Trib. Bergamo, sent. 29 aprile 2025 (dep. 2 maggio 2025), Giud. Purita
1. La sentenza del Tribunale di Bergamo, che può leggersi in allegato, è di particolare interesse per quanto attiene alla conoscibilità del precetto penale contenuto in un decreto-legge, in particolare nel cd. “Decreto sicurezza” (d.l. 11 aprile 2025, n. 48), recentemente entrato in vigore e convertito in legge, mediante voto di fiducia, il 4 giugno[1].
Più in particolare, la sentenza mette il periodo di vacatio legis – che non è previsto per il decreto-legge – al centro della verifica del «requisito minimo di imputazione costituito dall’effettiva “possibilità di conoscere la legge penale”»[2]. Anche la dottrina, proprio nel dare su questa Rivista la notizia dell’entrata in vigore del decreto in parola, aveva posto esplicitamente una domanda, indicando una risposta: “I decreti-legge non prevedono vacatio: sono compatibili con il principio di colpevolezza? Sembra di no ed è pertanto sostenibile, nei primi giorni di applicazione del decreto-legge, la tesi della ignoranza incolpevole della legge penale (art. 5 c.p.)”[3].
Il Tribunale di Bergamo si pone il problema dell’applicabilità dell’art. 5 c.p. in rapporto a una delle tante nuove disposizioni penali del decreto-sicurezza e giunge a una conclusione simile a quella appena suggerita, ma con un percorso motivazionale del tutto peculiare e, ad avviso di chi scrive, di particolare interesse.
2. L’imputato veniva tratto a giudizio – nella forma del rito direttissimo – per alcuni fatti commessi il 18 aprile 2025, ovvero meno di una settimana dopo l’entrata in vigore del Decreto sicurezza[4]. Oltre a fatti di tentata violazione di domicilio e di resistenza a pubblico ufficiale, l’imputazione riguardava anche “il reato previsto dall’art. 583 quater, comma 1, c.p.” perché – con le condotte di resistenza – il soggetto cagionava a un appuntato scelto lesioni personali lievi (consistite in contusioni multiple, con prognosi di 5 giorni).
Proprio quest’ultima disposizione era stata oggetto di modifica, poco prima che le condotte fossero realizzate, da parte del decreto in questione: l’art. 20, comma 1, lett. c) ne aveva infatti modificata la rubrica e, per quanto qui interessa, il corpo del primo comma, estendendo la sfera applicativa dell’effetto aggravante (una nuova forbice “indipendente”, da 2 a 5 anni di reclusione) alla lesione, anche semplice (lieve o lievissima), cagionata “a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni”. Giova a tale proposito ricordare che, nel quadro normativo previgente, l’art. 583 quater, co. 1 c.p. puniva le lesioni personali gravi o gravissime causate al pubblico ufficiale «in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive»[5].
Il caso concreto, peraltro, appare contestualmente riconducibile anche al combinato disposto degli artt. 582, 585 e576, n. 5 bis), c.p., disposizioni non modificate dal decreto sicurezza le quali tuttora prevedono una forbice edittale fra gli 8 mesi e i 4 anni e 6 mesi[6] per lesioni cagionate a “un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ovvero un ufficiale o agente di pubblica sicurezza, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio”. Una fattispecie, dunque, sostanzialmente coincidente con quella di nuovo conio[7] e che, non essendo stata abrogata, converge, nel caso di specie, a disciplinare il medesimo fatto concreto, in un problematico concorso apparente di norme.
3. La sentenza inquadra la sovrapposizione tra le due fattispecie nel fenomeno dell’abolitio sine abrogatione: con l’introduzione del nuovo art. 583 quater c.p. si sarebbe “disinnescata”, senza un’espressa abrogazione, la coincidente disposizione previgente (artt. 582-585-576, n. 5 bis, c.p.). Una successione – già “consumata” al momento del fatto – che, però, secondo la motivazione deve essere «mediata, sul piano concettuale, dalla disposizione di cui all’art. 5 c.p. (risultante dalla sentenza additiva della Consulta n. 364/1988)», così che la disposizione previgente «conserva una pur limitata efficacia temporale trainata dal principio per cui l’ignoranza incolpevole della nuova legge non può generare effetti deteriori per l’imputato».
