “pieno e senza limiti è il controllo che le Camere esercitano dopo la loro emanazione” e che “i problemi connessi alla provvisoria vigenza del decreto-legge prima della sua conversione sono stati fortemente ridimensionati dalla… Corte costituzionale”. Dalla “parificazione costituzionale dell'efficacia normativa… dei decreti-legge a quella delle leggi in senso stretto” fanno dunque conseguire l’inclusione del decreto-legge tra le legittime fonti di norme penali[45].
Mantovani e Flora ritengono che “la finalità garantista della riserva di legge non sia sostanzialmente pregiudicata” dai decreti-legge e che pertanto “anche tali atti rientrino nell'art. 25 Cost.” La critica degli Autori si appunta piuttosto sul “ricorso al decreto-legge fuori dai rigorosi e straordinari estremi della necessità ed urgenza”: “contro tali prassi degenerative il rimedio non sta nell’espulsione totale delle leggi materiali dalle fonti del diritto penale, ma piuttosto nella loro riconduzione nei rispettivi alvei costituzionali”[46].
Per Padovani, “la necessità che [il decreto-legge] sia convertito in legge entro 60 giorni dalla pubblicazione, perché altrimenti perde efficacia ‘sin dall'inizio’…, assicura un vaglio parlamentare idoneo a fornire in pratica le garanzie cui tende il principio della riserva di legge”. L’eventualità che attraverso il decreto-legge si introducano norme incriminatrici, o comunque sfavorevoli, “dovrebbe peraltro essere circoscritta alle sole ipotesi in cui si manifesti la peculiare urgenza di provvedere con un intervento sanzionatorio in settori ove il ritardo pregiudicherebbe irrimediabilmente l'efficacia tempestiva della disciplina necessaria”[47].
Per Pagliaro, “la ratio della riserva di legge è quella di impedire che possano venire poste norme penali attraverso disposizioni che nella gerarchia delle fonti del diritto occupino un gradino inferiore a quello della legge ordinaria formale. E poiché i decreti-legge si trovano sullo stesso piano di quest'ultima, l'art. 25 Cost. e gli artt.1 e 199 c.p. devono essere interpretati nel senso che anche il decreto-legge può costituire fonte del diritto penale”[48].
Nell’opera intitolata “Il sistema penale”, curata da Paliero, Carlo Sotis, autore del capitolo sul principio di legalità, scrive: “Noi crediamo che la riserva di legge sancita all'art. 25 co. 2 Cost. non precluda una competenza penale né per i decreti-legge, né per i decreti legislativi”. L’aspetto più problematico della questione viene individuato in una prassi che abusa della decretazione d’urgenza: “l'osservanza della riserva di legge dipende dal rispetto degli ‘straordinari requisiti di necessità ed urgenza’ che soli giustificano il ricorso a questo strumento”. Non risulta decisivo, in questo contesto, il rilievo che “l'ipotesi della mancata conversione del decreto fa emergere un vulnus nella ratio garantista della riserva”[49].
Pulitanò non manca di segnalare la presenza, in dottrina, di voci secondo le quali dall’introduzione di norme penali attraverso decreti-legge e leggi delegate risulterebbe incrinato il significato politico della riserva di legge: a suo avviso, peraltro, “la garanzia della sovranità del Parlamento nelle scelte in materia di reati e di pene va ricercata nello scrupoloso rispetto dei limiti posti dalla Costituzione alla potestà del Governo di emanare atti con forza di legge”[50].
Bartolomeo Romano ritiene decisivo che il Parlamento abbia “l’ultima parola” in sede di conversione del decreto-legge, salvo sottolineare che il ricorso a tale fonte in materia penale dovrebbe essere limitato a casi in cui realmente esista la straordinaria necessità ed urgenza di cui all’art. 77 Cost[51].
Per Mario Romano, “non può accogliersi l'esclusione dal novero delle fonti del decreto legislativo e del decreto-legge, poiché non vi è alcuna indicazione contraria che scalfisca l'equiparazione dei loro effetti a quelli della legge formale”. L’A. concede soltanto che “l'impiego del decreto-legge non sia affatto una pratica raccomandabile, poiché una considerazione del suo iter fa subito risaltare la complessiva minore validità sostanziale dal punto di vista delle garanzie del cittadino”[52].
