Cass., Sez. II, 9 gennaio 2025 (dep. 11 febbraio 2025), n. 5548, Pres. Verga, Est. Leopizzi; Cass., Sez. II, 9 gennaio 2025 (dep. 4 marzo 2025), n. 9113, Pres. Verga, Est. Saraco
1. Con le sentenze indicate in epigrafe, la Seconda Sezione della Corte di cassazione ha rigettato i ricorsi avanzati dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi avverso due ordinanze emesse dal Tribunale del Riesame che, in accoglimento delle istanze avanzate dagli indagati, aveva annullato le rispettive ordinanze emesse dal Giudice per le indagini preliminari di Brindisi, in ragione del mancato espletamento del c.d. interrogatorio preventivo. Le due pronunce – al di là della soluzione del caso specifico, pur di innegabile importanza – costituiscono il primo (e finora più completo) arresto della Suprema Corte in relazione al nuovo istituto.
2. Come è noto, la legge n. 114 del 9 agosto 2024 ha introdotto nell’art. 291 c.p.p. cinque nuovi commi (dal comma 1-quater al comma 1-octies), che concorrono a delineare il nuovo istituto dell’interrogatorio preventivo della persona sottoposta alle indagini preliminari rispetto alla eventuale applicazione di una misura cautelare coercitiva nei suoi confronti.
L’introduzione dell’interrogatorio preventivo nel sotto-sistema delle misure cautelari rappresenta una tematica affrontata fin dall’entrata in vigore del codice di procedura penale e ciclicamente riproposta all’attenzione della dottrina[1].
Fino all’entrata in vigore della legge n. 114/2024 il sistema delle misure cautelari fondava, invero, sul pressoché generalizzato meccanismo dell’interrogatorio postumo rectius di garanzia, che già la Corte costituzionale (8 marzo 1996, n. 63) aveva ritenuto costituzionalmente compatibile, in quanto idoneo a bilanciare l’effetto a sorpresa tipico delle misure cautelari con la tutela delle esigenze che la misura intende salvaguardare, senza limitare in alcun modo il diritto di difesa totalmente recuperato, sebbene in via successiva all’esecuzione della misura.
Tuttavia, nel corso dei decenni successivi alla sua introduzione l’interrogatorio di garanzia aveva sin da subito attirato numerose critiche da parte della dottrina, culminate, ad esempio, nei lavori della Commissione Riccio del 2006[2].
Oggi come allora, nonostante il previgente ordito normativo stabilisse alcune innegabili garanzie (come la conduzione dell’interrogatorio da parte del Giudice e la presenza necessaria del difensore), alcuni Autori lamentano l’inadeguatezza dell’istituto per la posizione di debolezza (anche psicologica)[3] dell’indagato, già destinatario del provvedimento restrittivo, nonché per il limitato intervallo temporale concesso alla difesa per apprestare (eventualmente) un’utile strategia idonea a porre il giudice nella prospettiva di ribaltare o quantomeno modificare il fondamento dell’ordinanza cautelare, sia sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza, sia sotto il profilo delle esigenze cautelari, sia, infine, con riferimento alla scelta della adeguatezza della misura.
La tesi favorevole ad una preordinazione dell’interrogatorio rispetto all’applicazione della misura cautelare, poi fatta propria dal legislatore nel 2024, riposa, ora come allora, sulla necessità di potenziare il principio della presunzione di innocenza dell’indagato e le sue prerogative difensive.
Nel contempo, la maggiore completezza del materiale conoscitivo sottoposto al giudice dovrebbe concorrere a ridurre il rischio dell’ingiusta detenzione, ritenuto maggiore nel caso in cui il giudice sia chiamato ad adottare la misura inaudita altera parte. Peraltro, l’introduzione dell’istituto mirava, anche per tale via, a ridurre il numero di persone sottoposte a misura cautelare in attesa di giudizio.
Come si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge, il legislatore ha ritenuto di estendere a misure diverse da quelle interdittive il principio del contraddittorio preventivo, sviluppando una soluzione normativa attualmente prevista solo in alcuni casi di applicazione della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio (comma 2 dell’art. 289 c.p.p.), al fine di evitare «l’effetto dirompente sulla vita delle persone di un intervento cautelare adottato senza possibilità di difesa preventiva» e dall’altro di porre «il giudice nelle condizioni di poter avere un’interlocuzione (e anche un contatto diretto) con l’indagato prima dell’adozione della misura».
