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20 Dicembre 2024


È appellabile o ricorribile per Cassazione la sentenza di condanna alla sola pena dell’ammenda anche in sostituzione di pena detentiva? Brevi note su un potenziale contrasto in Cassazione

Cass. Sez. IV, sent. 23 ottobre 2024, n. 41708, Pres. Picciall, rel. Calafiore



1. La riforma c.d. Cartabia, come è noto, è intervenuta apportando modifiche significative sia al sistema sanzionatorio, che al processo penale. In particolare, rilevanti appaiono le modifiche apportate alle sanzioni sostitutive, trasformate in vere e proprie pene sostitutive delle pene detentive brevi; allo stesso modo, nell’ambito processuale, si segnalano le modifiche apportate al sistema delle impugnazioni, e, segnatamente, al giudizio di appello. Fra queste ultime modifiche, in qualche modo connesse alle altre, sopra evidenziate, mette conto rappresentare l’ampliamento dei casi di inappellabilità delle sentenze, frutto della sostituzione del comma 3 dell’art. 593 c.p.p. ad opera dell’art. 34, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 150/2022, in attuazione della delega contenuta nell’art. 1, comma 13, lett. c) ed e) della legge n. 134/2021. L’attuale comma 3 dell’art. 593 c.p.p. così dispone: «sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda o la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, nonché le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa». A differenza del testo precedente, frutto, da ultimo, della modifica apportata dall’art. 2, comma 1, lett. a) e b) del d. lgs. n. 11/2018 (limitata all’aggiunta delle parole “in ogni caso” e del periodo “e le sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa”), in attuazione della delega contenuta nell’art. 1 comma 84 lett. l) della legge n. 103/2017, il testo attuale aggiunge alle sentenze inappellabili quelle di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, nonché precisa che le sentenze di proscioglimento sono inappellabili quando risultano relative non più soltanto alle contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa, ma ai reati (quindi, anche ai delitti) puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa. Tuttavia, a differenza della precedente attuazione della delega legislativa, in questo caso il legislatore delegato non ha provveduto ad effettuare piccoli ritocchi e aggiunte al comma 3 dell’art. 593 c.p.p., ma ha sostituito totalmente la disposizione normativa.

 

2. In altra sede[1], si osservava, in primis, che la modifica assumeva un rilevante significato deflattivo. Quindi, si evidenziava che il modificato comma 3 dell’art. 593 c.p.p. avrebbe potuto riproporre il tema del significato da attribuire all’inappellabilità delle sentenze di condanna con le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda, senza ulteriori specificazioni. Invero, nel progetto di riforma elaborato dalla Commissione Lattanzi[2], che ha rappresentato la base per l’intervento riformatore culminato nella legge n. 134/2021, si prevedeva di sostituire l’art. 7 del d.d.l. A.C. 2435 Bonafede stabilendo alla lett. d) non solo l’inappellabilità della sentenza di condanna a pena detentiva sostituita con il lavoro di pubblica utilità, ma anche l’inappellabilità della sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, anche se risultante dalla sostituzione della pena detentiva, salvo i casi di particolare afflittività della pena e quelli in cui l’imputato impugni anche il capo relativo alla condanna, anche generica, al risarcimento del danno. È vero che nella legge delega n. 134/2021 questo riferimento è scomparso (invero, l’art. 1, comma 13, ha previsto alle lett. c) ed e) l’inappellabilità delle sole sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa e l’inappellabilità delle sentenze di condanna a pena sostituita con il lavoro di pubblica utilità), e, tuttavia, come sopra sottolineato, l’intervento del legislatore delegato si è tradotto in una totale riscrittura del comma 3 dell’art. 593 c.p.p., e ciò potrebbe consentire di superare il pregresso orientamento della Cassazione,[3] che escludeva che il riferimento all’inappellabilità della sentenza di condanna a sola pena dell’ammenda potesse riferirsi alla pena dell’ammenda irrogata in sostituzione della pena detentiva. Infatti, proprio l’aggiunta dell’inappellabilità della sentenza di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità evidenzierebbe l’irragionevolezza della previsione dell’inappellabilità della sentenza di condanna solo se irrogativa della pena in origine dell’ammenda, e non anche come conseguenza dell’applicazione della pena pecuniaria sostitutiva. Si escluderebbe, infatti, l’appello per condanne per reati (delitti o contravvenzioni) puniti con pene detentive di una certa gravità (fino a tre anni ex artt. 20-bis c.p. e 53 della legge n. 689/81), se sostituite con la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, mentre invece lo si consentirebbe per condanne per contravvenzioni punite con la pena dell’arresto fino ad un anno se sostituita con la pena pecuniaria sostitutiva dell’ammenda.

