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18 Giugno 2024


Ordine europeo di indagine e trasmissione del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini: nello stesso giorno, due pronunce delle Sezioni Unite

Cass., Sez. un., sent. 29 febbraio 2024 (dep. 14 giugno 2024), n. 23755, Pres. Cassano, est. Corbo. Cass., Sez. un., sent. 29 febbraio 2024 (dep. 14 giugno 2024), n. 23756, Pres. Cassano, est. Corbo



Segnaliamo ai lettori il deposito, lo scorso 14 giugno, delle motivazioni di due sentenze delle Sezioni Unite, la n. 23755 e la n. 23756 del 2024, con le quali il supremo organo nomofilattico si è pronunciato in merito a una pluralità di questioni sollevate dalla terza e dalla sesta Sezione della Corte di cassazione in materia di acquisizione mediante ordine europeo di indagine di comunicazioni scambiate con sistema criptato.

Secondo quanto riportato dal Servizio novità della Corte, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 23755 del 2024, hanno affermato i seguenti principi di diritto:

«- la trasmissione, richiesta con ordine europeo di indagine, del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 234-bis cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, bensì nella disciplina relativa alla circolazione delle prove tra procedimenti penali, quale desumibile dagli artt. 238 e 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen;

- in materia di ordine europeo di indagine, le prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione possono essere legittimamente richieste ed acquisite dal pubblico ministero italiano senza la necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si intende utilizzarle;

- l’emissione, da parte del pubblico ministero, di ordine europeo di indagine diretto ad ottenere il contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano, quale condizione necessaria a norma dell’art. 6 Direttiva 2014/41/UE, perché tale autorizzazione, nella disciplina nazionale relativa alla circolazione delle prove, non è richiesta per conseguire la disponibilità del contenuto di comunicazioni già acquisite in altro procedimento;

- la disciplina di cui all’art. 132 d.lgs. n. 196 del 2003, relativa all’acquisizione dei dati concernenti il traffico di comunicazioni elettroniche e l’ubicazione dei dispositivi utilizzati, si applica alle richieste rivolte ai fornitori del servizio, ma non anche a quelle dirette ad altra autorità giudiziaria che già detenga tali dati, sicché, in questo caso, il pubblico ministero può legittimamente accedere agli stessi senza chiedere preventiva autorizzazione al giudice davanti al quale intende utilizzarli;

- l’utilizzabilità del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, e trasmesse sulla base di ordine europeo di indagine, deve essere esclusa se il giudice italiano rileva che il loro impiego determinerebbe una violazione dei diritti fondamentali, fermo restando che l’onere di allegare e provare i fatti da cui inferire tale violazione grava sulla parte interessata;

- l’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse non determina una violazione dei diritti fondamentali, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, ed una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente».

Questi, invece, i principi di diritto – in larga parte sovrapponibili – stabiliti con la sentenza n. 23756 del 2024:

«- in materia di ordine europeo di indagine, l’acquisizione dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 234-bis cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, ma è assoggettata alla disciplina di cui all’art. 270 cod. proc. pen.;

- in materia di ordine europeo di indagine, le prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione possono essere legittimamente richieste ed acquisite dal pubblico ministero italiano senza la necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si intende utilizzarle;

- l’emissione, da parte del pubblico ministero, di ordine europeo di indagine diretto ad ottenere i risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate attraverso l’inserimento di un captatore informatico nel server di una piattaforma criptata, è ammissibile, perché attiene ad esiti investigativi ottenuti con modalità compatibili con l’ordinamento italiano, e non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano, quale condizione necessaria ex art. 6 Direttiva 2014/41/UE, perché tale autorizzazione non è richiesta nella disciplina nazionale;

- l’utilizzabilità dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini, deve essere esclusa se il giudice del procedimento nel quale dette risultanze istruttorie vengono acquisite rileva che, in relazione ad esse, si sia verificata la violazione dei diritti fondamentali, fermo restando che l’onere di allegare e provare i fatti da cui inferire tale violazione grava sulla parte interessata;

- l’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse non determina una violazione dei diritti fondamentali, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, ed una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente».