1. Premessa. Una delle più significative novità portate dalla c.d. “riforma Cartabia” (d.lgs. n. 150/2022) è stata, senza alcun dubbio, la revisione delle pene sostitutive o – più esattamente – la radicale sostituzione del vecchio apparato sanzionatorio costituito dalle “sanzioni sostitutive” della libertà controllata e della semidetenzione (il lavoro sostitutivo, disciplinato dall’art. 105 della l. n. 689/81, non ha mia avuto un’effettiva applicazione) con istituti di nuovo conio: le “pene sostitutive” della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, che ora trovano spazio nel codice penale (art. 20-bis, c.p.).
Si tratta, certamente, di nuove fattispecie sanzionatorie ma non esattamente di pene di nuova concezione in assoluto, poiché – in particolare la semilibertà e la detenzione domiciliare sostitutiva - ricalcano quasi alla lettera le caratteristiche delle omonime misure alternative alla detenzione già previste nella legge di ordinamento penitenziario del 1975 e, dal punto di vista dello sviluppo esecutivo, riproducono a grossi tratti le scansioni della non più vigente libertà controllata. Analoghe considerazioni possono farsi per il lavoro di pubblica utilità, il cui modello archetipo si rinviene nella disciplina del giudice di pace.
Pur nella sostanziale continuità tra le vecchie “sanzioni” sostitutive e le nuove “pene” sostitutive, la riforma “Cartabia”, optando per una estesa novella della disciplina sostanziale contenuta nella l. n. 689/81, ha prodotto alcune faglie problematiche sotto il profilo della disciplina processuale, il cui assetto – tranne alcuni limitati interventi di cui subito si dirà – è rimasto quasi del tutto esente da quei raccordi che pur sarebbero stati opportuni per aggiornare anche le disposizioni di natura processuale/procedimentale al nuovo volto dell’esecuzione penale in forma sostitutiva a quella della detenzione carceraria.
Ciò che pare emergere con una certa evidenza è, dunque, il dato che la disciplina legislativa introdotta dal d.lgs. n. 150/2022 non sia sufficientemente dettagliata e che per tale ragione l’interprete debba necessariamente colmare le lacune emergenti mediante il ricorso ai principi generali in materia di esecuzione penale che governano l’esecuzione dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza e, prioritariamente, guardando a quello iscritto nell’art. 655 c.p.p. che assegna in via generale al pubblico ministero il compito di eseguire i provvedimenti del giudice.
La scelta del legislatore – come si è già accennato - è stata quella di procedere a un’estesa riscrittura delle disposizioni di natura sostanziale della l. n.689/81, senza, tuttavia, “attualizzare” le disposizioni processuali che, dunque, sono rimaste quasi del tutto invariate rispetto al testo originario. Quest’ultimo, tuttavia, risalendo al 1981, non risulta, a sua volta, coordinato né con le disposizioni del codice processuale in tema di esecuzione penale né con l’attuale disciplina contenuta nella legge di ordinamento penitenziario, né con il suo regolamento di esecuzione (d.P.R. n.230/2000).
La segnalata criticità ha riverberato perniciosi effetti sul piano applicativo, ingenerando numerosi dubbi interpretativi e l’insorgere di contrasti e prassi disomogenee, al punto che la Procura generale presso la Corte di cassazione ha ritenuto di procedere ad una mappatura delle problematiche (e delle relative soluzioni prospettate) emerse a livello distrettuale presso le Procure territoriali al fine di monitorare e promuovere l’uniformità della gestione applicativa delle nuove pene.
I profili più critici riguardano il ruolo del pubblico ministero nell’esecuzione delle pene sostitutive, ma non solo, perché i problemi si estendono altresì ad alcuni aspetti della procedura e dei compiti attribuiti alla magistratura di sorveglianza nella fase esecutiva.
2. Il ruolo del Pubblico Ministero. Iniziando dalla figura del pubblico ministero, la disposizione che viene anzitutto in rilievo è quella dell’art. 661 c.p.p. (“Esecuzione delle sanzioni sostitutive” ), integralmente novellata dalla riforma del 2022[1]. Nella versione previgente, la norma stabiliva che: “Per l'esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata, il pubblico ministero trasmette l'estratto della sentenza di condanna al magistrato di sorveglianza territorialmente competente che provvede in osservanza delle leggi vigenti.” Il nuovo testo prevede, in modo più articolato, che: “Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a una delle pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare, il pubblico ministero trasmette la sentenza al magistrato di sorveglianza, che provvede senza ritardo ai sensi dell’articolo 62 della legge 24 novembre 1981 n. 689. Fino alla decisione del magistrato di sorveglianza, se il condannato alla pena sostitutiva della semilibertà o della detenzione domiciliare è in custodia cautelare permane nello stato detentivo in cui si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. In tutti gli altri casi, le misure cautelari disposte perdono immediatamente efficacia.”
