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07 Dicembre 2020


Alla Corte Costituzionale la questione della proporzionalità della pena prevista per il favoreggiamento aggravato dell’immigrazione irregolare

Trib. Bologna, ord. 1 dicembre 2020, Pres. est. Cenni



1. Il Tribunale di Bologna, in composizione collegiale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 3 lett. d) Testo Unico Immigrazione, per contrasto con i principi di uguaglianza-ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di proporzionalità della sanzione penale (artt. 3, 27 comma 3 Cost.), nella parte in cui prevede la pena aggravata da cinque a quindici anni di reclusione, nonché di 15.000 euro per ogni straniero favorito, per le condotte di favoreggiamento dell’ingresso irregolare realizzate “utilizzando  servizi  internazionali  di  trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti”.

Si tratta, a quanto ci risulta, della prima volta in cui la questione della proporzionalità delle severe sanzioni penali previste per il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare viene portata all’attenzione della Consulta, così aprendo un varco al sindacato di costituzionalità sulla disciplina attuativa, nel nostro ordinamento, degli obblighi europei di incriminazione dello smuggling of migrants; una disciplina da più voci ritenuta foriera degli eccessi sanzionatori, al punto da essere spesso evocata con espressioni quali “criminalizzazione della solidarietà” o “délit de solidarité”.

 

2. Il giudizio a quo vede imputata una donna di origine congolese che nel 2019 aveva tentato di superare i controlli di frontiera all’aeroporto di Bologna esibendo, per sé e per le due minorenni straniere che viaggiavano con lei, passaporti senegalesi falsi. La donna era stata tratta in arresto con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare – fattispecie a consumazione anticipata che punisce la realizzazione di atti diretti a favorire l’ingresso irregolare di stranieri nel territorio, a prescindere dal buon esito dell’iter criminis – aggravato dall’utilizzo di mezzi internazionali di trasporto e di documenti falsi (art. 12, co. 1 e co. 3, lett. d T.U. imm.).

Alla prima udienza del giudizio immediato la difesa dell’imputata ha eccepito l’illegittimità costituzionale di tale disciplina sotto diversi profili, parte dei quali ritenuti dal collegio rilevanti e non manifestamente infondati.

 

3. La difesa aveva anzitutto eccepito l’illegittimità costituzionale, per contrasto con i canoni di uguaglianza-ragionevolezza (art. 3 Cost.) e proporzionalità della pena (artt. 3 e 27 Cost., artt. 11, 117 Cost. e 49 CDF), della cornice edittale prevista dall’art. 12 comma 1 T.U. imm. Occorre sul punto premettere che le ipotesi aggravate previste dal comma 3 della medesima disposizione costituiscono, secondo l’orientamento recentemente adottato dalle Sezioni Unite[1], altrettante circostanze aggravanti della fattispecie prevista dal comma 1, la quale pertanto costituisce la base giuridica delle accuse rivolte all’imputata.

Sotto il profilo dell’uguaglianza-ragionevolezza si evidenziava l’irragionevole disparità di trattamento tra l’autore del favoreggiamento, punibile con la reclusione da uno a cinque anni, e lo straniero favorito, punibile con l’assai più blanda sanzione dell’ammenda da 5.000 a 10.000 euro (art. 10-bis T.U. imm.): posto infatti che le due menzionate fattispecie tutelano lo stesso bene giuridico, e che l’ipotesi base dell’art. 12 non presenta alcun surplus di disvalore rispetto a quello inerente all’attraversamento irregolare della frontiera, ecco allora che – sempre secondo l’impostazione difensiva – l’evidenziata sperequazione sanzionatoria non troverebbe alcuna ragionevole giustificazione.

