ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Documenti  
01 Luglio 2025


Il regime delle intercettazioni dopo la Novella di cui alla legge 47/2025: appunti in prima lettura


Riportiamo di seguito il testo dell’intervento svolto dal dott. Valerio Savio il 21 maggio 2025 a Roma in occasione dell’incontro di formazione per magistrati organizzato dalla Struttura territoriale di formazione del Distretto di Roma della Scuola Superiore della Magistratura sul tema “Il regime delle intercettazioni dopo la Novella di cui alla legge 31.3.2025 n. 47”.

 

***

Nel focus di interpreti e operatori il nuovo testo dell’art. 267 comma 3 cpp (in neretto la parte introdotta dalla Novella):

«Il decreto del pubblico ministero che dispone l’intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni. Tale durata non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni, qualora permangano i presupposti indicati nel comma 1.

Le intercettazioni non possono avere una durata complessiva superiore a quarantacinque giorni, salvo che l’assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall'emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione».

 

A meno di un mese dall’entrata in vigore della riforma non si dispone evidentemente di casistica e di prima giurisprudenza, si può solo dar conto del confronto in corso negli Uffici, innanzitutto tra pubblici ministeri e giudici per le indagini preliminari. E delle riflessioni che la “prima lettura” della nuova normativa propone, senza pretesa di aver raggiunto conclusioni.

 

Dandosi in questa sede per nota la complessiva disciplina delle intercettazioni, come per ogni modifica della legge processuale si pongono da un lato questioni tecniche di interpretazione, e dall’altro più generali valutazioni circa l’ “impatto” della riforma sui meccanismi processuali.

 

Ma anche l’analisi delle questioni tecniche necessita di alcune premesse, rilevanti nell’approccio all’interpretazione della Novella perché ne impongono laddove possibile sui temi controversi una interpretazione restrittiva, nel senso dell’interpretazione che produce i minori effetti sulla completezza delle indagini.

In estrema sintesi:

 

1) se si parte dal presupposto che stiamo interpretando un intervento normativo sostanzialmente irragionevole (su di una disciplina delle intercettazioni quale mezzo di ricerca della prova che già contempera ampiamente i valori costituzionali in gioco anche con una rigorosa regolamentazione delle proroghe delle captazioni, e su di una disciplina delle indagini che accorda un molto più ampio termine per concluderle , lo Stato autolimita a soli 45 giorni l’utilizzo di uno specifico mezzo investigativo per reati anche gravi e gravissimi, un periodo di durata massima che la pluridecennale esperienza giudiziaria fa prevedere risulterà il più delle volte del tutto insufficiente, pregiudicando sul nascere l’efficacia del mezzo di ricerca della prova),e

 

2) se si considera che siamo in un sistema processuale chiamato ad essere attuativo del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale e fondato su quel suo diretto e decisivo corollario che è il principio di completezza delle indagini e quindi degli accertamenti possibili e doverosi, in funzione anche del diritto potestativo dell’imputato al giudizio abbreviato allo stato degli atti (v. artt. 409 comma 4 cpp, 421 bis cpp, 441 comma 5, 507 c.p.p.),

non può non derivarne che si imponga, laddove possibile, sui punti controversi, l’interpretazione costituzionalmente orientata che ha i minori effetti sulla completezza delle indagini, e che più consente quindi al PM di adottare le determinazioni inerenti all’azione penale senza mancata acquisizione di dati potenzialmente utili

 

Le questioni tecniche.

Come detto, si può solo dar conto dei primi esiti del confronto tra operatori.

Nelle prime discussioni tra GIP (anche nelle sedi telematiche di confronto), può dirsi sia emersa una sostanziale condivisione su alcuni punti:

  • che, in assenza di norme transitorie, la nuova disciplina sia applicabile secondo il principio tempus regit actum (in questo caso da riferirsi al decreto di proroga ) anche in relazione ad indagini per fatti commessi prima della sua introduzione e anche in relazione alle operazioni in corso alla data di entrata in vigore della legge ( e quindi alla proroga di operazioni iniziate , in corso, e sinora prorogate con la disciplina previgente, quando per effetto della nuova proroga si dovrebbe continuare ad intercettare, per i reati interessati, oltre il 45° giorno; proroga, per la quale sarà necessaria quindi la motivazione rafforzata, fondata sull’ “assoluta indispensabilità” delle captazioni e su sopravvenuti “elementi specifici e concreti”);
  • che i 45 giorni vadano fatti decorrere dalla data non del decreto di proroga ma di effettiva attivazione delle captazioni;
  • che i 45 giorni debbano essere effettivi, e che le attività captative possano quindi essere sospese e riprese (fatto sinora rarissimo nella pratica anche per ragioni operative, situazione che con il limite dei quarantacinque giorni potrebbe ora forse vedersi meno raramente, si pensi ai casi in cui PG e PM apprendano nelle indagini che con certezza per un tot di giorni su un dato bersaglio non succederà nulla);
  • che se le operazioni sono state autorizzate su un dato bersaglio anche per reati per i quali vige la disciplina speciale di cui all’art. 13 D.L. 152 / 1991 conv. in legge 203 / 1991, debba prevalere la disciplina speciale, non applicandosi in tal caso il “nuovo” art. 267 comma 3 c.p.p., che si pone ora come nuova disciplina generale (e nel dibattito è sul punto emerso l’auspicio che, ad evitare contenziosi processuali, non si operino iscrizioni a registro indagati forzate di reati associativi o comunque di reati che fanno “scattare” l’art. 13 cit e la sua disciplina);
  • quanto all’interpretazione della proposizione “Le intercettazioni non possono avere  una  durata complessiva superiore a quarantacinque giorni”, si è rilevato come la formula sia talmente vaga ed infelice che in teoria ( e forse nei propositi di alcuno dei proponenti) letteralmente e teoricamente potrebbe in assoluto essere letta con riguardo “a tutti i bersagli/a tutti gli indagati/ a tutti i RIT”, nel senso che i 45 giorni “complessivi” debbano decorrere dalla data della prima attivazione sul primo bersaglio RIT ed arrivare non oltre il 45° giorno da quella , e che quindi ci debba fermare anche su quella attivata al 44° giorno, perché “complessivamente” non si può andare oltre; invero, nessuno avendo letto così la disposizione, la discussione si è incentrata ed è incentrata su diverso tema: sulla questione se nell’applicazione del nuovo comma 3 dell’art. 267 c.p.p. debba farsi riferimento al soggetto intercettato o al singolo bersaglio sotto captazione (in concreto: al singolo “RIT”); su tale questione, evidentemente centrale per gli operatori, sebbene i sostenitori della tesi per cui si debba far riferimento al soggetto intercettato facciano valere l’argomento che questa è stata la probabile intenzione “storica” del legislatore, è allo stato largamente maggioritaria l’opinione che i 45 giorni vadano calcolati sulle “operazioni” di cui a ogni RIT e quindi in relazione al singolo bersaglio intercettato: il nuovo terzo comma dell’art. 267 cpp essendo appunto un inserimento nel corpo del 267 cpp preesistente, da leggersi unitariamente, quella del terzo comma del 267 c.p.p. essendo l’unica novità, l’unica “novella”, su una disciplina per il resto immutata e per la quale la proroga delle operazioni ha sinora da decenni ( per prassi e giurisprudenza ) sempre fatto riferimento al singolo bersaglio e non al soggetto intercettato ( che tra l’altro potrebbe anche non essere noto): in generale, la nuova disciplina continuando appunto ad essere incentrata, anche nel nuovo 267 c.p.p., sulle “operazioni“ di intercettazione sul singolo RIT e non sul soggetto intercettato (con l’effetto che quindi , se Tizio cambia una volta a settimana telefono o auto, ogni volta si riparte coi 45 gg per ogni utenza o “ambiente”; potendosi poi incidentalmente osservare,  in ogni caso, che in casi del genere la discussione appare affiancabile a quella sul sesso degli angeli, dal momento che il fatto che uno cambi auto o telefono più volte in 45 giorni sarà dato agevolmente valorizzabile quale “elemento specifico e concreto” per andare oltre i 45 giorni…) ( ulteriore argomento per tale interpretazione potendo poi ancora essere tratto dal fatto che la regola si applica anche alle indagini contro “ignoti”, nelle quali il target “persona” ancora manca).

 

Più aperta invece la discussione su una ulteriore diversa questione: se, prorogate le intercettazioni oltre il 45° giorno per l’emersione di “elementi specifici e concreti”, tale emersione possa poi consentire, una volta per tutte , le ulteriori proroghe , di quindici giorni in quindici giorni, come da precedente disciplina , o se invece per prorogare sia necessario ogni volta (al 60°, al 75° giorno, e così via ) che continuino ad emergere sempre nuovi ed ulteriori “elementi specifici e concreti”.

«Le intercettazioni non possono avere una durata complessiva superiore a quarantacinque giorni, salvo che l’assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione»: anche a questo proposito, non può non rilevarsi che la norma sia scritta male.

 

Il dato letterale rende legittimo ritenere – ed è opinione diffusa se non allo stato prevalente – che vengano richiesti “nuovi elementi specifici e concreti” ad ogni nuova scadenza di 15 giorni, e si osserva altresì da parte di autorevoli pm che in ogni caso potrà essere criterio empirico ed esercizio di “cautela” in vista del processo chiedere le proroghe anche dopo il 45° giorno, sempre allegando ove possibile nuovi “elementi specifici e concreti”.

 

Possibile però a mio avviso sostenere che l’emersione di “elementi specifici e concreti” serva solo al 45° giorno, e ciò sia per interpretazione letterale che sistematica:

  • sul piano dell’interpretazione letterale, la lettera dell’art. 267 comma 3 cpp è infatti chiara: gli “elementi specifici e concreti” giustificano l’assoluta indispensabilità delle operazioni, genericamente, “per una durata superiore” ai 45 giorni;
  • sul piano dell’interpretazione sistematica (ed applicando il generale criterio, di cui si diceva, di favor per l’interpretazione che meno riduce le indagini), può dirsi:
  • che ubi lex voluit dixit, e in una novella dedicata a porre restrizioni, è lecito supporre che se si voleva una verifica perenne ogni 15 giorni degli “elementi specifici e concreti” lo si sarebbe detto espressamente, su un punto così di rilievo;
  • che la soluzione che si propone ha una sua logica , che non elude la ratio della riforma, che è quella di evitare proroghe meccaniche all’infinito a strascico : si parte con “gravi indizi di reato” e “assoluta indispensabilità per la prosecuzione delle indagini”, ai 45 giorni si fa uno step di verifica , se ha esito positivo, in presenza non solo ab origine di “gravi indizi di reato” ma , ai 45 giorni, di “elementi specifici e concreti” , di fronte a quel punto alla natura non congetturale delle indagini si va avanti , salve ovviamente per il prosieguo le regole generali per le successive proroghe vale a dire la permanenza dei presupposti del 267 comma 1 cpp;
  • di fronte alla irragionevolezza del nuovo “istituto”, di indagini che possono durare 18 o 24 mesi e del limite invece posto alle intercettazioni, interpretazione costituzionalmente orientata in relazione all’obbligatorietà dell’azione penale e alla tutela dei beni giuridici individuali e collettivi tutelati dall’accertamento dei reati è quella che non estende le restrizioni oltre i limiti espressamente posti.

 

Si discute poi negli uffici, ovviamente, di cosa siano gli “elementi specifici e concreti”:

sulla ovvia premessa che nel nuovo quadro normativo, ad evitare inutilizzabilità, rigoroso dovrà essere l’impegno motivazionale sull’emersione degli “elementi specifici e concreti”, e che la motivazione sugli “elementi specifici e concreti” il GIP la potrà sviluppare anche su argomenti diversi da quelli su cui il PM ha fondato la richiesta, vi è una prima condivisione su diversi punti:

  • gli “elementi specifici e concreti” non devono necessariamente provenire dall’utenza o comunque dal bersaglio captato e della cui proroga si discute, ma possono derivare non solo da altri bersagli/RIT, ma in genere da ogni altra attività di indagine (servizi di PG, testimonianze, ecc.);
  • la norma li riferisce non agli “indizi di reato”, e tanto meno agli indizi “gravi” o  su una “specifica persona” ( vedi tenore letterale della disposizione e il fatto che nella disciplina delle intercettazioni quando ne ha richiesto la sussistenza il legislatore lo ha espressamente previsto , vedi lo stesso 267 comma 1 cpp) ma “all’assoluta indispensabilità delle operazioni” e quindi alle necessità di ulteriori indagini; formula vaghissima , rispetto alla quale si va ritenendo in ordine agli “elementi specifici e concreti”:
    • che siano elementi intesi innanzitutto come circostanze di fatto di varia natura che contribuiscono ulteriormente a delineare il contesto investigativo e non necessariamente a corroborare il quadro indiziario, che ben può permanere quello che ha originato il provv.to genetico e le prime proroghe (es. l’identificazione di un soggetto che era solo una voce non identificata, la decriptazione di un linguaggio, di un nickname, qualcosa appresa la quale cambia il contesto investigativo);
    • che, chiuse le operazioni al 45° giorno , o prima, su un dato bersaglio con rigetto della proroga , gli elementi specifici e concreti possano essere un fatto di cui però il pm ha avuto notizia con una informativa arrivatagli solo successivamente al rigetto della proroga: con l’effetto che se i primi 45 giorni non sono stati in precedenza consumati sullo specifico bersaglio, si ripartirà da dove ci si trovava fino ai 45 giorni, laddove se invece i 45 giorni sono già consumati , si ripartirà  con un nuovo corso di 45 gg , così come nel caso in cui gli “elementi specifici e concreti” emergono come fatti nuovi avvenuti successivamente , ad intercettazioni chiuse: la norma essendo fatta per evitare abusi, non per impedire indagini doverose;
    • che gli “elementi specifici e concreti” bene possono essere emersi in un momento qualsiasi dei 45 giorni, non necessariamente tra il 30° e il 45° giorno : e che il PM abbia però il dovere al 45° giorno di non “tenersi” in riserva gli “elementi specifici e concreti” per poi presentarli in seguito a goccia uno alla volta, per eludere di fatto il limite (lo farà la PG al suo posto….?)
    • che potranno essere un fatto / un contesto investigativo nuovo che emerge però solo logicamente (e la motivazione dovrà allora necessariamente essere più diffusa).

