Cass., Sez. I, sent. 16 ottobre 2024 (dep. 29 novembre 2024), n. 43844, Pres. Rocchi, rel. Calaselice
*Contributo pubblicato nel fascicolo 1/2025.
1. Con l’annotata sentenza, la Corte di cassazione è tornata a occuparsi del tema dell’applicazione delle nuove pene sostitutive nell’ambito del rito speciale del patteggiamento, tema già affrontato da altri contributi pubblicati su questa Rivista[1]. Oltre a tale profilo – che senza dubbio resta il punto focale della sentenza, tanto da esitare nella formulazione di un principio di diritto (infra, 6) –, la pronuncia in commento offre però diversi altri spunti di interesse, relativi sia ai margini di intervento del giudice sulla pena sostitutiva già applicata, sia soprattutto ai rapporti tra pene sostitutive e misure di prevenzione personali.
2. Il ricorrente, imputato per il reato di usura, trovava con il pubblico ministero un accordo per la definizione anticipata del procedimento ai sensi dell’art. 444 ss. c.p.p., concordando una pena di un anno e sei mesi di reclusione e di quattromila euro di multa, da sostituire con il lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 56-bis l. n. 689/1981. Il giudice, ratificato l’accordo, pronunciava sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, che diveniva irrevocabile in data 22 settembre 2023.
Nel luglio 2024, tuttavia, il giudice dell’esecuzione disponeva con ordinanza la revoca della pena sostitutiva, verosimilmente (nella sentenza annotata non viene esplicitato) attraverso lo strumento di cui all’art. 66 l. n. 689/1981, sulla base di un duplice ordine di motivi: per un verso, in ragione del ritardo del competente ufficio di esecuzione penale esterna nella redazione del programma trattamentale e, per altro verso, a causa della sopravvenuta conoscenza per via informale di un provvedimento applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza che medio tempore aveva attinto il ricorrente.
3. Il ricorso, incentrato essenzialmente sull’erronea applicazione delle disposizioni relative all’esecuzione delle pene sostitutive di cui alla l. n. 689/1981, è stato ritenuto fondato dalla Suprema Corte, la quale, nell’annullare senza rinvio il provvedimento impugnato, ha colto anche l’occasione per tornare sul tema dei confini applicativi del nuovo art. 545-bis c.p.p. e, più in generale, su quello dei margini di sindacabilità, da parte del giudice del patteggiamento, dell’accordo tra pubblico ministero e imputato nella parte in cui prevede la sostituzione della pena detentiva con una delle nuove sanzioni introdotte dalla riforma Cartabia.
4. In primo luogo, la Corte di cassazione ha ribadito che, per sua pacifica giurisprudenza, la regola di cui all’art. 545-bis co. 1 c.p.p. – che, lo ricordiamo, a seguito della riscrittura operata dal d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31, stabilisce che, nel pronunciare sentenza di condanna, il giudice: a) di regola procede immediatamente alla sostituzione della pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui alla l. n. 689/1981; b) qualora non sia in grado di decidere immediatamente, sente le parti, acquisisce il consenso e dispone la sostituzione nella medesima udienza; c) qualora reputi necessari ulteriori accertamenti, rinvia la decisione sulla sostituzione a nuova udienza – trova applicazione con esclusivo riferimento al giudizio ordinario, non potendo essere estesa al rito alternativo del patteggiamento[2].
Secondo la Corte, tale impostazione troverebbe conferma in «altre disposizioni normative, la cui interpretazione coordinata consente di affermare che il procedimento che conduce alla definizione del giudizio con pena ‘patteggiata’, regolato da scansioni in cui il contraddittorio è ancora embrionale, è assistito da autonome garanzie di informazione e di promozione della scelta delle pene sostitutive, coerenti con la fluidità della fase processuale e con la natura deflattiva dell’istituto»[3].
Una prima conferma la si rinverrebbe nell’art. 447 co. 1 c.p.p., il quale, come si sa, prevede che, nel decreto di fissazione dell’udienza nella quale il giudice dovrà pronunciarsi sulla richiesta di applicazione della pena concordata dalle parti, «la persona sottoposta alle indagini è informata che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa». Ebbene, secondo la Suprema Corte, da tale obbligo informativo si potrebbe inferire un «implicito riferimento alla facoltà per l’indagato di accedere agli strumenti potenziati delle pene sostitutive»[4].
