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  Scheda  
21 Settembre 2021


Verso una tutela integrata dei diritti fondamentali dei prevenuti: doppia pregiudizialità, Carta di Nizza e direttive di Stoccolma alla luce di un rilevante approdo della Consulta in relazione all’art. 578 c.p.p.

Corte cost., sent. 30 luglio 2021, n. 182, Pres. Coraggio, Red. Amoroso



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1. Nella pronuncia in commento la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate due questioni di legittimità dell’art. 578 c.p.p., sollevate dalla Corte di appello di Lecce per asserito contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost. in relazione all’art. 6, par. 2, C.e.d.u., nonché con gli 11 e 117 Cost. con riferimento agli artt. 3 e 4 direttiva 2016/343/UE e all’art. 48 Carta di Nizza[1].

La decisione racchiude un’articolata indagine sulla relazione tra processo civile e quello penale e, più specificamente, tra azione civile e poteri cognitivi del giudice penale, alla luce del diritto fondamentale alla presunzione di innocenza secondo i paradigmi europei. Ma, al di là di ciò, la pronuncia si distingue per rappresentare un ulteriore e importante elemento della parabola evolutiva sulla delicata e complessa questione della cosiddetta doppia pregiudizialità[2], sul piano della tutela dei diritti fondamentali dei prevenuti.

Prima di analizzare nel dettaglio il nuovo approdo, può essere dunque utile offrire un breve affresco del quadro in cui esso va collocato.

Invero, è a partire da dicembre 2017 che – com’è ben noto – si è affacciato sulla scena della giurisprudenza costituzionale un innovativo ridisegnamento dei rapporti “triangolari” tra Corte costituzionale, Corte di giustizia e giudici comuni. Il riferimento è, per l’appunto, alla assai discussa tematica riguardante le ipotesi di “doppia pregiudizialità”, e cioè – secondo la definizione della Consulta – «di controversie che possono dare luogo a questioni di illegittimità costituzionale e, simultaneamente, a questioni di compatibilità con il diritto dell’Unione»[3].

Il tema, in particolare, è venuto in gioco a fronte della tutela dei diritti fondamentali, garantiti sia dalla Costituzione, sia dalla Carta di Nizza. Più nel dettaglio, giova ricordare che, con il celebre obiter dictum della sentenza n. 269 del 2017[4],  la Corte costituzionale, nell’ottica di salvaguardare il suo ruolo nel sistema di tutela delle garanzie[5], sembrava, in un primo momento, aver imposto ai giudici comuni, in presenza di un sospetto di compatibilità di una disciplina nazionale sia con la Costituzione, sia con la CDFUE, di sollevare in via prioritaria una questione di legittimità costituzionale; e questo indipendentemente dall’efficacia diretta o meno delle disposizioni della Carta di Nizza di volta in volta in rilievo[6]. Il carattere dirompente di tale passaggio della decisione non è passato di certo inosservato, tanto da essere divenuto «il più commentato in 70 anni di giurisprudenza costituzionale»[7].

Ben presto, i Giudici di Palazzo della Consulta ne hanno, ad ogni modo, attenuato la valenza, senza tuttavia mettere in discussione il fondamentale cambiamento di paradigma rispetto al passato. Difatti, nella giurisprudenza costituzionale successiva è stata rimarcata la piena ammissibilità, nelle fattispecie di cosiddetta “doppia pregiudiziale”, di una questione di legittimità costituzionale prospettata in relazione alle disposizioni della Carta di Nizza, anche se dotate di effetto diretto nel sistema italiano[8]. Per altro verso, però, – e qui sta il fulcro del temperamento quanto al precedente obiter dictum del 2017 – la Consulta ha trasformato quello che pareva un obbligo posto in capo al giudice comune di sollevare in via prioritaria un incidente di costituzionalità in una semplice facoltà[9]. Detto altrimenti, l’elemento portante di tale nuovo assetto si può cogliere nella piena discrezionalità lasciata ai giudici nazionali circa la scelta in ordine a quale rimedio attivare: se interpellare per prima la Corte costituzionale o, viceversa, la Corte giustizia, o, ancora, percorrere le due vie contemporaneamente[10], fermo restando, altresì, il «dovere – ricorrendone i presupposti – di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al loro esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta»[11].