Tuttavia, come testualmente affermato dalla sentenza della Cassazione in commento n. 5548/2025, l’introduzione in via ordinaria del meccanismo dell’interrogatorio preventivo non si è tradotta affatto in una sua generalizzazione, avendo il legislatore previsto una “assai ampia casistica derogatoria”[4] (“La recente riforma - prevedendolo come ordinaria forma procedimentale, ma senza generalizzarlo completamente, anzi con assai ampia casistica derogatoria - ha esteso questo modello "a contraddittorio anticipato" a tutti i casi in cui non risulti necessario che il provvedimento cautelare sia adottato "a sorpresa". Accanto all'intervento sulle cadenze ordinarie del procedimento applicativo, si è, dunque, tenuto conto di situazioni rispetto alle quali non era possibile l'interlocuzione preventiva con l'indagato…”).
Il testo di legge introduce il meccanismo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui, nel corso delle indagini preliminari – e non anche in altre fasi del procedimento – non risulti necessario che il provvedimento cautelare sia adottato “a sorpresa”.
Il comma 1-quater dell’art. 291 c.p.p. stabilisce la necessità del previo interrogatorio «salvo che sussista taluna delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lettere a) e b),», ossia il pericolo di fuga o il rischio di inquinamento probatorio.
L’istituto, dunque, trova applicazione nei soli casi in cui la misura è sorretta dalla necessità di evitare il pericolo di reiterazione del reato.
Tuttavia, in chiave nuovamente derogatoria, l’interrogatorio sarà nuovamente postumo laddove il pericolo di reiterazione si ponga in relazione a reati di rilevante gravità: la disposizione richiama i delitti di cui all’art. 407, co. 2, lett. a) c.p.p., quelli di cui all’art. 362, co. 1-ter c.p.p., nonché «gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale».
3. Il quesito di diritto cui la Seconda Sezione della Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi atteneva, essenzialmente, alla perimetrazione dei poteri di sindacato del giudice dell’impugnazione cautelare rispetto alla verifica circa la sussistenza o meno di una o più condizioni eccettuative dell’interrogatorio preventivo.
In entrambi i casi all’attenzione della Suprema Corte, era pacifico e incontestato che il GIP nell’ordinanza di applicazione della misura cautelare avesse motivato, in modo congruo e privo di formule di stile, circa la sussistenza del pericolo di fuga da parte dei due indagati.
Seconde l’Ufficio di Procura ricorrente, l’adempimento motivazionale da parte del giudice di prime cure sarebbe risultato elemento necessario a sufficiente a ritenere rispettato il dato normativo, atteso che “…qualora un discorso giustificativo di tal fatta non fosse successivamente condiviso dal giudice dell'impugnazione cautelare, non verrebbe meno, in ogni caso, la ritualità della procedura.” (par. 4 della sentenza n. 5548/2025).
In particolare, secondo l’Ufficio di Procura ricorrente, in base al principio di tassatività delle nullità, il Tribunale del Riesame, di contrario avviso circa la sussistenza di una o più condizioni eccettuative l’interrogatorio preventivo di cui il Giudice di prime cure abbia dato atto nella motivazione del provvedimento con motivazione logica e congrua, non potrebbe rilevare un vizio strutturale dell'ordinanza e dichiararne la nullità.
Il provvedimento impugnato, nello specifico, nel dichiarare nulla l’ordinanza applicativa, avrebbe esorbitato dal sindacato estrinseco che la legge attribuirebbe al Tribunale del Riesame, estendendo analogicamente un'ipotesi di nullità che la lettera del codice e la stessa ratio della riforma ricollegherebbero, ad avviso dell’Ufficio di Procura ricorrente, esclusivamente all'omessa valutazione da parte del GIP circa la fattibilità o meno dell’interrogatorio preventivo.
Peraltro, in entrambi i casi decisi dalla Suprema Corte l’Ufficio di Procura obiettava circa l’inesistenza di alcun concreto vulnus alle prerogative difensive dell’indagato, che in sede di successivo interrogatorio di garanzia aveva esercitato il suo diritto al silenzio.
La Suprema Corte dichiara infondati i motivi di ricorso in entrambe le pronunce citate (ritenendoli “ai limiti dell’inammissibilità” secondo la sentenza n. 5548/2025).