Una seconda conferma andrebbe poi rintracciata nell’art. 448 co. 1-bis c.p.p., laddove si prevede espressamente che «quando l’imputato e il pubblico ministero concordano l’applicazione di una pena sostitutiva di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il giudice, se non è possibile decidere immediatamente, sospende il processo e fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all’ufficio di esecuzione penale esterna competente»[5]. Secondo la Corte, infatti, «nessun richiamo risulta operato dalla suddetta disposizione» alla disciplina prevista dall’art. 545-bis co. 1 c.p.p., «palesando a maggiore ragione l’autonomia del procedimento che conduce all’applicazione della pena su richiesta delle parti rispetto al giudizio ordinario ove la pena, in caso di condanna, è determinata dal giudice sulla base di una valutazione discrezionale fondata sui criteri di cui all’art. 133 cod. pen.»[6].
In definitiva, secondo la Corte, la regola di cui all’art. 545-bis c.p.p. «non è applicabile al procedimento che conduce all’applicazione della pena su richiesta di cui all’art. 444 e ss. cod. proc. pen.», la quale è infatti «assistita da una propria disciplina tesa a valorizzare, anche in relazione al ricorso all’applicazione di misure sostitutive della pena detentiva, l’accordo negoziale dei contraddittori»[7]. Di conseguenza, il giudice del patteggiamento può applicare una delle pene sostitutive di cui agli artt. 20-bis c.p. e 53 l. n. 689/1981 «solo se tale sostituzione sia stata oggetto di pattuizione, non avendo, in caso contrario, altra alternativa tra l’accoglimento e il rigetto della richiesta»[8].
5. In secondo luogo, i giudici di legittimità si sono soffermati sui margini di sindacabilità della pena sostitutiva ‘patteggiata’ da parte del giudice chiamato a ratificare l’accordo.
Ebbene, per la Suprema Corte, lo strumento di cui il giudice del procedimento speciale di cui all’art. 444 ss. c.p.p. può (rectius, dovrebbe) servirsi è quello previsto dall’art. 545-bis co. 2 c.p.p. Ai sensi di tale disposizione, infatti, «al fine di decidere sulla sostituzione della pena detentiva e sulla scelta della pena sostitutiva», nonché «ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni relative, il giudice può acquisire dall’ufficio di esecuzione penale esterna e, se del caso, dalla polizia giudiziaria tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali dell’imputato», così come può richiedere, «all’ufficio di esecuzione penale esterna, il programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità con la relativa disponibilità dell’ente».
Il giudice del patteggiamento, dunque, dispone dei poteri conoscitivi necessari per poter valutare la congruità o meno, ex art. 444 co. 2 c.p.p., della pena sostitutiva su cui le parti hanno raggiunto l’accordo. Tuttavia, «una volta ammesso il rito speciale e pronunciata la sentenza, la revoca della pena sostitutiva può intervenire soltanto per la violazione delle prescrizioni e degli obblighi connessi a detta pena sostitutiva»[9].
6. Le osservazioni appena riassunte sono state poi compendiate dalla Corte nel principio di diritto secondo il quale «al giudice dell’esecuzione non è consentito revocare l’ammissione del condannato alla prescelta pena sostitutiva applicata ex art. 444 cod. proc. pen. perché, così come è previsto per l’applicazione della pena concordata tra le parti, il giudizio sull’ammissibilità della sostituzione e sul tipo di pena sostitutiva è già stato espresso ed è irrevocabile (cfr. art. 61 legge n. 689 del 1981), essendo consentita la revoca solo per inosservanza delle prescrizioni (artt. 66 e 72 legge n. 689 del 1981)»[10].
Relativamente, poi, al caso di specie – dove, vale la pena di ricordarlo, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti era già stata pronunciata, ma la pena sostitutiva non era stata ancora concretamente articolata nei suoi contenuti –, i giudici di legittimità hanno poi soggiunto che «non può ritenersi che la sopravvenuta emissione nei confronti dell’imputato di misura di prevenzione con obbligo di soggiorno, comporti la revoca della pena sostitutiva concordata ex art. 444 cod. proc. pen., integrando violazione in re ipsa delle prescrizioni in quanto dette prescrizioni connesse alla pena sostitutiva applicata con sentenza definitiva non risultano mai assegnate»[11].
