ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Scheda  
29 Giugno 2023


Prime applicazioni del lavoro di pubblica utilità sostitutivo: un'interessante sentenza del Tribunale di Pavia

Tribunale di Pavia, u.p. 23 maggio 2023 (dep. 6 giugno 2023), giud. V. Giordano



*Il presente contributo è destinato alla pubblicazione nel fascicolo n. 6/2023.

 

1. Pubblichiamo in allegato una sentenza del Tribunale di Pavia che si segnala per alcuni interessanti passaggi inerenti ai contenuti e alla procedura di applicazione della nuova pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, così come delineata dal nuovo art. 56 bis l. 689/1981, inserito dal d.lgs. 150/2022 (cd. riforma Cartabia).

Nel caso in esame il Tribunale pavese ha ritenuto un uomo responsabile, in continuazione, dei reati di maltrattamenti e lesioni aggravate nei confronti della madre e lo ha condannato per tali fatti alla pena della reclusione di due anni e due mesi, poi sostituita, previa richiesta dell’imputato, con 1580 ore di lavoro di pubblica utilità sostitutivo, oltre a una serie di altre prescrizioni ritagliate sulle sue esigenze di risocializzazione.

In particolare, tre aspetti di questa sentenza meritano attenzione: il ruolo assunto dall’UEPE, il contenuto della pena sostitutiva e il tipo di reati coinvolti nella vicenda.

 

2. Il primo aspetto per cui questa sentenza si segnala riguarda il ruolo che il giudice ha attribuito all’UEPE nella ‘costruzione’ della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità (LPU).

Occorre premettere che il d.lgs. 150/2022, nel ridisegnare i contenuti e il funzionamento delle pene sostitutive, ha conferito una funzione di particolare rilievo ed importanza all’UEPE (Ufficio esecuzione penale esterna), chiamandolo ad «accompagnare e sostenere l’attività decisoria della autorità giudiziarie fornendo indicazioni concrete, realistiche ed accurate rispetto al tema della possibilità di percorrere concretamente traiettorie di vita caratterizzate da una dimensione rieducativa efficace in uno scenario non detentivo [...]» nonché alla «progettazione e realizzazione (con una attività di costante monitoraggio dell’efficacia concreta di quanto messo in opera e la conseguente rimodulazione di quanto inizialmente progettato, ove ciò fosse necessario) di offerte e percorsi trattamentali adeguati alle singole situazioni, strettamente connessi alla concreta quotidianità delle cerchie sociali nelle quali le persone sono inserite»[1].

Nella pratica, tali interventi si traducono in un concreto impegno degli Uffici nella raccolta di informazioni e nella predisposizione di un programma di trattamento da sottoporre al vaglio del giudice di cognizione, nonché nella fase successiva di esecuzione e monitoraggio della pena sostitutiva.

Consapevole della limitatezza delle risorse dell’UEPE e dell’esigenza di non appesantire e «aggiungere complessità non necessarie (ed anzi controproducenti) ad uno scenario già di per sé straordinariamente ricco e articolato»[2], il legislatore sembra aver modulato – per quanto riguarda le nuove sanzioni sostitutive – i livelli di intervento richiesti all’UEPE. Dalla lettura degli artt. 53 ss. della l. 689/1981, così come modificata dal d.lgs. 150/2022, emerge solo per la semilibertà sostitutiva (art. 55) un definito e necessario ruolo dell’UEPE, chiamato alla redazione di un programma di trattamento (da sottoporre poi al vaglio del giudice di cognizione) che, secondo le esigenze del caso concreto, bilanci le ore da trascorrere in istituto con attività di lavoro, studio, formazione professionale o comunque utili alla rieducazione ed al reinserimento sociale del semilibero.

Più vago – lasciando margine al giudice di operare anche in autonomia, senza coinvolgere l’UEPE – è invece il testo dell’art. 56 che, nel disciplinare il contenuto e le modalità applicative della detenzione domiciliare sostitutiva, prevede che il giudice possa disporre tale pena sostituiva «tenendo conto anche del programma di trattamento elaborato dall’UEPE». Che il giudice di cognizione possa applicare la detenzione domiciliare sostitutiva senza il necessario intervento in udienza dell’UEPE (che conserva, tuttavia, il suo ruolo in fase esecutiva) è già stato confermato da alcune sentenze, oltre che dalle linee guida di alcuni uffici giudiziari (in particolare Milano, Napoli Nord e Torino).