La disposizione attualmente in vigore si occupa soprattutto di dettare una specifica disciplina delle misure cautelari eventualmente applicate al condannato a pena sostitutiva stabilendo la ultrattività della custodia cautelare – che viene considerata come “pena espiata a tutti gli effetti” - e la cessazione dell’efficacia di tutte le altre, così recependo un consolidato principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità[2].
Qui si pone subito un primo problema operativo, poiché la novellata disposizione processuale non prevede expressis verbis che, già in questa fase, il PM emetta un ordine di esecuzione afferente alla pena sostitutiva applicata dal giudice. In altri termini, non è chiarito dalla disciplina positiva se, al passaggio in giudicato della sentenza che condanna alla pena sostitutiva della semilibertà o della detenzione domiciliare, il pubblico ministero – trattandosi di provvedimenti di indiscutibile natura detentiva - debba comunque emettere l’ordine di esecuzione e trasmetterlo unitamente alla sentenza di condanna al magistrato di sorveglianza, ovvero debba limitarsi soltanto a quest’ultimo adempimento (e ad emettere ordine di esecuzione ex art. 659 c.p.p. eventualmente dopo l’adozione dei provvedimenti da parte del magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 62 legge n. 689/81, su cui v. infra)[3].
Tale dubbio se ne trascina dietro un altro, poiché non è parimenti chiaro quale sia il giudice competente a decidere in ordine ad eventuali questioni che dovessero insorgere relativamente alla misura cautelare ancora in atto nel periodo intermedio.
Qualora, infatti, si accolga la prima tesi, con l’emissione dell’ordine di esecuzione la fase esecutiva sarebbe già avviata e, dunque, la decisione sulle questioni inerenti la misura cautelare non sarebbe di competenza del giudice dell’esecuzione, bensì del magistrato di sorveglianza, anche se la trasmissione della sentenza di condanna a quest’ultimo dovesse tardare; laddove, seguendo la seconda ipotesi interpretativa, la competenza del giudice dell’esecuzione permarrebbe, invece, fino alla trasmissione della sentenza di condanna al magistrato di sorveglianza[4].
Un terzo aspetto problematico, strettamente connesso ai primi due, riguarda l’applicazione della disciplina del c.d. presofferto, dal momento che l’art. 657, comma 3, c.p.p., come modificato dall’art. 38 del d. lgs. n. 150/2022, prevede la facoltà del condannato di chiedere al P.M. (ovvero allo stesso giudice che ha applicato il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, considerato che per questa pena sostitutiva l’esecuzione è affidata direttamente al giudice che l’ha applicata), la detrazione della custodia cautelare o di altra pena detentiva quando nei suoi confronti debbano essere eseguite pena sostitutive[5].
Infine, in seguito al passaggio in giudicato della sentenza di condanna a pena sostitutiva, si pone il problema della misura di sicurezza eventualmente applicata in via provvisoria (art. 312 c.p.p. e art. 206 c.p.). Il caso tipico è quello dell’imputato riconosciuto parzialmente incapace, sottoposto in via provvisoria la misura di sicurezza personale della libertà vigilata presso una struttura terapeutica (c.d. “libertà vigilata residenziale”), nei cui confronti il giudice applichi la detenzione domiciliare sostitutiva. È stata evidenziata, in dottrina, la positiva sinergia possibile – in queste non infrequenti ipotesi - tra la misura di sicurezza provvisoria e la detenzione domiciliare sostitutiva applicata all’interessato senza soluzione di continuità, così da consentire al paziente affetto da patologia psichica la necessaria continuazione del percorso di cura, e la verifica, a valle dell’esecuzione della pena sostitutiva (art. 211, c.p.), della persistente necessità di mantenere in capo al soggetto il vincolo giudiziario rappresentato dalla misura di sicurezza, applicata in via definitiva al soggetto ove ancora ritenuto socialmente pericoloso[6]. Anche in questo caso, il coinvolgimento del pubblico ministero nella vicenda esecutiva appare non rinunciabile (art. 659, comma 2, c.p.p.).
L’accennata questione interpretativa non si presta ad agevole soluzione. Invero, secondo una parte della dottrina, la disciplina della “sanzioni” sostitutive (semidetenzione e libertà controllata) imperniata sulla previgente disposizione dell’art. 661, c.p.p. assegnava al P.M. poteri meramente propulsivi, consistenti nell’obbligo di trasmettere l’estratto della sentenza di condanna al magistrato di sorveglianza territorialmente competente[7], senza dunque ulteriori adempimenti. Si tratta, peraltro, di una ricostruzione interpretativa formulata nel vigore del ben diverso contesto normativo antecedente alla riforma “Cartabia”, che vedeva relegata la disciplina delle “sanzioni” sostitutive ad un ambito sostanzialmente para-amministrativo, mentre il d.lgs. n. 150/2022, come si è già ricordato, pone le nuove pene sostitutive nel novero delle pene contemplate dall’ordinamento penale accanto alle pene principali tradizionali.