 

3. La questione, appena accennata e relegata, come detto, in una nota di un precedente contributo, come era prevedibile è giunta presto all’attenzione della Cassazione, che, come spesso accade in presenza di riforme normative, ha assunto posizioni difformi. Prima, però, di esaminare gli opposti orientamenti, deve osservarsi che la giurisprudenza di legittimità si è comunque già divisa in ordine all’impugnazione esperibile avverso sentenza di condanna erroneamente alla sola pena dell’ammenda (sebbene il reato prevedesse la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda). Al riguardo, secondo un primo orientamento, il limite della inappellabilità di cui all’art. 593, comma 3, c.p.p. non opera in relazione ai reati puniti con la pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda per i quali il giudice abbia erroneamente applicato la sola pena dell’ammenda, posto che l’illegittima applicazione della pena non può precludere al condannato l'accesso ad un grado di giudizio[4]. Secondo altro orientamento[5], è inappellabile la sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, anche se erroneamente inflitta, tenuto conto della lettera della legge; ciò tanto più se si considera l’intervento di interpolazione effettuato dal d. lgs. n. 11/2018, il quale avrebbe reso non più praticabile la indicazione giurisprudenziale indirizzata nel senso dell’appellabilità della sentenza di condanna erroneamente a sola pena dell’ammenda. Invero, per effetto della entrata in vigore dell'art. 2, comma 1, lettera a), del d. lgs. n. 11 del 2018, nel testo del comma 3 dell'art. 593 c.p.p.  è stata inserita fra le parole "sono inappellabili" l'espressione "in ogni caso"; una tale clausola appare esprimere in termini di assolutezza e tassatività la inevitabilità della inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria, e ciò anche laddove tale condanna sia il frutto di un errore del giudicante, trattandosi di reato punito con la pena congiunta anche detentiva (o, deve ritenersi, sebbene l'ipotesi appaia quasi di scuola, con la sola pena detentiva).[6] In una recente pronuncia della Cassazione[7], riguardante l’impugnazione di una sentenza emessa prima dell’entrata in vigore della riforma c.d. Cartabia, con la quale l’imputato era stato condannato per la contravvenzione di cui all’art. 681 c.p. alla pena di cinque giorni di arresto e €. 5.000,00 di ammenda, convertita la pena detentiva ex art. 53 della legge n. 689/81 in €. 1.250,00 di ammenda, la Corte di legittimità, dopo avere ripercorso gli opposti orientamenti in ordine all’appellabilità o meno delle sentenze di condanna nelle quali l'ammenda è stata applicata a seguito di fatti contingenti, come la concessione di attenuanti ad effetto speciale, quale l'art. 4, comma 3, legge n.110 del 1975, o addirittura per un mero errore del giudicante, ovvero ancora quale sanzione pecuniaria sostitutiva, ha affermato che l’art. 593, comma 3, c.p.p., secondo l’indirizzo interpretativo propugnante l’inappellabilità, nella seconda parte del terzo comma, stabilisce l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento «relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa» (secondo la riforma introdotta dal d. lgs. n. 150/2022; il testo precedente, in vigore dal 6 marzo 2018 al 29 dicembre 2022, in quanto modificato dal d.lgs. n. 11/2018, stabiliva la inappellabilità di quelle «relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa»). Il legislatore, quindi, ha voluto stabilire chiaramente che, nel caso delle sentenze di proscioglimento, sono inappellabili solo quelle relative a reati individuati in base alla loro pena edittale; se avesse voluto stabilire un'analoga limitazione per le sentenze di condanna, avrebbe potuto usare la medesima dizione. Al contrario, la modifica apportata dal d.lgs. n. 11/2018, introducendo l'inciso «in ogni caso» renderebbe ancora più chiara la volontà del legislatore di stabilire l'inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata, in concreto, la sola pena dell'ammenda, in quanto tale regime viene affermato come operante qualunque sia il motivo dell'applicazione di tale sanzione. Ha concluso, pertanto, sulla base del disposto dell’art. 593, comma 3, c.p.p., nel testo vigente prima del d. lgs. n. 150/2022, per l’inappellabilità della sentenza, esaminando l’impugnazione quale ricorso per cassazione.

 