Nel risolvere il concorso tra le due disposizioni, la sentenza mette infatti al centro il criterio della verifica, in capo al soggetto sottoposto a giudizio, della conoscibilità della nuova disposizione, assumendo che essa introduca un trattamento più sfavorevole (tema su cui si tornerà § 4).
È bene premettere che la giudice, pur concludendo nel senso dell’ignoranza inevitabile, nel caso di specie, della più grave norma penale contenuta nel d.l. n. 48/2025, non lo fa per ragioni esclusivamente oggettive.
L’argomentazione invece si muove – fin dalle premesse – nella direzione di verificare che la qualificazione giuridica del fatto corrisponda al suo «disvalore complessivo, da intendersi esteso alla componente soggettiva dell’autore, che include la consapevolezza dell’entrata in vigore della norma»[8]. Nel quadro di questa verifica, sempre seguendo l’argomentazione della pronuncia in commento, occorre valutare aspetti oggettivi e generali (che attengono al meccanismo di entrata in vigore delle disposizioni), così come aspetti soggettivi, che riguardano invece la condizione del destinatario del precetto nel caso di specie: la sentenza li definisce inscindibili.
Il primo profilo è trattato, in motivazione, secondo un elenco logicamente scansionato, che può essere così riassunto[9]:
- «sussiste un vero e proprio sinallagma (dettato da regole di convivenza civile prima che da codificazioni) tra l’obbligo del singolo di attivarsi per conoscere il precetto penale e il dovere dello Stato di garantire questa conoscenza, con un iter di approvazione dell’atto che comporti, per basilare esigenza di certezza del diritto, un idoneo “tempo di latenza” e non crei insidiose difficoltà al consociato»;
-in questo ordine di idee, il periodo di sospensione dell’entrata in vigore delle disposizioni dalla loro pubblicazione vale a “temperare” il principio dell’inescusabilità dell’ignoranza della legge, più precisamente la vacatio fungerebbe da «parametro temporale su cui tarare l’esigibilità del dovere, da parte del cittadino, di informarsi sull’entrata in vigore della legge», nel contesto dei criteri per la valutazione della responsabilità colposa «terreno su cui si gioca il rimprovero sotteso all’art. 5 c.p., componente di ogni reato»[10];
-ciò è confermato dalla giurisprudenza costituzionale, che ha già chiarito come la vacatio attenga al principio di colpevolezza, in forza del combinato disposto degli artt. 2, 3, 25, secondo comma, e 73, terzo comma, Cost., in particolare alla «indispensabilità del requisito minimo di imputazione costituito dall’effettiva “possibilità di conoscere la legge penale”, essendo anch’esso necessario presupposto della “rimproverabilità” dell’agente» (rifacendosi alla già citata Corte Cost., sent. n. 151/2023, punto 5.1., che a sua volta richiama Corte Cost n. 364/1988)[11];
-per il decreto-legge non è previsto un periodo di vacatio legis.
La sentenza passa poi a valorizzare, pur nel contesto di un giudizio direttissimo, le condizioni soggettive dell’imputato: «un giovane extracomunitario in posizione di marginalità sociale
(è privo di attività lavorativa, non ha uno stabile domicilio ed è presumibilmente caduto in
una dipendenza da sostanze) con una minima conoscenza della lingua italiana (in udienza,
non a caso, è stato assistito da interprete): pertanto egli era concretamente privo degli strumenti culturali necessari per riuscire ad avere contezza della pubblicazione su Gazzetta
Ufficiale, appena sei giorni prima del reato, del decreto legge n. 48/2025»[12].
La decisione si presta a due ordini di riflessioni: il primo relativo alla questione della natura giuridica della nuova disposizione (§4); il secondo relativo alla compatibilità del decreto legge con il principio di colpevolezza in materia penale, sotto lo specifico aspetto del difetto di vacatio legis (§5).
4. Come anticipato, l’assunto di fondo della decisione è che l’art. 583 quater, comma 1, c.p., sia da ritenersi sfavorevole rispetto all’art. 582 aggravato ex art. 576, n. 5 bis, c.p. La sentenza, tuttavia, non si confronta direttamente con il mancato aggiornamento dell’art. 582, secondo comma, c.p. che, come noto, disciplina i casi in cui le aggravanti delle lesioni rendono il delitto procedibile d’ufficio. Ebbene, il mancato riferimento, in quel secondo comma, al nuovo art. 583 quater, comma 1 c.p., vale a ben vedere a rendere questa disposizione (molto) più favorevole rispetto al quadro previgente, come da subito evidenziato in dottrina[13].