Uno spunto per ripensare il ruolo del P.M. può rinvenirsi nella pronuncia della Corte costituzionale che, occupandosi delle abrogate sanzioni sostitutive ha tracciato alcune coordinate fondamentali relativamente alla fase dell’esecuzione delle medesime (in particolare, della libertà controllata). Si intende alludere alla sentenza n.208/87 con la quale il Giudice delle leggi ha delibato la costituzionalità dell’art. 62 l. n. 689/81 nella sua vecchia formulazione.
Esaminando le scansioni procedurali dell’esecuzione della libertà controllata, la Consulta ha affermato “che la determinazione delle modalità esecutive delle sanzioni sostitutive in parola non è che uno dei momenti della fase di esecuzione della sentenza di condanna. Il giudice di sorveglianza del luogo dove il condannato ha la residenza, pertanto, non è il giudice dell'esecuzione, ma soltanto, un magistrato che interviene successivamente, ed eventualmente, nel corso dell'esecuzione stessa, se ed in quanto ad esecuzione si debbano portare le misure sostitutive decise dal giudice di cognizione. Ma il magistrato dell'esecuzione esiste sempre, perché la legge lo indica nel "pubblico ministero presso la Corte o il Tribunale che ha emesso il provvedimento", oppure nel Pretore che "fa eseguire i suoi provvedimenti" (art. 577 cod. proc. pen.). Difatti l'art. 62 impugnato fa puntualmente riferimento al pubblico ministero o al Pretore "competente per l'esecuzione", avvertendo che saranno sempre questi a trasmettere l'estratto della sentenza di condanna, alla semidetenzione o alla libertà controllata, al magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato per la determinazione delle modalità di esecuzione della pena. È evidente, però, che per trasmettere l'estratto al detto giudice, il magistrato dell'esecuzione deve prima accertare la residenza del condannato. Se questi già dagli atti del processo risulta irreperibile o residente all'estero, richiederà nuove indagini all'Autorità di pubblica sicurezza: quella stessa che dovrebbe eseguire l'ordine di carcerazione se si trattasse di pena detentiva, e che comunque dovrebbe ricercare il condannato per dare inizio alla semidetenzione: vale a dire, l'Autorità di pubblica sicurezza del luogo dove ha sede il magistrato dell'esecuzione”[8].
Esaminiamo ora, attraverso il prisma della sentenza costituzionale sopra richiamata, la novellata disposizione dell’art. 62 della l. n. 689/81 (Esecuzione della semilibertà e della detenzione domiciliare sostitutive), che recita: “Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena sostitutiva della semilibertà o della detenzione domiciliare, il pubblico ministero trasmette la sentenza al magistrato di sorveglianza del luogo di domicilio del condannato. Il provvedimento di esecuzione [il grassetto è dell’A.] è notificato altresì al difensore nominato per la fase dell’esecuzione o, in difetto, al difensore della fase del giudizio. Il magistrato di sorveglianza procede a norma dell’articolo 678, comma 1-bis, del codice di procedura penale e, previa verifica dell’attualità delle prescrizioni, entro il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della sentenza provvede con ordinanza con cui conferma e, ove necessario, modifica le modalità di esecuzione e le prescrizioni della pena.”
La locuzione appare chiaramente indicativa – in coerenza sistematica con la nuova veste assunta dalle nuove pene sostitutive – dell’adempimento posto in capo al P.M. di emettere un ordine di esecuzione, sia per la inequivoca dizione normativa (che si riferisce a un “provvedimento” implicante cioè un contenuto decisorio e non già a una mera “trasmissione”), sia perché così interpretando la dizione normativa si può dare un senso al passaggio procedurale de quo che resterebbe, altrimenti, privo di significato.
Così ricostruito il precetto normativo in esame, anche la disciplina delle nuove pene sostitutive viene a essere ricompresa nell’ambito applicativo che vede coinvolto il pubblico ministero incaricato, secondo i princìpi generali, dell’esecuzione delle (di ogni) tipologia di pena, così come si ricava dalla norma-cardine di cui all’art. 655 c.p.p., comma 1, laddove si stabilisce che “Salvo che sia diversamente disposto, il pubblico ministero presso il giudice indicato nell'articolo 665 cura di ufficio l'esecuzione dei provvedimenti.”[9]
Quale, poi, sia il contenuto decisorio del provvedimento del P.M. è agevolmente ricavabile dalla serie di verifiche e adempimenti che la legge pone in capo all’organo incaricato dell’esecuzione, quali segnatamente l’imputazione del presofferto (art. 657 c.p.p.) e l’eventuale formazione del cumulo di pene concorrenti (art. 70 l. n. 689/81). Ciò consente al pubblico ministero di assumere, anche con riguardo alle pene sostitutive, il consueto ruolo di regista della cornice esecutiva, determinando il quantum della pena concretamente da eseguire e consentendo, in tale ambito così ri-definito e “attualizzato”, al magistrato di sorveglianza di determinarne i connotati qualitativi della pena stessa, attraverso la modulazione delle prescrizioni esecutive.