Pur trattandosi di una ‘pena-programma’ al pari della semilibertà e della detenzione domiciliare sostitutive, nel lavoro di pubblica utilità sostitutivo (art. 56 ter) scompare ogni riferimento al coinvolgimento dell’UEPE nella predisposizione del programma di trattamento; tanto che le sopracitate linee guida, lo escludono espressamente (Milano), salvo il presentarsi di situazioni di particolare complessità (Napoli Nord e Torino).

Discostandosi apertamente dalle linee guida milanesi (e seguendo un approccio più simile a quello di Torino e Napoli Nord) il Tribunale di Pavia ha ritenuto che nel caso di specie «proprio al fine di accrescere il proprio patrimonio conoscitivo e delineare una pena quanto più individuale possibile il coinvolgimento dell’UEPE nella redazione del programma di trattamento – per quanto non obbligatorio – fosse necessario per la complessità del contesto di vita dell’imputato».

Così, dunque, dopo la lettura del dispositivo, il giudice ha dato all’imputato gli avvisi ex art. 545 bis co. 1 c.p.p, l’imputato ha avanzato richiesta di sostituzione della pena con LPU e il giudice, sentiti il PM e la parte civile, ha dichiarato sospeso il processo, dando contestualmente incarico all’UEPE della predisposizione di un programma, con ricerca di un ente ove svolgere i lavori. Nell’udienza successiva – la cd. udienza di sentencing acquisita la relazione UEPE e raccolto il rinnovato consenso dell’imputato, il giudice ha dato lettura del dispositivo integrato ai sensi dell’art. 545 bis co. 3 c.p.p., sostituendo la pena detentiva precedentemente comminata con la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità.

Sul punto non può che osservarsi la positiva collaborazione dell’UEPE pavese che, pur formalmente esonerato da tale compito, ha fornito al giudice una relazione completa delle complesse dinamiche familiari della vita dell’imputato, raccogliendo altresì la disponibilità di un ente allo svolgimento delle ore di LPU sostitutivo e l’adesione dell’imputato allo svolgimento di una contestuale attività di formazione professionale, idonea al suo reinserimento lavorativo.

Se, da un lato, non può che salutarsi con favore la disponibilità degli Uffici dell’esecuzione penale esterna – che hanno le competenze e gli strumenti per indagare il contesto sociale di vita dell’imputato – ad affiancare il giudice nella delicata fase di calibrazione della pena sostitutiva nei casi più complessi, dall’altro lato non si può che confidare, in via generale, nella piena capacità dei giudici di cognizione, affiancati in questo dall’imprescindibile contributo dei difensori, di procedere in autonomia a una ponderata commisurazione della pena sostitutiva, proporzionata ed idonea a favorire la reintegrazione del condannato. Infatti, stante l’attuale quadro normativo e le poche risorse (umane ed economiche) affidate all’UEPE, è ragionevole pensare che la tenuta del sistema dipenderà in buona parte dalla leale e proficua collaborazione tra UEPE e magistratura, come nel caso in esame: solo la ponderata decisione di coinvolgere l’UEPE nei soli casi strettamente necessari consentirà di limitare il  rischio di sovraccaricare gli Uffici, già gravati delle richieste di intervento obbligatario ex art. 55, garantendo la qualità del lavoro di indagine sociale e programmazione e, di conseguenza, la qualità della pena sostitutiva inflitta.

 

3. Strettamente legato a questi profili è il contenuto finale della pena sostitutiva applicata dal giudice pavese. Due, in particolare, gli aspetti più interessanti.

3.1. Il primo riguarda i possibili profili problematici che possono scaturire da un elevato numero di ore di LPU sostitutivo. L’art. 57 co. 1 l. 689/1981 prevede che la durata del LPU sostitutivo corrisponda a quella della pena detentiva sostituita, che sia determinata sulla base dei criteri di cui all’art. 56 bis e che un giorno di pena detentiva corrisponda a un giorno di LPU sostitutivo[3]. L’art. 56 bis co. 3, stabilisce che ai fini del computo della pena da espiare in concreto un giorno di LPU consiste nella prestazione di due ore di lavoro: come spiegato anche nella Relazione illustrativa, ciò significa che, ad esempio, se il giudice «decide di sostituire due anni di reclusione con il LPU, dovrà prima convertire la pena in giorni (pari a 730) e poi moltiplicare il numero di giorni per due, ottenendo così il numero di ore di LPU corrispondenti alla pena detentiva sostituita (1.460)»[4].