Un’altra parte della dottrina penalistica si pronuncia – talora in termini netti, altre volte in termini sfumati – per una lettura della riserva di legge ex art. 25 co. 2 Cost. come riserva di legge formale. Questo orientamento è tuttora minoritario, ma appare più consistente che in passato: tra gli Autori così orientati, Alberto Cadoppi e Paolo Veneziani, Giancarlo De Vero, Giovanni Fiandaca e Enzo Musco, Sergio Vinciguerra.
Cadoppi e Veneziani scrivono che “sia pur tenendo presenti indubbie esigenze di efficienza del sistema, pare di poter affermare che le leggi in senso materiale potrebbero dirsi in sintonia con il principio di riserva di legge solo se di esse non si abusasse nella prassi governativo-parlamentare. Visto che viceversa tali abusi sono assai frequenti, sarebbe preferibile… rinunciare tout court alle leggi materiali ed ammettere le sole leggi in senso formale”[53].
De Vero osserva che l'attribuzione della forza di legge ai decreti-legge, “mentre li colloca in posizione paritetica rispetto alla legge ordinaria nella scala gerarchica delle fonti, non ne muta l'essenziale natura di atti provenienti dal potere esecutivo e, come tali, oggetto di sospetto nella prospettiva penalistica del pregiudizio dei fondamentali diritti di libertà del cittadino… È dunque plausibile in presenza dell'ampia formulazione dell'art. 25 co. 2 Cost. raccomandarne in via di principio un'interpretazione restrittiva, che ne equipari il tenore a quello di una riserva di legge in senso formale”[54].
Per Fiandaca e Musco, le garanzie implicite nella riserva della competenza penale al Parlamento, consistenti nel permettere alle minoranze di sindacare le scelte di criminalizzazione operate dal legislatore, si attenuano sia nel decreto legislativo, sia – soprattutto – nel decreto-legge: “non solo il diritto di controllo delle minoranze è di fatto disconosciuto almeno per tutto il tempo necessario alla sua conversione da parte delle assemblee parlamentari, ma le stesse ragioni di necessità e urgenza che giustificano il ricorso ai decreti-legge cozzano con quelle esigenze di ponderazione che non possono essere eluse in sede di criminalizzazione delle condotte umane”[55].
Per Vinciguerra, “data la natura interamente governativa del decreto-legge, il fatto che attraverso la disciplina penale esso intervenga a definire il regime della libertà personale è in aperto contrasto con la riserva assoluta di legge… Il decreto-legge non convertito può produrre effetti irreversibili”. Queste (e altre) considerazioni consigliano, ad avviso dell’A., di “espungere il decreto-legge dalle fonti del diritto penale”[56].
Altri Autori, infine, enunciano il problema, senza prendere posizione tra le due soluzioni alternative. È il caso, se ben intendo, fra gli altri, di Stefano Canestrari, Luigi Cornacchia e Giulio De Simone; di Carlo Federico Grosso, Marco Pelissero, Davide Petrini e Paolo Pisa; di Francesco Palazzo e Roberto Bartoli; di Lucia Risicato.
Nel Manuale che vede come primo coautore Canestrari si afferma che “un uso del decreto-legge che resti contenuto entro i limiti dell'art. 77 co. 2 Cost. potrebbe anche essere compatibile con il principio di riserva di legge e con la stessa architettura costituzionale complessivamente intesa, che ben può continuare a tutelare adeguatamente la libertà personale attribuendo all'esecutivo un potere di intervento in materia penale cronologicamente limitato e riferito ai soli casi di necessità e urgenza che appaiano realmente straordinari: il problema è semmai che questo tipo di intervento sia effettivamente limitato a tali casi”[57].
Petrini, nel Manuale di cui è coautore, segnala che “secondo l'opinione dominante sia il decreto-legge, sia il decreto legislativo possono essere fonti del diritto penale, senza che la ratio di garanzia della riserva di legge venga menomata”. Nel contempo, dà atto che l'opinione opposta appare “più attenta alla sostanza del principio di legalità”[58].