In entrambe le pronunce la Suprema Corte qualifica l’interrogatorio preventivo come una “fattispecie processuale complessa, nella quale il contatto anticipato con il (possibile) destinatario del provvedimento restrittivo costituisce un elemento fondante, e non solo cronologicamente antecedente, l'esercizio del potere cautelare, in quanto concorre a confermare - ovvero, al contrario, a obliterare - il convincimento interinale del giudicante, discendente da una illustrazione unilaterale dei fatti di causa e delle conseguenze da trarne in punto di diritto” (punto 5.3. della sentenza n. 5548/2025).
Lo schema procedimentale complesso si compone di un requisito negativo rappresentato dal giudizio di (in)sussistenza di esigenze cautelari ostative, quale fattore preclusivo rispetto all'attivazione del contraddittorio preliminare.
Con riferimento all’ampiezza del sindacato del giudice dell’impugnazione cautelare, la Suprema Corte richiama la propria consolidata giurisprudenza secondo la quale il riesame di una misura cautelare personale è un mezzo di impugnazione con effetto interamente devolutivo, preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l'adozione del provvedimento cautelare (Sez. Un., n. 26 del 05/07/1995, Galletto, Rv. 202015-01; Sez. 2, n. 7327 del 16/12/2023, Cannalire, non mass.; Sez. 4, n. 12995 del 05/02/2016, Uda, Rv.266294-01; Sez. 5, n. 5664 del 24/11/1999, dep. 2000, Frroku, Rv. 216240-01), che consente al tribunale di annullare o riformare in senso favorevole all'imputato il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell'atto di impugnazione, così come di confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dell'ordinanza cautelare (Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, Valorosi, Rv. 278314-03; Sez. 6, n. 18853 del 15/03/2018, Puro, Rv. 273384-01).
Ai medesimi caratteri sopraenunciati non può sfuggire il vaglio del giudice dell’impugnazione cautelare circa le condizioni legittimanti (o meno) dell’interrogatorio preventivo, che secondo la Suprema Corte deve assumere i caratteri di un sindacato pieno ed intrinseco.
D’altronde, del tutto condivisibilmente, i giudici di legittimità rammentano come non sia mai stato revocato in dubbio, peraltro, che lo scrutinio del riesame ricomprendesse anche la sussistenza delle esigenze cautelari (cfr., ex pluribus, Sez. 3, n. 43571 del 13/06/2023, Borgato, Rv. 285220-01; Sez. 3, n. 15980 del 16/04/2020, Rafanelli, Rv. 278944-02), e tale principio conserva intatta tutta la sua evidente validità anche quando l’esistenza dell’esigenza costituisca un elemento negativo della fattispecie processuale.
Dunque, venuta meno – secondo l’autonomo vaglio del Tribunale del Riesame, chino sulle risultanze del caso di specie – la sussistenza della condizione eccettuativa (nei casi all’attenzione, quella rappresentata dal pericolo di fuga), ritiene la Suprema Corte che tale valutazione del giudice dell’impugnazione costituisca emersione di una causa originaria e strutturale di nullità dell'ordinanza applicativa.
Come sancito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 9113/2025 la prospettazione dell’Ufficio di Procura, in realtà, trasla nell'ambito delle valutazioni soggettive del giudice un requisito che il legislatore pone – piuttosto - nell'ambito dei presupposti oggettivi richiesti per l'emissione della misura cautelare senza l'interrogatorio preventivo: “In tal senso depone il verbo utilizzato dallo stesso legislatore, là dove nel prevedere la deroga in questione richiede che il pericolo di fuga "sussista", così facendo ricorso a un verbo che richiama alla consistenza o validità oggettiva dell'esigenza cautelare, in maniera indipendente dalle valutazioni soggettive dei giudici.” (punto 3 della sentenza n. 9113/2025).
Al contrario di quanto argomentato dalla Procura ricorrente, la Suprema Corte esclude ogni impropria estensione analogica di una norma di stretta interpretazione da parte del Tribunale: nel caso in esame la sanzione processuale della nullità è espressa nel comma 3-bis dell'art. 292 cod. proc. pen., secondo il quale «l'ordinanza è nulla se non è preceduta dall'interrogatorio nei casi previsti dall'articolo 291, comma 1-quater» ed è, effettivamente, connessa alla mancata effettuazione dell’interrogatorio nei casi in cui è dovuto, a prescindere dell’eventuale deficit argomentativo-motivazionale dell’ordinanza applicativa.