4. In questo contesto, per nulla univoco, ecco inserirsi più specificatamente il tema dell’appellabilità o meno delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda, anche in sostituzione di pena detentiva, in seguito alla modifica del comma 3 dell’art. 593 c.p.p. ad opera del d. lgs. n. 150/2022[8]. La prima pronuncia del giudice di legittimità, riguardante l’impugnazione di una sentenza emessa dopo l’entrata in vigore della riforma c.d. Cartabia, in cui la pena pecuniaria dell’ammenda era stata applicata anche quale pena sostitutiva di quella dell’arresto, qualificava come appello il ricorso per cassazione proposto, disponendo la trasmissione degli atti alla competente Corte di Appello.[9] In questa ordinanza la Corte si limitava a richiamare il principio consolidatosi sotto la vigenza dell’art. 593, comma 3, c.p.p. nel testo antecedente anche alla modifica apportata dal d. lgs. n. 11/2018. Qualche giorno dopo, la Cassazione tornava ad occuparsi della questione, questa volta esaminandola anche alla luce del nuovo testo del comma 3 dell’art. 593 c.p.p., giungendo alla medesima conclusione.[10] In particolare, dopo avere richiamato il vecchio orientamento (secondo il quale la norma si riferiva alle contravvenzioni astrattamente punibili con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa e non anche alle contravvenzioni astrattamente punibili con pena congiunta, e ciò anche se in concreto fosse stata inflitta la sola pena dell’ammenda per applicazione della pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva; sicchè sarebbe appellabile la sentenza di condanna per contravvenzione in relazione alla quale sia stata applicata, ai sensi dell’art. 53 della legge n. 689/81, la sola pena dell’ammenda come sanzione sostitutiva dell’arresto e ciò in ragione della revocabilità della sostituzione ex artt. 72 e 59 della legge citata – nel testo in vigore prima delle modifiche apportata dal d. lgs. n. 150/2022 –, rispetto alla quale il sacrificio del secondo grado nel merito non sarebbe costituzionalmente ammissibile), ne ribadiva l’attualità anche a fronte del nuovo testo dell’art. 593, comma 3, c.p.p. «Invero – affermava la Corte – il testo dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come detto, è stato modificato solo per la previsione della inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata, oltre che la sola pena dell'ammenda, anche la pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità, introdotta dall'art. 1 lett. a) d. Igs. n. 150/2020, attraverso l'inserimento nel codice penale dell'art. 20-bis. La stessa legge ha anche introdotto, nella disciplina delle sanzioni sostitutive di cui alla legge n. 689/81, all'art. 71, la previsione per cui il mancato pagamento della pena pecuniaria sostitutiva ne comporta la revoca e la conversione nella semilibertà o nella detenzione domiciliare: permane dunque, il profilo, individuato dalla giurisprudenza di legittimità a fondamento dell'orientamento su indicato, per cui il sacrificio del secondo grado di giudizio non sarebbe costituzionalmente legittimo, a fronte della astratta possibilità, in caso di mancato pagamento, di conversione in una sanzione che incide sulla libertà personale». [11]

 

5. Successivamente, la III Sezione penale della Cassazione emetteva altra sentenza, affermando il principio di diritto, secondo il quale, «in tema di impugnazioni, è inappellabile la sentenza di condanna con la quale è inflitta la pena dell’ammenda, anche se in sostituzione, in tutto o in parte, di quella dell’arresto, per effetto del disposto dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come novellato dall’art. 34, comma 1, lett. a), d. lgs. 22 ottobre 2022, n. 150, e della contestuale introduzione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui agli artt. 20-bis cod. pen. e 53 e ss. legge 24 novembre 1981, n. 689». [12] La Corte prendeva atto del diverso indirizzo interpretativo, che trovava la sua fonte nella già citata sentenza delle Sezioni Unite Bonifazi, e che era risultato ribadito, da ultimo, anche dopo la riforma c.d. Cartabia, dalla sentenza della IV Sezione penale n. 11375/2024 (sentenza la cui motivazione era stata depositata dopo la decisione della III Sezione penale, e ciò aveva escluso la possibilità di rimettere la questione alle Sezioni Unite). Tuttavia, riteneva che la questione andasse rimeditata, senza la necessità di investire le Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis, c.p.p., proprio in conseguenza della riforma c.d. Cartabia, che ha modificato profondamente sia il sistema delle impugnazioni (introducendo, fra l’altro, l’istituto dell’improcedibilità), che quello sanzionatorio (introducendo le pene sostitutive in sostituzione delle vecchie sanzioni sostitutive). Gli ermellini partivano da una prima constatazione, e cioè che con la riforma c.d. Cartabia la pena detentiva non doveva più costituire la pietra angolare sulla quale puntellare il sistema sanzionatorio, il quale attualmente risulta costituito dalle «pene principali» e dalle «pene accessorie», disciplinate dagli artt. 20 e ss. c.p., nonché dalle «pene sostitutive», previste dall’art. 20-bis c.p. e disciplinate dagli artt. 53 e ss. legge n. 689/81 (oltre che, sotto il profilo processuale, dall’art. 545-bis c.p.p.), queste ultime nettamente distinte dalle «pene alternative alla detenzione» previste dall’O.P., a differenza delle altre, applicate dal giudice dell’esecuzione, anziché della cognizione. Sul versante delle impugnazioni, la Corte evidenziava come l’art. 593 c.p.p. era stato già interpolato dal d. lgs. n. 11/2018, che aveva inserito le parole “in ogni caso” ad esprimere in termini di assolutezza e tassatività l’inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda. L’attuale testo dell’art. 593, comma 3, c.p.., come sostituito dal d. lgs. n. 150/2022, estende l’inappellabilità alle sentenze di condanna che applicano una pena – il lavoro di pubblica utilità – che originariamente non può essere edittalmente prevista, proprio in quanto sostitutiva di pena principale. Una lettura sistematica della norma consentirebbe, quindi, di verificare che il legislatore ha inteso ampliare l’area dell’inappellabilità a tutte le pene sostitutive non detentive, confinando il regime di appellabilità alle sole pene sostitutive della semilibertà sostitutiva e della detenzione domiciliare sostitutiva, che invece incidono sulla libertà personale del condannato. D’altra parte, anche l’argomento della “revocabilità” della sanzione sostitutiva, considerato dalla pregressa giurisprudenza quale ulteriore motivo fondante dell’appellabilità, non costituirebbe più argomento valido per sostenere la tesi dell’appellabilità della sentenza, posto che anche il lavoro sostitutivo (così come la pena pecuniaria sostitutiva nel caso previsto dall’art. 71 legge n. 689/81) può essere revocato ai sensi dell’art. 66 legge n. 689/81 in caso di inosservanza delle prescrizioni. Sotto il profilo teleologico, la Corte ricavava dalla lettura della relazione illustrativa del d. lgs. n. 150/2022 la ratio del complesso intervento normativo, teso a bilanciare l’istituto dell’improcedibilità con un ampliamento dei casi di inappellabilità della sentenza. Superato anche il dubbio che la soluzione ermeneutica propugnata potesse porsi in contrasto con i principi costituzionali e sovranazionali (in considerazione del fatto che il doppio grado di giurisdizione di merito non ha né copertura costituzionale né convenzionale o comunque sovranazionale), il giudice di legittimità affrontava anche un altro argomento, apparentemente seducente, ma non condivisibile, e cioè che alla base dell’inappellabilità della sentenza di condanna al lavoro di pubblica utilità sostitutivo vi fosse il consenso dell’imputato, assimilabile, nelle forme, ad una sorta di rinuncia all’impugnazione, mentre per l’applicazione della pena pecuniaria sostitutiva non vi è la necessità di alcun assenso da parte dell’imputato, sicchè non sarebbe giustificabile l’abdicazione ad un grado di giudizio in quest’ultimo caso. In realtà, osservava la Corte, il consenso per l’applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità è richiesto non quale contrappeso per la rinuncia all’impugnazione di merito, ma in quanto con la pena sostitutiva si impone al condannato un facere (specularmente a quanto previsto dall’art. 165, comma 1, c.p. in relazione alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività). Per contro, proprio l’assenza di copertura costituzionale del doppio grado di giudizio di merito permetterebbe di ritenere non irragionevole una previsione legislativa che, in ragione della natura meno afflittiva della pena pecuniaria rispetto a quella detentiva (o che comunque impone un facere al condannato), escluda il secondo grado con finalità deflattiva del sistema delle impugnazioni.

