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  Scheda  
27 Giugno 2025


La Corte di cassazione torna sul divieto di utilizzo delle intercettazioni in un diverso procedimento

Cass., Sez. 3, sent. 17 aprile 2025 (dep. 15 maggio 2025), n. 18413. Pres. LIberati, rel. Corbo



1. Con una articolata sentenza, la Corte di cassazione è tornata sui principi espressi dalla sentenza delle Sezioni unite, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, “Cavallo”, offrendo chiare indicazioni sull’area operativa del divieto di utilizzo dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi di cui all’art. 270 cod. proc. pen.[1]   

In particolare, nell’ambito di un procedimento per il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, sono state autorizzate intercettazioni di conversazioni e comunicazioni al fine di “ricostruire compiutamente la rete di rapporti e di interessi imprenditoriali” del gruppo criminale. Tale procedimento è stato archiviato per infondatezza della notizia di reato.

Il pubblico ministero, tuttavia, già prima di richiedere l’archiviazione del procedimento per il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., ha disposto l’iscrizione di un nuovo procedimento penale, concernente i diversi reati di partecipazione ad associazione per delinquere, di esercizio abusivo di giochi e scommesse e di trasferimento fraudolento di valori, facendo confluire nel nuovo procedimento i risultati delle intercettazioni compiute in precedenza nel precedente procedimento.

All’esito del giudizio di primo grado, definito con rito abbreviato, il Gup ha condannato gli imputati.

La Corte di appello, in parziale riforma della prima sentenza, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità degli imputati per i reati di partecipazione ad associazione finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti (art. 416 cod. pen.), di esercizio abusivo di giochi e scommesse (art. 4, commi 1 e 4-bis, l. n. 401 del 1989), e di trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis cod. pen.), rideterminando alcune delle pene inflitte nel primo giudizio.

Gli imputati hanno presentato ricorso per cassazione, proponendo una pluralità di motivi. Tra questi – per quello che qui interessa – hanno dedotto l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche e tra presenti poste a fondamento dell’affermazione della responsabilità, in applicazione dei principi espressi dalla sentenza della Corte di cassazione, Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, perché:

a) le operazioni di captazione sono state disposte ed eseguite nell’ambito di un altro processo, definito con provvedimento di archiviazione;

b) tra i reati oggetto del procedimento archiviato e quelli oggetto del presente processo non sussiste alcuna connessione sostanziale ex art. 12 cod. proc. pen.;

c) i reati oggetto del presente processo, inoltre, non rientrano tra quelli per i quali l’art. 270 cod. proc. pen. consente l’utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti, non essendo contenuti nell’elenco dei delitti per i quali previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.

Sul punto, la Corte d’appello ha sostenuto che il procedimento per il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen. non si sarebbe concluso con un’archiviazione, bensì con una reiscrizione formale” a seguito di “stralcio delle posizioni degli imputati. Secondo i ricorrenti, tale valutazione sarebbe errata; anzi, essa integrerebbe un travisamento della prova per “invenzione”, perché il procedimento per i reati oggetto della sentenza impugnata è stato oggetto di una nuova iscrizione e non costituisce l’esito di una separazione dal procedimento per il delitto di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen.

Non sussistendo un rapporto di connessione ex art. 12 cod. proc. pen. tra i fatti oggetto dei due procedimenti, dovrebbe anche escludersi che, nella specie, si versi in una ipotesi di diversa qualificazione giuridica dello stesso fatto che ha giustificato l’autorizzazione allo svolgimento di intercettazioni, perché le iscrizioni sono state distinte ed effettuate in tempi diversi nonché a carico di persone diverse.

Non essendo ravvisabili criteri per ritenere che le intercettazioni in questione siano state compiute nel medesimo procedimento, gli esiti delle stesse non sarebbero utilizzabili neppure ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen. perché i reati per cui si procede non rientrano nel catalogo di quelli per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.

Con un altro motivo, inoltre, i ricorrenti hanno dedotto che i risultati delle intercettazioni suddette sarebbero comunque inutilizzabili con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse, perché, anche a voler ritenere sussistente la connessione tra questo delitto e quello per il quale le captazioni sono state autorizzate, e, dunque, la sussistenza dello “stesso procedimento”, occorre comunque, per evitare un uso abusivo dell’attività di indagine oltre i limiti consentiti dalla legge come hanno precisato le Sezioni unite con la sentenza dapprima citata, che il reato connesso rientri nell’elenco di quelli indicati dall’art. 266, comma 1, cod. proc. pen. Tale condizione non ricorre per il reato di 4, commi 1 e 4-bis, della legge n. 401 del 1989, in considerazione dei limiti edittali per esso previsti all’epoca dei fatti.