Sotto il profilo della sproporzione “intrinseca” si richiamava in particolare la sentenza n. 236 del 2016, che aveva rilevato l’incostituzionalità della pena prevista per il delitto di alterazione di stato civile del neonato mediante falsità nella formazione dell’atto di nascita (art. 567, co. 2 c.p.), osservando come la ratio decidendi sottesa a tale pronuncia – segnatamente la sproporzione tra il minimo edittale e lo scarso disvalore di alcune classi di ipotesi riconducibili alla fattispecie, come quelle in cui l’obiettivo dell’agente, pur scorrettamente perseguito, consista nell’attribuire un legame famigliare al neonato che altrimenti ne sarebbe privo – possa essere estesa anche a classi di ipotesi di minimo disvalore rientranti nell’art. 12, come quelle in cui l’agente favorisce l’ingresso irregolare per finalità di carattere umanitario o comunque solidaristico, e non invece per trarne profitto.

Entrambe le censure sono state respinte dal collegio come manifestamente infondate.

Quanto alla prima, osserva anzitutto l’ordinanza come “il legislatore, nell’ambito di tutela di un medesimo bene giuridico, possa discrezionalmente stabilire condotte punibili, in una scala crescente, a mero titolo di contravvenzione o, invece, a titolo di delitto, come nel caso di specie, attribuendo maggiore rilievo e sanzionando più gravemente talune condotte rispetto ad altre”. Tanto premesso, i giudici hanno ritenuto che, nella repressione di un fenomeno come l’immigrazione irregolare, suscettibile di incidere sull’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, al legislatore sia “consentito attribuire maggiore disvalore a condotte poste in essere da soggetti terzi che si accompagnino a quelle degli stranieri diretti interessati, posto che mentre la condotta dei primi non appare in alcun modo giustificata, la condotta di questi ultimi è valutata con maggiore benevolenza, trattandosi di soggetti vulnerabili e talora costretti dalle contingenze a fare ingresso clandestinamente in un Paese diverso da quello di provenienza”.

A rafforzamento di tale conclusione, l’ordinanza richiama le ipotesi in cui legittimamente il legislatore punisce con pene severe l’istigazione o l’agevolazione di condotte addirittura lecite, come nel caso del favoreggiamento della prostituzione e dell’istigazione al suicidio, osservando come “a maggior ragione il legislatore può prevedere che la condotta dello straniero favorito integri una contravvenzione e quella del terzo concorrente, invece, un delitto, quando si ritenga che la seconda assuma maggiore disvalore”.

Con riferimento alla lamentata sproporzione “intrinseca”, l’ordinanza ritiene che la stessa possa essere negata considerando che trattamenti sanzionatori analoghi o addirittura deteriori sono previsti per le fattispecie di falso in materia di identificazione personale previste sia dal codice penale (artt. 495 e 497-bis c.p.), sia dal Testo Unico (art. 5, comma 8-bis). Inoltre, si evidenzia come il trattamento sanzionatorio di cui all’art. 12 comma 1 possa essere mitigato in concreto, commisurando la pena a partire dal minimo edittale e ad esso applicando circostanze attenuanti generiche ovvero l’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale.

Sulla scorta di tali argomenti l’ordinanza conclusione nel senso che la pena prevista dall’art. 12 comma 1 T.U. imm. “non esorbiti in modo manifestamente irragionevole dalla discrezionale determinazione delle sanzioni da parte del legislatore”.

 

4. Ulteriore censura prospettata dalla difesa riguardava l’aggravante di cui all’art. 12 comma 3, lett. d), nella parte in cui prevede un significativo aumento di pena per le condotte realizzate attraverso mezzi internazionali di trasporto e/o documenti falsi, anche in questo caso rispetto ad entrambi i canoni costituzionali menzionati. Si tratta della censura che il Tribunale ha ritenuto, oltre che rilevante, anche non manifestamente infondata, sicché nel prosieguo si richiameranno le argomentazioni formulate dall’ordinanza di rimessione alla Consulta.

Dopo avere ricordato che l’aggravante in questione comporta un aggravamento della pena detentiva pari al quintuplo del minimo ed al triplo del massimo edittale previsti dal comma 1 dell’art. 12, a cui si aggiunge la medesima pena pecuniaria prevista per l’ipotesi base (15.000 euro per ogni persona favorita), il collegio osserva che “non è priva di pregio l’osservazione della difesa, anche in ragione di norme convenzionali aventi efficacia sovranazionale, secondo la quale un irrigidimento del trattamento sanzionatorio si giustificherebbe unicamente per quelle fattispecie di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare caratterizzate da uno scopo di lucro (cd. smugglers of migrants), elemento quest’ultimo assente nella disposizione in commento e trattato, invece, nel successivo comma 3-ter della norma, con ulteriore aggravamento di pena”. Inoltre, prosegue l’ordinanza, l’ampiezza dell’ipotesi in esame comporta che un trattamento così severo trovi applicazione anche rispetto alle condotte “meritevoli sul piano morale o sociale” eppure “non sufficienti ad integrare la c.d. scriminante di cui all’art. 12, comma 2 T.U. imm. o altre scriminanti comuni”.

A ciò si aggiungono – secondo i giudici rimettenti – valutazioni attinenti alla (in)coerenza interna della disposizione censurata, la quale pone sullo stesso piano ipotesi tra loro evidentemente eterogenee. Identico aggravamento di pena, infatti, è previsto sia per le ipotesi in cui “il disvalore delle condotte è determinato anche dall’incidenza delle stesse sui diritti fondamentali delle persone trasportate o illegalmente introdotte nel territorio dello Stato, le quali sono esposte a pericolo di vita e di incolumità fisica nonché a trattamenti inumani e degradanti” (art. 12, comma 3, lett. b) e c)); sia per le ipotesi, oggetto di censura (art. 12, comma 3, lett. d)), in cui la collaborazione all’ingresso irregolare avvenga attraverso un mezzo di per sé addirittura lecito (come il servizio di trasporto internazionale), oppure illecito (come un documento falso) ma il cui disvalore, oltre ad essere autonomamente sanzionato da norme penali ad hoc, non appare idoneo a giustificare un divario sanzionatorio così marcato. La sperequazione sanzionatoria così prodotta è resa plasticamente dalla seguente immagine: “la condotta consistente nel far viaggiare lo straniero nascosto nella cella frigorifera di un camion o accompagnarlo attraverso impervi sentieri di montagna, in entrambi i casi con rischio per la vita o per l’incolumità del migrante, viene punita nello stesso modo di chi invece faccia viaggiare lo straniero con un volo di linea o limitandosi a procurargli un passaporto o un visto falso”.

Alla luce di tali argomenti, osserva il collegio, emergono tanto il vulnus al principio di uguaglianza-ragionevolezza, sanzionabile ai sensi dell’art. 3 Cost.; quanto quello al principio di “proporzionalità intrinseca” del trattamento sanzionatorio, riconducibile al combinato disposto degli artt. 3 e 27 comma 3 Cost. A quest’ultimo proposito l’ordinanza ritiene pertinente il richiamo alla sentenza n. 236 del 2016, di cui peraltro rileva – qui sì – l’evidente analogia con la fattispecie in esame, riportandone testualmente uno dei passaggi chiave: “laddove la proporzione tra sanzione e offesa difetti manifestamente, perché alla carica offensiva insita nella condotta descritta dalla fattispecie normativa il legislatore abbia fatto corrispondere conseguenze punitive di entità spropositata, non ne potrà che discendere una compromissione ab initio del processo rieducativo, processo al quale il reo tenderà a non prestare adesione, già solo per la percezione di subire una condanna profondamente ingiusta”.

Su queste premesse, il collegio traccia un petitum consistente nella richiesta alla Consulta di rimuovere la circostanza aggravante censurata, intervento dal quale conseguirebbe la rilevanza dei fatti ad essa attualmente riconducibili ai soli sensi dell’art. 12 comma 1, ferma restando la possibilità di applicare le rilevanti fattispecie in materia di falsi, venuto meno il loro assorbimento nella circostanza.

 

5. La difesa aveva altresì eccepito l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 12, che prevede un’esimente ad hoc per i (soli) casi di assistenza umanitaria prestata a favore di stranieri irregolari già presenti sul territorio dello Stato, con conseguente – e, secondo la difesa, irragionevoleesclusione delle ipotesi in cui l’aiuto è prestato in fase di ingresso. Sul punto, tuttavia, l’ordinanza ha ritenuto la censura irrilevante, osservando che la disposizione copre il soccorso o l’assistenza prestati a “stranieri in condizioni di bisogno”, e che rispetto al caso di specie non sia possibile stabilire, in una fase così precoce dal procedimento e sulla sola base degli elementi portati dalla difesa, se davvero le due minorenni accompagnate in Italia dall’imputata versassero in una simile situazione.

 

6. Ancora, quanto all’argomento difensivo secondo cui ad essere viziati di illegittimità sarebbero altresì, a monte, gli stessi obblighi europei di incriminazione del favoreggiamento di ingressi irregolari, dettati dal combinato disposto della direttiva n. 2002/90/CE e della decisione quadro n. 2002/946/GAI, in considerazione dell’irragionevole compressione determinata sui diritti protetti dalla Carta dei diritti fondamentali – diritto alla libertà personale (del facilitatore), nonché alla vita, a richiedere asilo ed alla vita privata e famigliare (dei migranti) – l’ordinanza ha ritenuto assorbenti le considerazioni già svolte in ordine alla discrezionalità del legislatore nel compimento delle scelte di politica criminale, soggiungendo che “l’Unione ha potestà di stabilire sanzioni appropriate per condotte potenzialmente pregiudizievoli per gli interessi degli Stati membri e la previsione di una simile potestà appare del tutto coerente con l’esigenza di disciplinare i flussi migratori”.

 

*  *  *

 

7. L’ordinanza bolognese apre una prima breccia al vaglio di legittimità costituzionale della disciplina italiana sul favoreggiamento dell’immigrazione irregolare: una disciplina non solo afflitta da intricati nodi esegetici, figli della cattiva tecnica legislativa che nel corso degli anni ha modellato (e ri-modellato) l’art. 12 T.U. imm. (si pensi, da ultimo, alla controversa natura giuridica delle ipotesi aggravate di cui al comma 3, non del tutto risolta dall’intervento delle Sezioni Unite nel 2018[2]); ma che, specialmente in anni recenti, si è rivelata strumento di legittimazione sul piano giuridico di narrazioni fuorvianti, tese a parificare – sul piano del disvalore e del trattamento sanzionatorio che ne consegue – la condotta di chi salva una vita umana o semplicemente favorisce un progetto migratorio sans papiers, con quella di trafficanti senza scrupoli che speculano sulla disperazione di chi non ha alternative se non mettersi in viaggio, anche senza un visto in tasca.

Si tratta di problemi in parte attinenti al merito delle scelte di politica criminale, ma anche suscettibili di generare contrasti con i canoni costituzionali che limitano la potestà legislativa: conoscibilità del precetto, uguaglianza-ragionevolezza, proporzionalità della sanzione.

 

8. In quest’ottica, il primo punto forte dell’ordinanza risiede nell’avere espressamente colto l’argomento difensivo che aveva evidenziato come un calibro sanzionatorio di tal fatta – lo ricordiamo: reclusione da cinque a quindici anni e multa di 15.000 euro per ogni straniero – si attagli alle sole condotte di vero e proprio smuggling of migrants, e non anche a quelle di chiunque favorisca (o tenti di favorire) un ingresso irregolare per ragioni di soccorso, assistenza famigliare o genuinamente altruistiche. L’aggravante censurata rappresenta, in effetti, una delle colonne portanti di questa macroscopica sperequazione sanzionatoria, in quanto imperniata su elementi di fatto che non solo risultano ictu oculi privi di un surplus di disvalore sufficiente a giustificare il balzo sanzionatorio che invece innescano (quintuplicazione del minimo e triplicazione del massimo di pena detentiva); ma dimostrano tutta la propria incapacità selettiva (definitivamente smarrendo il connotato della ragionevolezza) laddove confrontati con gli elementi di fatto presi in considerazione dalle altre aggravanti racchiuse nel medesimo comma 3 e nel successivo comma 3-ter, essi sì (almeno in parte) univocamente sintomatici della pertinenza delle condotte al “mercato nero delle migrazioni” (il riferimento è, soprattutto, all’esposizione dei migranti a pericolo di vita, alla loro sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, nonché alle finalità di sfruttamento e di profitto).