Questa, invero, parrebbe essere anche la prospettiva tratteggiata dalla evocata sentenza costituzionale che individua nella determinazione delle prescrizioni ad opera del giudice di sorveglianza non già l’inizio dell’esecuzione ma una fase (eventuale) della stessa[10].
In tale direzione orienta, altresì, la specifica indicazione normativa contenuta nel ricordato art. 62, l. n. 689/81, a cui mente il “provvedimento di esecuzione” va notificato al difensore all’uopo nominato o a quello della fase del giudizio, vale a dire a soggetti indicati negli atti processuali che il magistrato di sorveglianza non conosce (e che conosce invece il P.M. investito dalla cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza passata in giudicato).
Occorre, tuttavia, rilevare che la soluzione di far coincidere l’emissione dell’ordine di esecuzione con l’atto di impulso con cui il P.M. trasmette al magistrato di sorveglianza la sentenza contenente la pena sostitutiva da eseguire, se risolve alcuni degli importanti profili critici sopra evidenziati, ne pone di ulteriori. Ne accenniamo di seguito.
3. L’esecuzione della detenzione domiciliare sostitutiva (art. 62, l. n. 689/81). Il passaggio critico è, in particolare, quello successivo alla decisione del magistrato di sorveglianza che, a mente del più volte ricordato art. 62 l. n. 689/81, conferma o modifica le prescrizioni dettate dal giudice della cognizione.
Soffermandoci, in particolare, sulla disciplina dell’esecuzione della detenzione domiciliare sostitutiva è, invero, agevole avvedersi della non secondaria differenza rispetto all’esecuzione della detenzione domiciliare intesa quale misura alternativa alla detenzione.
Infatti, con riferimento all’esecuzione della detenzione domiciliare nelle tipologie previste dalla l. n. 354/75, ai sensi degli artt. 659 c.p.p. e 100 d.P.R. n.230/2000, l’ordinanza del tribunale di sorveglianza che dispone la misura alternativa della detenzione domiciliare viene notificata alle parti, al P.M. che cura l’esecuzione, all’autorità di pubblica sicurezza e all’UEPE, ma l’esecuzione dell’ordinanza avviene tramite un ordine di esecuzione del pubblico ministero ed è dalla data della notifica di questo provvedimento al condannato che la misura alternativa inizia a decorrere (art. 100, comma 1, d.P.R. 230/2000).
Del tutto diversa è la disciplina relativa alla detenzione domiciliare sostitutiva, le cui regole procedurali sono rinvenibili nell’art. 678 c.p.p. (“Procedimento di sorveglianza” ) che, al comma 1-bis, stabilisce che: “Il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti alla rateizzazione e alla conversione delle pene pecuniarie, alla remissione del debito e alla esecuzione delle pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare e delle pene conseguenti alla conversione della pena pecuniaria, e il tribunale di sorveglianza, nelle materie relative alle (…), procedono a norma dell'articolo 667, comma 4”.[11]
L’ordinanza adottata dal magistrato di sorveglianza, a mente dell’art. 667, comma 4, c.p.p., deve essere comunicata al pubblico ministero e notificata all’interessato.
A sua volta, l’art. 62 l. n. 689/81 prevede che la medesima ordinanza vada, altresì, trasmessa all’ufficio di p.s. incaricato di porla in esecuzione[12].
In altri termini – e in disparte il problema costituito dal fatto che l’ordinanza trasmessa per l’esecuzione in effetti non è (ancora) esecutiva, dovendo trascorrere il termine di quindici giorni dalla comunicazione/notificazione per consentire l’esperimento della eventuale opposizione - è però evidente che, nel caso della detenzione domiciliare sostitutiva il dies a quo dell’esecuzione coincide con quello di effettiva sottoposizione del condannato alla misura da parte dell’ufficio di p.s. e non con la data di emissione dell’ordine di esecuzione da parte della Procura, come avviene nel caso della detenzione domiciliare prevista dalla l. n. 354/75.
Ciò comporta che, dal momento dell’emissione dell’ordinanza del magistrato di sorveglianza ex art. 62 l. n. 689/81 all’inizio dell’ (effettiva) esecuzione decorre un tempo di incerta durata, costituito da quello necessario alla notifica all’interessato dell’ordinanza medesima, dal termine dilatorio di quindici giorni per consentire l’eventuale opposizione e, infine, da quello concretamente necessario all’autorità di p.s. per porre in esecuzione il provvedimento, una volta che quest’ultimo sia divenuto definitivo.