 

2. Il Procuratore generale della Corte di cassazione ha presentato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi, osservando, in relazione ai motivi illustrati, che il procedimento nel quale sono state disposte le captazioni e quello oggetto della sentenza di condanna si riferiscono al medesimo fatto storico, diversamente qualificato, mentre il secondo motivo sarebbe inammissibile per difetto di specificità, perché non si confronta con i numerosi elementi di prova, diversi dai risultati delle intercettazioni, che proverebbero il reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse.

 

3. La Corte ha giudicato infondate le censure enunciate nel primo motivo illustrato, ribadendo innanzi tutto il principio enunciato dalle Sezioni unite nella sentenza dapprima indicata da cui non ha inteso distaccarsi: il divieto di cui all'art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni – salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza – non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 cod. proc. pen. a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge.

Nel caso di specie, la Corte ha escluso la sussistenza di una ipotesi di connessione ex art. 12 cod. proc. pen. tra i reati per cui si procede e quello di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., posto a base dei provvedimenti di autorizzazione delle intercettazioni, che consentirebbe di affermare che gli esiti delle intercettazioni riguardano lo stesso procedimento.

Il rapporto di connessione tra reati, invero, consiste in un legame tra i medesimi; per la sua natura “relazionale”, presuppone indefettibilmente la sussistenza di ciascuno di essi. Di conseguenza, non può ipotizzarsi, nemmeno in astratto, un rapporto di connessione con un reato la cui sussistenza è stata esclusa, tanto che il procedimento è stato archiviato per infondatezza della notizia di reato.

Il collegio, inoltre, ha escluso che sussistano i presupposti per l’operatività della disciplina di cui all’art. 270 cod. proc. pen. Per l’applicazione di tale disciplina è condizione indispensabile che i reati oggetto del diverso procedimento siano delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza. I reati oggetto della sentenza di condanna, infatti, sono tutti delitti per i quali “non” è obbligatorio l’arresto in flagranza.

Tanto premesso, la Corte ha affermato che “il principio enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza “Cavallo” non preclude l’utilizzabilità dei risultati di intercettazioni di conversazioni per reati diversi da quelli formalmente indicati a base del provvedimento di autorizzazione alle attività di captazione”.

Le Sezioni Unite, infatti, hanno precisato che la nozione di “altro procedimento”, dalla quale dipende l’operatività del divieto di cui all'art. 270 cod. proc. pen, non corrisponde a quella di “reato”.

Detta nozione, invero, non ha connotati univoci nel lessico generale del codice di procedura penale e il legislatore, anche quando si occupa specificamente della disciplina delle intercettazioni, mostra chiaramente di distinguere tra “procedimento” e “reato”, come si desume, in particolare, dalle vicende relative alla disposizione di cui all’art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., in tema di utilizzabilità delle comunicazioni acquisite mediante captatore informatico.

La nozione di “procedimento”, inoltre, non va correlata all’iscrizione nel registro delle notizie di reato, di cui all’art. 335 cod. proc. pen. A voler ancorare la nozione di “procedimento” all’iscrizione ex art. 335 cod. proc. pen., dovrebbe essere considerato “diverso procedimento” anche quello iscritto nei confronti di una persona nota per un certo reato a seguito delle intercettazioni disposte in un procedimento contro ignoti per quel medesimo fatto-reato. Tale esito, invece, non è conforme alla disciplina codicistica (che, per le intercettazioni "ordinarie", richiede, ex art. 267, comma 1, cod. proc. pen., solo la sussistenza di “gravi indizi di reato”), oltre che contrario all’univoco indirizzo ermeneutico in forza del quale, se un'intercettazione telefonica è validamente autorizzata, essa può essere utilizzata nei confronti di qualsiasi persona a carico della quale faccia emergere elementi di responsabilità per quel reato.

Le Sezioni unite nella sentenza citata, poi, hanno ritenuto utilizzabili i risultati delle intercettazioni anche con riguardo ai reati connessi ex art. 12 cod. proc. pen. proprio perché gli stessi sono da considerare inclusi nel “medesimo procedimento” avente ad oggetto le fattispecie poste a base dei provvedimenti di captazione: precisamente, in queste ipotesi, ricorre un “medesimo procedimento” in ragione del “legame sostanziale” tra il reato in relazione al quale l'autorizzazione all'intercettazione è stata emessa e il reato emerso grazie ai risultati di tale intercettazione.  