Inoltre la Suprema Corte, nella sentenza n. 5548/2025, mutuando le riflessioni a suo tempo espresse in tema di interrogatorio preventivo ex art. 289 co. 2 c.p.p., qualifica la patologia processuale riscontrata come nullità di ordine generale a regime intermedio per violazione del diritto di difesa, ai sensi dell'art. 178, lett. cod. proc. pen., (cfr. Sez. 6, n. 2412 del 24/05/2000, Corea, Rv. 217318-01).
Sostenere, per converso, che “…un passaggio argomentativo purchessia (che non esondi nel puro espediente retorico) valga a superare ogni possibilità di contestazione da parte dell'indagato, si finirebbe per sterilizzare irragionevolmente il perimetro cognitivo del giudice del riesame ed espropriare l'indagato di una basilare garanzia attribuitagli dalla legge, in conformità con i principi costituzionali” (punto 5.5. Cass. n. 5548/2025).
D’altronde, seguendo il ragionamento sostenuto dall’Ufficio di Procura ricorrente, la diversa conclusione – in chiave paradossale - avrebbe l'effetto di legittimare l’applicazione di misure cautelari senza interrogatorio preventivo pur in presenza di condizioni eccettuative nella realtà inesistenti, ma arbitrariamente ritenute tali dal giudice della cautela.
In tali ipotesi, come correttamente ammonito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 9113/2025 “…le eventuali valutazioni soggettive del giudice - arbitrarie o, comunque, erronee - porterebbero alla vanificazione degli obiettivi della novella normativa e alla violazione dei principi costituzionali e essi sottesi. Il tutto, peraltro, senza alcuna possibilità di sanzionare tale illegittimità o di porvi rimedio, visto che nella prospettazione dell'odierno ricorrente, il tribunale - in presenza di una motivazione sul pericolo di fuga in realtà insussistente- non potrebbe annullare l'ordinanza emessa pur in violazione dell'art. 291, comma 1- quater, cod. proc. pen.” (punto 2 Cass. n. 9113/2025).
La seconda sezione della Suprema Corte, infine, neutralizza altresì il secondo argomento sostenuto dall’Ufficio di Procura ricorrente, in ordine all’assenza in concreto di offensività della patologia processuale, stante la successiva scelta del diritto al silenzio da parte degli indagati.
Come sostenuto dalla Suprema Corte, le incensurabili determinazioni discrezionali dell’indagato nell’individuazione delle modalità concrete dell'esercizio - o del mancato esercizio – dei diritti difensivi, non possono fungere da meccanismo convalidante ex post dell’iniziale omissione di un incombente processuale qualificato come imprescindibile, non potendosi certo costringere l'indagato a controdedurre puntualmente rispetto all'imputazione provvisoria, rinunciando a priori alle proprie legittime strategie, a pena di vedere caducato il proprio diritto ad eccepire la nullità (cfr. Sez. 6, n. 26929 del 15/03/2018, Cecchini, Rv. 273416- 01, in tema di misura interdittiva ex art. 289, comma 2, cod. proc. pen.).
4. Al di là della pur rilevante affermazione del principio di diritto poc’anzi dettagliato, la Suprema Corte coglie l’occasione – segnatamente nella sentenza n. 5548/2025 – di enunciare numerosi obiter dicta, funzionali per lo più ad avallare orientamenti che già si erano assestati nelle prime applicazioni da parte della giurisprudenza di merito.
In primo luogo la Suprema Corte chiarisce definitivamente l’ambito applicativo temporale del nuovo istituto dell’interrogatorio preventivo.
La novella codicistica è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 10 agosto 2024, n. 187 ed è quindi entrata in vigore, il successivo 25 agosto 2024.
In attuazione dei generali principi del tempus regit actum e del favor rei, la Suprema Corte afferma che la regola del contraddittorio anticipato deve ritenersi applicabile a tutte le richieste di misura cautelare pendenti a tale data, come sottolineato condivisibilmente dai primi commentatori e dalle prime applicazioni della giurisprudenza di merito.
Impregiudicata la considerazione secondo cui il nuovo regime offre una più ampia tutela all'indagato, è indubitabile che l’atto da prendere in considerazione al fine di verificare la norma applicabile sia l'ordinanza del Giudice per le indagini, stante la specifica topografia della modifica legislativa, che è andata a incidere sull'art. 291 cod. proc. pen., recante disposizioni sul «procedimento applicativo» che il giudicante deve seguire, a seguito dell'impulso derivante dalla richiesta di misura del pubblico ministero.