Inutile sottacere la svolta che si è realizzata attraverso questo nuovo corso. Qualora venga in gioco un diritto tutelato sia dalla Costituzione, sia dalla Carta di Nizza, la Consulta non attribuisce più alcuna valenza, come in passato, a un criterio di tipo strutturale, basato sul «carattere delle norme, vale a dire il loro essere o non essere autoapplicative»[12]. A tale canone si sostituisce, infatti, uno di matrice «assiologico-sostanziale»[13], il quale legittima e, anzi, «ritiene opportuna la previa rimessione al giudice delle leggi ogniqualvolta sia in discussione la violazione di un diritto fondamentale e a prescindere dall’efficacia diretta della norma dell’Unione rilevante»[14].

Peraltro, tali principi non sono stati limitati alle sole ipotesi di doppia pregiudizialità con riferimento alle disposizioni della Carta di Nizza. Sin dagli albori di questo nuovo approccio, essi sono stati estesi anche agli atti di diritto derivato dell’Unione, qualora si trovino «in singolare connessione con le pertinenti disposizioni della CDFUE»[15], nel senso che ne rappresentano l’attuazione, oppure che ne costituiscono il modello[16].

Per quanto qui più interessa, non è sfuggito come un tale assunto avrebbe potuto trovare un terreno di elezione con riferimento alle direttive UE sulle garanzie procedurali degli accusati e dei ricercati[17]. Esse, invero, costituiscono un esempio emblematico di strumenti normativi eurounitari che concretizzano diritti fondamentali sanciti nella Carta di Nizza. E, in effetti, si consideri che attenta dottrina aveva, ancor prima delle richiamate precisazioni svolte dalla Corte costituzionale sul piano della doppia pregiudiziale riguardo agli atti di diritto derivato, colto la potenziale rilevanza del revirement della Consulta proprio con riferimento alle direttive di Stoccolma, alla luce della loro stretta correlazione con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[18].

Ebbene, la decisione in commento costituisce il primo, significativo, esempio in cui la Corte costituzionale ha applicato il cosiddetto approccio “269 temperato”[19] rispetto alle direttive UE sui diritti fondamentali dei prevenuti e, in particolare, con riferimento alla direttiva 2016/343/UE sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.

Sullo sfondo dell’arresto, si può cogliere, in ultima analisi, un sottile filo conduttore, riassumibile in una particolare sensibilità della Consulta a farsi protagonista attiva e consapevole nella costruzione di un sistema integrato e multilivello dei diritti fondamentali, che tenga conto in maniera convergente della Carta costituzionale, da un lato, e delle disposizioni convenzionali ed eurounitarie, dall’altro lato.

Tenuto a mente quanto delineato, si può a questo punto vagliare la portata della pronuncia, a cominciare dall’analisi delle questioni di legittimità sollevate.

 

2.  A venire in gioco nelle due ordinanze di rimessione formulate dalla Corte di appello di Lecce, di contenuto perlopiù sovrapponibile, era la supposta incostituzionalità dell’art. 578 c.p.p.[20], in materia di decisione ai soli effetti civili in sede di impugnazione nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione o amnistia. Più nel dettaglio, in entrambi i procedimenti alla base delle ordinanze, gli imputati erano stati condannati in primo grado alle sanzioni penali in relazione alle fattispecie incriminatrici loro contestate, nonché al risarcimento dei danni a favore della parte civile; nelle more dell’impugnazione, però, i reati si erano prescritti, onde per cui avrebbe dovuto trovare applicazione la disciplina in discorso.

Sennonché, la Corte di appello di Lecce decideva di sollecitare l’intervento della Consulta. Il giudice a quo dubitava, infatti, della legittimità dell’art. 578 c.p.p. per violazione dell’art. 117 Cost. in riferimento all’art. 6, par. 2, C.e.d.u., e degli artt. 11 e 117 Cost. in relazione agli artt. 3 e 4 direttiva 2016/343/UE e all’art. 48 CDFUE, «nella parte in cui stabilisce che, quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili»[21].