 

6. La sentenza della III Sezione penale n. 20573/2024 ha trovato per ora seguito in un’altra sentenza della II Sezione penale, che ha ritenuto di valorizzare il dato testuale dell’art. 593, comma 3, c.p.p., che fa espresso riferimento alla pena “applicata”, vale a dire quella irrogata in concreto dal giudice, anziché alla pena “prevista”, cioè quella edittale, astratta[13]. Al contrario, la IV Sezione penale della Cassazione[14] ha ribadito l’opposto orientamento, prendendo espressamente le distanze dalla sentenza della III Sezione penale. Invero, si legge nell’ultima ordinanza citata, il testo dell'art. 593, comma 3, c.p.p. è stato modificato solo per la previsione dell’inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata, oltre che la sola pena dell'ammenda, anche la pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità, introdotta dall'art. 1 lett. a) d. Igs. n. 150/2022, attraverso l'inserimento nel codice penale dell'art. 20-bis. La stessa legge ha anche introdotto, nella disciplina delle sanzioni sostitutive di cui alla legge n. 689/81, all'art. 71, la previsione per cui il mancato pagamento della pena pecuniaria sostitutiva ne comporta la revoca e la conversione nella semilibertà o nella detenzione domiciliare: permarrebbe dunque, il profilo, individuato dalla giurisprudenza di legittimità a fondamento dell'orientamento più datato, per cui il sacrificio del secondo grado di giudizio non sarebbe costituzionalmente legittimo, a fronte della astratta possibilità, in caso di mancato pagamento, di conversione in una sanzione che incide sulla libertà personale. Questi argomenti, secondo la IV Sezione penale della Corte, vanno condivisi e preferiti rispetto alla tesi contraria, anche in ragione del fatto che proprio la inequivoca portata sistemica della riforma contenuta nel d.lgs. n. 150/2022, con la scelta consapevole che ha portato il legislatore a scegliere in maniera selettiva e precisa gli ambiti del settore normativo su cui operare, inducono a ritenere non praticabile l'interpretazione estensiva che è stata proposta. A tale interpretazione, infatti, osterebbe il rilievo che non si spiegherebbe come mai il legislatore della riforma abbia modificato il comma 3 dell'art. 593 c.p.p., mediante la previsione espressa della inappellabilità delle sentenze di applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità ed abbia lasciato invariato il testo precedente. Ciò, ovviamente, all'interno del sistema delle impugnazioni che è retto dal principio di tassatività delle impugnazioni medesime.

 

