Disegno di legge A.C. n. 831
*Contributo destinato al fascicolo 2/2023.
1. Pubblichiamo in allegato, assieme alla relazione illustrativa e alle relazioni tecniche, il testo del disegno di legge A.C. n. 831 “Norme in materia di procedibilità d’ufficio e di arresto in flagranza”, presentato dal Ministro della Giustizia Dott. Carlo Nordio il 27 gennaio 2023 alla Camera dei Deputati, dove è attualmente all’esame della Commissione Giustizia (si sono svolte ieri delle audizioni, disponibili sulla web-tv della Camera).
Come si ricorderà, il disegno di legge è stato presentato a valle del clamore mediatico, non privo di eccessi allarmistici alimentati dalle dichiarazioni di alcuni rappresentanti della magistratura e delle istituzioni, sviluppatosi attorno ad alcuni casi di cronaca relativi, tra l’altro, a mancati arresti in flagranza di autori di furti o a temute (ma non avvenute) scarcerazioni di affiliati alla criminalità organizzata mafiosa in custodia cautelare in carcere anche (ma non solo) per reati resi procedibili a querela dalla riforma Cartabia (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150). Il lettore ricorderà certamente quei casi, cui tanta attenzione hanno dedicato i media prima che la scena venisse occupata dai casi Cospito e Delmastro/Donzelli: autori di furti aggravati che, pur essendo stati colti in flagranza, non sono stati arrestati per l’impossibilità di reperire sul momento le persone offese titolari del diritto di querela; autori di un regolamento di conti mafioso, con sequestro e pestaggio di alcune persone responsabili di una rapina non ‘autorizzata’, che sarebbero stati liberati dalla custodia cautelare in carcere, per mancata presentazione della querela, se non fossero stati contestati anche altri più gravi reati, procedibili d’ufficio, come normalmente avviene nei procedimenti relativi a contesti di criminalità organizzata (è fin troppo evidente che la mafia non si contrasta con le querele, per riprendere il titolo di un bell’intervento di Mario Chiavario, pubblicato su L’Avvenire).
Ebbene, tanto tuonò che piovve. La risposta del Governo non è però, come una certa narrazione mediatica pure aveva fatto credere per settimane, un intervento urgente correttivo di pretesi ‘disastri’ della riforma Cartabia. Nessun passo indietro viene proposto dal Governo rispetto all’estensione del regime di procedibilità ai reati contro la persona e contro il patrimonio individuati dalla riforma Cartabia. E’ questo un primo, fondamentale, dato politico-criminale da registrare. Così come non priva di significati è la scelta di ricorrere a un disegno di legge e non già a un decreto-legge o a un decreto legislativo correttivo della riforma Cartabia.
Se il rischio dei mancati arresti o delle scarcerazioni, tanto più di boss mafiosi, fosse stato concreto e statisticamente significativo, non sembra dubitabile, infatti, che il Governo sarebbe intervenuto con un decreto-legge.
D’altra parte, se si fosse davvero trattato di rimediare ad errori o sviste della riforma Cartabia, il veicolo normativo sarebbe stato rappresentato da un decreto legislativo correttivo di quella riforma, per il quale il Governo può esercitare una delega di cui già dispone, in virtù della legge n. 134/2021, fino al 30 dicembre 2024. Senonché, come si legge nella relazione del Ministro Nordio al disegno di legge A.C. n. 831, gli aspetti problematici sui quali si propone di intervenire sussistevano ancor prima della riforma Cartabia, che non li avrebbe potuti risolvere per mancanza di una delega sul punto. Sono vecchi problemi – come abbiamo cercato di mostrare in un contributo pubblicato su questa Rivista – che, contingentemente, sono stati messi a fuoco ed amplificati per effetto dell’estensione del regime di procedibilità a querela realizzato dal d.lgs. n. 150/2022. Problemi che, indubbiamente, è ragionevole e opportuno risolvere, ma che certamente non hanno la loro causa nella riforma Cartabia, che, assieme al vecchio istituto della querela, è stata per settimane sotto il tiro di fuoco di eccessive polemiche, ora ridimensionate per tabulas.