In particolare, secondo quanto sostenuto dalla Corte di appello di Lecce, la giurisprudenza di legittimità avrebbe interpretato l’art. 578 c.p.p. nel senso di imporre al giudice dell’impugnazione, qualora riscontri la sopravvenuta estinzione del reato per decorrenza dei termini prescrittivi o per amnistia, di accertare, sebbene incidentalmente, la responsabilità penale del prevenuto, al fine di confermare le statuizioni civili racchiuse nella decisione impugnata[22]. Un tale indirizzo – a detta del giudice a quo – avrebbe oltretutto trovato piena conferma in quel recente arresto delle Sezioni Unite, che ha esteso le maglie di operatività del rimedio straordinario della revisione rispetto alle sentenze di condanna ai soli effetti civili pronunciate ai sensi dell’art. 578 c.p.p.[23].

Insomma, alla luce di quanto argomentato, nel pensiero della Corte di appello di Lecce la disposizione in esame avrebbe leso il diritto alla presunzione di innocenza e, in particolare, sarebbe stata in contrasto con gli artt. 11 e 117 Cost., avuto riguardo ai parametri interposti sopra richiamati.

A ben vedere, infatti, secondo il ragionamento del giudice a quo, sarebbe venuto in rilievo il secondo profilo in cui viene declinata tale garanzia negli ordinamenti convenzionale ed eurounitario. Si allude al diritto della persona, dopo la conclusione del procedimento penale con una sentenza di proscioglimento, a essere trattata come innocente dalle pubbliche autorità e dai pubblici ufficiali; il che, in ultima analisi, impedisce, nell’ambito di un eventuale procedimento successivo a quello penale, l’emanazione di provvedimenti che presuppongono la responsabilità penale della medesima.

Più nel dettaglio, quanto all’art. 6, par. 2, C.e.d.u., avrebbe assunto carattere centrale la giurisprudenza della Corte e.d.u. formatasi in materia e, in particolare, la recente decisione Pasquini c. San Marino[24], la quale avrebbe riscontrato una violazione di tale parametro convenzionale in relazione a una disciplina normativa analoga a quella contemplata nel nostro ordinamento dall’art. 578 c.p.p.

Rispetto, invece, al diritto dell’Unione europea, il giudice a quo richiamava una pronuncia della Corte di giustizia[25]. Ivi, i Giudici di Lussemburgo hanno preso le mosse dalla considerazione secondo cui il diritto alla presunzione di innocenza ex art. 48 CDFUE, in quanto corrispondente all’art. 6, parr. 2 e 3, C.e.d.u., ha un significato analogo a quello di tali disposizioni convenzionali in base all’art. 52, par. 3, Carta di Nizza. Alla luce di ciò, si è affermato che, in assenza di indicazioni precise nella direttiva 2016/343/UE, nonché nella giurisprudenza sviluppatasi intorno all’art. 48 CDFUE, occorrerebbe rifarsi al quadro giurisprudenziale della Corte e.d.u. ai fini di interpretare l’art. 4 della direttiva 2016/343/UE[26]. Tale previsione, in particolare, impone agli Stati membri di predisporre le misure necessarie per assicurare «che fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole».

Chiara la conseguenza. Sulla scorta di quanto rilevato, la Corte di appello di Lecce riteneva che pure l’ordinamento eurounitario avrebbe tutelato la garanzia fondamentale in esame con la medesima portata di quella convenzionale. Pertanto, anche in tale caso, si sarebbe posto un problema di conformità dell’art. 578 c.p.p., per come interpretato dalla giurisprudenza interna, ai canoni sovranazionali.

Peraltro, nel giungere a tale ultima conclusione, il giudice a quo affrontava un profilo cardine ai fini di questa analisi, su cui è necessario soffermarsi per comprendere appieno la risposta in seguito fornita dalla Corte costituzionale sul punto.