La puntuale individuazione degli strumenti funzionali a sanzionare tale sperequazione sanzionatoria rappresenta il secondo punto forte dell’ordinanza: essa non si limita infatti ad evocare il tradizionale meccanismo “triadico” di diagnosi (e correzione) delle irragionevoli disparità di trattamento; ma si spinge a richiamare espressamente il più penetrante e per certi aspetti innovativo sindacato “intrinseco” di ragionevolezza. Accanto ai passaggi in cui, con enfasi evocativa ispirata purtroppo a recenti cronache, si sottolinea l’irragionevolezza insita nel non distinguere il trattamento sanzionatorio riservato a chi fornisce un documento falso e un biglietto d’areo con quello previsto per chi, invece, nasconde i migranti nella cella frigorifera di un camion, così sottoponendoli a trattamenti inumani e degradanti ed esponendoli a pericolo per la vita (tertium comparationis); vi sono i passaggi imperniati sui principi dettati dalla sentenza n. 236 del 2016, a ragione ritenuta pertinente anche per la similitudine, mutatis mutandis, della disciplina legislativa oggetto di scrutinio (lo ricordiamo: l’alterazione dello stato di nascita mediante formazione di un atto falso, ex art. 567, co. 2 c.p.). Invero, fatta astrazione delle relative specificità, in entrambi i casi a venire in rilievo è il perseguimento, attraverso mezzi illeciti e segnatamente falsi documentali, di finalità di per sé moralmente apprezzabili (rispettivamente: attribuire un legame famigliare al neonato che altrimenti ne sarebbe privo; aiutare un soggetto vulnerabile, come un migrante o un richiedente asilo, a trovare condizioni di vita più sicure); finalità che a loro volta si riverberano sulla condotta tipica, sdrammatizzandone il disvalore e così facendo risultare la pena per essa prevista intrinsecamente sproporzionata perché – in ultima analisi – ingiusta.

Il sindacato sulla legittimità dell’aggravante in esame potrà infine fondarsi sul canone di proporzionalità della pena previsto dall’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali, applicabile alla disciplina in esame in quanto adottata in attuazione del diritto dell’Unione (art. 51, par. 1 CDF)[3], tenuto conto anche del significato del medesimo principio ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati Membri (art. 52, par. 3 e 4 CDF). Tali parametri, ancorché non espressamente richiamati dall’ordinanza bolognese, potranno infatti rientrare, in quanto implicitamente evocati attraverso il riferimento al principio di proporzionalità della pena[4], nel novero di quelli a disposizione della Consulta, in combinato disposto con gli artt. 11 e 117 Cost.

 

 

9. Destano invece alcune perplessità i passaggi dell’ordinanza bolognese che hanno giudicato manifestamente infondate le censure rivolte dalla difesa alla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 12, comma 1 T.U. imm.; censure peraltro arricchite dal riferimento ai possibili profili di illegittimità degli obblighi di incriminazione del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare di fonte europea.

Si tratta di profili che chi scrive ha affrontato per esteso in altra sede[5], alla quale ci si permette di rinviare il lettore. Nel prosieguo ci si limiterà a mettere sinteticamente in evidenza alcuni argomenti alla luce dei quali non si condividono fino in fondo le valutazioni espresse dal collegio.