2. Venendo ad oggetto e contenuti, il disegno di legge d’iniziativa del Governo, che si compone di tre soli articoli (oltre a un quarto sull’invarianza finanziaria), ed è il primo sottoscritto dal Ministro Nordio come unico firmatario - ha una portata circoscritta e si prefigge due diversi obiettivi, sulla linea di alcune proposte che erano state avanzate anche nel citato contributo pubblicato sulla nostra Rivista: a) escludere la procedibilità a querela in presenza di determinate aggravanti; b) consentire l’arresto obbligatorio in flagranza, per reati procedibili a querela, anche quando questa non viene presentata immediatamente perché non si riesce a rintracciare la persona offesa.
Si tratta di un intervento chirurgico, ragionevole e che in alcun modo mette in discussione le scelte di fondo sull’estensione della procedibilità a querela realizzate dalla riforma Cartabia, nel quadro degli obiettivi del PNRR. L’incipit della relazione del Ministro Nordio al disegno di legge è chiaro sul punto: la riforma Cartabia ha mirato, con l’estensione del regime di procedibilità a querela ad alcuni reati contro la persona e contro il patrimonio, a realizzare effetti di deflazione processuale, cioè a ridurre il numero dei procedimenti penali (in corrispondenza della mancata presentazione della querela o della sua rimessione). Ebbene, si legge nella Relazione del disegno di legge Nordio, si tratta di un “intervento che si ritiene di confermare in quanto, nell’ambito degli impegni assunti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è opportuno favorire tali effetti deflativi”. Si tratta, pertanto, di un approccio confermativo/migliorativo e non demolitivo, che può senz’altro rassicurare, tra l’altro, la Commissione Europea (un approccio opposto è invece proprio del disegno di legge A.C. 834, primo firmatario l’on. Federico Cafiero De Raho, che, a differenza del Governo, propone di ripristinare la procedibilità d’ufficio per alcuni reati che la riforma Cartabia ha reso procedibili a querela, nonché – su tutt’altro fronte – di reintrodurre le preclusioni al concordato sui motivi d’appello, di cui all’art. 599-bis, co. 2 c.p.p., abolite dal d.lgs. n. 150/2022).
2.1. Sotto il profilo del regime di procedibilità, il disegno di legge (art. 1) interviene su due aggravanti comuni previste nella parte speciale del codice penale, prevedendo che, ove ricorrano quelle aggravanti, si procede sempre d’ufficio: anche, pertanto, quando per il reato cui si riferisce l’aggravante è prevista la procedibilità a querela. Le aggravanti in questione sono quelle del metodo mafioso (art. 416-bis.1 c.p.) – già prevista dall’art. 7 d.l. n. 152/1991 – e della finalità di terrorismo (art. 270-bis.1 c.p.) – già prevista dall’art. 1 d.l. n. 625/1979). L’intervento è realizzato aggiungendo ai due citati articoli del codice penale un ultimo comma ai sensi del quale “per i delitti aggravati dalla circostanza di cui al primo comma si procede sempre d’ufficio”.
Rispettivamente da 22 e da 44 anni le aggravanti comuni di cui agli artt. 416-bis.1 c.p. 270-bis.1 c.p. sono riferibili anche a reati procedibili a querela; la riforma Cartabia si è limitata ora ad estenderne il numero. Era ed è possibile, pertanto, che siano procedibili a querela reati aggravati dal metodo mafioso o della finalità di terrorismo. La proposta di rendere procedibili d’ufficio questi reati è ragionevole per due motivi: a) perché quelle aggravanti sono espressive di un’offesa a beni giuridici di rilievo pubblicistico e privano il fatto e l’offesa di una dimensione meramente privatistica, che sola giustifica la procedibilità a querela; b) perché, per quanto riguarda il metodo mafioso, le condizioni che aggravano il reato possono con ogni probabilità pregiudicare la libertà di presentare una querela. La forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, la condizione di assoggettamento e di omertà, è incompatibile con la logica della procedibilità a querela, che presuppone la normale possibilità di manifestare liberamente, senza pressioni, la volontà e l’interesse a procedere.