Per Palazzo e Bartoli, “il decreto-legge… sembra garantire tanto l’indispensabile partecipazione della volontà parlamentare attraverso la necessità della sua conversione in legge… quanto il controllo della Corte costituzionale… L'unico – ma non certo trascurabile – motivo di perplessità deriva dal fatto che gli eventuali effetti sulla libertà personale prodotti dalla norma incriminatrice (o comunque peggiorativa) durante il periodo della sua vigenza prima della decadenza (o della conversione con emendamenti) non sono di fatto rimovibili, essendo ovviamente irreversibile il danno patito dalla libertà personale a seguito di una detenzione già subìta”[59].
Lucia Risicato, infine, fornisce un quadro esauriente degli argomenti portati in dottrina sia a favore, sia contro l’inclusione del decreto-legge tra le fonti di norme penali: lascia peraltro aperta la questione, implicitamente rimettendo al lettore l’opzione finale[60].
Anche in dottrina, dunque, come nella giurisprudenza della Corte costituzionale, qualcosa si muove: sembrano lentamente diminuire i consensi ad un’indiscriminata apertura al decreto-legge quale fonte di norme penali. Segnalo che un’autorevole voce – quella di Lucia Risicato –, tra quante ho richiamato come aperte a diverse letture dell’art. 25 co. 2 Cost., ha da ultimo preso posizione, in termini netti, contro l’inclusione del decreto-legge tra le fonti di norme penali. Così, in un recentissimo saggio, conclude l’A.: “Avallare la prassi della decretazione d’urgenza implica la rassegnazione a una distorsione della legalità penale che vede il parlamento indebolito nel suo ruolo istituzionale e il cittadino esposto ad abusi di un potere esecutivo bulimico che diventa legislatore e vuole farsi anche giudice”[61].
7. Ammettiamo però per un attimo che, secondo l’orientamento dominante nella prassi istituzionale e tuttora prevalente in dottrina, non esista una preclusione assoluta all’ingresso del decreto-legge fra le fonti del diritto penale. Rimane il quesito: potevano ravvisarsi nel caso di specie – in relazione alle svariate materie interessate dal ‘Pacchetto sicurezza 2025’ – gli estremi della straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall’art. 77 Cost.?
Il decreto-legge 48/2025 ha un oggetto particolarmente ampio, coinvolgendo le materie più disparate. Lo si intravvede già dal titolo del decreto, che fa riferimento alla sicurezza pubblica, alla tutela del personale in servizio, all’ordinamento penitenziario e all'usura: l’unica variante rispetto al titolo dell’originario disegno di legge risiede nell’apodittica qualificazione come “urgenti” delle misure introdotte per decreto-legge[62]. In relazione al d.d.l., in dottrina si era segnalato “l’affastellarsi disordinato di norme eterogenee”, in una sorta di “zibaldone inquietante”[63]. In relazione al decreto-legge, si è parlato di un “insensato l’assemblaggio di temi, rationes e destinatari, così eterogenei da risultare espressione più di un fenomeno di incontinenza securitaria che di un organico disegno di riforma”[64].
Sottolineo inoltre che il decreto-legge sicurezza recepisce pressoché integralmente i contenuti dell’originario disegno di legge, un disegno di legge presentato oltre un anno prima, al cui esame erano state dedicate un centinaio di sedute tra Camera e Senato e che aveva avuto l’approvazione della Camera. A fronte dei ritardi che l’approvazione del disegno di legge avrebbe incontrato nell’iter parlamentare, il Governo ha espropriato il Parlamento della sua funzione primaria: in nome dell’istanza di tempi certi nell’espletamento del procedimento legislativo, il Governo ha “messo in sicurezza”[65] un provvedimento che riguardava un tema prioritario per la sua agenda politica. Un modus operandi che, come ha detto la Corte costituzionale a proposito di altro decreto-legge nella già richiamata sentenza n. 146 del 2024, “travalica i limiti imposti alla funzione normativa del Governo e sacrifica in modo costituzionalmente intollerabile il ruolo attribuito al Parlamento nel procedimento legislativo”[66].