7. Le ragioni poste a base della decisione della III Sezione penale n. 20573/2024 avrebbero meritato di essere portate all’attenzione delle Sezioni Unite al fine di valutare se rivedere il pregresso orientamento espresso dalle Sezioni Unite Bonifazi. Invero, le Sezioni Unite Bonifazi si sono espresse in relazione ad un testo normativo, l’ultimo comma dell’art. 593 c.p.p., che tra il 2018 e il 2022 ha subito significative modifiche. In particolare, con il d. lgs. n. 150/2022 il legislatore non si è limitato ad alcune interpolazioni della norma, ma l’ha completamente sostituita. È vero che nella prima parte, che è proprio quella che più interessa, il nuovo testo ripropone quello frutto delle aggiunte effettuate dal d. lgs. n. 11/2018, ma questo evidenzia semplicemente la volontà del legislatore di ribadire la compatibilità del precedente intervento modificativo anche a fronte delle ulteriori modifiche apportate. Il nuovo testo del comma 3 dell’art. 593 c.p.p., in una prospettiva letterale, sistematica e teleologica, non sembrerebbe condurre alle medesime conclusioni cui era pervenuta la sentenza delle Sezioni Unite Bonifazi. La ratio dell’ultimo intervento modificativo è chiaramente l’ampliamento dei casi di inappellabilità, e ciò lo si desume anche dal fatto che il legislatore ha esteso l’area dell’inappellabilità anche alle sentenze di proscioglimento relative a delitti puniti con pena pecuniaria o pena alternativa, in tale modo “sganciando” questi casi dai precedenti[15]. Con riguardo alle sentenze di condanna, il mantenimento delle parole “in ogni caso”, frutto già delle modifiche apportate nel 2018, rende evidente l’intenzione del legislatore di estendere l’area dell’inappellabilità a tutte le sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda, sia che si tratti di sentenze di condanna relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda, ovvero con pena alternativa, in ordine alla quale il giudice ha optato per la pena pecuniaria, sia relative a sentenze in cui il giudice ha irrogato, erroneamente, la pena dell’ammenda. Ciò che rende “in ogni caso” (locuzione che non era presente nel testo del comma 3 dell’art. 593 c.p.p. oggetto di esegesi da parte delle Sezioni Unite Bonifazi) inappellabile la sentenza è che il giudice ha “applicato” la sola pena dell’ammenda. In questo contesto anche la sentenza che applica la pena dell’ammenda in sostituzione della pena detentiva dell’arresto (prevista da sola in origine o come pena alternativa o congiunta a pena pecuniaria) è una sentenza inappellabile, poiché “in ogni caso” è una sentenza che applica solo la pena dell’ammenda. D’altra parte, sarebbe davvero irragionevole prevedere l’inappellabilità della sentenza di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, che può essere applicata in sostituzione di pena detentiva (reclusione o arresto) fino a tre anni, e prevedere l’appellabilità della sentenza di condanna alla pena dell’ammenda che, quale pena pecuniaria sostitutiva, può essere applicata in sostituzione della pena dell’arresto fino al massimo di un anno, dunque di una sentenza che, in termini di gravità della pena, applica una sanzione di gran lunga meno grave, anche in una prospettiva di revoca della pena sostitutiva e di conversione della stessa. Proprio la previsione dell’inappellabilità della sentenza di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità dà conferma della bontà dell’opzione esegetica privilegiata. Invero, anche la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità può essere revocata e convertita, ai sensi dell’art. 66 della legge n. 689/81, nella pena detentiva sostituita o, e questa è una novità significativa della riforma c.d. Cartabia, in altra pena sostitutiva più grave, segno che il sistema delle pene sostitutive (non più sanzioni sostitutive) ha una sua autonoma dignità, non essendo obbligato il giudice della revoca a convertire necessariamente la pena sostitutiva con la pena detentiva sostituita. Per la pena pecuniaria sostitutiva, a differenza del passato, ai sensi dell’art. 71 legge n. 689/81, la revoca non comporta più l’automatica conversione della stessa nella pena detentiva sostituita, ma la conversione in una più grave pena sostitutiva (che, nel caso del mancato pagamento “colpevole”, sarà quella della detenzione domiciliare o della semilibertà sostitutiva, mentre nel caso del mancato pagamento “incolpevole” potrà essere anche il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, se il condannato non si oppone, oppure la detenzione domiciliare sostitutiva), e ciò proprio al fine di «scongiurare il pericolo che proprio la pena sostitutiva più mite, per eccellenza, possa convertirsi nella reclusione o nell’arresto per periodi di breve durata, pari o inferiori a un anno, comportando un esito contrastante con l’obiettivo generale della lotta alla pena detentiva breve» .