Come si ricorda nella relazione illustrativa, peraltro, la tecnica normativa che esclude la procedibilità a querela in presenza di determinate aggravanti comuni non è nuova: l’art. 6, co. 1 del d.l. n.122/1993 prevede che la procedibilità d’ufficio tutte le volte in cui ricorre l’aggravante della finalità di discriminazione o odio etnico o razziale o religioso, di cui all’art. 604 ter c.p. In questo caso, peraltro, la legge fa riferimento ai “reati” aggravati dalla predetta circostanza, e non già ai “delitti”, come nel caso dell’art. 1 del d.d.l. A.C. n. 831. Sarebbe più opportuno adottare la più ampia formula della legge del 1993 – che si riferisce ai “reati”, e non ai “delitti” – per evitare che restino procedibili a querela contravvenzioni aggravate dal metodo mafioso o dalla finalità di terrorismo. Oggi è un rischio più teorico che pratico, essendo le contravvenzioni normalmente procedibili d’ufficio. È però vero che proprio la riforma Cartabia ha reso procedibili a querela due contravvenzioni (quelle di disturbo delle occupazioni delle persone e di molestie, di cui agli artt. 659 e 660 c.p.) e che è ben possibile che il legislatore, in futuro, prosegua su questa scia.
Va segnalato, peraltro, che la procedibilità d’ufficio introdotta dal disegno di legge non potrebbe venir meno per effetto del giudizio di bilanciamento delle aggravanti considerate con concorrenti circostanze attenuanti. Non solo perché, in termini generali, la giurisprudenza esclude che il giudizio di subvalenza o di equivalenza di circostanze aggravanti renda procedibile a querela un reato procedibile d’ufficio nell’ipotesi aggravata (cfr., da ultimo, Cass. Sez. II, 21.12.2020, n. 22952, Sadik, Rc. 281454-01), ma, ancor prima, per una ragione assorbente: il divieto di prevalenza o di equivalenza di circostanze attenuanti (con la sola eccezione di quelle di cui agli artt. 98 e 114 c.p.) rispetto a quelle aggravanti (cfr. artt. 270-bis.1, co. 2 e 416-bis.1, co. 2 c.p.).
Un diverso discorso ci sembra debba essere fatto, invece, con riguardo alle attenuanti della dissociazione e della collaborazione, prevista per i reati con finalità di terrorismo e per i reati commessi con metodo mafioso, rispettivamente, dall’art. 270-bis.1, co. 3 e 416-bis.1, co. 3. Per espressa previsione normativa (artt. 270-bis.1, co. 4 e 416-bis.1, co. 4), quelle attenuanti rendono inapplicabili le rispettive aggravanti e pertanto, a noi pare, conserverebbero la procedibilità a querela dei reati considerati. Se volesse evitare questo esito, il legislatore dovrebbe allora fare espressamente salvo l’effetto sul regime di procedibilità, pur in difetto dell’applicazione dell’aggravante; dovrebbe, in altri termini, intervenire sul terzo comma dei due articoli considerati esplicitando che “salvo quanto previsto dal quinto comma, quando ricorre la circostanza di cui al terzo comma non si applica l’aggravante di cui al primo comma”.
2.2. L’art. 2 del disegno di legge modifica poi l’art. 71, co. 1 del codice antimafia (d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159) inserendo il delitto di lesioni personali dolose (art. 582 c.p.) tra quelli per i quali le pene sono aumentate, da un terzo alla metà, se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale, durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l’esecuzione. L’estensione alle lesioni personali di tale aggravante fa sì, in virtù del disposto del secondo comma dello stesso art. 71 del codice antimafia, che si proceda d’ufficio; anche, pertanto, in relazioni alle lesioni personali lievi, rese procedibili a querela dal d.lgs. n. 150/2022. Questa circoscritta modifica normativa sembra ragionevole, considerato che, come si legge nella relazione che accompagna il disegno di legge, l’aggravante di cui all’art. 71, co. 1 è oggi riferibile anche a reati meno gravi – pure oggetto dell’intervento realizzato con il d.lgs. n. 150/2022 – quali la violenza privata e la minaccia.