La Corte costituzionale ha affermato più volte che il suo sindacato sulla legittimità del ricorso al decreto-legge deve limitarsi alla “evidente mancanza” dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza i cui all’art. 77 co. 2 Cost.[67]: di tale “evidente mancanza” il d.l. n. 48/2025 fornisce un esempio emblematico[68]. Parrebbe un caso di scuola, costruito a tavolino!
Quali le vere necessità ed urgenze che stanno alla base di questo decreto-legge? “La necessità di sottrarre alle crescenti critiche, anche sovrannazionali, la proposta normativa e l’urgenza di rassicurare una parte della maggioranza, insofferente alle modifiche che, anche a seguito dell’intervento del Presidente della Repubblica, si erano già rese necessarie e preoccupata delle altre che si andavano prospettando. Motivazione politicamente comprensibile, costituzionalmente e democraticamente inammissibile”[69].
Va poi sottolineata la presenza nel decreto-legge sicurezza di una disposizione che addirittura sconfessa per tabulas il requisito della necessità ed urgenza: l’art. 37, che delega il Governo ad apportare entro un anno alcune modifiche al regolamento penitenziario di cui al d.P.R. n. 230/2000 in tema di lavoro di detenuti e internati[70]. Fatico a credere che possano considerarsi urgenti modifiche che, agli occhi degli stessi estensori del decreto, possono attendere un anno!
Mauro Palma – giurista e matematico, uomo delle istituzioni italiane e europee[71] – ha di recente ricordato, dalle pagine di un quotidiano[72], le perplessità manifestate da Costantino Mortati nel corso della discussione che avrebbe portato, in Assemblea costituente, alla formulazione dell’art. 77 Cost.: l’illustre giurista temeva che il Governo potesse abusare del decreto-legge per la più rapida realizzazione dei fini della sua politica. Rammenta ancora Palma come un altro padre costituente, Piero Calamandrei, si pronunciasse invece a favore di uno spiraglio per la decretazione d’urgenza: al fine, peraltro, di fronteggiare “terremoti o situazioni simili”.
Se Mortati e Calamandrei sedessero oggi alla Corte costituzionale certamente non esiterebbero a ravvisare nel decreto-legge sicurezza un contrasto con l’art. 77 Cost.
[1] Fondamentali, in proposito, G. De Vero, Tutela penale dell’ordine pubblico, 1988, nonché L. Risicato, Diritto alla sicurezza e sicurezza dei diritti: un ossimoro invincibile?, 2019. Su origini, funzioni e ruolo nel diritto penale del concetto di sicurezza, con particolare riferimento al decreto sicurezza del 2020, v. A. Cavaliere, Punire per ottenere ‘sicurezza’: corsi e ricorsi di un'illusione repressiva e prospettive alternative, in LP, 20 aprile 2021, . Nella più recente dottrina il tema è affrontato, anche in prospettiva storica, da V. Mongillo, Ordine pubblico e sicurezza nel diritto penale: per un’ecologia concettuale quale viatico di razionalizzazione, 20 marzo 2025.
[2] Così V. Mongillo, Ordine pubblico e sicurezza nel diritto penale, cit., p. 3.
[3] Così A. Cavaliere, Contributo alla critica del d.d.l. sicurezza, in Critica del diritto, fasc. 2/2024, p. 240.
[4] Così L. Risicato, Diritto alla sicurezza e sicurezza dei diritti, cit., p. 10.
[5] Così V. Mongillo, Ordine pubblico e sicurezza nel diritto penale, cit., p. 4.
[6] Un diverso ruolo per la ‘sicurezza’ nel quadro della Costituzione veniva prospettato in una proposta di legge di revisione costituzionale presentata nel 2021, nel corso della XVIII legislatura (AC 2954, prima firmataria Meloni), che inseriva nell’art. 101 Cost. un nuovo primo comma, così formulato: “La Repubblica tutela la sicurezza dei cittadini”[6]. Nella relazione che accompagnava la proposta di legge, si esplicitava che la sicurezza integra un diritto fondamentale dei cittadini e la si definiva come “l'ordinato e pacifico svolgimento della vita di una comunità”. Di quella proposta di legge si sono peraltro perse le tracce.