A ciò deve aggiungersi quanto stabilito dall’art. 56 bis co. 2 il quale stabilisce che tali ore di lavoro dovranno essere svolte dal condannato nel rispetto del limite massimo di 8 ore giornaliere e di 15 ore settimanali (con un minimo di 6)

Nel caso di specie il giudice ha condannato l’imputato alla pena di due anni e due mesi di reclusione: ossia 790 giorni di lavoro, pari a 1580 ore complessive di lavoro di pubblica utilità.

Nell’ipotesi in cui il condannato svolgerà ogni settimana il numero massimo di ore consentito la pena verrebbe espiata in poco più di due anni; all’opposto, nell’ipotesi in cui il condannato si atterrà al minimo di sei ore settimanali (magari per la concomitante presenza di impegni lavorativi retribuiti) la pena sarà espiata in oltre cinque anni.

Tali considerazioni ci portano a constatare, in primo luogo, la concreta afflittività del lavoro di pubblica utilità sostitutivo: nel caso in cui il suo destinatario abbia un lavoro a tempo pieno o altre esigenze di vita, difficilmente potrà raggiungere il limite di quindici ore settimanali, con la conseguenza che la pena sostitutiva si protrarrà per un tempo superiore (oltre il doppio) a quello della pena detentiva sostituita. Anche nella percezione della persona offesa e, più in generale, della società, il LPU sostitutivo, dunque, non potrà che essere percepito come uno strumento dal «reale contenuto sanzionatorio»[5], nonostante la natura non detentiva.

In secondo luogo, e forse questo è il profilo più problematico, la potenziale esteso numero di ore di LPU sostitutivo potrebbe porre problemi nella individuazione di un ente disponibile (questione che, peraltro, non si è posta nel caso in esame) con il rischio di accantonamento di questa nuova pena sostitutiva. Un argine a questa possibile deriva potrebbe arrivare grazie a soluzioni alternative nella prassi: dalla stipula di apposite convenzioni con gli enti, a nuove linee guida degli uffici giudiziari che consentano di frazionare lo svolgimento delle ore presso enti diversi o di presentare in itinere la disponibilità degli enti.

 

3.2. Un secondo profilo di interesse della sentenza in esame riguarda la decisione del Tribunale di Pavia di applicare, oltre alle prescrizioni obbligatorie ex art. 56 ter (divieto di detenere o portare armi, munizione ed esplosivi; divieto di frequentare pregiudicati; obbligo di permanenza nel territorio della Regione; obbligo di conservare es esibire il provvedimento che applica la pena sostitutiva; ritiro del passaporto) la prescrizione facoltativa del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ex art. 56 ter ultimo comma.

Come ampiamente motivato, si tratta di una decisione dettata dalla necessità di tutela della persona offesa e di neutralizzazione del rischio di recidiva posto che tale misura, già applicata in fase cautelare, si era dimostrata idonea ed efficace ad interrompere la reiterazione del reato. Anche in questo caso, la flessibilità della pena sostitutiva consente al giudice di contemperare le diverse esigenze in gioco: in prima battuta si attiva un contenuto facoltativo ma previdentemente approntato dal legislatore, che consente di tenere in considerazione, oltre alle esigenze del reo, quelle della persona offesa. Un contenuto che, in sostanza, rende ‘appetibile’ il LPU sostituivo anche in ipotesi di reati gravi, laddove il rischio di reiterazione di condotte violente nei confronti della persona offesa è presente, ma può essere arginato anche fuori dal carcere. In seconda battuta, anche questo strumento di neutralizzazione è estraneo da ogni automatismo ma, anzi, è nella piena disponibilità del giudice, che può adeguarlo alle esigenze concrete. Sul punto, infatti, il giudice pavese richiama e ritiene applicabili alla misura in esame alcuni principi espressi da Corte di cassazione con riguardo alla omonima misura cautelare, laddove si era ritenuto che il divieto di avvicinamento si riferisse alla persona offesa in quanto tale, e non solo ai luoghi da questa frequentati, con evidente privilegio della libertà di circolazione e relazione del soggetto passivo. Si preoccupa, tuttavia, il giudice che «ove non compiutamente delineata» tale misura rischierebbe «di divenire ineseguibile ovvero di comprimere eccessivamente la libertà costituzionale di circolazione dell’imputato, imponendo una condotta di non facere del tutto indeterminata». Per scongiurare tale rischio, opta per incentrare il divieto di avvicinamento entro 500 metri dalla sola dimora della persona offesa, ossia il luogo ove si sono consumate la maggior parte delle condotte contestate.