La nozione di “medesimo procedimento”, pertanto, non corrisponde a quella di medesimo reato.

Essa, inoltre, è ancorata specificamente a profili sostanziali e non ad evenienze meramente processuali. È stato precisato, ad esempio, che i risultati delle intercettazioni autorizzate per un determinato fatto-reato sono utilizzabili anche per gli ulteriori fatti-reato legati al primo dal vincolo della continuazione ex art. 12, lett. b), cod. proc. pen., senza necessità che il disegno criminoso sia comune a tutti i correi[2]. Secondo altra decisione, poi, i risultati delle intercettazioni telefoniche legittimamente acquisiti nell'ambito di un procedimento penale inizialmente unitario, riguardanti distinti reati per i quali sussistono le condizioni di ammissibilità previste dall'art. 266 cod. proc. pen., sono utilizzabili anche nel caso in cui il procedimento sia successivamente frazionato a causa della eterogeneità delle ipotesi di reato e dei soggetti indagati, atteso che, in tal caso, non trova applicazione l'art. 270 cod. proc. pen. che postula l'esistenza di procedimenti ab origine tra loro distinti[3]. Diverse pronunce, ancora, hanno affermato l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni anche in caso di diversa e meno grave qualificazione del reato per il quale le stesse sono state disposte, se questa nuova definizione giuridica del fatto consegua agli esiti delle captazioni o comunque alla fisiologica evoluzione delle investigazioni (cfr. Sez. 6, n. 48320 del 12/04/2022, Manna, Rv. 284074 – 01, e Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021, Bozzini, Rv. 281501 – 01). 2.1.4.

Deve concludersi che, ai fini della utilizzabilità dei risultati di intercettazioni telefoniche o tra presenti, nella nozione di “medesimo procedimento” sono da ricomprendere tutte le fattispecie di reato contestate sulla base dei fatti storici posti a fondamento del provvedimento autorizzativo del giudice, pur se ulteriormente definiti solo all’esito del fisiologico sviluppo delle indagini, sempreché dette fattispecie rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 cod. proc. pen.

Anzi, la nozione di “procedimento”, che è più ampia di quella di “reato”, si estende anche a fatti per i quali vi è solo parziale coincidenza, quali i reati connessi.

Il collegio, nondimeno, si è chiesto se la riferibilità del “medesimo procedimento” a tutte le fattispecie contestate sulla base dei fatti storici indicati a fondamento dei provvedimenti legittimanti le intercettazioni, pur se ulteriormente definiti solo all’esito del fisiologico sviluppo delle indagini, non sacrifichi l’esigenza garantita dall’art. 15 Cost. di evitare che l’autorizzazione del giudice ad effettuare le captazioni assuma la fisionomia di una “autorizzazione in bianco”.

A questa domanda è stata data risposta negativa.

La corrispondenza tra il fatto storico posto a base dell’autorizzazione a disporre le intercettazioni, o parte di esso, e il “nucleo centrale” del fatto storico enunciato della nuova imputazione, in effetti, consente di concludere che pure quest’ultimo rientra tra i “fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede”, ossia tra i “fatti” che sono stati vagliati nel provvedimento del giudice[4].

Così fissate le coordinate normative in forza delle quali deve essere valutata l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni per la prova di reati diversi da quelli posti formalmente a base del provvedimento di autorizzazione, la Corte ha indicato il percorso pratico che deve essere seguito per compiere il relativo giudizio.

A tale proposito, secondo il collegio è fondamentale” muovere dai provvedimenti autorizzativi per verificare quali fatti storici siano stati ritenuti sussistenti a livello almeno indiziario ed abbiano, pertanto, giustificato le captazioni.

Nel caso di specie, accedendo agli atti autorizzativi, la Corte ha concluso che i risultati delle intercettazioni di cui si discute sono utilizzabili ai fini dell’accertamento dei reati per cui si procede in quanto sono disposte nel “medesimo procedimento”. I provvedimenti autorizzativi, infatti, si riferiscono ad un fatto storico oggetto di una prima iscrizione come art. 110 e 416 bis c.p. il cui “nucleo centrale” coincide con – o è incluso in – quelli oggetto della successiva iscrizione e che sono stati valutati nella sentenza impugnata.