Al P.M. è, tuttavia, comunicata soltanto l’ordinanza del magistrato di sorveglianza emessa ai sensi dell’art. 62 l. n. 689/81 ma non anche (salva la specifica previsione di una “buona prassi” attivata in base a protocolli operativi locali tra Uffici di Sorveglianza e Procure territoriali e distrettuali) il verbale di sottoposizione del condannato alla misura domiciliare.
Ne deriva che il P.M., ricevuta l’ordinanza del magistrato di sorveglianza, dovrebbe sì emettere, in quel momento, l’ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 659, c.p.p., ma, in assenza di una comunicazione da parte dell’ufficio di p.s. incaricato dell’esecuzione, non potrebbe determinare la pena da eseguire né, d’altra parte, la disciplina specifica (art. 62 l. n. 689/81) considera espressamente un secondo intervento del P.M. per l’esecuzione dell’ordinanza del magistrato di sorveglianza di conferma o modifica delle prescrizioni, mentre l’art. 56, ultimo comma, l. n. 689/81, rinvia alla disciplina di cui al già richiamato art. 100 del regolamento di ordinamento penitenziario, che al primo comma dispone l'inizio della detenzione domiciliare del giorno in cui è stato notificato il provvedimento esecutivo che la dispone, “in quanto applicabile”.
È dunque incerto il momento in cui il P.M. debba emettere l’ordine di esecuzione previsto dall’art. 68, l. n. 689/81[13].
Una possibile soluzione adottabile in via di prassi per colmare la lacuna normativa che si evidenzia nei passaggi procedimentali sopra brevemente riassunti potrebbe essere costituita dall’adozione di specifici protocolli di intesa tra Uffici di sorveglianza e Procure, ove si preveda che l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 62 l. n. 689/81 sia trasmessa, a cura dell’Ufficio di Sorveglianza, al P.M. che cura l’esecuzione unitamente al verbale di ingiunzione redatto dalla p.s. che attesta l’inizio dell’esecuzione della pena sostitutiva, ponendo così in grado il pubblico ministero di emettere un o.e.p., con l’indicazione della pena da eseguirsi in concreto, imputando come fungibilità il tempo eventualmente intercorso in custodia cautelare fino alla decisione del magistrato di sorveglianza[14].
Ma pare necessario integrare tale atto con un primo intervento della procura di esecuzione, che si situa a monte dell’ordinanza del magistrato di sorveglianza.
Occorre, infatti, valutare che l’emissione dell’o.e.p. da parte del P.M. a valle dell’ordinanza del magistrato di sorveglianza che si pronuncia ai sensi dell’art. 62 l. n. 689/81, comporta il rischio che questi proceda alla determinazione delle prescrizioni di una pena sostitutiva in assenza del cumulo di cui all’art. 70 delle medesima legge, così potendosi verificare l’ipotesi che a carico del soggetto: a) debba eseguirsi prioritariamente una pena detentiva; b) vadano poste in esecuzione pene sostituite che, cumulate, portino la pena complessiva a superare il limite dei quattro anni.
Tale non trascurabile criticità non pare altrimenti superabile se non prevedendo che la Procura, appena ricevuta la sentenza di condanna, iscriva subito un procedimento di esecuzione a SIEP e proceda, già in quella sede, alla formazione del cumulo di cui all’art. 70 sopra evocato, verificando l'eventuale presofferto cautelare e indicando la pena residua da eseguire, per poi trasmetterlo, unitamente alla sentenza di condanna, al magistrato di sorveglianza per l'emissione dell'ordinanza ai sensi dell'articolo 62 cit.
4. La formazione del cumulo (art. 70 l. n. 689/81). Una specifica disciplina dell’esecuzione di pene sostitutive concorrenti è stata introdotta dalla riforma “Cartabia” nel novellato art. 70 l. n. 689/81. La ratio della nuova previsione è quella di consentire la formazione del cumulo tra più pene sostitutive, per il quale si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli da 71 a 80 c.p. e l’art. 663 c.p.p., con esclusione dunque della possibilità di cumulare pene sostitutive e altre tipologie di pena detentiva e confermando, in ogni caso, con il rinvio a quanto dispone l’art. 663 c.p.p. l’individuazione del pubblico ministero ai sensi dell’art. 665, del medesimo codice.
Che sia necessaria in ogni caso, anche con riguardo all’esecuzione delle pene sostitutive, l’individuazione del P.M. competente è reso poi evidente dai compiti assegnati al magistrato che cura l’esecuzione dal disposto dell’evocato art. 70 l. n. 689/81, in linea con il ruolo affidato al pubblico ministero ai sensi dell’art. 655 c.p.p.
5. Possibili criticità. Nella cornice sopra delineata, una rilevante criticità applicativa può ingenerarsi nel caso di applicazione della detenzione domiciliare sostitutiva ad un condannato che si trova nella situazione di cui all’art. 656, comma 10, c.p.p. La ricordata disposizione dell’art. 661 c.p.p. novellato dispone, infatti, che la misura cautelare permane e viene considerata come pena eseguita a tutti gli effetti fino a che il magistrato di sorveglianza non provvede ai sensi dell'articolo 62, l. n. 689/81.