Se, infatti, la nuova disciplina prevista dal primo comma dell’art. 583 quater c.p. per le lesioni lievi fosse qualificata come circostanza del reato procedibile a querela, ne discenderebbe l’inapplicabilità della reclusione, in favore delle ben più miti pene irrogabili dal Giudice di pace (art. 52, d.lgs. n. 274/2000) e sempre che sussista la condizione di procedibilità.
Questa soluzione interpretativa, pur corretta dal punto di vista formale, si pone in evidente antitesi con la “volontà del legislatore”[14] criterio che – prescindendo, in questa sede, dall’intrinseca problematicità di questa metafora – secondo la giurisprudenza presidia la valutazione riguardante la natura giuridica (circostanziale o autonoma) della disposizione penale[15].
Pare infatti che l’assunto di fondo dell’argomentazione della sentenza allegata sia che l’art. 583 quater c.p. sia una fattispecie autonoma di reato[16]: discende da questa qualificazione giuridica in primis la procedibilità d’ufficio della fattispecie, non essendo prevista una disposizione che espressamente ne subordini la procedibilità alla presenza di una querela.
In questo ordine di idee, l’omesso “aggiornamento” del secondo comma dell’art. 582 c.p. potrebbe essere inteso non quale mera dimenticanza del legislatore, ma quale precisa scelta di mutamento della natura giudica della fattispecie di lesioni arrecate «a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni», infatti:
- l’art. 583 quater c.p. è una disposizione autonoma, con autonomo nomen iuris (nulla, peraltro, del testo della disposizione, invoca espressamente la categoria delle circostanze del reato);
- essa va a ricalcare testualmente la portata di fattispecie che, nell’assetto previgente, era invece espressamente qualificata come circostanza del reato (senza soluzione di continuità, infatti, la categoria viene menzionata non solo nel secondo comma dell’art. 582, c.p., ma anche nelle rubriche degli artt. 585 e 576 c.p.): vi sarebbe, dunque, un netto cambio di direzione nel dato testuale (posto che nulla dell’art. 583 quater c.p., come detto, invoca la categoria delle circostanze);
- la “volontà del legislatore”, come anticipato, milita inequivocabilmente: (i) nella direzione dell’inasprimento della risposta sanzionatoria, questo anche solo per le evidenti finalità simboliche che ispirano l’intervento normativo; (ii) nel senso della procedibilità d’ufficio di questa fattispecie, posto che la previgente aggravante aveva già questo regime di procedibilità (artt. 582, comma 2, 585, 576, n. 5 bis, c.p.). Elementi che si perderebbero in assenza del suddetto mutamento di natura giuridica.
È appena il caso di sottolineare che l’accoglimento di questi argomenti comporterebbero una notevole disarmonia nell’art. 583 quater c.p., che diventerebbe una norma a più fattispecie piuttosto “atipica”, contenente al primo comma una fattispecie autonoma (tre, a ben vedere) e, al secondo comma, circostanze aggravanti (di altre fattispecie di reato)[17].
Sarebbe stato dunque auspicabile che, in sede di conversione, il Parlamento avesse posto rimedio a questi difetti di coordinamento, ritoccando anche l’art. 582, comma 2, c.p., prevedendo la procedibilità d’ufficio anche per le lesioni lievi ricadenti nell’art. 583 quater, comma 1, c.p. (“confermandone” così, al contempo, la natura di circostanza del reato)[18].
Tale modifica avrebbe preservato un maggior grado di omogeneità nell’ormai tormentatissimo contesto delle fattispecie di lesioni, considerando, inoltre, che la qualificazione come fattispecie autonoma renderebbe la severa forbice edittale di cui all’art. 583 quater c.p. non bilanciabile e difficilmente giustificabile (nella prospettiva della ragionevolezza e della proporzionalità) se confrontata ad altri casi di lesioni lievi[19].
5. Il punto più interessante della pronuncia, a parere di chi scrive, sta nel “bilanciamento” tra oggettivo e soggettivo nella valutazione del parametro di esigibilità della conoscenza del precetto.