Anzitutto non sembra che il legislatore abbia esercitato correttamente la propria discrezionalità laddove ha differenziato in maniera così marcata il trattamento previsto per lo straniero agevolato e quello riservato al soggetto agevolatore. Si pensi ai rapporti, per certi aspetti analoghi, tra la fattispecie di evasione (art. 385 c.p.) e quella di procurata evasione (386 c.p.), dove, pur a fronte dell’identità del bene giuridico tutelato e delle modalità dell’offesa arrecata allo stesso, l’anelito di libertà sottostante alle condotte incriminate dalla prima giustifica il trattamento sanzionatorio leggermente più mite ad esse riservato: la pena per l’evaso è infatti la reclusione da uno a tre anni, mentre quella per l’agevolatore dell’evasione va da sei mesi a cinque anni. Al contrario, nel passaggio dall’art. 10-bis all’art. 12 T.U. imm., pur a fronte di offese equiparabili (il superamento irregolare di una frontiera e la sua agevolazione), il legislatore utilizza in un caso la “mano blanda” della contravvenzione presidiata da pena pecuniaria e nell’altro caso la “mano pesante” del delitto presidiato (anche da pena detentiva).

Anche dal punto di vista della proporzionalità “intrinseca”, peraltro, i principi racchiusi nella sentenza n. 236 del 2016, richiamata dal collegio, potevano forse essere ulteriormente valorizzati per contestare, più in radice, la scelta legislativa di costruire la fattispecie di favoreggiamento in maniera talmente estesa da attrarre nel suo campo di applicazione condotte contrassegnate da un disvalore particolarmente tenute se raffrontate a quelle degli smugglers veri e propri; condotte consistenti nell’agevolazione di ingressi irregolari per ragioni famigliari o comunque puramente solidaristiche, rispetto alle quali la funzione rieducativa della pena ben può essere compromessa ab initio in ragione della percezione di ingiustizia che si accompagna alla condanna.

Infine, seguendo questa strada, il tertium comparationis rappresentato dal c.d. reato di immigrazione clandestina avrebbe potuto essere valorizzato anche sul piano dell’individuazione di un rimedio “a rime obbligate”, rappresentato dalla sostituzione della pena prevista per la fattispecie base di cui all’art. 12 comma 1 T.U. imm. con quella prevista, appunto, per l’art. 10-bis T.U. imm. (analogamente a quanto accade, attraverso lo schema del concorso di persone, nell’ordinamento tedesco[6]).

 

10. Come visto, l’ordinanza ha ritenuto prive di fondatezza anche le censure rivolte, a monte, alle fonti sovranazionali che impongono di sanzionare penalmente le condotte di favoreggiamento di ingressi irregolari (c.d. Facilitators package)[7], incluse quelle prive di scopo di lucro, lasciando al contempo liberi gli Stati membri di prevedere o meno esimenti ad hoc per le condotte umanitarie (art. 1 par. 2 della direttiva). Ad avviso del collegio, infatti, anche queste scelte ricadrebbero nel c.d. “merito legislativo” e come tali sfuggirebbero al sindacato di legittimità basato su fonti sovraordinate.

L’impressione che si ricava dalla succinta motivazione sul punto, tuttavia, è che si sia persa un’occasione per valutare la proporzionalità della compressione dei diritti fondamentali derivante dall’obbligo di incriminazione in esame. Come è noto, infatti, la Carta dei diritti fondamentali stabilisce che, “Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni [ai diritti previsti dalla Carta stessa] solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui” (art. 52, par. 1 CDF). Ne deriva che gli obblighi di incriminazione stabiliti dal Facilitators package risultano legittimi a condizione che le compressioni dei diritti fondamentali che essi impongono risultino proporzionate alle finalità perseguite dal legislatore europeo. Si pensi al diritto a richiedere asilo (art. 18 CDF), a quello alla vita privata e famigliare (art. 7 CDF), nonché agli stessi diritti alla vita ed all’integrità fisica (art. 2 e 3 CDF), suscettibili di essere compromessi anche solo come risultato del “chilling effect che la minaccia della sanzione penale in questa materia produce in capo ai potenziali soccorritori e prestatori di aiuto umanitario[8].