Nel caso dei c.d. “arresti domiciliari prorogati”, dunque, il P.M. dovrebbe emettere un o.e.p. anziché ai sensi dell’art. 656, comma 10, cit. (con il quale ordina la prosecuzione della misura fino alla decisione del tribunale di sorveglianza sull’applicazione di una misura alternativa alla detenzione), in forza dell’art. 661 c.p.p., detraendo, come si è sopra prospettato, dalla pena sostitutiva da eseguire il tempo intercorso fino alla decisione del magistrato di sorveglianza ex art. 62 l. n. 689/81.
Più esattamente, e contro la lettera della legge (art. 661 c.p.p.), va rilevato che il tempo da considerare come pena espiata a tutti gli effetti dovrebbe essere quello corrispondente alla misura cautelare espiata dal condannato fino al giorno di inizio della pena sostitutiva, che – come si è sopra ricordato - si individua, per la detenzione domiciliare sostitutiva, con riferimento all’ingiunzione effettuata dall’organo di p.s. al condannato stesso di attenersi al rispetto delle prescrizioni imposte con l’ordinanza del magistrato di sorveglianza emessa ai sensi dell’art. 62 cit.
Con riferimento al dies a quo di decorrenza della pena sostitutiva, nella prima prassi applicativa si sono registrate alcune pronunce dei giudici della cognizione che hanno fissato la data di inizio della detenzione domiciliare facendola coincidere con quella in cui il condannato si è presentato all’UEPE, mutuando evidentemente la previsione dalla disciplina delle misure alternative (e, segnatamente, da quella dell’affidamento in prova di cui all’art. 47, ord.penit.) e una analoga previsione compare in un protocollo adottato nel distretto della corte d’appello di Milano. Si tratta, alla luce di quanto sopra si è osservato, di una previsione che pare non conforme alle disposizioni della l. n. 689/81 (e, si aggiunge, difficilmente armonizzabile con la previsione di decorrenza della detenzione domiciliare indicata nell’art. 100 del regolamento esecutivo dell’ordinamento penitenziario).
Un terzo profilo critico riguarda la disciplina della sospensione delle pene sostitutive, contenuta nella legge n. 689/81, art. 68 (“Sospensione dell’esecuzione delle pene sostitutive”), il quale così prevede: “L’esecuzione della semilibertà sostitutiva, della detenzione domiciliare sostitutiva o del lavoro di pubblica utilità sostitutivo è sospesa in caso di notifica di un ordine di carcerazione o di consegna; l’esecuzione è altresì sospesa in caso di arresto o di fermo del condannato o di applicazione, anche provvisoria, di una misura di sicurezza detentiva. L’ordine di esecuzione della semilibertà sostitutiva, della detenzione domiciliare sostitutiva o del lavoro di pubblica utilità sostitutivo emesso nei confronti dell’imputato detenuto o internato non sospende l’esecuzione di pene detentive o l’esecuzione, anche provvisoria, di misure di sicurezza detentive, né il corso della custodia cautelare”.
L’evocata disposizione stabilisce che, nei casi ivi indicati, il giudice o il magistrato di sorveglianza determina la durata residua della pena sostitutiva e che il relativo provvedimento deve essere comunicato all'organo di polizia o al direttore dell'Istituto di pena ma non al pubblico ministero. Tale rilevata omissione, oltre a costituire un’anomalia nel sistema dell'esecuzione penale, comporta il grave rischio di non rendere edotto il pubblico ministero della quota di pena espiata nelle forme della pena sostitutiva, circostanza che invece può essere importante nel caso di successiva necessità di emissione di un provvedimento di cumulo ai sensi dell’art. 70 l. n. 689/81 (unificazione di sentenze che dispongono tutte pene sostitutive) o nel caso di provvedimenti di cumulo tra sentenze che dispongono pene detentive e sentenze che dispongono pene detentive sostituite.
Tale criticità, tuttavia, pare emendabile attraverso l’applicazione del disposto di cui all’art. 107 d.P.R. 230/2000, che prevede il generale obbligo di comunicazione al P.M. del dispositivo di tutti i provvedimenti della magistratura di sorveglianza “che comunque incidono sulla pena in esecuzione”[15].
Ad analoga soluzione pare doversi pervenire con riguardo alla previsione dell’art.72, l. n. 689/81, ove è stabilito che la condanna del sottoposto a pena sostitutiva nelle ipotesi ivi previste importa la revoca della misura, salvo che il fatto sia di lieve entità. Allo stesso modo è revocata la pena sostitutiva nel caso di condanna a pena detentiva per un delitto non colposo commesso durante l’esecuzione di una pena sostitutiva, diversa dalla pena pecuniaria, quando la condotta tenuta appare incompatibile con la prosecuzione della pena sostitutiva, tenuto conto dei criteri di cui all’art. 58, l n. 689/81.
