A proposito del d.d.l. n. S. 1236
*Testo scritto dell’intervento del prof. Gian Luigi Gatta alla manifestazione nazionale dell’Unione delle Camere Penali Italiane organizzata il 5.11.2024 a Roma al Centro Congressi Roma Eventi Piazza di Spagna e intitolata “No al pacchetto sicurezza. Con la Costituzione in difesa del diritto penale liberale”. La pubblicazione è destinata al fascicolo n. 11/2024 della Rivista. La registrazione dell'intera manifestazione è disponibile su Radio Radicale (clicca qui).
1. Il d.d.l. S. 1236[1] si inserisce nel solco dei c.d. pacchetti sicurezza, adottati a partire dal 2008[2], su impulso del Ministro dell’Interno, che anche in questa occasione è il primo firmatario del d.d.l. Non a caso, come nei precedenti pacchetti sicurezza, l’approccio è marcatamente securitario e fa leva, in buona parte, sul valore simbolico del diritto penale e sull’effetto di stigmatizzazione di condotte che suscitano allarme sociale. La vocazione populista del disegno di legge, del tutto prevalente, pone per molti aspetti problemi di compatibilità con i principi costituzionali: tra l’altro, in rapporto ai principi di uguaglianza/ragionevolezza e di proporzione della pena, per il rigore sanzionatorio nei confronti, in particolare, di condotte tipiche dei contesti di marginalità sociale; in relazione al principio di offensività, per l’eccessiva anticipazione della tutela e per l’incriminazione di forme di dissenso, nell’ambito di manifestazioni e proteste; in rapporto alla tutela della maternità, delle donne e dei bambini, per l’abolizione del rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena nei confronti delle donne in stato di gravidanza o madri di bambini di età inferiore a un anno.
2. Cosa c’è nel pacchetto sicurezza?[3] Provo a proporre una sintesi di contenuti eterogenei, individuando quattro linee politico criminali che percorrono i 38 articoli del d.d.l. Nel complesso, il pacchetto sicurezza colpisce, sul piano degli indirizzi politico-criminali di fondo, per la marcata assenza di equilibrio: promette maggior tutela alle forze dell’ordine, da un lato, e reprime condotte di quanti, per lo più in condizioni di marginalità sociale, turbano la sicurezza o la tranquillità pubblica. Molto efficacemente Stefano Anastasia ha evocato questa mattina l’immagine del rapporto tra guardie e ladri. Roberto Zaccaria ha sottolineato lo squilibrio tra libertà e autorità. Luigi Ferrajoli ha invece messo l’accento, tra l’altro, sulle disuguaglianze, amplificate dal d.d.l.
Vediamo, allora, quali sono le principali linee politico-criminali del pacchetto sicurezza, che senza dubbio si iscrive tra i frutti normativi di approcci ispirati al “Law and Order” e al “Governing through Crime”[4].
2.1. Prima linea politico-criminale: difesa dei tutori dell’ordine e della sicurezza. - Si introducono nuove aggravanti per i fatti di violenza o minaccia contro ufficiali o agenti di p.g. o di p.s. (v. l’art. 18 del d.d.l., che modifica gli artt. 336, 337 e 339 c.p.); si inasprisce la disciplina delle lesioni agli stessi soggetti (v. l’art. 20 del d.d.l., che modifica l’art. 583 quater c.p.p); si prevede la copertura delle spese legali (difensore di fiducia) per il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate nell’ambito di procedimenti penali, civili e amministrativi avviati per fatti inerenti il servizio (v. gli artt. 22 e 23 del d.d.l.: il rimborso è di massimo 10.000 € per ogni grado di giudizio: una somma ben maggiore rispetto al massimo di 500 € di rimborso per gli avvocati che difendono i migranti trattenuti in Albania, e che sono ammessi al patrocinio a spese dello Stato); ancora, si autorizzano gli agenti di p.s. a portare armi senza licenza quando non sono in servizio (v. art. 28 del d.d.l.): aumentano così le armi in circolazione, mettendo a rischio la sicurezza che si vorrebbe tutelare, come rilevano i criminologi (v. in proposito, su questa Rivista, le considerazioni di Roberto Cornelli, ivi, § 5); si estendono le cause di non punibilità per il personale delle Forze armate che partecipa a missioni internazionali (v. art. 30 del d.d.l); si potenziano, infine, le attività dei servizi segreti, anche estendendo le condotte scriminabili (v. art. 31 del d.d.l.).