[7] Cfr. D. Pulitanò, Sicurezza e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p. 547 ss.
[8] Cfr. V. Mongillo, Ordine pubblico e sicurezza nel diritto penale, cit., p. 20.
[9] V. ancora D. Pulitanò, op. cit., p. 550.
[10] Cfr. F. von Liszt, La teoria dello scopo nel diritto penale, trad. it. a cura di A. Calvi, 1962, p. 46, da Der Zweckgedanke im Strafrecht, 1882, in Strafrechtliche Aufsätze und Vorträge, 1905.
[11] E. Dolcini, Un Paese meno sicuro per effetto del decreto-legge sicurezza, in Sist. pen., 2025, .
Per un’analisi critica a tutto tondo del ‘decreto sicurezza 2025’ cfr. L. Risicato, Dalla Costituzione al Leviatano. La torsione illiberale del decreto “sicurezza” n. 48/2025, in Riv. it. dir. proc. pen., 2025, in corso di pubblicazione.
[12] Sull’ “impressionante frequenza con cui, governo dopo governo, si sono susseguiti nel nostro Paese i ‘decreti sicurezza’”, v. da ultimo S. Lonati, C. Melzi d’Eril, Il decreto-legge sicurezza (n. 48/2025): autoritratto involontario di una politica di oppressione, in Sist. pen., 11 giugno 2025. Gli Autori sottolineano, d’altra parte, come il d.l. n. 48/2025 sia “ben peggiore dei suoi precedenti omonimi”, in quanto introduce disposizioni che “non si limitano ad avere un valore simbolico o di bandiera”, ma “sono destinate ad essere applicate in concreto, modificando la realtà in una direzione opposta a quella indicata dall’architettura costituzionale”.
[13] D.l. 23 maggio 2008, n. 92, intitolato “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”, convertito nella l. 24 luglio 2008, n. 125, nonché d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, intitolato “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, convertito nella l. 15 luglio 2009, n. 38.
[14] D.l. 20 febbraio 2017, n. 14, intitolato “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”, convertito nella l. 18 aprile 2017, n. 48.
[15] D.l. 4 ottobre 2018, n. 113, intitolato “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”, convertito nella l. 1° dicembre 2018, n. 132, nonché d.l. 14 giugno 2019, n. 53, intitolato “Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”, convertito nella l. 8 agosto 2019, n. 77.
[16] D.l. 21 ottobre 2020, n. 130, intitolato “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale”, convertito nella l. 18 dicembre 2020, n. 173.
[17] Non affronto qui il tema del decreto legislativo, sul quale rinvio a C. Cupelli, La legalità delegata, 2012 (e ivi ampia bibliografia).
[18] Così Corte cost. 12 giugno 1974, n. 184, punto 5 del Considerato in diritto.
[19] Così Corte cost. 11 luglio 1996, n. 330, punto 3.1. del Considerato in diritto.
[20] Corte cost. 17 ottobre 1996, n. 360, punto 5 del Considerato in diritto.
[21] Ibidem.
[22] Così Corte cost. 25 febbraio 2014, n. 32, punto 4.4. del Considerato in diritto.
[23] Ibidem.
[24] Cfr. V. Manes, in E. Dolcini, G.L. Gatta (a cura di), Codice penale commentato, Commentari Ipsoa, VI ed., in corso di pubblicazione, sub art. 1, § XXI.
[25] Corte cost. 25 luglio 2024, n. 146, punto 5 del Considerato in diritto.
[26] Corte cost. 25 luglio 2024, n. 146, punto 7 del Considerato in diritto.
[27] D. Galliani, Libertà personale e carcere. Percorsi di diritto costituzionale penale, 2025, p. 35. Nelle citazioni che seguono, i corsivi sono aggiunti.