In questi casi la norma in analisi prevede che la cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna informi senza indugio il magistrato di sorveglianza competente per la detenzione domiciliare sostitutiva o per la semilibertà sostitutiva, ovvero il giudice che ha applicato il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, ma non il P.M. La previsione ha, tuttavia, una sua coerenza in quanto il pubblico ministero viene comunque coinvolto nel corso del procedimento di revoca, analogamente a quanto accade nelle ipotesi di cui all’art. 66, l. n. 689/81 (revoca per inosservanza delle prescrizioni), all’esito del quale riceverà comunicazione della decisione assunta dal giudice di sorveglianza ai sensi del già richiamato art. 107 d.P.R. n.230/2000.
Ulteriore lacuna emerge con riferimento alla disposizione dell’art. 68 l. n.689/81 laddove essa prevede unicamente l’ipotesi di esecuzione di una singola pena sostitutiva, o al più di provvedimenti concorrenti che dispongono pene sostitutive (a fronte dei quali il pubblico ministero procede alla formazione del cumulo), ma non contempla espressamente l’affine ipotesi di una pluralità di titoli da eseguire a carico del medesimo condannato comprendenti condanne a pena sostituita e a pena detentiva da eseguirsi in misura alternativa e non detta, di conseguenza, una regola specifica che determini la priorità in sede esecutiva dell’una o dell’altra. Sorge quindi il dubbio se in tali non infrequenti casi dovrà essere eseguita prioritariamente la pena detentiva sub specie di misura alternativa alla detenzione ovvero la pena sostitutiva.
La soluzione che si prospetta a livello interpretativo porta a suggerire che la pena detentiva carceraria e quella eseguita in forma alternativa, ab initio o in seguito a un iniziale periodo di detenzione, sia trattata in modo omogeneo sotto il profilo che qui interessa, nel senso, cioè, di prevedere che la disposizione dell’art. 68 cit. trovi applicazione anche con riferimento ad una pena detentiva eseguita nelle forme di una misura alternativa. Anche in questo caso, pertanto, dovrà essere determinata, a cura del magistrato di sorveglianza, la parte della pena sostitutiva espiata, con provvedimento che dovrà essere comunicato al pubblico ministero che gestisce il titolo esecutivo o che ha emesso il cumulo, così da porre in grado il magistrato dell’esecuzione di procedere all’aggiornamento dello stesso, tenendo conto della pena sostitutiva medio tempore eseguita.
Va compiuto, infine, un cenno alla possibilità che al condannato a pena sostitutiva sia applicata la riduzione di pena a titolo di liberazione anticipata, in forza della previsione di cui all’art. 76, l. n. 689/81[16]. In particolare, la procedura di applicazione della liberazione anticipata segue le scansioni procedimentali indicate nell’articolo 69-bis dell’ordinamento penitenziario.
Anche in questo caso, il richiamo alla disciplina di matrice penitenziaria in materia di procedura per la concessione del beneficio implica in coinvolgimento del pubblico ministero, sia nella fase istruttoria (con la richiesta del parere) quanto nella eventuale fase di impugnazione e di esecuzione del provvedimento del magistrato di sorveglianza.
[1] L’art. 661, c.p.p. è stato novellato dall’art. 38 del d.lgs. n. 150/2022.
[2] Cass. pen. Sez. Un., 31.03.2011, n. 18353, ove si precisava che la perdita di efficacia opera di diritto, senza che sia necessario alcun provvedimento che la dichiari, anche se, ove insorgano questioni in ordine alla misura coercitiva non custodiale nel periodo intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza e il concreto avvio della sua esecuzione, la competenza a decidere spetta al giudice dell’esecuzione. V. G. Biondi, L’applicazione delle pene sostitutive di pene detentive brevi nella fase di cognizione del processo penale, in questa Rivista, 2/24, 142.
[3] Così esemplifica i termini della questione G. Biondi, L’applicazione delle pene sostitutive, cit., 143.
[4] Ancora G. Biondi, loc. cit. Si veda sul punto la giurisprudenza ivi citata (Cass. pen. sez. VI, 10.02.2017, n. 25504 e Cass. pen. sez. VI, 31.01.2018, n. 14753), secondo le quali, nel periodo intercorrente fra il passaggio in giudicato della sentenza e l'inizio della fase di esecuzione della pena (individuata nell’emissione dell’ordine di esecuzione), spetta al giudice dell'esecuzione la competenza a decidere sulle questioni relative alle misure cautelari personali ancora in corso, detentive e non detentive, con ordinanza "de plano" emessa ai sensi dell'art. 667, comma 4, c.p.p., suscettibile di opposizione davanti allo stesso giudice.