[16] Dunque, se la sentenza di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità sostitutivo, che può essere, in caso di revoca, convertita anche nella pena detentiva sostituita, non è appellabile, a maggior ragione non può essere appellabile la sentenza di condanna alla pena sostitutiva dell’arresto che, in caso di revoca, non potrà mai comportare la sostituzione con la pena detentiva originaria, ma solo con altra pena sostitutiva (salvo la remota ipotesi prevista dall’art. 108 legge n. 689/81, della c.d. conversione di secondo grado). Il passaggio da “sanzioni” a “pene” sostitutive ha comportato l’inserimento non solo formale, attraverso l’art. 20-bis c.p., delle stesse nel sistema delle “pene”, ma anche una sostanziale autonomia delle pene sostitutive rispetto alle pene detentive sostituite, che, proprio per le pene pecuniarie, trova un suo preciso riferimento normativo nell’art. 57, ultimo comma, della legge n. 689/81, il quale, nel ribadire, come in precedenza, che la pena pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostitutiva della pena detentiva, oggi acquista un diverso significato, alla luce del fatto che, una volta applicata la pena pecuniaria sostitutiva, quest’ultima, a differenza del passato, non potrà essere convertita nell’originaria pena detentiva sostituita. Ne consegue che, una volta che il giudice ha emesso sentenza di condanna applicando la pena pecuniaria sostitutiva dell’ammenda (indicando nel dispositivo non solo, come in passato, la specie e la durata della pena detentiva sostituita, ma anche la specie, la durata e l’ammontare della pena sostitutiva: art. 61 legge n. 689/81), quest’ultima assume una sua specifica autonomia, e, pertanto, la pronuncia non è appellabile come tutte le sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda. D’altra parte, l’istituto della conversione della pena pecuniaria sostitutiva opera sul piano dell’esecuzione della pena, non sotto il profilo della sua applicazione, che è quello che viene in rilievo ai sensi dell’art. 593, comma 3, c.p.p. Quanto al consenso, necessario per l’applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, ma non per la pena pecuniaria sostitutiva, deve osservarsi che è richiesto principalmente per esigenze di conformità della pena sostitutiva con il divieto di lavori forzati ed obbligatori di cui all’art. 4 CEDU.[17] Tale consenso, secondo la legge delega, poteva esprimersi anche attraverso la non opposizione (art. 1, comma 17, lett. e) legge n. 134/2021). Avendo lo stesso legislatore delegante previsto l’inappellabilità della sentenza di condanna alla pena del lavoro di pubblica utilità sostitutivo (art. 1, comma 13, lett. e), legge n. 134/2021), si è ritenuto di attribuire particolare formalità al consenso espresso dall’imputato, disciplinandolo in modo coerente rispetto alle forme previste per la rinuncia all’impugnazione.[18] Dunque, il consenso all’applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità sostitutivo non è direttamente collegato all’inappellabilità della sentenza di condanna, quanto piuttosto al contenuto della pena sostitutiva, che prevede un obbligo di facere in capo al condannato, che può essere giustificato, sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali, solo sulla base del suo assenso. Per contro, il richiamo all’inappellabilità della sentenza si pone con riguardo alla forma che deve rivestire il consenso dell’imputato: la previsione dell’inappellabilità della sentenza di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità sostitutivo ha fatto preferire un’opzione formalistica dell’assenso dell’imputato, necessario, come detto, ad altri fini, piuttosto che una mera non opposizione. Ne consegue che non è il consenso all’applicazione della pena sostitutiva che giustifica l’inappellabilità della sentenza di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità sostitutivo, poiché, se così fosse, sarebbe stato incoerente non prevedere l’inappellabilità anche della sentenza di condanna alle altre pene-programma sostitutive, che pure necessitano, per la loro applicazione, del consenso dell’imputato. In realtà, l’opzione legislativa si fonda sulla netta distinzione fra le pene sostitutive, lasciando la possibilità del doppio grado di giudizio di merito in relazione alle sentenze di condanna alle pene-programma sostitutive dal contenuto maggiormente afflittivo, avendo natura detentiva, e, invece, prevedendo l’inappellabilità della sentenza di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità sostitutivo, che certamente incide su diritti fondamentali, ma non ha natura detentiva. E se questa è la ratio di fondo, che ha mosso il legislatore, sarebbe irragionevole prevedere l’inappellabilità della sentenza di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità sostitutivo e continuare a prevedere l’appello avverso la sentenza di condanna alla pena pecuniaria sostitutiva dell’ammenda, che, a differenza dell’altra, in sede di applicazione, non incide minimamente sulla persona del condannato, ma solo sul suo patrimonio. In conclusione, è auspicabile che le Sezioni Unite tornino ad occuparsi del disposto del comma 3 dell’art. 593 c.p.p., chiarendo, ancora una volta, l’ambito applicativo dell’inappellabilità della sentenza di condanna alla sola pena dell’ammenda.     