 

4. È senza dubbio l’idea di flessibilità della pena sostitutiva che ha ispirato la legge delega, unita all’apporto delle prescrizioni obbligatorie e facoltative previste e al programma di trattamento redatto (in questo caso dall’UEPE), che ha consentito di applicare il LPU sostitutivo anche a tipologie di reato gravi, quali i maltrattamenti nei confronti di familiari e le lesioni. Come nota lo stesso giudice pavese, infatti, la pena sostitutiva concretamente delineata all’esito della calibrazione delle prescrizioni e delle attività di trattamento «assume una connotazione molto più ampia e diversificata dal mero svolgimento di lavori di pubblica utilità, conformando una pena che, nel tentativo di delineare un percorso di recupero sociale, affianca condizioni afflittive in grado di disinnescare rischi di recidiva».

Si tratta, per vero, della sfida comune di tutte le nuove pene sostitutive delle pene detentive: togliere al carcere l’egemonia sanzionatoria, a favore di pene-programma ritagliate sul condannato, e come tali più efficaci e idonee a scongiurare il rischio di recidiva[6]. Il lavoro di pubblica utilità – oggi pena sostitutiva della pena detentiva fino a tre anni – è uno strumento sostitutivo già sperimentato nel nostro ordinamento ma, sino ad oggi, limitato a un ristrettissimo novero di reati: guida sotto l’influenza dell’alcool (art. 186, co. 9 bis d.lgs. n. 285/1992), guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti (art. 187, co. 8 bis d.lgs. n. 285/1992) – entrambe contravvenzioni punite nel massimo con un anno di arresto – e produzione o traffico di stupefacenti di lieve entità commesso da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 73, co. 5 bis d.P.R. n. 309/1990), punito con la reclusione pari, nel massimo, a quattro anni.

Al di là delle molte altre vesti in cui il lavoro di pubblica utilità compare nel nostro ordinamento, i dati delle sue applicazioni in forma sostitutiva ante riforma (per i reati appena nominati) lasciano trasparire le potenzialità della estensione generalizzata di questa (nuova) pena sostitutiva: nel 2021 le persone prese in carico dall’UEPE in esecuzione del LPU sono state 15.228, per reati connessi alla circolazione stradale, e 1.004, per reati in materia di stupefacenti; nel 2022, rispettivamente, 15.179 e 1.063; al 31 maggio 2023, invece, 12.616 e 1071[7].

Dati incoraggianti per una pena sostitutiva che oggi, con i contenuti di una pena-programma, ritagliata sulla persona del condannato e in grado di escludere ogni rischio di desocializzazione ha tutte le carte per guadagnare un ruolo di prim’ordine nel sistema sanzionatorio.  

 

 

 

[1] Così la Circolare Ministero della Giustizia, Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità, 26 ottobre 2022, n. 3, p. 11 ss.  Per un approfondimento si veda A. Calcaterra, UEPE: prime indicazioni operative del Ministero della Giustizia, in questa Rivista, 21 novembre 2022.

[2] Circolare Ministero della Giustizia, cit.

[3] Per il LPU sostitutivo, poi, il criterio della corrispondenza della durata a quella della pena detentiva sostituita è espressamente previsto dalla legge delega (art. 1, co. 17, lett. f) l. n. 134/2021. La menzione espressa della regola per il solo LPU, da parte della legge delega, si spiega in ragione della volontà di derogare rispetto al limite massimo di sei mesi, previsto dall’art. 54 d.lgs. n. 274/2000 per il LPU quale pena principale irrogabile dal giudice di pace.

[4] Si veda la Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, pubblicata in questa Rivista, il 20 ottobre 2022.

[5] Ancora, Relazione illustrativa, cit., p. 198

[6] Ampiamente sul punto, G.L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della ‘legge Cartabia’, in questa Rivista, 15 ottobre 2021; E. Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive, in questa Rivista, 30 agosto 2022.

[7] I dati sono consultabili sul sito del Ministero della Giustizia nella sezione del sito dedicata alle statistiche degli adulti in area penale esterna.