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7. Numerosi sono gli spunti di riflessione, tanto di carattere processuale quanto di carattere sostanziale, che vengono offerti dalla sentenza appena sopra riassunta. Non essendo, però, certamente questa la sede più adatta per una disamina approfondita di tutti i profili critici emersi, ci si limiterà ad alcune rapsodiche considerazioni, a partire dal caso concreto giunto all’attenzione della Suprema Corte, sui poteri del giudice rispetto all’applicazione e all’esecuzione delle pene sostitutive, nonché sui rapporti tra pene sostitutive e misure di contenimento della pericolosità sociale e, in particolare, sui rapporti tra pene sostitutive e misure di prevenzione personali.
7.1. Preliminarmente, però, va cursoriamente sottolineata l’ulteriore conferma dell’orientamento interpretativo secondo cui la regola di cui all’art. 545-bis co. 1 c.p.p. non può trovare applicazione nell’ambito del rito alternativo del patteggiamento (supra, § 4). Il che significa che, a fronte della richiesta di applicazione di una pena sostitutiva su cui imputato e pubblico ministero hanno raggiunto l’accordo, il giudice non può applicare officiosamente una diversa pena sostitutiva ritenuta più idonea nel caso di specie, potendo egli soltanto ratificare l’accordo, se ritiene corretta la qualificazione giuridica dei fatti e l’applicazione delle circostanze e congrua la pena (sostitutiva), o rigettarlo, se, al contrario, reputa che le parti non abbiano correttamente qualificato i fatti oggetto dell’imputazione o che la pena non sia congrua rispetto all’offesa arrecata e al coefficiente di colpevolezza espresso dalla condotta dell’agente.
Il grado di persuasività della soluzione che, almeno al momento, sembra in via di consolidamento nella giurisprudenza di legittimità è già stato attentamente vagliato in altri lavori, ai quali, pertanto, si rinvia[12].
Ci si limita qui a rimarcare che l’opposta soluzione potrebbe forse produrre qualche frizione, tra l’altro, anche con l’art. 58 co. 2 l. n. 689/1981 così come ritoccato dal d.lgs. n. 31/2024, il quale espressamente subordina l’applicazione della semilibertà sostitutiva, della detenzione domiciliare sostitutiva e del lavoro di pubblica utilità sostitutivo all’espresso consenso dell’imputato. Anche ammettendo, quindi, la diversa opzione interpretativa favorevole all’intervento officioso sulla pena sostitutiva concordata, il giudice del patteggiamento dovrebbe comunque verificare la perdurante validità del consenso anche rispetto alla nuova pena sostitutiva selezionata: il che, tuttavia, rende abbastanza evidente la forzatura insita in questa diversa soluzione ermeneutica, la quale finirebbe, a conti fatti, con lo snaturare il rito del patteggiamento e le logiche, a un tempo deflattive e negoziali, sottese a tale procedimento speciale[13].
7.2. Come si è già a più riprese ricordato, il giudice del patteggiamento non si trova affatto in una posizione di subalternità rispetto alle parti e all’accordo da queste sottoposto alla sua valutazione, potendo egli rigettarlo qualora ritenga che (la qualificazione giuridica dei fatti non sia corretta o) la pena concordata non sia congrua. Come sottolineato in dottrina, il «sindacato sull’adeguatezza della pena, in ragione della sua funzione rieducativa, incide sia sulla species sia sul quantum di pena applicabile, e consente al giudice, pur ritenendo formalmente corretta la prospettazione delle parti ed esatte le operazioni di calcolo, di respingere la richiesta concordata quando ritenga che il “tipo” di pena indicata non realizzi questo obiettivo o comunque la “misura” della stessa, più facilmente per difetto, ma anche, non si può escludere, per eccesso, non risponda alle finalità di cui sopra»[14].