La sentenza, come visto, si inserisce nel solco indicato dalla giurisprudenza costituzionale, secondo la quale la vacatio legis ha, tra le sue finalità, quella di garantire la conoscibilità della legge e deve pertanto essere annoverata tra i criteri di valutazione della inevitabilità dell’ignoranza della legge penale.
Quella giurisprudenza non si occupa specificamente del decreto-legge, che è strutturalmente privo del termine di vacatio, ma dà atto del fatto che le fonti che lo disciplinano lo modulano come una regola suscettibile di eccezioni[20].
Non è opportuno, né possibile, riprendere in questa sede anche solo per sommi capi la nota querelle relativa alle criticità comportate dall’inclusione del decreto-legge tra le fonti formali di diritto penale[21], ciò che qui conta è che la vacatio legis non pare essere annoverabile tra gli elementi indefettibili dello statuto costituzionale della legge ordinaria.
Del resto, non mancano esempi di leggi che hanno aggiunto interi Titoli al codice penale e che sono entrate in vigore il giorno successivo alla loro pubblicazione. Si pensi, a titolo di esempio: alla legge che ha introdotto i cd. Ecodelitti (l. 22 maggio 2015, n. 68 – art. 3)[22]; alla legge che ha introdotto il Titolo XI bis relativo a delitti contro il sentimento per gli animali (l. 20 luglio 2004, n. 189)[23]; alla legge che ha introdotto i delitti contro il patrimonio culturale (l. 9 marzo 2022, n. 22)[24].
Di questo la motivazione della sentenza qui presentata si dimostra consapevole, posto che:
Schematizzando, lo spunto che la sentenza offre è quello di ritenere doveroso valorizzare il dato oggettivo di un’eccezione alla vacatio legis quale possibile indizio di inesigibilità della conoscenza del precetto, laddove corroborata dagli elementi soggettivi che già la giurisprudenza costituzionale ha indicato (ad es. l’incolpevole “carente socializzazione dell’agente” indicata dalla sent. cost. n. 364/1988).
Il tema certo richiederebbe un approfondimento maggiore, ma si impongono, in conclusione, due ordini di riflessioni.
La prima: il fatto stesso di muovere, nella motivazione della sentenza, dal «sinallagma» che sussiste tra «l’obbligo del singolo cittadino di attivarsi per conoscere il precetto e il dovere dello Stato di garantire questa conoscenza» e, conseguentemente, di focalizzare l’attenzione sul tema della vacatio legis, potrebbe essere inteso come gesto di notevole indulgenza nei confronti dello Stato. Pare infatti difficilmente riconciliabile con le esigenze di certezza e prevedibilità dell’applicazione del precetto il fatto che il “calcolo” delle conseguenze penali della condotta di lesioni lievi o lievissime a un agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza richieda la lettura di 5 disposizioni legislative[25]. Si tratta, peraltro, di una lettura che potrebbe comunque non essere “definitiva” (considerata la centrale variabile della natura giuridica della nuova disposizione; v. supra, § 4) e i cui possibili esiti spaziano dall’applicazione di una forbice edittale molto rilevante (da 2 a 5 anni) alla declaratoria di improcedibilità dell’azione penale (nel caso in cui difetti la querela)[26]. Viene dunque il dubbio che, in questo caso, vi fosse (e via sia ancora) spazio per sollevare censure di costituzionalità del precetto (diverse e ulteriori rispetto a quelle strettamente afferenti lo “strumento legislativo” utilizzato, nonché) logicamente precedenti la fase “comunicativa” del precetto stesso[27].
È però anche possibile assumere che, nel caso di specie, tali dubbi di costituzionalità non siano stati ritenuti concretamente rilevanti al fine di decidere, proprio perché si è ritenuto assorbente il rilievo della non conoscibilità del precetto (anche) per difetto del periodo di vacatio legis[28].
Per quanto attiene al rapporto tra decreto-legge e vacatio legis nel contesto delle fonti del diritto penale, occorre evidenziare che pare potersi percepire, in astratto, una differenza suscettibile di analisi tra il ricorrere a un’eccezione rispetto a una regola generale (come è la legge ordinaria rispetto alla quale il legislatore rinunci alla vacatio) e il ricorrere a uno strumento che ne è strutturalmente privo, come il decreto-legge[29].