Peraltro, depone in tal senso anche la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato con disposizioni transitorie, il passaggio dall'una all'altra, occorre far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato (Sez. Un., n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537-01).
In secondo luogo, la Suprema Corte statuisce espressamente quanto già si era acclarato nelle prime pronunce di merito, ossia che l’adempimento dell’interrogatorio preventivo non è necessario nel caso di prima delibazione, da parte del GIP, del rigetto della richiesta cautelare.
Se l’interrogatorio preventivo assomma in sé la duplice funzione di consentire al (potenziale) destinatario della misura di fare valere le proprie ragioni prima dell'adozione (eventuale) del provvedimento e di incidere conseguentemente sull'obbligo motivazionale del giudice emittente, tenuto da subito a confrontarsi con le deduzioni difensive, imporre tale (poderoso) adempimento processuale anche in caso di delibato rigetto risulterebbe controproducente, oltre che dannoso per la tenuta delle indagini, producendo una prematura discovery del materiale investigativo.
D’altronde, il confronto con il previgente dato normativo a confronto, rappresentato dall’art. 289 co. 2 c.p.p., conforta tale interpretazione, dal momento che il novum normativo si connota non solo per l'ambito rigidamente circoscritto in relazione a talune specifiche esigenze cautelari ma altresì per una differenza testuale non meramente lessicale, dal momento che il giudice procede all’interrogatorio preventivo, per quanto attiene alla citata misura interdittiva, «prima di decidere sulla richiesta del pubblico ministero», mentre, secondo il comma 1 quater dell’art. 291 c.p.p., adempie all’onere processuale «prima di disporre la misura».
Infine, la Suprema Corte fornisce un’importante precisione in ordine ai rapporti tra GIP e PM nell’individuazione delle eccezioni.
Se, come si è visto in precedenza, il giudizio di (in)sussistenza di esigenze cautelari ostative, quale fattore preclusivo rispetto all'attivazione del contraddittorio preliminare, è condizione di legittimità del provvedimento applicativo del Giudice, appare logicamente consequenziale ritenere che sia quest’ultimo ad avere il potere-dovere di sondare il tema anche a prescindere dalle specifiche richieste e indicazioni sul punto da parte del pubblico ministero.
Invero, il principio della domanda cautelare preclude al giudice la possibilità di mutare il fatto posto a fondamento della imputazione cautelare ovvero di disporre misure più gravi di quelle richieste, ma non impedisce, anche in sede di impugnazione, di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica né di ravvisare gli indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari per ragioni diverse o ulteriori rispetto a quelle prospettate dall'organo di accusa (Sez. 1, n. 36255 del 30/06/2023, Adalil, non mass.; Sez. 1, n. 28525 del 08/9/2020, Signore, Rv. 279643-01; Sez. 3, n. 43731 dell'8/9/2016, Borovikov, Rv. 267935- 01; Sez. 3, n. 29966 del 1/4/2014, C., Rv. 260253-01). D’altronde, come confermato dalle sentenze della Suprema Corte in commento, la correlata previsione di nullità riguarda solo l'ordinanza applicativa, ai sensi dell'art. 292, comma 2, cod. proc. pen., e non la richiesta del pubblico ministero (Sez. 1, n. 36255 del 2023, cit.; Sez. 6, n. 51066 del 03/10/2017, La Selva, non mass.; Sez. 2, n. 6325 del 21/11/2006, dep. 2007, Chaoui, Rv. 235826-01).
5. Nonostante l’importanza del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte e dei numerosi obiter dicta, tuttavia gli arresti in commento lasciano al lettore – ed in primis al giudice di merito – la sensazione che sia sfuggita l’occasione per affrontare – con l’autorevolezza tipica del Giudice di legittimità – alcune ulteriori questioni inerenti all’interrogatorio preventivo, la cui complessità e problematicità attanaglia pressocché quotidianamente gli operatori del diritto nel delicato settore della cautela.
Invero, impregiudicata e risolta la questione inerente alla “competenza” a valutare il ricorrere delle condizioni e delle deroghe per l’interrogatorio preventivo, la tecnica normativa adoperata dal legislatore desta più di una perplessità.
In primo luogo, risulta quanto meno improprio il rinvio a categorie normativamente strutturate per altri fini, con riferimento, ad esempio, al computo ed alla durata dei termini delle indagini preliminari, alla comunicazione della notizia di reato, nonché alla secretazione delle iscrizioni e all’assunzione di informazioni da parte della persona offesa, nel delineare le condizioni eccettuative il ricorso all’interrogatorio preventivo.