Nella vicenda in esame, difatti, la condotta indicata a base dell’imputazione di concorso esterno nell’associazione mafiosa, oggetto del procedimento nel quale sono state autorizzate le intercettazioni, riguarda proprio l’esercizio della sua attività imprenditoriale nel settore dei giochi e delle scommesse; nei decreti autorizzativi delle intercettazioni, è stato rappresentato che questa attività ha ad oggetto non solo il noleggio di slot machines, ma anche, e specificamente, la gestione di siti internet per la raccolta di scommesse, esercitata in modo organizzato ed avvalendosi di più collaboratori. Il procedimento oggetto della nuova iscrizione, nell’ambito del quale è intervenuta la sentenza di condanna impugnata ha riguardato una associazione per delinquere comune volta all’esercizio abusivo di giochi e scommesse, oltre che i reati – fine di questo sodalizio.

La Corte, infine, ha ritenuto prive di specificità le censure esposte nel secondo motivo.

Il collegio, al riguardo, ha riconosciuto che le intercettazioni non erano ammissibili per la prova del reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse in ragione dei limiti edittali all’epoca vigenti.

La sentenza delle Sezioni unite “Cavallo”, difatti, ha fissato il principio dell’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni per l’accertamento dei reati che, quand’anche connessi, non rientrano nel catalogo di quelli previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.

Nella specie, tuttavia, viene in rilievo il diverso principio secondo cui, nel giudizio di legittimità, laddove risulti l'inutilizzabilità di prove illegalmente assunte, è consentito ricorrere alla cd. "prova di resistenza", valutando se, espunte le prove inutilizzabili, la decisione sarebbe rimasta invariata in base a prove ulteriori, di per sé sufficienti a giustificare la medesima soluzione adottata[5].

Le parti ricorrenti hanno omesso completamente di confrontarsi in occasione dell’appello con il materiale probatorio che, a prescindere dagli esiti captativi, ha offerto piena evidenza della sussistenza dei reati in materia di scommesse, come i risultati dell’attività di osservazione della polizia giudiziaria, che ha verificato direttamente la raccolta di scommesse illegali nelle diverse agenzie riconducibili al sodalizio oggetto del giudizio. In ragione del difetto di specificità degli atti di appello, non è stato reputato censurabile in sede di legittimità il rinvio effettuato dalla sentenza impugnata a quella di primo grado per l'analitica indicazione delle risultanze delle attività di indagine diverse da quelle costituite dalle intercettazioni.

 

4. Come è noto, le Sezioni unite, con la sentenza n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, hanno affermato che il “legame sostanziale” tra il fatto-reato oggetto del decreto autorizzativo delle intercettazioni e quello emerso dagli ascolti, che esclude di trovarsi al cospetto di procedimenti diversi, è ravvisabile soltanto nel caso in cui sussista una connessione tra gli stessi ex art. 12 cod. proc. pen.[6].

Affermando questo principio, la Corte ha recuperato uno spazio operativo al divieto di utilizzazione degli esiti delle intercettazioni in procedimenti diversi previsto dall’art. 270 cod. proc. pen., divieto che era stato sostanzialmente “sterilizzato” dalla giurisprudenza di legittimità prevalente[7].

Secondo la Corte, le disposizioni sulle intercettazioni mirano ad assicurare che sul fatto che ha giustificato l’autorizzazione sia intervenuta la garanzia giurisdizionale posta dall'art. 15 Cost. L’approfondimento della premessa costituzionale della decisione delle Sezioni unite ha segnato il punto di partenza di un successivo percorso interpretativo della giurisprudenza della Corte di cassazione, che è stato confermato dalla decisione illustrata e che può essere sintetizzato nei seguenti termini:

- il principio enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza “Cavallo” non preclude l’utilizzabilità dei risultati di intercettazioni di conversazioni per reati diversi da quelli formalmente posti a base del provvedimento di autorizzazione alle attività di captazione;

- ai fini della utilizzabilità dei risultati di intercettazioni telefoniche o tra presenti, nella nozione di “medesimo procedimento” sono da ricomprendere tutte le fattispecie di reato contestate sulla base dei fatti storici indicati a fondamento del provvedimento autorizzativo del giudice, pur se ulteriormente definiti solo all’esito del fisiologico sviluppo delle indagini[8], sempreché dette fattispecie rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 cod. proc. pen.