Secondo la giurisprudenza, la suddetta valutazione di congruità della pena ‘patteggiata’ non esprime affatto un «giudizio arbitrario, svincolato da qualsivoglia parametro, non solo di legittimità, ma anche di ragionevolezza», quanto piuttosto «l’esito di un giudizio complesso» che, utilizzando i criteri previsti nell’art. 444 co. 2 c.p.p. e tenuto conto delle finalità della pena di cui all’art. 27 Cost., «pervenga ad una valutazione di sostanziale adeguatezza del trattamento sanzionatorio concordato rispetto all’oggettiva entità del fatto in contestazione ed alla personalità dell’imputato, secondo i parametri dell’art. 133 c.p.»[15]. Sempre per indicazione giurisprudenziale, la valutazione di congruità della pena concordata dalle parti deve riguardare la sanzione concordata prima della diminuzione di pena dovuta alla scelta del rito[16], e deve essere specifico oggetto di motivazione in sentenza, se non addirittura nei singoli calcoli intermedi, quantomeno con riguardo al risultato finale dell’ammontare di pena concordata[17].
Proprio in considerazione delle peculiarità delle pene sostitutive e, in particolare, del loro carattere di “pena-programma” a spiccato contenuto trattamentale[18], peculiarità che impongono un alto tasso di individualizzazione della sanzione in concreto irrogata[19], l’ordinamento ha messo a disposizione del giudice del patteggiamento lo strumento, già sopra ricordato (supra, § 5), di cui all’art. 545-bis co. 2 c.p.p., che gli consente di raccogliere tutte le informazioni necessarie sul conto dell’imputato al fine di valutare, anzitutto, se la pena sostitutiva su cui le parti si sono accordate sia effettivamente (la più) idonea in un’ottica di risocializzazione e di reinserimento sociale e, in seconda battuta, quale sia il miglior corredo di obblighi e divieti da imporre[20].
Se, dunque, nel reperire tutte le informazioni necessarie, il giudice si accorgesse che nei confronti dell’imputato è stata applicata, prima dell’accordo con il pubblico ministero o nel periodo intercorrente tra l’accordo delle parti e la decisione sulla richiesta di applicazione della pena ex art. 444 ss. c.p.p., una misura di prevenzione, egli potrebbe senz’altro rigettare la proposta di patteggiamento per incongruità della pena, reputando inconciliabile il giudizio di pericolosità che costituisce il fondamentale presupposto applicativo della misura ante delictum con la prognosi di osservanza del programma trattamentale della pena sostitutiva, prognosi che implica la non pericolosità del destinatario di tale sanzione.
Del resto, che l’imputato destinatario di una delle pene sostitutive di cui all’art. 53 l. n. 689/1981 non debba essere socialmente pericoloso lo si può ricavare dall’espressa preclusione legislativa ex art. 59 co. 1 lett. c) l. n. 689/1981, che fa divieto alla sostituzione della pena detentiva nei confronti di colui al quale debba applicarsi una misura di sicurezza (anche infra, 7.4).
7.3. Non è questa, però, l’ipotesi che la Suprema Corte si è trovata di fronte, essendo il giudice del caso di specie venuto a conoscenza del provvedimento applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale nei confronti del ricorrente soltanto in un momento successivo al passaggio in giudicato della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.
Tuttavia, come giustamente sottolineato dai giudici di legittimità, una volta pronunciata la sentenza ex art. 444 c.p.p. il giudice non può più tornare sui suoi passi e revocare la sanzione sostitutiva, adducendo la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi che renderebbero incongrua la pena irrogata.
Divenuta irrevocabile la sentenza, infatti, il giudice, in veste di giudice dell’esecuzione, dispone di due soli strumenti per modificare il trattamento sanzionatorio caducando la pena sostitutiva e facendo rivivere la pena detentiva sostituita.
Il primo strumento è quello disciplinato dall’art. 66 l. n. 689/1981, laddove viene prevista la revoca della pena sostituita e la conversione della parte residua nella pena detentiva originariamente sostituita nel caso in cui: a) la pena sostitutiva non sia eseguita; oppure b) vi sia una grave e reiterata trasgressione delle prescrizioni imposte.