Sul punto, già in sede di lavori preparatori si censurava l’eccessiva elasticità del rinvio ai «gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale», lasciato intatto dal legislatore, che potrebbe dar luogo sia ad incontrollabili sperequazioni sul piano difensivo che ad interpretazioni lesive degli ulteriori controinteressi da tutelare nel bilanciamento.
Ad esempio, in materia di violenza domestica e di genere, nei casi non coperti dal rinvio all’elenco normativo di cui all’art. 362 co. 1 ter c.p.p. (pur immaginabili nella prassi: violazioni ex art. 387 bis c.p., minacce aggravate, violenza privata, sequestro di persona, induzione al matrimonio coatto etc.) appare quanto meno congruo sostenere un’interpretazione ampia dei “mezzi di violenza personale” che faccia tesoro delle acquisizioni, orientate in senso eurounitario ed internazionale, fatte proprie dalle Sezioni unite[5], volte ad individuare un concetto ampio di violenza personale, non certamente limitato alla sola violenza fisica.
In secondo luogo, la dicitura normativa secondo la quale l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione inibisce il ricorso all’interrogatorio preventivo allorquando si ponga “in relazione” ad uno dei reati indicati è foriera di una duplice prospettiva ermeneutica, non risolta dalla Suprema Corte nelle sentenze in commento.
Secondo una prima lettura, il rapporto di relazione potrebbe intercorrere tra il reato la cui imputazione provvisoria viene mossa dal P.M. in sede di richiesta cautelare (di conseguenza, il ricorso all’interrogatorio preventivo o meno dipenderebbe dal titolo di reato che il P.M. ritiene provvisoriamente di contestare in sede cautelare, il che si porrebbe in aperto contrasto con le valutazioni della Suprema Corte nelle sentenze riportate).
Più condivisibilmente, secondo una diversa lettura, la norma andrebbe interpretata nel senso di esigere un nesso relazionale prognostico rispetto a futuri e probabili reati che l’indagato (eventualmente, quand’anche iscritto nel registro delle notizie di reato per un titolo non rientrante nelle categorie in deroga) sia proteso a commettere, diversi da quelli oggetto della richiesta cautelare.
Peraltro, la particolare declinazione di tale meccanismo prognostico non è nuova al sotto-sistema della cautela[6]. Ed infatti, l’art. 274 co. 1 lett. c) c.p.p., nell’individuare i casi in cui è possibile disporre misure cautelari per il rischio di reiterazione della stessa indole, limita l’ambito applicativo alla prognosi di commissione di reati puniti con una pena massima non inferiore a quattro anni e, per il caso specifico della custodia in carcere, non inferiore a cinque anni.
La nuova disciplina, introdotta dalla legge 9 agosto 2013 n. 94 per la custodia cautelare in carcere e poi rimaneggiata dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, pur non rinunciando ad una parametrazione incentrata sui reati offensivi della stessa categoria di interessi o valori (e non già di delitti che violano la stessa disposizione di legge ovvero che presentano caratteri fondamentali comuni rispetto a quelli commessi in precedenza), limita l'applicabilità della custodia cautelare in carcere alla prognosi di commissione di "delitti per i quali è prevista la pena di reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni". Dal che consegue la necessaria integrazione del giudizio prognostico con l'indicazione nell'ordinanza cautelare del tipo di delitti, sempreché offensivi della stessa categoria di valori, dei quali viene prevista la reiterazione: indicazione che deve trovare la premessa logico-argomentativa negli elementi di fatto posti a fondamento dei motivi che giustificano l'ipotizzabilità delle esigenze stesse di cui all'art. 274 lett. c) cod. proc. pen., ma che consente di delineare in modo netto la distinzione tra giudizio diagnostico sull’imputazione cautelare e giudizio prognostico sul rischio cautelare.
Innegabilmente, la tipologia e la qualità dell’imputazione cautelare rappresentano elementi che orientano (e talvolta fondano) il giudizio del giudice della cautela in ordine alla verifica della condizione ostativa; tuttavia non può escludersi, nella prassi, che possa essere sufficiente che il giudice ritenga sussistente il rischio di commissione di reati rientranti tra quelli delle categorie di deroga, seppur diversi da quelli oggetto del titolo cautelare, sulla base di diversi e ulteriori elementi, rappresentati dalla capacità a delinquere dell’indagato, dai suoi precedenti, dai rapporti delle parti e dal comportamento della persona offesa.