Rispetto a quest’ultima scelta, intrinsecamente problematica, la sentenza qui presentata indica all’interprete un ulteriore aspetto cui prestare attenzione al momento dell’applicazione del precetto non preannunciato dalla vacatio legis. Seguendo la strada indicata dalla pronuncia allegata, non si fatica a pensare ad altri esempi di ricorso al decreto legge in diritto penale che – già per i propri contenuti – si riferiscono a contesti applicativi rispetto ai quali è difficile pensare a un grado di socializzazione o di libertà nell’accesso all’informazione sufficiente a compensare la repentinità dell’entrata in vigore della norma penale sfavorevole (si pensi, ad esempio, a fattispecie proprie del detenuto introdotte con decreto-legge, come quelle contenute negli artt. 391 bis e 391 ter c.p., rispettivamente aggiunte dagli artt. 8 e 9 del d.l. ottobre 2020, n. 130).
[1] Si veda la scheda a cura di G.L. Gatta, In vigore da sabato il decreto-sicurezza (d.l. 11 aprile 2025, n. 48): il testo in G.U, in questa Rivista, 14 aprile 2025. La Rivista ha pubblicato anche la relazione illustrativa al decreto e la relazione tecnica nella proposta di conversione al decreto alla Camera (clicca qui).
[2] Per usare le parole di Corte cost, sent. n. 364 del 1988, riprese – riferendole ancora più nettamente al rapporto tra vacatio legis ed esigibilità della conoscenza del precetto – dalla recente sent. Cost. 7 giugno 2023, n. 151; entrambe queste sentenze, come si vedrà, sono riprese nel tessuto argomentativo della sentenza in commento.
[3] Cfr. G.L. Gatta, nelle schede, pubblicate in questa Rivista, già citate alla nota 1.
[4] L’art. 39 del d.l. n. 48/2025 ha fissato l’entrata in vigore del decreto nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (avvenuta l’11 aprile 2025), ovvero il 12 aprile 2025.
[5] La tutela rafforzata per il personale sanitario è ora, sempre ad opera del decreto sicurezza, stata “spostata” nel secondo comma della disposizione in commento, il quale recita «Nell'ipotesi di lesioni cagionate al personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria nell'esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, nonché a chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni e servizi di sicurezza complementare in conformità alla legislazione vigente nell'esercizio o a causa di tali attività, si applica la reclusione da due a cinque anni. In caso di lesioni personali gravi o gravissime si applicano le pene di cui al comma primo, secondo periodo».
[6] È il frutto del calcolo che si ottiene applicando l’aumento da un terzo alla metà (previsto dall’art. 585, comma 1, c.p., in combinato disposto con il n. 5 bis del comma 1, art. 576 c.p.) alla pena base delle lesioni (6 mesi-3 anni) prevista dall’art. 582 c.p.
[7] Si veda, sul punto, il contributo di G. L. Gatta, Decreto-sicurezza e lesioni a ufficiali o agenti di p.g. o di p.s. (art. 583-quater, co. 1 c.p.): dimenticata l’esistenza dell’aggravante di cui agli artt. 585, 576 n. 5-bis c.p. e le pene più severe per le lesioni gravi e gravissime?, in questa Rivista, 22 aprile 2025.
[8] Così la sentenza, a p. 3.
[9] Di seguito, tra i caporali, stralci della motivazione.
[10] Su quest’ultimo punto – l’estraneità della illiceità penale all’oggetto del dolo e la natura sostanzialmente colposa del relativo criterio di imputazione soggettiva – cfr. M. Donini, Illecito e colpevolezza nell’imputazione del reato, Milano, 1991, p. 498; G. P. Demuro, Il dolo, II. L’accertamento, Milano, Giuffrè, 2010, p. 358; più di recente v. anche M. L. Mattheudakis, L’imputazione colpevole differenziata, Bologna, 2020, in part. p. 38, secondo il quale si tratta di un esempio di imputazione colpevole differenziata “in senso ampio”, perché “nell’ambito dei delitti dolosi consente l’affiancamento, a margine della tipicità, di un criterio di imputazione sostanzialmente colposa di profili comunque decisivi per la responsabilità penale” (v. anche pp. 95 e ss.).