[5] Sul punto v. R. De Vito, Le pene sostitutive: una nuova categoria sanzionatoria per spezzare le catene del carcere, in Questione giustizia, 2/2023.
[6] Per tali profili si rinvia a A. Calcaterra, Le novità introdotte dalla riforma Cartabia. Le nuove soluzioni sanzionatorie e il rinnovato ruolo dell’avvocatura, in Questione Giustizia, riv. online, 15.2.2023, 6.
[7] Così F. Caprioli - D. Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, Giappichelli, 2011, 217.
[8] Corte cost., 22.05.1987, n. 208, in www.cortecostituzionale.it. In tema v. M. Chiddo, sub art. 661 c.p.p., in E. Lattanzi - E. Lupo, Codice di Procedura Penale – Rassegna di giurisprudenza e dottrina, vol. V, Giuffré - F. Lefébvre, 2020, 670.
[9] La clausola di salvezza indicata dalla disposizione codicistica, che attribuisce in via generale al P.M. il compito di eseguire i provvedimenti del giudice “salvo che sia diversamente disposto”, vale per il lavoro di pubblica utilità (art. 63 l. n. 689/81) che detta una disciplina specifica per cui “La sentenza penale irrevocabile o il decreto penale esecutivo sono altresì trasmessi al pubblico ministero per gli adempimenti di cui all’articolo 70.” A sua volta, l’art. 70 (“Esecuzione di pene sostitutive concorrenti”) stabilisce che: “(…) Per l’esecuzione delle pene sostitutive concorrenti si applica, in quanto compatibile, l’articolo 663 del codice di procedura penale. È tuttavia fatta salva, limitatamente all’esecuzione del lavoro di pubblica utilità, anche concorrente con pene sostitutive di specie diversa, la competenza del giudice che ha applicato tale pena.” Va, inoltre, osservato che l’art. 655 c.p.p. rimanda – tra l’altro - all’art. 51-bis ord.penit., applicabile all’esecuzione delle pene sostitutive ai sensi dell’art. 76 l. n. 689/81, che si riferisce espressamente al “pubblico ministero competente”.
[10] Eventuale, nella particolare ottica di analisi seguita dalla Corte per rispondere alle questioni sollevate dai rimettenti, nel senso che l’esecuzione può in concreto aversi soltanto nei confronti di un condannato di cui il pubblico ministero incaricato dell’esecuzione abbia accertato l’effettiva ubicazione territoriale.
[11] L’art.107, l. n. 689/81 stabilisce, infatti che: “Per l’esecuzione della semilibertà sostitutiva, della detenzione domiciliare sostitutiva e del lavoro di pubblica utilità sostitutivo, quali pene conseguenti alla conversione della multa o dell’ammenda, si applicano gli articoli 62, 63, 64, 65, 68 e 69. In merito all’esecuzione è competente il magistrato di sorveglianza, che provvede ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 678, del codice di procedura penale.”
[12] Precisamente, il comma secondo della evocata disposizione prevede la “trasmissione immediata dell'ordinanza per l'esecuzione all'ufficio di pubblica sicurezza” del Comune in cui il condannato è domiciliato, così come prevede la trasmissione dell’ordinanza all'ufficio di esecuzione penale esterna.
[13] Art. 68, l. n. 689/81, comma 2: “L’ordine di esecuzione della semilibertà sostitutiva, della detenzione domiciliare sostitutiva o del lavoro di pubblica utilità sostitutivo emesso nei confronti dell’imputato detenuto o internato non sospende l’esecuzione di pene detentive o l’esecuzione, anche provvisoria, di misure di sicurezza detentive, né il corso della custodia cautelare.”
[14] L'articolo 661 c.p.p. disciplina la situazione del condannato che si trova in misura cautelare prevedendo che nel caso di custodia cautelare o di arresti domiciliari dette misure cautelari permangano finché il magistrato di sorveglianza non provvede ai sensi dell'articolo 62 L.n. 689/81.
[15] Cfr. d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, art. 107 (“Comunicazioni all'organo dell'esecuzione”): “1. Il dispositivo dei provvedimenti della magistratura di sorveglianza che comunque incidono sulla pena in esecuzione viene trasmesso a cura della cancelleria, anche con mezzi telematici che ne assicurino l’autenticità e la sicurezza, se l’interessato è detenuto, alla direzione dell’istituto e viene comunicato all’interessato, al pubblico ministero e, quando occorre, al centro di servizio sociale, dopo aver annotato i dati di identificazione della sentenza o delle sentenze di condanna o, se vi è provvedimento di esecuzione di pene concorrenti, i dati necessari ad identificarlo. In ogni caso sono indicati l’organo del pubblico ministero competente all’esecuzione della pena e il numero di registro della procedura esecutiva.”
[16] Legge n. 689/81, art. 76 (“Norme applicabili”): “Alle pene sostitutive previste da questo Capo si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 47 comma 12-bis, 51-bis, 51-quater e 53-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354”.