Non è da escludere, infine, che nella prassi si assista ad un ampliamento interpretativo della condizione rappresentata dal rischio di inquinamento probatorio: il legislatore, infatti, ha mostrato di ignorare quanto usualmente si verifica nella prassi, allorquando attività a sorpresa, come perquisizioni e sequestri vengono spesso svolte in concomitanza dell’esecuzione delle misure cautelari e, in particolare, della misura della custodia cautelare in carcere (art. 352, co. 2, c.p.p.).
Tali attività consentono spesso l’acquisizione di materiale fondamentale alle indagini che, attraverso un invito preventivo al contraddittorio, rischierebbe di essere del tutto vanificata. Si ritiene, dunque, che ipotesi di questo genere debbano più propriamente trovare sede nel concetto di inquinamento probatorio, lato sensu inteso, la cui esigenza cautelare ben potrebbe concretizzarsi proprio nel caso in cui si procedesse all’adempimento previsto, in via astratta, dalla legge.
6. Un’ulteriore questione spinosa, vero e proprio “peccato originale” dell’intervento normativo – lasciata sullo sfondo e non affrontata, neppure in chiave di obiter dictum, dalla Suprema Corte – è rappresentata dalle modalità di attuazione dell’interrogatorio preventivo nel caso di richieste oggettivamente e/o soggettivamente complesse.
L’intervento normativo disciplina l’interrogatorio preventivo in modo del tutto astratto, limitandosi a postulare il caso in cui il giudice per le indagini preliminari sia chiamato a valutare l’applicazione di una sola misura cautelare in un procedimento monosoggettivo, senza regolamentare il caso – altrettanto frequente – di richieste cautelari per più reati, diversamente gravi, o di procedimento oggettivamente e soggettivamente cumulativi.
In tali casi, la misura potrebbe essere applicabile nei confronti di alcuni indagati senza preventivamente interrogarli; l’interrogatorio preventivo potrebbe, invece, residuare obbligatorio per gli altri.
Ebbene, il diverso iter da osservare con riferimento ai vari indagati e/o alle varie imputazioni provvisorie per l’applicazione delle misure cautelari – già sollevato dal Consiglio Superiore della Magistratura nel parere consultivo licenziato sul disegno di legge – implica questioni che il testo di legge non risolve, risultando, in particolare, incerto come conciliare l’intervento cautelare “a sorpresa” con quello garantito dal “contraddittorio”.
Appare evidente che, sebbene non si pronuncino espressamente sul punto, le sentenze della Suprema Corte in commento offrono all’interprete delle direttrici interpretative difficilmente eludibili, rappresentate dalla necessità di interpretazioni adeguatrici del dato normativo rigorose e proattive, che non si traducano in una interpretatio abrogans del nuovo istituto.
Pertanto, appare necessario per l’interprete reperire dei criteri endosistematici – in attesa di un auspicabile e provvidenziale intervento delle Sezioni unite sul punto – per la risoluzione della problematica, non potendo essere rimessa a generici criteri di opportunità la modulazione di un istituto che, ad oggi, costituisce concreta modulazione del diritto costituzionale di difesa nel settore della cautela.
Facendo tesoro di un modus procedendi già sostenuto dalle Sezioni unite nella risoluzione di una questione del tutto diversa, ma parimenti spinosa e complessa, rappresentata dalla individuazione del procedimento “diverso” per l’applicazione del disposto allora vigente dell’art. 270 c.p.p. in materia di intercettazioni[7], il criterio della connessione ex art. 12 c.p.p., noto fin dall’introduzione del codice Vassalli e oggetto di una cospicua e poderosa elaborazione giurisprudenziale[8] consente di concretizzare un parametro sufficientemente vincolante in grado di tradurre giuridicamente i rischi di interferenza cautelare oggettiva (tra diverse imputazioni connesse) e soggettiva (tra diverse posizioni processuali all’attenzione del giudicante).
L’ipotesi di procedere all’interrogatorio preventivo dei soli indagati nei cui confronti non siano ravvisabili le condizioni per derogarvi, e di provvedere poi unitariamente sulla richiesta di misura, è evidentemente da escludere, in quanto nei procedimenti con una pluralità di indagati, in ragione della connessione delle posizioni, i fatti e le condotte non risultano facilmente scindibili: risulterebbe praticamente impossibile selezionare gli atti da depositare in modo da rendere ostensibili solo quelli riguardanti gli indagati da interrogare.