 

Proprio il fatto che gli “elementi specifici e concreti” ben potranno essere frutto di valutazioni investigative fatte nel dinamismo delle indagini, e quindi su un magma in movimento, su fatti che possono avere allo stato spiegazioni diverse, e tutte da scoprire – appunto con le indagini – e quindi potranno essere frutto di valutazioni e di collegamenti anche solo “logici”, quindi opinabili, ed ancora, il fatto che gli “elementi specifici e concreti” dovranno essere valutati, nella loro sussistenza al momento della proroga, diacronicamente, per come si presentavano ex ante, e non con valutazioni fatte ex post, porta alle prime (certo solo prevedibili ) valutazioni di impatto della riforma.

 

Impatto, che prevedibilmente sarà, nel complesso, si crede, minimo.

 

Per un primo motivo, l’impatto effettivo della novella rischia di essere minimo innanzitutto evidentemente per le eccezioni sostanziali al suo ambito di applicazione, alla fine figlie della consapevolezza dell’irragionevolezza dell’intervento. Basti ricordare a quali reati si applichi la speciale disciplina dell’art. 13 comma 1 D.L. 13.5.1991 n. 152 conv. in legge 12.7.1991 n. 203 innanzitutto:

  • ai “delitti di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono“ ( con riguardo alla quale deve ritenersi appartengano alla categoria dei “delitti di criminalità organizzata” i reati, consumati o tentati, di cui agli artt. 416 c.p. comunque finalizzato, di cui all’art. 416 bis c.p., i delitti commessi “avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni” di cui allo stesso articolo e quindi i delitti aggravati ex art. 416 bis.1 c.p., i reati di cui agli artt. 74 dpr 309 / 1990 e 291 quater dpr 43/1973, i reati di cui all’art. 51 comma 3-quater c.p.p. “consumati o tentati con finalità di terrorismo” , il reato di cui all’art. 630 c.p. quando non risulti positivamente eseguito da singola persona o quando risulti consumato con minacce portate “a mezzo del telefono”);
  • e poi ai reati cui è stata via vi estesa: a) dall’art. 9 legge 11 agosto 2003 n. 228 ai procedimenti “per i delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, Sezione I del c.p.” ( e quindi ora ai procedimenti per i reati consumati o tentati di cui agli artt. 600--600 bis--600 ter--600 quater--600 quater.1—600 quinquies—601—601 bis—602—603 bis) ed altresì ai reati di cui all’art. 3 l. 75 / 1958 ; b ) ai reati di cui al combinato disposto degli artt. 3 comma 1 D.L. 18.10.2001 n. 374 conv. l. 438 / 2001 e 6  comma 1 della legge 14.2.2003 n. 34 e quindi ai delitti consumati o tentati previsti dagli artt. 270 ter c.p. e 280 bis c.p. e ai delitti consumati o tentati di cui all’art. 407 comma 2 lettera a) n. 4 cpp (“delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni , nonché delitti di cui agli artt. 270 terzo comma c.p., e 306 comma 2 c.p.”, e quindi , deve ritenersi, almeno , ai delitti di cui agli artt. 270 bis, 270 ter, 270 quater, 270 quinquies, 280, 284, 285, 286, 289 bis , 295, 305, 306 c.p.); c ) dall’art. 6 d.lgs. 216 / 2017, ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4 del codice di procedura penale, e quindi per i delitti di cui agli artt. 317,  318-321, 319-321, 319 ter-321, 319 quater, 322 comma 2 e comma 4 , 317-322 bis, 322 bis c.p.; d) per ultimo, dall’art. 19 legge 28.6.2024 n. 90, ai reati di cui all’art. 371 comma 4-bis cpp , vale a dire ai delitti ex artt. 615 ter terzo comma c.p. (accesso abusivo a sistemi informatici o telematici di pubblico interesse) e 635-ter / 635-quinquies c.p. ( reati di danneggiamento  di dati , programmi e sistemi informatici o telematici di pubblico interesse), nonché, “quando i fatti sono commessi in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità, in relazione ai procedimenti  per i delitti di cui agli artt. 617 quater, 617 quinquies e 617 sexies del c.p. “ ( falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni telegrafiche o telefoniche; intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche , o detenzione , diffusione o installazione di apparecchiature atte a tali attività).