Nessuna delle due ipotesi appena ricordate, però, si attaglia ai casi in cui, come quello sottoposto all’esame della Corte di cassazione nella sentenza qui annotata, il ricorrente non abbia ancora ricevuto il programma di trattamento indicante prescrizioni e obblighi da seguire, per un ritardo (fisiologico o meno, poco importa) imputabile al competente ufficio di esecuzione penale esterna. A ben vedere, infatti, le lungaggini che, sfortunatamente, ancora troppo spesso affliggono la fase esecutiva della pena non possono ripercuotersi negativamente sul destinatario della sanzione, addossandogli il mancato di adempimento di una pena (sostitutiva) di cui egli non poteva conoscere ancora i contenuti.
Il secondo strumento è quello di cui all’art. 72 l. n. 689/1981, il quale prevede, tra l’altro[21], che la «condanna a pena detentiva per un delitto non colposo commesso dopo l’applicazione ovvero durante l’esecuzione di una pena sostitutiva, diversa dalla pena pecuniaria, ne determina la revoca e la conversione per la parte residua nella pena detentiva sostituita, quando la condotta tenuta appare incompatibile con la prosecuzione della pena sostitutiva, tenuto conto dei criteri di cui all’articolo 58».
Da tale norma si ricavano due fondamentali indicazioni: a) la prima è che la condanna a pena detentiva per un delitto non colposo non determina mai, di per sé, la revoca della pena sostitutiva, spettando in ogni caso al giudice dell’esecuzione e alla sua valutazione discrezionale l’ultima parola; b) la seconda è che la condanna deve riguardare un delitto (non colposo) commesso dopo l’applicazione della pena sostitutiva o durante la sua esecuzione.
Nemmeno l’art. 72 co. 4 l. n. 689/1981, dunque, consente al giudice dell’esecuzione di revocare la pena sostitutiva nel caso di sopravvenuta applicazione di una misura di prevenzione, posto che, da un lato, il decreto applicativo delle misure ante delictum non è una sentenza di condanna, e che, dall’altro lato, le condotte delittuose poste a fondamento dell’inquadramento del soggetto all’interno di una o più fattispecie di pericolosità di cui agli artt. 1 e 4 cod. antimafia potrebbero essere antecedenti alla sentenza che ha irrogato la pena sostitutiva, così come potrebbero essere a essa successive ma non ancora accertate in una pronuncia emessa all’esito di un processo penale (per la riconduzione di un soggetto all’interno di una delle categorie soggettive di cui agli artt. 1 e 4 cod. antimafia bastano, infatti, di regola, semplici indizi della commissione di uno o più reati)[22].
In aggiunta, vale la pena sottolineare che le pene sostitutive, per quanto presuppongano una prognosi implicita di non pericolosità del condannato (supra, 7.2; infra, 7.5), non esigono, durante la fase esecutiva, un periodico vaglio dell’inclinazione a delinquere del soggetto destinatario, essendo la sua non pericolosità sostanzialmente desumibile dal rispetto (o meno) del programma trattamentale imposto.
7.4. In ogni caso, e al di là dell’individuazione del corretto iter procedimentale per far ‘comunicare’ le nuove pene sostitutive con il sistema delle misure di prevenzione, non si rileva, sul piano normativo, alcuna incompatibilità tra le prime e le seconde: anzi, può senz’altro dirsi che vi è una piena compatibilità, tanto sul piano applicativo quanto sul piano esecutivo, tra le pene sostitutive e le misure personali ante delictum.
A ben vedere, infatti, l’unica incompatibilità sul piano applicativo tra pene sostitutive e misure finalizzate al contenimento della pericolosità è quella prevista dall’art. 59 co. 2 lett. c) l. n. 689/1981, laddove si stabilisce che la pena detentiva non può essere sostituita «nei confronti dell’imputato a cui deve essere applicata una misura di sicurezza personale, salvo i casi di parziale incapacità di intendere e di volere» (supra, 7.2).
Il che significa che nei confronti dell’imputato reputato dal giudice, in quanto socialmente pericoloso, meritevole di una misura di sicurezza detentiva, non può essere disposta la sostituzione della pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’art. 53 l. n. 689/1981.
Com’è evidente, l’ipotesi di esclusione appena descritta delinea non già un’incompatibilità tout court tra pene sostitutive e misure di sicurezza personali, quanto piuttosto una (mera) incompatibilità applicativa nell’ambito del medesimo procedimento penale. E ciò, evidentemente, sulla base dell’assunto (rectius, della presunzione) che un soggetto giudicato socialmente pericoloso difficilmente potrà seguire con profitto un articolato programma trattamentale, qual è quello che, almeno nelle intenzioni del legislatore della riforma Cartabia, dovrebbe corredare l’irrogazione della pena sostitutiva[23].