2.3. L’intervento di maggior impatto e rilievo sistematico, tra quelli previsti dal disegno di legge (art. 3), riguarda l’arresto nella flagranza di reati procedibili a querela. Come abbiamo ricordato in un altro contributo pubblicato su questa Rivista, da sempre (già nel codice di procedura penale del 1930) la legge consente l’arresto in flagranza, obbligatorio o facoltativo, anche per i reati procedibili a querela. In questo caso, la regola – comune all’arresto obbligatorio (art. 380, co. 3 c.p.p.) e facoltativo (art. 381, co. 3 c.p.p) – è questa: “l’arresto in flagranza è eseguito se la querela viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente nel luogo. Se l'avente diritto dichiara di rimettere la querela, l'arrestato è posto immediatamente in libertà”. Nella flagranza del reato (cioè nel luogo in cui viene colto il sospetto autore) – in sostanza – deve oggi essere presente (o immediatamente reperibile) anche la persona offesa, titolare del diritto di querela. Diversamente, non può procedersi all’arresto. È proprio questa la ragione per la quale, in occasione di casi di cronaca come quelli sopra richiamati, non si è potuto procedere all’arresto in flagranza di autori di furti d’auto realizzati in ora notturna a danno di proprietari assenti sul luogo e irreperibili nell’immediatezza, ovvero al furto realizzato in un albergo chiuso per ferie mentre il proprietario si trovava all’estero.
Questo problema, come riconosce la relazione illustrativa del disegno di legge, non nasce con la riforma Cartabia (sussiste almeno dal 1930). La presenza della vittima sul luogo in cui deve essere eseguito l’arresto in flagranza può non essere problematica per alcuni reati procedibili a querela; ad esempio, per la violenza sessuale, le lesioni personali dolose, il sequestro di persona, nonché, in via di principio, per tutti i reati in cui, di norma, la persona offesa, sul cui corpo ricade immediatamente la condotta delittuosa, è presente sulla scena del reato. Con ogni probabilità è proprio a queste situazioni che pensava il legislatore del 1930, quando ha concepito la disposizione poi replicata nel nuovo codice di rito. Viceversa, rispetto a non pochi reati procedibili a querela può capitare in un rilevante numero di casi che la vittima non sia presente e comunque rintracciabile e che, pertanto, non sia in grado di presentare la querela alla polizia presente sul luogo. Si pensi, ad esempio, alla violazione di domicilio, al furto e all’appropriazione indebita. In questi casi, la mancata presentazione della querela impedisce l’arresto e può frustrare le esigenze precautelari e di sicurezza pubblica. Il rischio concreto è in particolare quello della fuga, soprattutto quando si tratti di persone non identificate o di dubbia identificazione.
Il disegno di legge Nordio, per risolvere il problema di cui si è detto, consente l’arresto anche in assenza della querela, che però deve essere presentata entro 48 ore, pena la liberazione dell’arrestato. Più precisamente, si consente il solo arresto obbligatorio in flagranza quando la querela non è contestualmente proposta perché la persona offesa non è prontamente rintracciabile, purché la querela possa ancora sopravvenire (perché non è stata manifestata la volontà di rinuncia). Se la querela non è proposta nel termine di quarantotto ore dall’arresto oppure se l’avente diritto dichiara di rinunciarvi o rimette la querela proposta, “l’arrestato è posto immediatamente in libertà”. Si prevede che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno proceduto all’arresto debbano effettuanre tempestivamente ogni utile ricerca della persona offesa, entro le 48 ore.
Si ribadisce poi che, quando la persona offesa è presente – ovvero è rintracciata, – la querela può essere proposta anche con dichiarazione resa oralmente all’ufficiale o all’agente di polizia giudiziaria, ferma restando (anche in caso di arresto facoltativo) – ed è questa una novità che realizza un opportuno coordinamento con la riforma di cui al d.lgs. n. 150/2022 – la necessità di rendere alla persona offesa, anche con atto successivo, le informazioni di cui all’articolo 90-bis c.p.p.