Queste affermazioni permettono di delineare il percorso pratico che deve essere seguito dal giudice che valuta l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni: Egli si deve chiedere, in primo luogo, quali siano “i fatti costituenti reato ad essa [all’autorizzazione del gip] riconducibili[9], ossia quale sia il “perimetro” dell’autorizzazione del gip.

Se il giudizio riguarda una fattispecie contestata sulla base (anche solo in parte) dei fatti storici indicati a fondamento del provvedimento autorizzativo del giudice, tale provvedimento si riferisce anche ad essi. Tali fatti, dunque, sono stati oggetto della autorizzazione del giudice la quale “non si limita a legittimare il ricorso al mezzo di ricerca della prova, ma circoscrive l'utilizzazione dei suoi risultati ai fatti-reato che all'autorizzazione stessa risultino riconducibili[10]. In tale caso, l’utilizzabilità degli esiti delle captazioni dipende solo dal rispetto dei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 cod. proc. pen.

Una volta individuati, accedendo ai provvedimenti autorizzativi, i fatti che hanno giustificato la captazione delle comunicazioni o conversazioni, ove si fosse in presenza di fatti diversi emersi dalle captazioni, occorre verificare se sussista o meno quel rapporto di connessione ex art. 12 cod. proc. pen. che, unito alla ricorrenza del limite di ammissibilità ex art. 266 cod. proc. pen., consente comunque di ravvisare uno “stesso procedimento”, potendo in questo caso concludersi per l’utilizzazione degli esiti delle captazioni[11].

Mancando il legame di connessione, invece, alla diversità dei procedimenti consegue l’applicazione del divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen., la cui deroga è ormai stata fissata soltanto per i reati per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in fragranza[12].

Tutte le fattispecie di reato contestate sulla base dei fatti storici posti dal gip a fondamento del provvedimento autorizzativo, dunque, rientrano nel “medesimo procedimento”, non assumendo rilievo la loro formale iscrizione nel registro delle notizie di reato in un momento successivo ai provvedimenti autorizzativi le captazioni. Quest’ultimo aspetto, infatti, non attiene alla legittimità dei provvedimenti autorizzativi, ma piuttosto alla utilizzabilità dei risultati del mezzo di ricerca della prova in relazione all'eventuale decorso del termine di durata delle indagini preliminari e, dunque, ad un profilo diverso che potrebbe dare luogo ad un procedimento di accertamento della tempestività dell’iscrizione ex art. 335-quater cod. proc. pen.

La sentenza illustrata ha aggiunto che non assume rilievo neppure l'intervenuta archiviazione del procedimento originario nel quale le intercettazioni sono state disposte. Essa semmai solo ad escludere che possa sussistere un rapporto di connessione ex art. 12 cod. proc. pen. tra il fatto - reato emerso e quello che è stato archiviato.  

Non è neanche rilevante che il reato, nella sua originale ipotesi accusatoria, non abbia trovato conferma dai risultati dell’intercettazione o sia stato oggetto di diverso inquadramento giuridico[13]: Per il rispetto della garanzia di cui all’art. 15 Cost., ciò che conta è soltanto che il fatto storico sia stato oggetto della richiesta del pubblico ministero (anche per mezzo di richiamo agli atti di polizia giudiziaria) e della disamina del giudice dell’autorizzazione, il quale deve valutare la consistenza del compendio indiziario relativo a tale fatto (a seconda del reato per cui si procede, in termini di gravità o di sufficienza) ed il collegamento con l’indagine della persona intercettanda[14].

La giurisprudenza, in altri termini, definendo il percorso interpretativo che il giudice deve compiere, ha precisato che non ricorre la fisionomia di una autorizzazione “in bianco”, che lederebbe l’art. 15 Cost., nel caso in cui il fatto storico, necessariamente dotato di specifici elementi indicativi di illiceità, a prescindere dalla sua definitiva qualificazione formale e dalla sua successiva eventuale validazione giudiziale, sia rientrato, anche soltanto in parte, nel “fuoco” dell’autorizzazione giudiziale alle captazioni, essendo questo – il legame tra la notizia di fatto – reato e l’autorizzazione alle relative intercettazioni – l’elemento che, secondo l’insegnamento costituzionale esaltato dalle Sezioni Unite “Cavallo”, consente di giustificare la compressione della libertà e segretezza delle comunicazioni.