Il deposito degli atti implicherebbe, invero, una piena discovery anche in favore di quegli indagati non titolati al diritto all’interrogatorio preventivo, neutralizzando l’effetto sorpresa nell’esecuzione della misura e, con esso, con ogni probabilità la tutela delle esigenze cautelari sottese.
La soluzione alternativa di un’applicazione “in due tempi” della misura cautelare – dapprima nei confronti degli indagati da non interrogare preventivamente e, all’esito dell’interrogatorio, la decisione in merito all’adozione della misura richiesta nei confronti degli altri – parimenti non sembra esente da criticità.
Ed infatti, pur a fronte del carattere “parziale” (sotto il profilo soggettivo) dell’ordinanza applicativa della misura, un’anticipazione della valutazione indiziaria nei confronti degli indagati ancora da interrogare si fonderebbe su un quadro indiziario ancora in fieri, destinato a completarsi (ed eventualmente a sovvertirsi) con gli interrogatori ancora da assumere, peraltro da parte del medesimo giudice autore della separata valutazione parziale.
Analogamente, il testo di legge non risolve il problema delle imputazioni cautelari oggettivamente complesse: non è da escludere, infatti, l’ipotesi in cui il giudice sia chiamato a valutare l’applicazione di una misura cautelare nei confronti di un soggetto gravemente indiziato sia di reati “comuni” che di reati di cui all’art. 407 co. 2 lett. a) c.p.p.; oppure, non può escludersi il caso in cui le esigenze cautelari appaiano frazionate, potendosi ritenere sussistente il pericolo di reiterazione in relazione ad un reato che imponga l’interrogatorio preventivo, a fronte di un pericolo di inquinamento probatorio specifico per ulteriori ipotesi di reato.
Anche in questo caso, la natura fondante e legittimante dell’intervento cautelare che assume l’interrogatorio preventivo imporrà, soltanto in caso di connessione “forte” ex art. 12 c.p.p., la postergazione dell’(unitaria) garanzia nei confronti dell’indagato, dovendosi procedere invece in modo separato nel caso in cui le molteplici imputazioni cautelari non siano avvinte da tale vincolo, ma da un mero collegamento probatorio o finanche da mere ragioni di opportunità processuale.
L’embrionale premessa di metodo brevemente dettagliata, allo stato e fatti salvi gli ulteriori sviluppi giurisprudenziali o legislativi, sembra un criterio orientativo utilizzabile dal giudice della cautela, gravato ancora una volta dell’annoso (e forse esorbitante) compito di modulazione delle garanzie difensive nel singolo caso concreto.
[1] A. Marandola, Troppi i dubbi sulle garanzie dell’interrogatorio cautelare anticipato, Sistema penale e processo, 10 maggio 2024; C. Valentini, Com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire: note sparse sul futuribile interrogatorio ante cautela, in Arch. pen., 2023, 3 ss.; M. Gialuz, Le novità della “manovra Nordio” in materia processuale: quando l’ideologia rischia di provocare un’eterogenesi dei fini, in questa Rivista, 22 luglio 2024, in particolare p. 11 s.
[2] G. Riccio, Per un nuovo progetto di giustizia penale, in Dir. pen. proc., 2006, p. 1193 ss.
[3] K. La Regina, L’udienza di convalida dell’arresto in flagranza o del fermo, Padova, 2011.
[4] Parla apertamente di “istituto bandiera” M. Gialuz, op. cit.
[5] Cass., SS.UU., sent. 29 gennaio 2016 (dep. 16 marzo 2016), n. 10959. Cfr., Bressanelli C., La "violenza di genere" fa il suo ingresso nella giurisprudenza di legittimità: le Sezioni Unite chiariscono l'ambito di applicazione dell'art. 408 co. 3 bis c.p.p., in Diritto penale contemporaneo, 21 giugno 2016.
[6] Cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 3109 del 19/09/1995 Cc. (dep. 10/10/1995) Rv. 202559 – 01.
[7] Cfr. Cass., Sez. un., 28 novembre 2019 (dep. 2 gennaio 2020), n. 50, Pres. Carcano, est. Caputo, in questa Rivista con nota di G. Illuminati, Utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi: le Sezioni unite ristabiliscono la legalità costituzionale, 30 gennaio 2020.
[8] Cass., Sez. un., 3 ottobre 2024 (ud. 18 aprile 2024), n. 36764, Pres. Cassano, Rel. Silvestri.