Cass., Sez. un., 15 novembre 2024 (ud. 27 giugno 2024), n. 42125, Pres. Cassano, Rel. Beltrani
Con ordinanza n. 16365 del 5 aprile 2024, dep. 18 aprile 2024 (consultabile in allegato), la Seconda sezione della Corte di cassazione aveva rimesso alle Sezioni unite la risoluzione di due questioni controverse:
«a) da quando deve considerarsi vigente l’art. 601, come riformato dal d.lgs n. 150/2022, nella parte in cui individua in quaranta giorni il termine a comparizione, tenuto conto di quanto prevede l’art. 94 d.lgs n. 150/2022, nella formulazione introdotta dall’art. 5-duodecies l. 199 del 2022 (se dal 30 dicembre 2022, o, piuttosto dal 30 giugno 2024;
b) se il decreto di citazione a giudizio in appello debba essere considerato atto “autonomo”, o solo “esecutivo” e se, pertanto, per individuare la legge che lo regola, debba farsi riferimento alla data della sua emissione, od a quella della pronuncia della sentenza impugnata».
Sul punto, si erano, infatti, andati delineando due orientamenti giurisprudenziali contrapposti, aventi ad oggetto la corretta identificazione del momento a decorrere dal quale deve ritenersi operante la nuova disciplina relativa al termine a comparire nel giudizio di appello. Stando ad una prima lettura, la neo-introdotta regolamentazione di cui all’art. 601, commi 3 e 5 c.p.p. è applicabile a far data dal 30 dicembre 2022. Una differente interpretazione, invece, circoscriveva l’operatività della novella, per effetto delle numerose disposizioni transitorie succedutesi nel tempo (da ultimo, v. l’art. 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, n. 215), «soltanto alle impugnazioni proposte dopo il 30 giugno 2024, ovvero a partire dal 1° luglio 2024».
Nel dirimere il contrasto, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto:
«La disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d.lgs 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni il termine a comparire nei giudizi di appello, è applicabile ai soli atti di impugnazione proposti a far data dal 1° luglio 2024». Con riguardo alla seconda tematica, invece, il Supremo Consesso ha ritenuto che «la soluzione accolta in ordine alla prima questione sottoposta all’esame del collegio rende priva di rilievo, ai fini della decisione, la seconda questione controversa, che non va quindi esaminata».
Occorre, invero, precisare che le Sezioni Unite, nel rigettare il secondo motivo di ricorso proposto dalla difesa, avente ad oggetto la violazione dell’art. 62, comma 4, n. 4, c.p. con riguardo al delitto di rapina, hanno enunciato due ulteriori principi di diritto: «ai fini della configurabilità, in relazione al delitto di rapina, della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto de quo, che lede non soltanto il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto, con la conseguenza che, solo ove la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati ad entrambi i beni tutelati sia di speciale tenuità, può farsi luogo al riconoscimento della predetta circostanza attenuante»; «ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., il momento in cui deve prendersi in considerazione l’entità del danno è quello della consumazione del reato, in quanto il danno non può divenire di speciale tenuità in conseguenza di eventi successivi».
(A. M.)