Che la regola di cui all’art. 59 co. 2 lett. c) l. n. 689/1981 non definisca un’incompatibilità assoluta tra pene sostitutive e misure di sicurezza personali, quanto piuttosto una limitata incompatibilità applicativa i cui effetti si esauriscono all’interno del medesimo procedimento penale, lo si ricava dal disposto dell’art. 68 l. n. 689/1981, dove ai co. 1 e 2 si legge che «l’esecuzione della semilibertà sostitutiva, della detenzione domiciliare sostitutiva o del lavoro di pubblica utilità sostitutivo è sospesa in caso di (…) di applicazione, anche provvisoria, di una misura di sicurezza detentiva» e che, simmetricamente, «l’ordine di esecuzione della semilibertà sostitutiva, della detenzione domiciliare sostitutiva o del lavoro di pubblica utilità sostitutivo emesso nei confronti dell’imputato detenuto o internato non sospende (…) l’esecuzione, anche provvisoria, di misure di sicurezza detentive». Con tali disposizioni il legislatore ha dunque definito un’ipotesi di incompatibilità esecutiva tra pene sostitutive e misure di sicurezza detentive, rimanendo l’esecuzione delle prime sospesa fintantoché si protrae l’esecuzione delle seconde.
Ricapitolando: a) il giudice non può sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’art. 53 l. n. 689/1981 nei confronti dell’imputato al quale egli ritenga di dover applicare (anche) una misura di sicurezza personale; b) nel caso in cui la pena sostitutiva sia stata disposta nei confronti di chi è già sottoposto a misura di sicurezza detentiva per altra causa, oppure nel caso in cui, durante l’esecuzione della pena sostitutiva, sopravvenga l’applicazione di una misura di sicurezza detentiva, l’esecuzione della pena sostitutiva è sospesa fino all’esaurimento della misura di sicurezza.
Dalla lettura combinata degli artt. 59 co. 2 lett. c) e 68 l. n. 689/1981 si ricava dunque che l’applicazione e l’esecuzione delle pene sostitutive può senz’altro conciliarsi con la contestuale applicazione ed esecuzione delle misure di sicurezza non detentive nell’ambito di diversi procedimenti penali: più esplicitamente, non v’è alcun ostacolo legislativo a che, ad esempio, un soggetto sconti la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità mentre è sottoposto alla libertà vigilata disposta da altro giudice in altro procedimento.
Se con riferimento ai rapporti tra pene sostitutive e misure di sicurezza si può dunque parlare di una tendenziale compatibilità applicativa ed esecutiva, per quanto riguarda, invece, i rapporti tra pene sostitutive e misure di prevenzione personali si profila, come già anticipato, una piena compatibilità tanto sul piano applicativo quanto sul piano esecutivo, anche in ragione dell’assoluto silenzio che il legislatore della riforma Cartabia ha serbato rispetto a tale profilo.
Ciò non significa, tuttavia, che la misura di prevenzione non possa in concreto interferire con l’applicazione e l’esecuzione della pena sostitutiva in due diversi modi:
a) se già applicata, e dunque in corso di esecuzione, al momento della decisione circa la sostituzione della pena detentiva, la misura di prevenzione potrebbe avere un peso nella valutazione compiuta dal giudice ai sensi dell’art. 58 l. n. 689/1981, il quale potrebbe ritenere che il giudizio di pericolosità sotteso all’applicazione della misura di prevenzione personale sia, nel caso concreto, incompatibile con la predisposizione e l’osservanza del programma trattamentale abbinato alla pena sostitutiva;
b) se applicata durante l’esecuzione della pena sostitutiva, la misura di prevenzione potrebbe rientrare tra le gravi e reiterate violazioni delle prescrizioni di cui all’art. 66 l. n. 689/1981, ovviamente solo nel caso in cui l’applicazione della misura ante delictum sia fondata su comportamenti (penalmente rilevanti) commessi in un momento successivo alla sentenza in cui è stata disposta la sostituzione della pena detentiva.