 

 

 

 

[1] Sia consentito il rinvio a G. Biondi, “Il giudizio di appello penale dopo la riforma Cartabia”, in Giurisprudenza Penale web, 2022, 12, p. 10 nt. 11.

[2] vedi relazione pubblicata su questa rivista, 25 maggio 2021.

[3] Inaugurato da Cass. pen. sez. un. 3 febbraio 1995, n. 7902, imp. Bonifazi, e proseguito fino a Cass. pen. sez. III, 11 febbraio 2016, n. 14738.

[4] Cass, pen., sez. III, 24 novembre 2017, n. 53430; nello stesso senso anche Cass. pen. sez. IV, 5 marzo 2013, n. 10252, nonché Cass. pen. sez. IV 27 gennaio 2016, n. 3622, nella quale è precisato che l'eventuale ricorso per cassazione va convertito in atto di gravame di fronte alla Corte di appello.

[5] Cass. pen. sez. IV, 1 aprile 2014, n. 15041; nello stesso senso Cass. pen. sez. IV, 26 aprile 2013, n. 18654.

[6] Da ultimo Cass. pen. sez. I, 3 dicembre 2021, n. 31878/22 e Cass. pen. sez. III, 14 settembre 2022, n. 47031. In dottrina (A. Nappi, “Nuova guida al codice di procedura penale”, § 75.1.1. nt. 308, ed. Carabba) si ritiene ragionevole che sia ammissibile l’appello proposto per fare rilevare l’errore, inammissibile l’appello proposto per negare la responsabilità. Senza approfondire eccessivamente l’argomento, la tesi, però, potrebbe avere una sua plausibilità. Invero, l’interesse a rilevare l’errore in cui è incorso il giudice nell’applicare la sola pena dell’ammenda, pur a fronte di un reato punito con pena congiunta detentiva e pecuniaria, è ovviamente del pubblico ministero, il quale, ai sensi dell’art. 593, comma 1, c.p.p. può appellare le sentenze di condanna che stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, locuzione, quest’ultima, che la Cassazione interpreta come “pena di specie diversa rispetto a quella prevista per il reato per il quale vi è stata condanna” (Cass. pen. sez. VI, 26 marzo 2021, n. 18114, fattispecie in cui il giudice di primo grado aveva condannato l’imputato alla sola pena della multa in relazione al reato di minaccia aggravata per il quale è prevista la pena della reclusione. La Corte ha qualificato il ricorso per cassazione del pubblico ministero come ricorso per saltum ai sensi dell’art. 569, comma 1, c.p.p., disponendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello ex art. 569, comma 4, c.p.p., sul presupposto che la sentenza fosse in origine appellabile). Per contro, l’impugnazione dell’imputato, tesa a contestare la sua responsabilità penale, potrebbe essere qualificata come ricorso per cassazione, attribuendo all’inciso “in ogni caso” il senso di considerare ricorribile per cassazione sempre la sentenza di condanna alla sola pena dell’ammenda, anche se frutto di errore del giudice. Tuttavia, va anche aggiunto che, con riguardo al diverso caso in cui la condanna alla pena dell’ammenda è risultato il frutto di una diversa qualificazione giuridica del reato, ovvero dell’esclusione di una circostanza aggravante ad effetto speciale, la Cassazione ha ritenuto ricorribile per cassazione la sentenza ai sensi del comma 3 dell’art. 593 c.p.p., e non invece appellabile ex comma 1 dell’art. 593 c.p.p. (ovvero ex art. 443, comma 3, c.p.p.), proprio sul presupposto che la locuzione “in ogni caso” inserita nel comma 3 dell’art. 593 c.p.p. dal d. lgs. n. 11/2018 sancisca l’inappellabilità di qualsiasi sentenza di condanna che in concreto applichi la sola pena dell’ammenda, senza consentire alcuna deroga (in giurisprudenza si vedano Cass. pen. sez. II, 12 gennaio 2021, n. 7042 e Cass. pen. sez. I, 14 gennaio 2022, n. 4504; in dottrina O. Murro, “I nuovi limiti all’appello. Tra ambizioni e compromessi”, in AA.VV., “La riforma Cartabia” (a cura di G. Spangher), Pacini Giuridica, p. 605, secondo la quale l’incipit del comma 3 dell’art. 593 c.p.p., che prevede l’inappellabilità “in ogni caso”, configura una dicitura che delinea come la preclusione operi per tutte le parti e a prescindere dalle dinamiche rituali - procedimento ordinario o speciale -).

[7] Cass. pen. sez. I, 9 maggio 2024, n. 33605.

[8] Solo per inciso va detto che, come in precedenza, con riguardo alla penultima versione del comma 3 dell’art. 593 c.p.p. nel testo modificato dal d. lgs. n. 11/2018, la Cassazione ne aveva ritenuto la compatibilità costituzionale (vedi Cass. pen. sez. III, 16 aprile 2021, n. 18154), così anche rispetto alla versione introdotta dal d. lgs. n. 150/2022 la Suprema Corte (vedi Cass. pen. sez. IV, 16 aprile 2024, n. 24097) ha reputato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 593, comma 3, c.p.p., come modificato dall'art. 34, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150 del 2022, per contrasto con gli artt. 3, 25, 27, 32, 97, 102, 106 e 111 Cost. e 6 CEDU, nella parte in cui prevede l'inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell'ammenda o a quella del lavoro di pubblica utilità e delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con pena pecuniaria o con pena alternativa, non avendo il doppio grado di merito copertura costituzionale e corrispondendo l'inappellabilità delle sentenze concernenti fatti di modesta rilevanza a una scelta legislativa legittima, in quanto finalizzata a migliorare l'efficienza del sistema delle impugnazioni. In motivazione, la Corte ha altresì evidenziato che le garanzie della giurisdizione risultano comunque assicurate nell'ambito del giudizio di primo grado e per effetto dello scrutinio di legittimità della sentenza, nonché, per la persona offesa, dalla facoltà di adire la giurisdizione civile a tutela dei propri diritti.

[9] Cass. pen. sez. III, 12 gennaio 2024, n. 7247.

[10] Cass. pen. sez. IV, 30 gennaio 2024, n. 11375.

[11] In senso sostanzialmente adesivo a questo orientamento senza particolari argomentazioni si segnala Cass. pen. sez. IV, 2 ottobre 2024, n. 39612.

[12] Cass. pen. sez. III, 13 marzo 2024, n. 20573, in Diritto&Giustizia, 27 maggio 2024, con nota di L. Palmieri, “Inappellabili le sentenze di condanna che applicano la pena dell’ammenda in sostituzione della pena detentiva”.