[11] È una soluzione che, invero, pare direttamente suggerita nell’argomentazione della sentenza n. 364/1988, quando (al § 19), nell’indicare le fonti costituzionali che valgono a qualificare l'effettiva possibilità di conoscere la legge penale come ulteriore requisito subiettivo minimo d'imputazione, annovera (accanto agli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 25, secondo comma Cost.) anche l’art. 73, terzo comma Cost. (poco più oltre in motivazione, ovviamente, anche l’art. 27, comma 1, Cost).
[12] La sentenza precisa: «Tali rilievi, evidentemente, non possono condurre a un esito assolutorio (cagionare lesioni suscita un’istintiva consapevolezza di antigiuridicità, per di più riconosciuta dal quadro normativo previgente e più che solidamente “assestato” al momento del fatto), ma portano a sagomare l’addebito sul delitto di cui agli artt. 582 – 585 – 576 n. 5 bis c.p. vigente dal 2008 e rispetto al quale è configurabile un onere informativo da parte dell’imputato che, pur se straniero, ha scelto di dimorare nel territorio italiano».
[13] Occorre infatti evidenziare che tale circostanza non ricadrebbe nel secondo comma dell’art. 582, comma 2, c.p. che, allo stato, menziona solo il secondo comma, primo periodo, dell’art. 582 quater c.p., ricadendo invece nella regola “generale” di cui al primo comma dell’art. 582, c.p., che prevede la procedibilità a querela delle lesioni, con conseguente competenza ratione materiae del Giudice di pace; cfr., sul punto, ancora G. L. Gatta, Decreto-sicurezza e lesioni a ufficiali o agenti di p.g. o di p.s., cit., in conclusione del § 4; le Sezioni Unite, 28 marzo 2024, n. 12759 hanno stabilito che, dopo l’entrata in vigore delle modifiche introdotte dall'art. 2, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, п. 150, la competenza per materia ordine al delitto di lesione personale, nei casi procedibili a querela (salvo specifiche eccezioni, non riscontrabili nel caso di specie), spetti al giudice di pace (anche quando la durata della malattia superi i 20 giorni e non superi i 40).
[14] Si legge nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione (p. 23) che le modifiche all’art. 583 quater c.p. sono volte a «potenziare gli strumenti di tutela dei pubblici ufficiali nello svolgimento delle loro funzioni». Occorre evidenziare che – come segnalato dal Prof. Gatta nel citato contributo Decreto-sicurezza e lesioni a ufficiali o agenti di p.g. o di p.s. (art. 583-quater, co. 1 c.p.)…, § 3, la nuova formulazione dell’art. 583 quater c.p. reca un trattamento più mite – rispetto all’art. 576, n. 5 bis c.p. – per le lesioni gravi e gravissime (limitatamente ai massimi edittali), ciò potrebbe comunque non confliggere con la qualificazione della nuova disposizione in termini di fattispecie autonoma – v. subito infra – considerando che l’effetto principale di inasprimento della disciplina complessiva starebbe nella sottrazione della fattispecie al bilanciamento ex art. 69 c.p.
[15] La “oggettiva volontà della legge” che, rispetto alla vexata quaestio della scelta interpretativa tra circostanza e fattispecie autonoma, le note Ss. Uu. “Fedi” (Cass., Ss. Uu., 26 giugno 2002, n. 26351) indicano quale criterio ermeneutico principale, stante l’assenza di una “differenziazione ontologica tra elementi costitutivi (o essenziali) e elementi circostanziali (a accidentali) del reato”. Non vi è qui lo spazio per riprendere il dibattito sul tema, ci si limita, in questa sede, a ricordare quanto lamentava G. Vassalli sul punto: “è deprecabile che sia tanto difficile la ricerca di un criterio distintivo tra elementi costitutivi e circostanze in un sistema penale ispirato al principio di legalità e di certezza e che per giunta pretende di dare alla distinzione così rilevanti effetti di diritto sostantivo e di diritto processuale”, così G. Vassalli, Concorso tra circostanze eterogenee e “reati aggravati dall’evento”, in Riv. it. dir. proc. pen., 1975, p. 12 (la citazione è ripresa anche nella conclusione del contributo, sul tema, di F. Basile, Reato autonomo o circostanza? Punti fermi e questioni ancora aperte a dieci anni dall’intervento delle Sezioni Unite sui “criteri di distinzione”, in Studi in onore di Franco Coppi, Torino, 2011, p. 11 ss.).