7.5. Si è così alfine arrivati a quello che, a sommesso avviso di chi scrive, è il profilo di maggiore interesse della sentenza in commento. Il giudice del merito, infatti, magari errando sul piano procedimentale e comunque forzando il disposto dell’art. 66 l. n. 689/1981, ha però colto un aspetto, qual è quello dei rapporti tra pene sostitutive e misure di contenimento della pericolosità sociale e, segnatamente, dei rapporti tra pene sostitutive e misure di prevenzione, che, forse, è stato in parte sottovalutato dal legislatore della riforma Cartabia.
L’ineludibile punto di partenza, su cui ci si è già a più riprese soffermati, è quello per cui l’applicazione delle pene sostitutive presuppone un’implicita valutazione di non pericolosità dell’imputato: è evidente, infatti, che in tanto la pena detentiva può essere sostituita con un’altra pena a carattere non detentivo e a forte contenuto trattamentale, in quanto si possa ragionevolmente escludere che il soggetto, se lasciato in libertà, commetterà nuovi reati. Una valutazione, questa, che è sostanzialmente la medesima che il giudice o il magistrato di sorveglianza devono compiere quando si tratta di decidere se concedere, o meno, la messa alla prova, la sospensione condizionale della pena e le misure alternative alla detenzione.
Se quanto appena detto corrisponde al vero, appare evidente la lacuna legislativa con riferimento al raccordo tra pene sostitutive e misure di prevenzione, che, come già dimostrato (supra, 7.4), allo stato possono senz’altro coesistere, tanto sul piano applicativo quanto sul piano esecutivo.
Nemmeno la (scarna) disciplina di raccordo tra pene sostitutive e misure di sicurezza, pur contemplata dalla riforma Cartabia, può però dirsi esente da critiche. In effetti, essa appare, oltreché incompleta, in quanto non prende in considerazione tutti i possibili casi di interazione tra i due istituti, anche contraddittoria, nella misura in cui la compatibilità o meno tra pene sostitutive e misure di sicurezza dipende dal tempismo con cui vengono applicate.
Come si è visto, infatti, l’applicazione della pena sostitutiva è preclusa se, nel medesimo procedimento, il giudice ritiene necessario sottoporre l’imputato anche a una qualsiasi misura di sicurezza detentiva o non detentiva (come, ad esempio, la libertà vigilata). Se, però, la misura di sicurezza viene disposta in un altro procedimento, non v’è più alcuna incompatibilità applicativa: se si tratta di misura di sicurezza detentiva, vi è soltanto una mera incompatibilità esecutiva, con esecuzione prioritaria della misura di sicurezza sulla pena sostitutiva; se si tratta, invece, di misura di sicurezza non detentiva (ad esempio, libertà vigilata) vi è compatibilità (non solo applicativa, ma anche) esecutiva, trovando contemporanea applicazione due misure che, al contempo, confermano e negano la pericolosità sociale del destinatario.
Insomma, appaiono chiare, da un lato, l’urgenza di un intervento legislativo che rimedi alle distonie pur sinteticamente evidenziate in questa sede e, dall’altro lato, l’esigenza di avviare una seria riflessione teorica sui modi, sulle forme e sui limiti delle possibili interazioni tra sanzione penale e strumenti di contenimento della pericolosità sociale e, in particolare, tra sanzione penale e misure di prevenzione personali.
[1] Il riferimento è, in particolare, ai lavori di F. Lazzarini, L’applicazione delle pene sostitutive nel patteggiamento tra iniziativa delle parti e potere del giudice, in questa Rivista, 14 settembre 2023, e di D. Albanese, Sostituzione officiosa della pena detentiva breve “patteggiata”: la Cassazione prende posizione, ma non dissipa i dubbi, ivi, 30 ottobre 2023, di commento a Cass., sez. II, 9 maggio (dep. 26 luglio) 2023, n. 32357, D’Ambrosio.
[2] Tra queste, la già citata Cass., sez. II, 9 maggio (dep. 26 luglio) 2023, n. 32357, D’Ambrosio. Tale orientamento è stato poi ribadito da Cass., sez. IV, 9 maggio (dep. 26 luglio) 2023, n. 32360, Cela; Cass., sez. II, 10 ottobre (dep. 15 dicembre) 2023, n. 50010, Melluso.