2.2. Seconda linea politico-criminale: reprimere forme di dissenso manifestato pubblicamente, in modo violento o non violento - Si introduce nell’art. 635 c.p. una fattispecie di danneggiamento con violenza o minaccia in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico (v. art. 12 del d.d.l.); si modifica l’art. 639 c.p. aggravando la disciplina del deturpamento e imbrattamento di cose altrui quando il fatto è commesso su beni mobili o immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche con la finalità di ledere l’onore, il prestigio o il decoro dell’istituzione cui il bene appartiene, come tipicamente avviene durante le manifestazioni (v. art. 24 del d.d.l.); si introduce nell’art. 339 c.p. un’aggravante per i fatti di violenza o minaccia commessi al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o un’infrastruttura strategica (v. l’art. 19 del d.d.l.: Lucia Risicato ha fatto l’esempio, questa mattina, dei fatti commessi da manifestanti no-ponte sullo Stretto o no-TAV); si trasforma da illecito amministrativo in reato il blocco stradale o ferroviario realizzato col proprio corpo ostruendo la circolazione (una forma pacifica di dissenso: v. l’art. 14 del d.d.l.); si incide sull’art. 415 c.p. con una nuova aggravante per l’istigazione a disobbedire le leggi realizzata in carcere o con comunicazioni dirette a detenuti (v. l’art. 26 del d.d.l.); si introducono, rispettivamente nell’art. 415 bis c.p. e nell’art. 14, co. 7.1. t.u. imm., i nuovi delitti di rivolta in carcere e nei CPR, arrivando a punire finanche la resistenza passiva (è il climax del d.d.l.) e inserendo i nuovi delitti nel catalogo dell’art. 4 bis ord. penit.
2.3. Terza linea politico-criminale: reprimere forme di devianza tipiche della marginalità sociale - Si estendono i casi e le possibilità di revoca della cittadinanza in caso di condanna per alcuni reati (estendendo da 3 a 10 anni dal passaggio in giudicato della condanna il termine per la revoca: v. art. 9 del d.d.l.); si introduce nell’art. 634 bis c.p. un nuovo delitto di occupazione arbitraria di immobile destinato ad abitazione altrui, comminando la stessa pena prevista dall’art. 589, co. 2 c.p. per l’omicidio colposo sul lavoro: da 2 a 7 anni (v. art. 10 del d.d.l.); si introduce un DASPO urbano con divieto di accesso a stazioni e aeroporti per denunciati e condannati anche non definitivi per delitti contro la persona o il patrimonio nei 5 anni precedenti (v. art. 13 del d.d.l.); DASPO la cui violazione integra un reato e che sembra incompatibile con quella stessa presunzione di innocenza che, con esercizio di garantismo intermittente, viene invocata per i colletti bianchi, nel dibattito pubblico, quando si tratta del regime delle incandidabilità previste dalla legge Severino; si modifica l’art. 165 c.p. stabilendo, in caso di condanna per delitti contro la persona o il patrimonio commessi nelle aree delle infrastrutture del trasporto pubblico, l’obbligo per il giudice di subordinare la sospensione condizionale della pena al divieto di accedere a determinati luoghi (v. art. 13 del d.d.l.); si estende e si inasprisce la disciplina dell’art. 600 octies c.p. in tema di impiego di minori nell’accattonaggio (v. art. 16 del d.d.l.). Ancora, si arriva al punto di vietare di vendere le schede SIM a chi non ha il permesso di soggiorno, sanzionando amministrativamente la violazione dell’obbligo con la chiusura dell’attività commerciale da 5 a 30 giorni (v. art. 32 del d.d.l.); e lo si fa, si noti, dopo che nel decreto flussi (v. art. 12 d.lgs. n. 145/2024) è stata introdotta una procedura che prevede l’obbligo del migrante di consegnare il telefono per essere identificato attraverso la scheda SIM, e, in caso di mancata collaborazione, l’ordine del Questore di acquisire i dati della SIM, documenti, foto e video. Un altro caso di garantismo intermittente (messo tra parentesi, quando si tratta degli ultimi), che stride con l’attenzione riservata dall’odierno legislatore alla materia delle intercettazioni di comunicazioni.