[16] Salvo ritenere – ed è un percorso argomentativo che effettivamente non pare incompatibile con il testo della sentenza qui presentata, per quanto alternativo alla tesi del mutamento di natura giuridica – che proprio il combinato disposto degli artt. 582, 585 e 576, n. 5 bis c.p. valga tuttora a fungere da fonte del regime di procedibilità d’ufficio, anche per la disposizione sopravvenuta (583 quater, comma 1, c.p.), proprio in considerazione della segnalata coincidenza tra le fattispecie astratte (con la sola eccezione del riferimento al “servizio”, contenuto nel testo dell’art. 576, n. 5 bis, c.p.); a nostro modo di vedere rischierebbe di trattarsi, però, di una lettura in tensione con il principio di legalità, posto che si finirebbe per applicare una “terza norma” frutto di una “combinazione di parti di disposizioni diverse” (lesione lieve a ufficiale di p.g., procedibile d’ufficio e con nuova, più grave, forbice edittale) non prevista dall’ordinamento; in corsivo parole di Cass., sez. IV, 28 febbraio 2014, n. 13903, sebbene riferite al contesto della successione di norme.
[17] In senso contrario a tale qualificazione giuridica G. L. Gatta, Decreto-sicurezza e lesioni a ufficiali o agenti di p.g. o di p.s…., cit., § 4, argomentando anche in base alla relazione governativa al d.lgs. n. 31/2024.
[18] Lo suggerisce anche G. L. Gatta, Decreto-sicurezza e lesioni a ufficiali o agenti di p.g. o di p.s…., cit., § 5, che più specificamente indica la strada di un richiamo tout court – nel testo dell’art. 582, comma 2, c.p. – all’intero art. 538 quater c.p. (a tutti i commi e a tutte le ipotesi ivi considerate), in modo da intervenire anche sui già ricordati “difetti di coordinamento” che attengono alle lesioni gravi e gravissime.
[19] Una ennesima conferma di come “necessità e urgenza” siano cattive consigliere quando si legifera in diritto penale, laddove necessaria, deriva dalla constatazione che un analogo difetto di coordinamento normativo si era appena verificato, in relazione alla medesima disposizione, quando – con il cd. “decreto bollette” (d.l. 30 marzo 2023, n. 34) – si è voluto inasprire il trattamento sanzionatorio delle lesioni lievi al personale sanitario, intervenendo sul secondo comma (e sulla rubrica) dell’art. 583 quater c.p. e, solo con un decreto correttivo della riforma Cartabia, si è proceduto al ritocco dell’art. 582, comma 2, c.p. che esigenze di razionalità della materia sin da subito avrebbero consigliato. Si tratta degli interventi normativi apportati dall’art. 16 dal d.l. 30 marzo 2023, n. 34; per un commento si veda B. Fragasso, Il d.l. n. 34/2023 inasprisce le pene per le lesioni ai danni del personale sanitario (art. 583-quater, co. 2, c.p.): circostanza aggravante o figura autonoma di reato?, in questa Rivista, 26 aprile 2023; l’A., peraltro, dà atto di come – prima del ritocco, apportato in sede di conversione, all’art. 582, comma 2, c.p. – sembrassero prevalere gli argomenti a favore della qualificazione del secondo comma dell’art. 583 quater c.p. quale fattispecie autonoma di reato (in part., § 2 e §4).
[20] Recita infatti l’art. 73, comma 3, Cost. «Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso» e l’art. 10 delle Preleggi del codice civile recita «Le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel decimoquinto giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto»; si veda, sul punto, ancora il § 5.1 della già citata sent. cost. n. 151/2023.
[21] La dottrina parla di abuso del decreto-legge in materia penale; cfr. G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte generale, settima ed., Bologna, 2014, p. 55; M. Donini, Diritto penale. Parte generale, Milano, 2024, pp. 793 ss. La dinamica del decreto-legge non pare conciliabile con l’assunto che il Parlamento assuma «le sue determinazioni all’esito di un procedimento – quello legislativo – che implica un preventivo confronto dialettico tra tutte le forze pubbliche, incluse quelle di minoranza, e, sia pure indirettamente, con la pubblica opinione» (sentt. n. 32/2014, 394/2006, 487/1989)», come ricorda, di recente, O. Spataro, Legalità penale e decretazione d’urgenza, in https://www.associazionedeicostituzionalisti.it/it/la-lettera/04-2025-il-decreto-legge-sicurezza/legalita-penale-e-decretazione-d-urgenza, che aggiunge «la prassi della conversione dei decreti-legge, com’è noto, non consente occasioni di recuperare il senso del dibattito parlamentare, essendo essa ormai irreversibilmente piegata allo schema del voto in blocco conseguente all’abbinamento maxiemendamento-questione di fiducia, oltre che del monocameralismo alternato».