[13] Cass. pen. sez. II, 15 ottobre 2024, n.43746. In motivazione la corte ha aggiunto: Ne consegue che sono inappellabili tutte le sentenze che «applicano» la sola pena pecuniaria, a prescindere dalla pena edittalmente prevista, dunque, anche quelle che giudicano reati puniti astrattamente con la pena congiunta, nei casi in cui quella detentiva sia convertita nella pena pecuniaria. Se così non fosse, il legislatore avrebbe utilizzato una diversa terminologia, facendo riferimento alla pena «prevista» (Sez. 1, n. 33605 del 9/5/2024, Meggiorin, n.m.; Sez. 1, n. 26308 del 23/3/2023, Bazzano, n.m.; Sez. 3, n. 47031 del 14/09/2022, Sobrio, Rv. 283825 - 01; Sez. 1, n. 31878 del 3/12/2021, dep. 2022, Donadio, Rv. 283391 - 01; Sez. 4, n. 34253 del 1/7/2014, Moscato, 259773 - 01; Sez. 4, n. 15041 del 07/03/2014, Fabio, Rv. 261564 - 01; Sez. 4, n. 18654 del 21/03/2013, Carapella, Rv. 255936 - 01; Sez. 1, n. 11200 del 26/9/1994, Coppi, Rv. 199617 - 01). Del resto, detta distinzione non è nuova, trovando plurime evidenze nel codice di rito: così, solo a titolo di esempio e senza alcuna pretesa di completezza, in materia di competenza per territorio (art. 16, comma 3 cod. proc. pen.) o di misure cautelari (artt. 274, lett. c) e 280, comma 2, cod. proc. pen.), il legislatore fa testuale riferimento alla pena «prevista», riferendosi evidentemente alla pena edittale, mentre in tema di applicazione della pena su richiesta (art. 445, comma 2, cod. proc. pen.) o nel caso di condanna per una pluralità di reati (artt. 533, comma 2, cod. proc. pen.), così come nell'ipotesi in esame di cui all'art. 593, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., utilizza testualmente il termine «applicata», altrettanto evidentemente per indicare la sanzione in concreto irrogata. Peraltro, con riferimento all'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., deve essere evidenziato i) come la modifica apportata dal d.lgs. n. 11 del 6/2/2018, che ha introdotto l'inciso «in ogni caso», renda ancora più evidente la volontà del legislatore di prevedere l'inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali sia stata applicata la sola pena dell'ammenda, atteso che tale regime viene affermato come adottabile qualunque sia il motivo dell'applicazione di tale pena a (Sez. 3, n. 47031/2022, cit.); li) come la recente Riforma Cartabia non abbia inciso sui presupposti della inappellabilità di cui si discute, essendosi limitata ad aggiungere, dopo le parole «pena pecuniaria», l'inciso «o la pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità», introdotta dall'art. 1 lett. a) d.lgs. n. 150 del 2020, attraverso l'inserimento nel codice penale dell'art. 20-bis”.

[14] Cass. pen. sez. IV, 23 ottobre 2024, n. 41708.

[15] Come si ricorderà, uno degli argomenti utilizzati dalle Sezioni Unite Bonifazi per affermare l’appellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda riguardava proprio l’asserito parallelismo rispetto alla seconda parte del comma 3 dell’art. 593 c.p.p., e cioè rispetto all’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa. Si legge, infatti, nella citata sentenza: “si aggiunga che, nella seconda parte dello stesso comma (dell'art. 593), l'inappellabilità delle sentenze, non di condanna, ma di proscioglimento, è riferita, con corretto parallelismo, alle contravvenzioni "punite con la sola ammenda o con pena alternativa". Sono queste, dunque, le contravvenzioni oggetto della disciplina del terzo comma citato: con l'ulteriore rilievo che, per l'inappellabilità del proscioglimento, la norma fa, ovviamente, riferimento, alla pena alternativa prevista, mentre, con evidente "favor rei", limita l'inappellabilità, nel caso di condanna, alla sola ipotesi in cui, fra le due pene, astrattamente e alternativamente previste, sia applicata l'ammenda”. L’ampliamento delle ipotesi di inappellabilità anche alle sentenze di proscioglimento per delitti punti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa sembra elidere questa asserito parallelismo, svuotando di attualità il relativo argomento.

[16] Così testualmente la relazione illustrativa al d. lgs. n. 150/2022, pubblicata in G.U., serie generale n. 245, suppl. straordinario n. 5, 19 ottobre 2022, p. 446.

[17] Si veda pagg. 366 della relazione illustrativa al d. lgs. n. 150/2022, cit.

[18] Relazione illustrativa al d. lgs. n. 150/2022, cit., p. 414. Per le altre pene-programma sostitutive, per contro, il consenso alla loro applicazione da parte dell’imputato è stato ritenuto necessario poiché, al passaggio in giudicato della sentenza, la pena sostitutiva troverà immediata applicazione, mentre, invece, per i condannati a pena detentiva non superiore ad anni quattro, che non avranno acconsentito all’applicazione della pena sostitutiva, opererà il meccanismo dei c.d. liberi-sospesi, di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p. In questo modo si è pensato di superare eventuali censure di illegittimità costituzionale (si veda sempre Relazione illustrativa al d. lgs. n. 150/2022, cit., p. 415).