2.4. Quarta linea politico-criminale: rassicurare gli elettori rispetto a odiose forme di criminalità comune, per lo più contro il patrimonio – Si continua a estendere l’elenco delle aggravanti comuni introducendone nell’art. 61 n. 11 decies (sic!) una per i fatti commessi in stazioni, metropolitane e convogli adibiti al trasporto di passeggeri (v. art. 11 del d.d.l.) facendo finta che non esistano già aggravanti speciali per furto (art. 625 n. 8 bis c.p.) e rapina (art. 628 n. 3 ter c.p.) e ignorando il principio di offensività, indubbiamente valevole anche per le circostanze del reato: perché mai, ad esempio, dovrebbe essere più grave passare una mazzetta a un pubblico ufficiale in un vagone della metro, piuttosto che nel suo ufficio; o perché mai molestare una donna in una via distante da una stazione dovrebbe essere meno grave che farlo in una via adiacente a una stazione? Ancora, si innalzano nell’art. 640 c.p. le pene per le truffe a danno degli anziani e in genere in condizioni di minorata difesa, portandole a livelli più alti della truffa ai danni dello Stato (v. art. 11 del d.d.l.); per colpire le borseggiatrici ROM si abolisce il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena per le donne incinta o con figli di età inferiore a 1 anno (un altro climax del pacchetto sicurezza. V. art. 15 del d.d.l.): si rinuncia così, quasi un secolo dopo, a una norma di civiltà prevista dal codice Rocco nell’art. 147 c.p., senza preoccuparsi della tutela della salute delle donne e dei neonati e, soprattutto, senza investire sugli ICAM (Istituti di Custodia Attenuata per Detenute Madri) che, come ci ha ricordato Mauro Palma questa mattina, sono solo 4 in tutta Italia.
3. Il pacchetto sicurezza, se ho fatto bene i conti, introduce quattordici nuovi reati e nove circostanze aggravanti di reati già previsti nell’ordinamento. Sconfessa di fatto ogni proposito di depenalizzazione, che in questa Legislatura è ad oggi limitata a due soli reati tipici dei colletti bianchi: il traffico di influenze e l’abuso d’ufficio. La fiducia nel diritto penale, come strumento in grado di ottenere effetti in termini di maggiore sicurezza, è mal riposta ed è figlia di una ormai radicata tendenza al panpenalismo, da tempo criticata dagli studiosi del diritto penale. C’è un’idea sbagliata che circola nell’opinione pubblica: che basti introdurre reati e aumentare le pene per ottenere più sicurezza e benessere sociale. Il discorso pubblico è malato, come ha ben detto questa mattina Alessandro Barbano. La diagnosi di questo problema culturale, di cui è espressione l’ennesimo pacchetto sicurezza, è stata fatta dieci anni fa anche da Papa Francesco, in un bellissimo messaggio rivolto durante un’udienza privata a una delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, guidata dalla Prof.ssa Paola Severino: “negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina. Non si tratta di fiducia in qualche funzione sociale tradizionalmente attribuita alla pena pubblica, quanto piuttosto della credenza che mediante tale pena si possano ottenere quei benefici che richiederebbero l’implementazione di un altro tipo di politica sociale, economica e di inclusione sociale”.
Il messaggio veicolato dal panpenalismo porta consenso elettorale – e proprio per questo trova terreno fertile nella politica – ma la sua efficacia in termini di maggiore sicurezza, la sua utilità, come ha sottolineato Francesco Petrelli in un bell’articolo pubblicato oggi su L’Unità – è empiricamente smentita dai fatti. Anni di pacchetti sicurezza non hanno reso l’Italia un Paese migliore e più sicuro. L’efficacia general preventiva della pena è infatti notoriamente relativa.