[22] Pubblicata in GU n.122 del 28 maggio 2015, entrata in vigore – in forza dell’art. 3 della medesima legge – il 29 maggio 2015.
[23] Pubblicata in GU n. 178 del 31 luglio 2004, entrata in vigore – in forza dell’art. 9 della medesima legge – il primo agosto 2004.
[24] Pubblicata in GU n.68 del 22 marzo 2022, entrata in vigore – in forza dell’art. 7 della medesima legge – il 23 marzo 2022.
[25] Gli artt. 582, 585, 576, n. 5 bis), 583 quater, co. 1, cp. e l’art. 4, d.lgs. n. 274/2000.
[26] Si veda il § 17 della sent. cost. n. 364/1988, ove, nel declinare l’obbligo dello Stato attinente “alla formulazione, struttura e contenuti delle norme penali”, la Consulta formula (come discendente dagli artt. 25, comma 2 e 73, comma 3, Cost.) il principio di riconoscibilità dei contenuti delle norme penali, le quali devono essere «non numerose, eccessive rispetto ai fini di tutela, chiaramente formulate, dirette alla tutela di valori almeno di "rilievo costituzionale" e tali da esser percepite anche in funzione di norme "extrapenali", di civiltà, effettivamente vigenti nell'ambiente sociale nel quale le norme penali sono destinate ad operare».
[27] Se, come indicato dalla Sent. cost. n. 364/1988 (cfr. nota precedente, ibid.), si deve considerare prima il rapporto tra ordinamento e soggetto obbligato a non violare le norme e solo poi il rapporto tra il singolo soggetto e la singola legge penale; la dottrina ha tempo sottolineato l’impostazione prevalentemente “oggettiva” della sentenza n. 364/1988 nella declinazione della problematica della conoscibilità del precetto: nella motivazione della sentenza “l’ignorantia legis viene chiamata a operare in situazioni di oggettiva carenza dell’ordinamento che risultano in contrasto con i principi costituzionali e che dovrebbero rilevare autonomamente e preventivamente rispetto alla colpevolezza”; così, di recente, A. Massaro, Determinatezza della norma penale e calcolabilità giuridica, Napoli, 2020, p. 164, cui si rinvia anche per un quadro del dibattito dottrinale sul punto.
[28] Si tratterebbe, peraltro, di un effetto “paradossale” della valorizzazione del difetto di vacatio nella prospettiva della colpevolezza: “salvare”, almeno temporaneamente, il precetto incostituzionale in quanto “non comunicato”; più ampiamente, sulla rilevanza della questione di costituzionalità, v. V. Napoleoni, in V. Manes-Id., La legge penale illegittima, Torino, 2019, in part. pp. 409 ss.
[29] Così, è possibile che le singole eccezioni alla regola della vacatio (come le riforme appena citate nel testo) trovino conforto in una specifica “giustificazione esterna”, fondata, ad esempio, sulla rilevanza della singola riforma, che può renderla particolarmente attesa e, dunque, indurre il legislatore a ritenere – nell’esercizio della sua discrezionalità – che la vacatio possa non essere necessaria (assumendo che il circuito sociale e giuridico inizi ad “assorbire” la novità normativa prima della sua pubblicazione in GU, tramite altre fonti di informazione; mutuando parole di Cass., sez. V, 10 gennaio 2023, n. 11229, sebbene spese in altro contesto argomentativo); sul rapporto tra vacatio legis e discrezionalità si veda, di recente, G. Serges, La Corte e la politica: il caso della vacatio legis, in Nomos, n. 1/2024, p. 8, che richiama anche M. Ainis, L’entrata in vigore delle leggi, Padova, 1986, passim (in part. scettico sulla possibilità di una sua costituzionalizzazione, a pp. 25 ss.)