[28] G. Marinucci, E. Dolcini, Corso di diritto penale, vol. I, I ed., 1995; II ed., 1999; III ed., 2001. Il tema delle fonti è affrontato nelle edizioni II e III.
[29] V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, 6° ed., vol. II, pt. I, 1993, p. 61, cui adde L. Carlassare, voce Fonti del diritto (dir. cost.), in Enc. Dir., Annali, II, 2008, p. 536 ss.
[30] G. Marinucci, E. Dolcini, Corso di diritto penale, vol. I, II ed., cit., p. 149 s.; III ed., cit., p. 37 s.
[31] Ibidem.
[32] G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, pt. gen., XIII ed., 2024, p. 49.
[33] G. Delitala, Cesare Beccaria e il problema penale, in Diritto penale, Raccolta degli scritti, II, 1976, p. 688. Più recentemente, v. inoltre C. Cupelli, La legalità delegata, cit., p. 129, per il quale “per il tramite dell'art. 25 Cost. si è voluto immunizzare l'ambito penale da interventi di poteri non sufficientemente rappresentativi”.
[34] Cfr. Dl sicurezza: Piantedosi pone questione di fiducia per l'approvazione alla Camera, in Il Sole 24ore Radiocor, 26 maggio 2025, .
[35] Corte cost. 25 luglio 2024, n. 146, punto 4 del Considerato in diritto.
[36] Cfr. Comunicato del Consiglio direttivo dell’AIPDP emesso il 9 aprile 2025, al quale ho fatto riferimento nel par.1 di questo scritto. V. inoltre G.L. Gatta, Decreto-sicurezza (d.l. n. 48/2025): la relazione illustrativa e la relazione tecnica nella proposta di legge di conversione incardinata alla Camera, in Sist. pen., 16 aprile 2025. Gatta sottolinea come il decreto sicurezza sia entrato in vigore improvvisamente con solo un paio d’ore di preavviso sul sito della Gazzetta Ufficiale, con buona pace della previa conoscibilità della legge penale violata, requisito necessario per la colpevolezza dell’agente. V. anche G. Merlo, Il decreto sicurezza? Pessimo. L’emergenza vera è l’evasione. Intervista a Gian Luigi Gatta, in Il Domani, 1° giugno 2025, p. 6. Accenna ai problemi di conoscibilità delle modifiche in malam partem introdotte con decreto-legge G. Amarelli, Il decreto sicurezza e la riforma degli effetti delle interdittive antimafia: un fiore nel deserto in attesa di essere emendato, in Sist. pen., 5 maggio 2025. In precedenza, per analoghe considerazioni relative al Progetto Grosso di riforma della parte generale del Codice penale, cfr. V. Maiello, Riserva di codice e decreto-legge in materia penale: un (apparente) passo avanti ed uno indietro sulla via del recupero della centralità del codice, in A. Stile (a cura di), La riforma della parte generale, 2003, p. 173 ss., in particolare p. 176 ss. In giurisprudenza, per una pronuncia – non del tutto persuasiva – che ha ravvisato un’ignoranza inevitabile in relazione alla versione dell’art. 583 quater co. 1 c.p. introdotta dal ‘decreto sicurezza 2025’, in tema di lesioni personali lievi cagionate a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni, cfr. Trib. Bergamo, 29 aprile 2025, in Sist. pen., 12 giugno 2025, con nota di F. Donelli, Conoscibilità della legge penale e decreto-legge: il rapporto tra vacatio legis e rimproverabilità soggettiva in una recente pronuncia del Tribunale di Bergamo sul D.L. sicurezza.
[37] Cfr. C. Cupelli, La legalità delegata, cit., p. 132 ss.
[38] G. Carboni, L’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, 1970.
[39] F. Bricola, Teoria generale del reato, in Nss. Dig. It., vol. XIX, 1973, p. 39 ss., ora anche in Scritti di diritto penale, 1997, vol. I, Dottrine generali. Teoria del reato e sistema sanzionatorio, tomo I, p. 541 ss.
[40] G. Carboni, L’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, cit., p. 261,
[41] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., in Scritti di dir. pen., cit., p. 639.