[3] § 2 dei Considerato in diritto della sentenza annotata.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.
[7] § 2.1 dei Considerato in diritto della sentenza annotata.
[8] Ibidem.
[9] § 2.2 dei Considerato in diritto della sentenza annotata.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Cfr. F. Lazzarini, L’applicazione delle pene sostitutive nel patteggiamento tra iniziativa delle parti e potere del giudice, cit., p. 17 ss.; A. Natale, Le pene sostitutive nei riti alternativi, in R. Bartoli, G.L. Gatta, V. Manes (a cura di), Le modifiche al sistema sanzionatorio penale, in Riforma Cartabia. Le modifiche al sistema penale, III, Torino, 2024, p. 106 ss.; A. Corvi, La nuova fisionomia dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, in G. Spangher (a cura di), La riforma Cartabia, Pisa, 2022, p. 758 ss.
[13] Evidenzia questo profilo anche A. Natale, Le pene sostitutive nei riti alternativi, cit., p. 109.
[14] Così D. Vigoni, La sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, Milano, 2000, p. 306.
[15] Così, ad es., Cass., sez. V, 24 novembre 2020 (dep. 1° febbraio 2021), n. 3779, Giuliano.
[16] Ad es., Cass., sez. I, 26 giugno (dep. 22 luglio) 2015, n. 32172, Lalima.
[17] Tra le molte, Cass., sez. III, 28 maggio (dep. 14 luglio) 2009, n. 28641, Fontana; Cass., sez. III, 29 settembre (dep. 11 novembre) 2009, n. 42910, Gallicchio, dove si è giudicato assolto l’onere motivazionale in punto di congruità della pena pur in assenza di un’esplicita presa di posizione rispetto al bilanciamento delle circostanze effettuato dalle parti; Cass., sez. VI, 31 gennaio (dep. 14 febbraio) 2013, n. 7401, Gjataj, dove si è giudicato assolto l’onere motivazionale in punto di congruità della pena pur in assenza di un’esplicitazione del calcolo relativo all’aumento dovuto all’istituto della continuazione.
[18] Così, per tutti, G.L. Gatta, Riforma Cartabia e sistema sanzionatorio: tra efficienza dell’esecuzione penale ed effettività della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, p. 567.
[19] Cfr., per tutti, N. Pisani, Riforma Cartabia: profili di diritto penale sostanziale. Le pene sostitutive, in Giur. it., 2023, p. 944; D. Guidi, La riforma delle “pene” sostitutive, in Leg. pen., 2023, pp. 272-273.
[20] Cfr. sul punto S. Luerti, L’applicazione delle pene sostitutive nel processo di cognizione, in R. Bartoli, G.L. Gatta, V. Manes (a cura di), Le modifiche al sistema sanzionatorio penale, in Riforma Cartabia. Le modifiche al sistema penale, III, Torino, 2024, pp. 94-95.
[21] Le altre ipotesi di revoca della pena sostitutiva previste dall’art. 72 l. n. 689/1981 – non conferenti, però, al caso di specie – sono: a) l’assenza dall’istituto o dall’abitazione per più di dodici ore da parte di chi sia sottoposto alla pena della semilibertà sostitutiva e della detenzione domiciliare sostitutiva (co. 1 e 3); b) la mancata presentazione sul luogo di lavoro o l’abbandono dello stesso da parte di chi sia sottoposto alla pena del lavoro di pubblica utilità sostitutivo (co. 2 e 3).
[22] Per una disamina dello standard probatorio e, più in generale, delle tecniche di formulazione delle fattispecie di pericolosità sia consentito rinviare a E. Zuffada, La prevenzione personale ante delictum. Alla ricerca di un fondamento costituzionale, in Criminalia, 2020, pp. 266-269.
[23] V., per tutti, D. Bianchi, Il potere discrezionale del giudice e le preclusioni soggettive alla sostituzione della pena, in R. Bartoli, G.L. Gatta, V. Manes (a cura di), Le modifiche al sistema sanzionatorio penale, in Riforma Cartabia. Le modifiche al sistema penale, III, Torino, 2024, p. 54.