Tre esempi, tra i molti possibili: 1) l’immigrazione irregolare non è stata fermata né è diminuita dopo che, con un pacchetto sicurezza del 2009, fu introdotto il reato di clandestinità; 2) la surrogazione di maternità è stata appena resa “reato universale”, punibile senza richiesta del Ministro e requisito della doppia incriminazione anche se commesso all’estero dal cittadino; eppure leggiamo in questi giorni di una coppia di italiani fermata in Argentina mentre cercava di rientrare in Italia con un bambino nato da maternità surrogata; 3) la disciplina penale per le aggressioni ai medici è stata inasprita da un recente decreto-legge, eppure si ha già notizia di un nuovo grave episodio all’ospedale di Cittadella; 4) i telefoni, ci ha ricordato questa mattina Mauro Palma, continuano a entrare abusivamente in carcere anche dopo l’introduzione di un reato per contrastare il fenomeno (art. 391 ter c.p.) L’opinione pubblica deve rendersi conto che il diritto penale non ha effetti taumaturgici e che continuare a insistere sulla leva punitiva può portare a torsioni illiberali del sistema.
Preoccupa l’andamento estemporaneo della nostra legislazione penale, pronta a rispondere con nuovi reati per fronteggiare non già nuovi fenomeni, ma singoli fatti: un rave party a Modena, il naufragio di una nave a Cutro, episodi di delinquenza minorile a Caivano, l’aggressione di alcuni medici a Foggia, e così via. Perfino l’uccisione di un orso marsicano ha trovato risposta con l’introduzione di un reato riferito a quella specie animale. Un sistema penale che, ormai da anni, viene modellato dalle spinte della cronaca rischia di cessare di essere un sistema, cioè un insieme organico e ordinato di norme, coordinate tra loro e conformi ai principi costituzionali.
4. Più che introdurre nuovi reati o innalzare le pene, sarebbe utile e auspicabile intervenire sul piano politico-sociale sulle cause del crimine e investire sulla sicurezza. Lo diceva 270 anni fa già Cesare Beccaria in un capitolo dei Delitti e delle pene intitolato “Come si prevengano i delitti”(cap. XLI): “è meglio prevenire i delitti che punirli”, diceva il marchese. La “chimera degli uomini limitati, quando abbiano il comando in mano” è “il proibire una moltitudine di azioni”. Ciò “non è prevenire i delitti che ne possono nascere, ma…è un crearne di nuovi”. 270 anni fa Beccaria indicava come “il più sicuro ma il più difficil mezzo di prevenire i delitti [il] perfezionare l’educazione” e, in un capitolo della sua seminale opera dedicato alla “tranquillità pubblica” (cap. XXXIII), elencava tra i “mezzi efficaci” per prevenire i delitti “la notte illuminata a pubbliche spese [e] le guardie distribuite ne’ differenti quartieri della città”. Il mio senso di sicurezza, come cittadino elettore, è maggiore se so che mio figlio o mia figlia adolescente torna a casa la sera percorrendo una strada bene illuminata in un quartiere controllato dalle forze dell’ordine; non se nella Gazzetta Ufficiale viene introdotto da un pacchetto sicurezza un nuovo reato o ne vengono inasprite le pene. Beccaria aveva e ha ragione. Ma purtroppo non è più un influencer.
5. L’unico investimento del pacchetto sicurezza capace forse di incidere indirettamente sulla sicurezza pubblica (oltre all’assunzione di qualche agente di polizia locale in qualche comune siciliano: v. art. 17 del d.d.l.) riguarda la dotazione di Bodycam per le forze di polizia (v. art. 21 del d.d.l.. Per alcuni interessanti studi sugli effetti dell’uso delle bodycam, condotti negli Stati Uniti, clicca qui). Per il resto il d.d.l. è sbilanciato decisamente sul versante sanzionatorio, che solo apparentemente è a costo zero. Aumentare i reati aumenta i carichi pendenti e rallenta i tempi complessivi del processo penale, proprio in un momento in cui è fondamentale per il Paese raggiungere nel 2026 gli obiettivi del PNRR.