[42] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit., in Scritti di dir. pen., cit., p. 645 s.
[43] M. Gallo, Appunti di diritto penale, vol. I, La legge penale, 1999, p. 49 ss.
[44] M. Donini, Diritto penale, pt. gen., vol. I, 2024, p. 794 s.
[45] C. Fiore, S. Fiore, Diritto penale, pt. gen., 5° ed., 2016, p. 77 s.
[46] F. Mantovani, G. Flora, Diritto penale, pt. gen., 12° ed., 2023, p. 50 s.
[47] T. Padovani, Diritto penale, pt. gen., 13° ed., 2023, p. 27.
[48] A. Pagliaro, Principi di diritto penale, pt. gen., 9° ed., riveduta e aggiornata da V. Militello, M. Parodi Giusino e A. Spena, 2020, p. 50 s.
[49] C.E. Paliero, C. Sotis, Il sistema penale, 2024, p. 97 s.
[50] D. Pulitanò, Diritto penale, 10° ed., 2023, p. 72.
[51] B. Romano, Diritto penale, pt. gen., IV ed., 2020, p. 101.
[52] M. Romano, Commentario sistematico del Codice penale, vol. I, 3° ed., 2004, sub art. 1, p. 35.
[53] A. Cadoppi, P. Veneziani, Manuale di dir. pen., pt. gen. e pt. sp., 3° ed., 2007, p. 69.
[54] G. De Vero, Corso di diritto penale, pt. gen., 2° ed., 2024, p. 227.
[55] G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale, pt. gen., 8° ed., 2019, p. 58.
[56] S. Vinciguerra, Diritto penale italiano, vol. I, 2° ed., 2009, p. 135 ss.
[57] S. Canestrari, L. Cornacchia, G. De Simone, Manuale di diritto penale, pt. gen., 2007, p. 113.
[58] C.F. Grosso, M. Pelissero, D. Petrini, P. Pisa, Manuale di diritto penale, pt. gen., 4° ed., 2023, p. 92.
[59] F. Palazzo, R. Bartoli, Corso di diritto penale, pt. gen., 10° ed., 2024, p. 103 s.
[60] L. Risicato, Lezioni di diritto penale, 2023, p. 90 ss.
[61] L. Risicato, Dalla Costituzione al Leviatano, cit., § 2.
[62] Cfr. M. Passione, Ancora a proposito del decreto-sicurezza (d.l.11 aprile 2025, n. 48), in Sist. pen., 16 maggio 2025.
[63] A. Cavaliere, Contributo alla critica del d.d.l. sicurezza, cit., p. 240 ss.
[64] G. Giostra, È “necessario e urgente” rifondare il DL sicurezza, in Sist. pen., 25 aprile 2025.
[65] Così I. Pellizzone, La “messa in sicurezza” del “Pacchetto sicurezza”: iperbole dell’esautorazione del Parlamento dall’esercizio della funzione legislativa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2025, in corso di pubblicazione.
[66] Corte cost. 25 luglio 2024, n. 146, punto 7 del Considerato in diritto.
[67] Cfr., ad es., Corte cost. 5 marzo 2010, n. 83, punto 2.2. del Considerato in diritto.
[68] Cfr. L. Risicato, Dalla Costituzione al Leviatano, cit., che sottolinea la palese assenza di necessità ed urgenza e la trasformazione di Camera e Senato, attraverso il voto di fiducia in sede di conversione, in strumenti dell’esecutivo.
[69] G. Giostra, È “necessario e urgente” rifondare il DL sicurezza, cit.
[70] Cfr. F. Palazzo, Decreto sicurezza e questione carceraria, in Sist. pen., 1° maggio 2025.
[71] Mauro Palma è dottore in giurisprudenza honoris causa nelle Università di Roma Tre e di Buenos Ayres, è presidente del Centro di ricerca European Penological Center dell’Università Roma Tre, è stato Presidente dell’Autorità garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene inumani o degradanti, organo del Consiglio d’Europa.
[72] Cfr. M. Palma, Il limite costituzionale travolto dal decreto “sicurezza”, in Il Manifesto, 8.4.2025.