Ebbene, premesso che le finalità sottese al Facilitators package risultano ambigue in quanto contese tra la repressione del traffico di migranti (lettura restrittiva) e la più estesa tutela dei confini europei (lettura estensiva)[9], in ogni caso le scelte compiute dal legislatore in punto di selezione delle condotte punibili appaiono incompatibili con il canone della proporzionalità nel senso anzidetto. Invero, se il legislatore europeo avesse davvero inteso colpire i soli smugglers of migrants, avrebbe dovuto elevare ad elemento costitutivo dell’illecito la finalità di profitto, in linea con la nozione di smuggling adottata dal diritto internazionale[10], nonché con quanto previsto dalla stessa direttiva 2002/90/CE per il favoreggiamento del soggiorno irregolare[11]. Anche se l’intento del legislatore europeo fosse stato quello, più ampio, di reprimere l’agevolazione degli ingressi irregolari per proteggere i confini, la scelta di criminalizzare “a tappeto” ogni condotta idonea a facilitare l’ingresso, lasciando gli Stati membri liberi di scegliere se dotarsi o meno di esimenti ad hoc per le condotte umanitarie, sarebbe stata comunque sproporzionata per eccesso, in quanto recante con sé il sacrificio del nucleo essenziale di diritti di rango certamente più elevato rispetto all’interesse – meritevole ma puramente strumentale alla tutela di altri interessi  all’integrità delle frontiere[12].

Muovendo da queste premesse, la “palla” del vaglio di legittimità sulle scelte di incriminazione sottese al Facilitators package sarebbe potuta passare, attraverso lo strumento del rinvio pregiudiziale, alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, eventualmente anche su impulso della stessa Consulta, in linea con le più recenti posizioni emerse in ordine all’ordine di proposizione di questioni attinenti alla tutela dei diritti fondamentali che comportino una “doppia pregiudizialità[13].

 

11. In conclusione, come anticipato nell’incipit, l’ordinanza in commento rappresenta un primo significativo e coraggioso passo nella direzione della messa in discussione della legittimità, al metro della Costituzione e della Carta dei diritti fondamentali, della disciplina italiana (ed europea) sul favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Fin d’ora, peraltro, alcuni dei principi enunciati dal collegio – in primis la differenza sostanziale che intercorre, sul piano del disvalore, tra le condotte degli smugglers veri e propri e quelle degli agevolatori disinteressati o “umanitari” – potranno auspicabilmente orientare la giurisprudenza chiamata ad applicare l’art. 12 T.U. imm. nelle determinazioni relative alla dosimetria sanzionatoria, sia sul piano della commisurazione della pena in senso stretto, sia su quello dall’applicabilità della circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale.

 

 

[1] Cass. pen., Sez. Un., sent. 21.6.2018, n. 40982, Mizanur, CED 273937.

[2] Sul punto v. F. Basile, Favoreggiamento aggravato dell’immigrazione illegale: circostanza aggravante o reato autonomo? Una partita ancora aperta, in Diritto penale e processo, 2019, pp. 484 ss.

[3] Gli Stati Membri sono infatti obbligati a prevedere sanzioni di natura penale per le condotte di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare in base al combinato disposto dell’art. 1 della Direttiva 2002/90/CE, “volta a definire il favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali” e dell’art. 1 della Decisione quadro 2002/946/GAI, “relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali”. Nel dettaglio, la Direttiva stabilisce che “Ciascuno Stato membro adotta sanzioni appropriate nei confronti di chiunque: a) intenzionalmente aiuti una persona che non sia cittadino di uno Stato membro ad entrare o a transitare nel territorio di uno Stato membro in violazione della legislazione di detto Stato relativa all'ingresso o al transito degli stranieri” (art. 1, par. 1, lett. a). L’area dell’illiceità è estesa anche ai casi di istigazione, concorso e tentativo (art. 2). La Decisione quadro, dal canto suo, prevede che “Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché gli illeciti definiti negli articoli 1 e 2 della direttiva 2002/90/CE siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che possono comportare l'estradizione” (art. 1, par. 1). Questa tecnica a “doppio testo” veniva utilizzata, prima del Trattato di Lisbona e prima che la Corte di Giustizia riconoscesse la validità degli obblighi di incriminazione introdotti con direttiva (sent. 13.9.2005, Commissione c. Consiglio, C-176/03), per valorizzare i punti di forza degli strumenti rispettivamente di primo e terzo pilastro, incorporando la definizione degli illeciti nelle direttive ed i relativi obblighi di incriminazione nelle decisioni quadro