 

Come è dato di vedere, allo stesso modo che per l’interrogatorio preventivo, le eccezioni si “mangiano” quantitativamente la nuova regola. i reati ex art. 13 e collegati coprono il 90% delle intercettazioni che si fanno abitualmente.

 

L’impatto della riforma sul sistema processuale sarà poi prevedibilmente minimo poi per un secondo profilo.

Se è vero che l’impatto vero che si rischia deriva dal fatto che si è messo nel processo l’ennesimo bug, una “mina” sull’utilizzabilità delle intercettazioni, che spesso si assumeranno prorogate oltre i 45 giorni senza presupposti e integrare una ennesima fonte di contenzioso processuale, è però altrettanto vero:

 

1) che sarà difficilissimo, di fronte ad una motivazione non di stile, ma con concreti riferimenti alla situazione investigativa ad una certa data, ricostruire ex post non vi fossero ad una certa data gli “elementi specifici e concreti” per la proroga, come sopra enucleati, e valutati con ottica ex ante (vera “prova diabolica”, quella dell’abuso);

2 ) che la giurisprudenza della Cassazione in materia è consolidata nel dire che non si deve operare nel merito la ricostruzione in ordine alla sussistenza dei presupposti della proroga, ma che va valutata solo l’effettività della motivazione, il suo non essere fatta con clausole di stile, il suo non essere apparente: di nuovo, decisiva la congruità della “espressa motivazione” ( non richiamata qui la “autonoma valutazione del Giudice”: potrà anche riprendere quella del PM, purchè motivazione non apparente ).

 

È però certo che le questioni arriveranno, gli Avvocati già ne discutono, per far cambiare giurisprudenza alla Cassazione.

 

In sintesi , alla fine , è possibile, se non prevedibile, che ci si possa agevolmente ritrovare al punto attuale: che dopi i 45 giorni  basti e sia sufficiente, per la proroga , la verifica di situazioni investigative in cui emerga che la ricostruzione dei fatti che gli inquirenti stanno seguendo non sia fatta di mere illazioni o congetture ma si presenti come un serio e più che concreto percorso investigativo, con riguardo al quale continuare ad autorizzare le intercettazioni di cui si chiede la proroga tuttora non integri quella “autorizzazione in bianco” all’invasivo mezzo delle intercettazioni che in attuazione dell’art. 15 Costituzione il legislatore processuale intende vietare , avendo invece in tutta evidenza il significato voluto dalla legge di consentire l’utilizzo di tale incisivo mezzo di indagine in presenza di una chiara ed assoluta indispensabilità investigativa e del rischio in difetto di perdere irrimediabilmente elementi potenzialmente decisivi per la prova  non altrimenti acquisibili.

 

Una considerazione a parte riguarda le intercettazioni per la ricerca del latitante.

L’art. 295 c.p.p. continua a prevedere che per cercarlo si autorizzino le intercettazioni “nei limiti e con le modalità previste dagli artt. 266 e 267”, senza distinzioni: ora quindi sembrerebbe richiamato anche il nuovo limite dei 45 giorni di cui al comma terzo nuovo testo dell’art. 267 cpp.

A superare quello che appare essere un evidente “colposo” errore del legislatore nel coordinare la nuova disciplina con la vecchia, poiché sarebbe illogico fermare le ricerche del latitante, magari di un capo mafia, ai 45 giorni, si impone una interpretazione costituzionalmente orientata secondo ragionevolezza, che intenda il rinvio dell’art. 295 cpp come un rinvio fisso al contenuto previgente degli artt. 266-267 c.p.p. In alternativa, dovendosi valutare possibili questioni di legittimità costituzionale.