 

5. Non bisogna trascurare, tuttavia, che la determinazione dei fatti storici che sono stati posti alla base degli atti con cui è stata autorizzata l’esecuzione di intercettazioni o della loro proroga è una operazione che può rivelarsi difficile, perché va realizzata avendo riguardo non solo alla autorizzazione del gip, ma anche agli atti richiamati dalla stessa e, quindi, alla richiesta del pubblico ministero e alle informative di polizia giudiziaria poste a sostegno di quest’ultima[15]

Secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, invero, la motivazione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni, nel chiarire le ragioni della sussistenza dei presupposti che legittimano il ricorso a detto intrusivo mezzo di ricerca della prova, deve necessariamente spiegare i motivi che impongono l'intercettazione di una determina utenza telefonica che fa capo ad una specifica persona, indicando la base indiziaria del reato per il quale si procede ed il collegamento tra l'indagine in corso e la persona che si intende intercettare, affinché possa esserne verificata, alla luce del complessivo contenuto informativo e argomentativo del provvedimento, l'adeguatezza del mezzo rispetto alla funzione di garanzia prescritta dall'art. 15, comma 2, Cost.[16]

La funzione di garanzia assolta dalla motivazione del provvedimento autorizzativo non esclude che il decreto del giudice possa rinviare ad atti del procedimento, specificamente alla richiesta del pubblico ministero o all’informativa della polizia giudiziaria su cui tale richiesta si fonda.

Ai fini della legittimità della motivazione per relationem, come è noto, è necessario che essa:

1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione;

2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione;

3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica e, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell’impugnazione[17].

In presenza di questi presupposti, l’indagine volta a definire i fatti storici posti a fondamento del provvedimento autorizzativo del giudice non può limitarsi a scrutinare quest'ultimo, ma deve necessariamente estendersi all'analisi degli atti richiamati.

La motivazione per relationem, del resto, è una modalità di redazione del provvedimento di cui il giudice non può e non deve fare a meno nella prospettiva di un adeguato e ragionevole impiego del proprio tempo, se non incide negativamente sul necessario vaglio critico a lui demandato.

 

6. La sentenza delle Sezioni unite “Cavallo” ha anche precisato che, nell’ambito del medesimo procedimento, l’utilizzabilità degli esiti delle intercettazioni presuppone che si tratti di reati che rientrano nel catalogo di cui all’art. 266 cod. proc. pen. L’affermazione di tale principio ha rappresentato uno dei punti più discussi della sentenza[18] e ha lasciato una aporia: nello stesso procedimento, in taluni casi, una medesima base probatoria risulta nello stesso tempo utilizzabile per dimostrare la sussistenza di un reato e inutilizzabile per l’accertamento di altri reati.

È il caso, per esempio, proprio di giudizi come quello in esame in cui gli esiti delle intercettazioni potrebbero essere utilizzabili per dimostrare la sussistenza di una associazione per delinquere e non impiegabili per la prova dei delitti scopo del sodalizio, che non rientrassero nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.

Si tratta di un problema difficilmente superabile e, comunque, “accettato” dalla sentenza delle Sezioni unite la quale ha avuto il merito di aver delineato il margine di azione del divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. facendo leva sull’elaborazione della Corte costituzionale sull’art. 15 Cost. (tanto che è stato subito osservato che “le Sezioni unite hanno ristabilito la legalità costituzionale[19]) e di aver imposto il superamento di indirizzi giurisprudenziali non conformi alle previsioni normative perché permettevano un uso sostanzialmente indiscriminato dei risultati delle captazioni (in presenza di un mero collegamento probatorio tra gli illeciti oggetto dell’autorizzazione e quelli emersi ovvero della mera “unitarietà iniziale” o formale del procedimento) e che consentivano al pubblico ministero di non valutare in costanza degli ascolti e, in ogni caso, tempestivamente gli esiti delle operazioni di intercettazione.

Nel caso oggetto della sentenza illustrata, peraltro, il tema dell’utilizzabilità dei risultati delle captazioni per i reati “sotto soglia” emersi non è stato vagliato dalla Corte di cassazione a causa del difetto di specificità dell’appello sul punto[20].