Questo, per comodità di lettura, il testo del nuovo comma 3 dell’art. 380 c.p.p., che il disegno di legge propone di introdurre: “Se si tratta di delitto perseguibile a querela e la querela non è contestualmente proposta, quando la persona offesa non è prontamente rintracciabile, l’arresto in flagranza, nei casi di cui ai commi 1 e 2, è eseguito anche in mancanza della querela che può ancora sopravvenire. In questo caso, se la querela non è proposta nel termine di quarantotto ore dall’arresto oppure se l’avente diritto dichiara di rinunciarvi o rimette la querela proposta, l’arrestato è posto immediatamente in libertà. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno proceduto all’arresto effettuano tempestivamente ogni utile ricerca della persona offesa. Quando la persona offesa è presente o è rintracciata ai sensi dei periodi precedenti, la querela può essere proposta anche con dichiarazione resa oralmente all’ufficiale o all’agente di polizia giudiziaria, ferma restando la necessità di rendere alla persona offesa, anche con atto successivo, le informazioni di cui all’articolo 90-bis”.
3. Il profilo meritevole di particolare attenzione, nell’ambito del disegno di legge, ci sembra proprio quello relativo alla disciplina dell’arresto in flagranza. Si tratta, infatti, di individuare un non facile punto di equilibrio tra la salvaguardia delle esigenze precautelari e di sicurezza pubblica, da un lato, e, dall’altro lato, la tutela della libertà personale dell’autore di reato presunto innocente. Consentire, come oggi, l’arresto in flagranza solo in presenza della condizione di procedibilità sposta l’asse di questo equilibrio dalla parte della libertà personale, a detrimento delle esigenze precautelari e di sicurezza pubblica. Per contro, consentire l’arresto in flagranza a prescindere dalla presentazione della querela sposterebbe l’asse di quel complesso equilibrio verso le esigenze precautelari e di sicurezza pubblica, sacrificando quelle di tutela della libertà personale. La soluzione proposta dal disegno di legge cerca un ragionevole punto di equilibrio ed è moderata in due diverse direzioni: da un lato, perché limita la possibilità di procedere all’arresto in flagranza ai soli casi di arresto obbligatorio, e non anche a quelli di arresto facoltativo; dall’altro lato, perché limita a sole 48 ore il termine per l’utile presentazione della querela, facendolo coincidere con il termine per la richiesta di convalida da parte del pubblico ministero. Entrambi questi limiti meritano qualche riflessione.
La limitazione dell’arresto ‘senza querela’ ai soli casi di arresto obbligatorio, anzitutto, può risultare problematica. Tra i reati per i quali è possibile l’arresto facoltativo in flagranza ve ne sono anche alcuni procedibili a querela, per i quali il disegno di legge non risolverebbe il problema, destinato a riemergere al primo caso di mancato arresto, per irreperibilità sul posto della persona offesa, che dovesse essere oggetto di attenzioni mediatiche pari a quelle delle scorse settimane: le lesioni personali dolose lievi, il sequestro di persona, la violenza privata, la violazione di domicilio, il furto semplice o aggravato dall’uso del mezzo fraudolento o dalla destrezza, il furto del bagaglio, il furto di cose esposte alla pubblica fede (come le autovetture parcheggiate per strada) o destinato a pubblico servizio/utilità, il furto all’interno dei mezzi di trasporto pubblico, o a danno di persona che fruito di un bancomat, la truffa e l’appropriazione indebita. In tutti questi casi – statisticamente più rilevanti quelli in materia di furto – la mancanza/irreperibilità della persona offesa sul luogo della flagranza del reato impedisce e impedirebbe l’arresto, pur dopo l’approvazione del disegno di legge. Sarebbe ragionevole, a ben vedere, trovare una soluzione normativa anche rispetto alla flagranza di questi reati: il carattere facoltativo dell’arresto non toglie che, ove si ritenga di effettuarlo – per la gravità del fatto o per la pericolosità del soggetto (cfr. art. 381, co. 4 c.p.p) – l’assenza/irreperibilità della persona rappresenti un impedimento che sacrifica le esigenze precautelari e di sicurezza pubblica.