[4] Sul punto, cfr. V. Manes, V. Napoleoni, La legge penale illegittima. Metodo, itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, Giappichelli, 2019: fermo restando che, di regola, il parametro del giudizio di legittimità è rappresentato esclusivamente dalle norme costituzionali con riguardo alle quali la questione è stata proposta, nondimeno è da ritenersi ammissibile “una qualche possibilità di intervento correttivo dell’eventuale lacuna dell’atto di promovimento mediante il riferimento al parametro implicitamente evocato” (p. 260).

[5] Sia consentito rinviare a S. Zirulia, Non c’è smuggling senza ingiusto profitto. Profili di illegittimità della normativa penale italiana ed europea in materia di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, in Diritto penale contemporaneo – Rivista Trimestrale, n. 3/2020, pp. 143 ss.

[6] In Germania è prevista un’autonoma ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare solo in presenza di dolo di profitto (e in altri casi aggravati: cfr. art. 96 della legge in materia di immigrazione - Aufenthaltsgesetz); mentre per le ipotesi base trova applicazione la disciplina generale del concorso di persone nel reato di immigrazione irregolare, attraverso il combinato disposto degli artt. 26 e 27 StGB, che disciplinano il concorso di persone, con l’art. 95 par. 3 Aufenthaltsgesetz.

[7] Si tratta del combinato disposto delle norme racchiuse nelle già menzionate direttiva e decisione quadro del 2002: v. supra, nota. n. 3.

[8] Per una lucida analisi della dottrina del chilling effect come “tassello” del giudizio di proporzionalità sulle scelte di incriminazione, anche con esemplificazioni basate proprio sulla disciplina del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, v. N. Recchia, Il principio di proporzionalità nel diritto penale. Scelte di criminalizzazione e ingerenza nei diritti fondamentali, Giappichelli, 2020, p. 252 ss.

[9] Cfr. V. Mitsilegas, The Normative Foundations of the Criminalization of Human Smuggling: Exploring the Fault Lines between European and International Law, in New Journal of European Criminal Law, n. 10, 2019, p. 85.

[10] Ai sensi del Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria (ratificato dall’Italia con legge 16 marzo 2006, n. 146), “‘Smuggling of migrants’ shall mean the procurement, in order to obtain, directly or indirectly, a financial or other material benefit, of the illegal entry of a person into a State Party of which the person is not a national or a permanent resident” (art. 3, lett. a). Del resto, la finalità di profitto rappresentava un elemento dell’illecito anche ai sensi dell’art. 27 della Convenzione di applicazione sull’accordo di Schenghen del 1985, sul punto sostituita dal Facilitators package.

[11] Art. 1, par. 1, lett. b): “Ciascuno Stato membro adotta sanzioni appropriate: (…) b) nei confronti di chiunque intenzionalmente aiuti, a scopo di lucro, una persona che non sia cittadino di uno Stato membro a soggiornare nel territorio di uno Stato membro in violazione della legislazione di detto Stato relativa al soggiorno degli stranieri”.

[12] Sul punto sia consentito rinviare nuovamente a S. Zirulia, Non c’è smuggling senza ingiusto profitto, cit., pp. 167 ss.

[13] Per un quadro aggiornato, v. per tutti D. Tega, La Corte nel contesto. Percorsi di ri-accentramento della giustizia costituzionale in Italia, Bononia University Press, 2020, pp. 184 ss.