 

 

 

 

[1] Cass. pen., Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, in Dir. pen. proc. 2020, 3, 357, con nota di G. Pecchioli, Circolazione probatoria e intercettazioni: Le sezioni unite sull'annoso nodo gordiano. Tra i tanti contributi sulla sentenza si vedano anche F. Alvino, La circolazione delle intercettazioni e la riformulazione dell’art. 270 c.p.p.: l’incerto pendolarismo tra regola ed eccezione, in questa Rivista 2020, 5, 233; G. De Amicis, Il regime della “circolazione” delle intercettazioni dopo la riforma, in Cass. pen., 2020, p. 3526; G. Illuminati, Utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi: le Sezioni unite ristabiliscono la legalità costituzionale, in questa Rivista, 30 gennaio 2020; F. Vanorio, Il permanente problema dell’utilizzo delle intercettazioni per reati diversi tra l’intervento delle sezioni unite e la riforma del 2020, ivi, 2020, 6, 177 ss.; A. Innocenti, Le Sezioni Unite limitano l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni per la prova di reati diversi da quelli per cui sono state ab origine disposte, in Dir. pen. proc. 2020, 7, 993 ss. Volendo, si veda anche L. Giordano, Inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni: diritti difensivi e prassi giurisprudenziali, in P. Maggio (a cura di), La nuova disciplina delle intercettazioni, Torino, 2023, 365 e ss.

 

[2] Cass. pen., Sez. 5, n. 37697 del 29/09/2021, in CED Cass. n. 282027 – 01.

[3] Cass. pen., Sez. 2, n. 4341 del 15/01/2025, in CED Cass. n. 287542 – 01

[4] Corte cost., sent. n. 366 del 1991.

[5] così, per tutte, Cass. pen., Sez. 4, n. 50817 del 14/12/2023, in CED Cass. n. 285533 – 01, nonché Cass. pen., Sez. 6, n. 1255 del 28/11/2013, dep. 2014, in CED Cass. n. 258007 – 01

[6] Secondo le Sezioni unite, la parziale coincidenza della re-giudicanda oggetto dei procedimenti connessi e, dunque, il legame sostanziale tra i diversi fatti-reato con-sente di ricondurre ai “fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede” (così Corte cost. 11 luglio 1991, n. 366) valutati nel provvedimento autorizzatorio dell’intercettazione anche quelli oggetto delle imputazioni connesse che fossero stati accertati in forza dei risultati dello stesso mezzo di ricerca della prova, infatti, evita che il provvedimento del giudice si risolva in una sorta di “autorizzazione in bianco” al compimento di intercettazioni con conseguente lesione della “sfera privata” della libertà di comunicazione e del diritto di comunicare in modo riservato. Tra le sentenze successive che hanno confermato il principio si veda, Cass. pen., Sez. 5, n. 1757 del 17/12/2020, dep. 2021, in CED Cass. n. 280326 – 02, secondo cui la previsione di limiti di utilizzabilità degli esiti captativi è espressione della riserva di legge posta a garanzia del diritto alle libertà e segretezza delle comunicazioni di cui all'art. 15 Cost., non travalicabile in ragione dei principi di "non dispersione della prova".

[7] In precedenza, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, lo stesso procedimento che esclude l’applicazione del divieto di cui all’art. 270 c.p.p. presuppone che tra i fatti-reato, nonostante la differenza storica, sussista una connessione ex art. 12 c.p.p. o, comunque, un collegamento ex art. 371, comma 2, lett. b) e c), c.p.p., sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico, che basta per ricondurre ad unitarietà i procedimenti, cfr. tra le altre Cass. pen., Sez. 3, n. 29856 del 24/04/2018, in CED Cass. n. 275389 – 01; Cass. pen., Sez. 3, n. 46085 del 28/03/2018 in CED Cass. n. 275351 – 01; Cass. pen., Sez. 3, n. 2608 del 05/11/2015, dep. 2016, in CED Cass. n.  266423 – 01.

[8] In precedenza, si veda Cass. pen., Sez. 6, n. 29194 del 19/01/2021, in CED Cass. n. 281824 – 01, e Cass. pen., Sez. 6, n. 35272 del 19/01/2021, decisioni con le quali è stato annullato il provvedimento del Tribunale del riesame che, diversamente dal gip, non aveva verificare il Tribunale, “in relazione ai singoli fatti ed ai singoli provvedimenti autorizzativi” se i fatti corruttivi oggetto dell’ordinanza impugnata fossero stati, in tutto o in parte, oggetto dei provvedimenti autorizzatori emessi nell’ambito di un procedimento non connesso nel quale si procedeva per il reato di cui all’art. 416 bis c.p..

[9] Così, Corte cost. 11/07/1991, n. 366.

[10] Così, Cass. pen., Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, cit.