La soluzione di limitare a 48 ore il tempo per ricercare la persona offesa, ai fini della presentazione della querela, ci sembra presenti pregi e difetti.
Il pregio è di far coincidere il termine con quello (art. 390 c.p.p) entro il quale il pm deve chiedere la convalida dell’arresto, consentendo così di poter presentare al giudice una richiesta corredata da una querela, che consente eventualmente, dopo la convalida, di applicare una misura cautelare.
Il difetto è che, come spesso avviene, gli arrestati possono oggi essere condotti davanti al giudice, per la convalida e il giudizio direttissimo, in meno di 48 ore: la mattina seguente, ad esempio, in caso di arresti effettuati il pomeriggio o la notte prima. In questi casi, o le ricerche della persona offesa avranno buon esito, e sarà possibile disporre della querela il giorno dopo, oppure è verosimile che, per evitare la liberazione dopo la convalida, nell’impossibilità di disporre una misura cautelare senza querela, gli arrestati saranno trattenuti in stato di arresto fino a 48 ore. Ci sembra infatti che, potendosi nel disegno di legge procedere all’arresto anche senza la querela, esso potrebbe essere convalidato anche prima delle 48 ore, quando la querela ancora non è stata presentata; fermo restando che l’arrestato dovrebbe essere rimesso in libertà in caso di mancata presentazione della querela entro il predetto termine. La convalida in assenza di querela, però, impedirebbe ex art. 273, co. 2 c.p.p., come si è detto, l’applicazione di una misura cautelare, dopo la convalida.
Per inciso, se è vero che potrebbe procedersi a convalida anche in assenza di querela, ciò significa che questa non rappresenterebbe una condizione di applicabilità della misura dell’arresto e che, pertanto, a noi pare, non si porrebbe, in caso di mancata presentazione della querela, un problema di riparazione per l’ingiusta detenzione.
Il principale problema è dunque rappresentato, a noi pare, dal possibile effetto collaterale della proposta normativa, che potrebbe prolungare rispetto ad oggi la limitazione della libertà personale per gli arrestati per i meno gravi reati procedibili a querela. Ciò porrebbe il problema, anche logistico, del possibile prolungato trattenimento degli arrestati nelle camere di sicurezza, prima di essere portati davanti al giudice; un trattenimento che può e deve tuttavia già a legislazione vigente essere opportunamente evitato, a favore dell’applicazione, se e in quanto possibile, dell'arresto nel domicilio (cfr. art. 558, co. 4 bis c.p.p).
Una proposta alternativa, che abbiamo cercato di abbozzare in altra sede, esclude la necessità della querela – cioè della condizione di procedibilità – entro le prime 96 ore dall’arresto, termine massimo per la limitazione eccezionale della libertà personale compatibile con l’art. 13 Cost. Sarebbe così possibile, entro questo arco temporale, effettuare e convalidare l’arresto e applicare, eventualmente, una misura cautelare, destinata a decadere se non sopravviene la condizione di procedibilità. Questa diversa soluzione concede più tempo per la ricerca della persona offesa e consente di presentare la persona davanti al giudice per la convalida dell’arresto anche dopo poche ore, applicando una misura cautelare (non necessariamente detentiva, come si sa) pur in assenza della querela. Nondimeno, non può tacersi il rischio di una più prolungata privazione della libertà personale in assenza di una condizione di procedibilità che può intervenire, come non.
Il problema affrontato dal disegno di legge ci sembra, insomma, meritevole di attenzione e, a ben vedere, dovrebbe fra riflettere sull’opportunità di ridurre il novero dei reati procedibili a querela per i quali è consentito l’arresto: la procedibilità a querela, nella gran parte dei casi (con la vistosa eccezione della violenza sessuale), riflette infatti una non particolare gravità del reato e, pertanto, una valutazione di disvalore che, almeno di norma (e salve eccezioni come quella di cui si è detto) dovrebbe coerentemente escludere l’applicazione di provvedimenti eccezionali di restrizione della libertà personale da parte delle autorità di pubblica sicurezza.