Non solo, aumentare i reati e inasprire le pene non significa affatto maggiore certezza della pena. Permettetemi di citare ancora Beccaria, che in pagine memorabili ha scritto (cap. XX) che il migliore effetto preventivo è dato non dalla severità delle pene, ma dalla certezza della loro esecuzione: “La certezza di un castigo, benchè moderato, farà sempre una maggiore impressione, che non il timore di un altro più terribile, unito colla speranza dell’impunità; perché i mali, anche minimi, quando sono certi spaventano sempre gli animi umani”.
Ebbene, nel rispondere a un’interrogazione parlamentare dell’on. Giachetti (v., qui, pag. XIV ss.), il Ministro Nordio ha reso noto il dato, impressionante, di 90.000 liberi sospesi (al 31.12.2022), cioè condannati a pene non superiori a quattro anni che attendono per anni, a piede libero, la decisione del tribunale di sorveglianza sull’applicazione o meno di una misura alternativa. A volte l’attesa è tale che si prescrive la pena da eseguire, come nel caso delle contravvenzioni. E’ un’emergenza che deve essere risolta e che viene aggravata se si aumenta il numero dei reati. Penso ad esempio alle conseguenze del divieto di commercio della cannabis sativa (v. art. 18 del d.d.l.), al nuovo delitto di occupazione arbitraria di immobile o alla truffa aggravata a danno di anziani, alla nuova ipotesi di danneggiamento in occasione di manifestazioni, al nuovo reato di blocco stradale, alla violazione del nuovo DASPO urbano per divieto di accesso alle stazioni e anche al nuovo delitto di rivolta in carcere. Domandiamoci tutti, con senso di responsabilità: che senso ha continuare a insistere nell’introdurre reati e pene quando il sistema dell’esecuzione è al collasso, come mostra il dato dei liberi sospesi? E che senso ha farlo quando è noto l’affanno con cui lavorano gli uffici dell’esecuzione penale esterna, in grave carenza di organico come gli uffici di sorveglianza, e quando il Paese sta vivendo in modo drammatico l’emergenza carcere, come ci ricordano i dati sui 62.000 detenuti in condizioni di sovraffollamento e quelli sul record dei suicidi nel 2024?
Consentitemi allora una provocazione: seguendo il legislatore sul piano securitario, perché la politica non si occupa della sicurezza dei cittadini lasciando 90.000 condannati liberi sospesi a piede libero? Non c’è forse anche dietro ai liberi sospesi, questi negletti del sistema penale, un tema di sicurezza? Sicuramente sì, ma per risolvere quel problema servono investimenti e lungimiranza nelle scelte politico-criminali, volte a valorizzare le alternative al carcere. Proprio quel che servirebbe e che, purtroppo, manca.
[1] Disegno di legge n. S. 1236 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”, approvato dalla Camera il 18 settembre 2024 con il n. C. 1660, presentato dal Ministro dell’Interno Piantedosi, dal Ministro della Giustizia Nordio e dal Ministro della Difesa Crosetto.
[2] Per i pacchetti sicurezza della stagione 2008/2009 (Governo Berlusconi IV) cfr. il decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, al quale si deve, tra l’altro, l’introduzione nell’art. 61 n. 11 bis c.p. della c.d. aggravante della clandestinità; il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, al quale si deve, tra l’altro, l’introduzione del delitto di atti persecutori, e la legge 15 luglio 2009, n. 94, alla quale si deve, tra l’altro, l’introduzione del c.d. reato di clandestinità. Sui pacchetti sicurezza 2008/2009 possono vedersi O. Mazza, F. Viganò (a cura di), Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, Giappichelli, 2008; O. Mazza, F. Viganò, Il “pacchetto sicurezza” 2009, Giappichelli, 2009; S. Corbetta, A. Della Bella, G.L. Gatta (a cura di), Sistema penale e sicurezza pubblica: le riforme del 2009, Wolters kluwer, 2009.
[3] Per un indice ragionato, pubblicato sulla nostra Rivista, clicca qui.
[4] Il riferimento è a J. Simon, “Governing through crime : how the war on crime transformed American democracy and created a culture of fear”, Oxford University Press, 2007.