[11] Per l’affermazione secondo cui la valutazione dell'esistenza di un vincolo di connessione ex art. 12 cod. proc. pen. tra il reato "diverso" e quello per cui le captazioni siano state autorizzate va operata in relazione a quanto accertato, e non con riguardo alla mera prospettazione astratta, formulata dal giudice, nel momento in cui l'autorizzazione è stata resa, cfr. Cass. pen., Sez. 6, n. 29194 del 19/01/2021, in CED Cass. n. 281824 – 01.

[12] L’art. 1, comma 2-quater, della legge 9/10/2023, n. 137, di conversione del d.l. 10/08/2023, n. 105, ha riformato l'art. 270, comma 1, c.p.p., sopprimendo le parole “e dei reati di cui all'articolo 266, comma 1” inserite nell’art. 270, comma 1, c.p.p. dall’art. 2, comma 1, lett. g), del d.l. n. 161 del 2019. Sulla riforma, tra gli altri, G.L. Gatta, Intercettazioni e criminalità organizzata: quando a voler precisare si finisce per complicare, in questa Rivista, 8 agosto 2023; volendo, L. Giordano, Una nuova riforma della disciplina delle intercettazioni, in Dir. pen. proc., 2024, 11.

[13] La Corte di cassazione ha in più occasioni ritenuto utilizzabili i risultati delle operazioni disposte in riferimento ad un titolo di reato per il quale le stesse sono consentite, anche quando vi sia stata una successiva diversa qualificazione giuridica del fatto, affermando il principio dell’irrilevanza del mutamento dell’addebito, secondo cui i risultati della captazione correttamente autorizzata restano immuni rispetto al successivo sviluppo fisiologico del procedimento (Cass. pen., Sez. 1, n. 12749 del 19/03/2021, in CED Cass. n. 280981; Cass. pen., Sez. 1, n. 24163 del 19/05/2010, in CED Cass. n. 247943; Cass. pen., Sez. 6, n. 50072 del 20/10/2009, in CED Cass. n. 245699).

[14] Si vedano sul punto, Cass. pen., Sez. 5, n. 1407 del 17/11/2016, dep. 2017, in CED Cass. n. 268900 – 01; Cass. pen., Sez. 6, n. 12722 del 12/02/2009, in CED Cass. n. 243241 – 01.

[15] cfr., tra le altre, Cass. pen., Sez. 6, n. 29194 del 19/01/2021, cit.

[16] cfr., tra le altre, Cass. pen., Sez. 6, n. 36874 del 13/06/2017; Cass., Sez. 6, n. 12722 del 12/02/2009, in CED Cass. n. 243241; Cass. pen., Sez. 5, n. 1407 del 17/11/2016, dep. 2017, in CED Cass. n. 268900.

[17] Cass. pen., Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, in CED Cass. n. 216664 – 01; Cass. pen., Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, in CED Cass. n. 220095

[18] Cfr. Trib. Milano, Sez. riesame, ord., 2 novembre 2020, in questa rivista1° dicembre 2020 con nota di D. Albanese, Sull’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni nell’ambito del “medesimo procedimento”: il Tribunale di Milano prende le distanze dalle Sezioni unite “Cavallo”.

[19] G. Illuminati, Utilizzazione delle intercettazioni in procedimento diversi: Le Sezioni unite ristabiliscono la legalità costituzionale, cit.

[20] È stato osservato che la descritta aporia manifesterebbe il limite di fondo della soluzione accolta dalla sentenza “Cavallo”, che consisterebbe nell’aver attribuito all’art. 266 cod. proc. pen. una funzione che non gli è propria, quella di selezionare “a valle” ed in senso limitativo il materiale probatorio utilizzabile, ottenuto da un mezzo di ricerca della prova legittimamente autorizzato, mentre essa stabilisce solo una condizione di ammissibilità del mezzo di ricerca della prova, dunque una condizione operante “a monte” in occasione dell’autorizzazione (Cfr. A. Innocenti, La Cassazione ribadisce l’applicabilità dei limiti generali di ammissibilità delle intercettazioni anche agli ulteriori reati emersi nello “stesso procedimento”, in Dir. pen. proc. 2021, 5, 633). La Corte di cassazione, nondimeno, ha ritenuto che l'affermazione delle Sezioni unite, secondo cui i risultati delle intercettazioni sono utilizzabili per l'accertamento del reato diverso e connesso solo se questo sia a sua volta autonomamente autorizzabile, è parte integrante del principio di diritto affermato con la sentenza "Cavallo" e, dunque, vincola le decisioni successive secondo l’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen. (cfr. Cass. pen., Sez. 6, n. 23244 del 20/01/2021).