In primo luogo, la Corte di appello di Lecce sentiva l’esigenza di fugare ogni dubbio quanto all’applicabilità delle direttive UE a salvaguardia dei diritti fondamentali dei prevenuti – e, quindi, anche dell’art. 48 CDFUE, in forza del principio di attribuzione ex art. 51 CDFUE – a qualsiasi procedimento penale, indipendentemente dalla dimensione transnazionale della fattispecie in rilievo: in questo senso, veniva richiamato l’importante arresto della Corte di giustizia Moro[27].

Fatta tale premessa, il giudice a quo svolgeva rilevanti considerazioni proprio sul piano della cosiddetta doppia pregiudizialità, nell’ottica, evidentemente, di suffragare l’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata. Così, si affermava che, alla luce dell’art. 52, par. 3, CDFUE, «tutti i principi espressi dalla Corte EDU con riguardo alla presunzione di innocenza sancita dall’art. 6, comma 2, CEDU, possono ritenersi pienamente viventi ed operanti anche in ambito UE attraverso la citata direttiva e l’art. 48 della CDFUE […], con la conseguente possibilità di disapplicare le norme interne che dovessero porsi in contrasto con le norme UE aventi efficacia diretta»[28]. Subito dopo, tuttavia, veniva richiamato il nuovo approccio seguito dalla Consulta a cominciare dal 2017: secondo quanto espresso dalla Corte di appello di Lecce, poiché si sarebbe in presenza di una questione «che coinvolge diritti fondamentali che godono tutela sia in ambito UE che interno (vedi art. 27 Cost.), [essa] può essere sottoposta all’attenzione anche della Corte Costituzionale, ai sensi degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost., come chiarito da Corte Cost. n. 269/2017, n. 20/2019 e n. 63/2019»[29].

 

3. Ebbene, per parte sua, la Corte costituzionale ha, anzitutto, vagliato l’ammissibilità delle due questioni di legittimità costituzionale prospettate; ed è su questo fronte che il Giudice delle leggi ha avuto modo di richiamare la sua recente giurisprudenza in materia di doppia pregiudiziale[30], così avallando l’approccio seguito dalla Corte di appello di Lecce.

Più nel dettaglio, si è sostenuto che, rispetto «all’evocazione, da parte del giudice a quo, di disposizioni del diritto dell’Unione europea, va ribadito che essa deve considerarsi ammissibile quando, come nella specie, il giudice comune, nell’ambito  di  un  incidente  di  legittimità  costituzionale,  richiami,  come  norme  interposte,  disposizioni  del predetto  ordinamento  attinenti  ai  medesimi  diritti  fondamentali  tutelati  da  parametri  interni,  ove  non ricorrano  i  presupposti  della  non  applicabilità  della  normativa  interna  contrastante  con  quella  europea». In tale circostanza – ha continuato la decisione – «questa Corte, eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, non si esime dal fornire una risposta a tale questione con gli strumenti che le sono propri».

Le implicazioni di questo passaggio non sembrano di poco conto. Con la riserva sin d’ora di tornare sul punto nel prosieguo dell’analisi, in questa sede non si può, ad ogni modo, omettere di enfatizzare la rilevanza di tali precisazioni nell’ottica del sistema processuale penale. In questo modo, infatti, la Consulta pare aver confermato la piena applicabilità del cosiddetto approccio “269 temperato” in materia di salvaguardia delle garanzie fondamentali degli imputati, non solo in caso di “doppio conflitto” della normativa nazionale con la Costituzione e la Carta di Nizza, ma anche quando a venire in gioco è una delle direttive di Stoccolma e, in specie, la direttiva 2016/343/UE.

Ma non è tutto. La Corte costituzionale ha, altresì, avuto cura di riprendere i medesimi rilievi avanzati dalla Corte di appello di Lecce quanto al difetto della dimensione transnazionale delle vicende penali oggetto dei procedimenti principali. In particolare, è stato negato che l’ammissibilità delle questioni possa essere inficiata da tale mancanza e, nel fare ciò, la decisione si è rifatta all’insegnamento della Corte di giustizia condensato nella già citata pronuncia Moro[31]. Si è, infatti, osservato che le direttive UE emanate in forza dell’art. 82, par. 2, lett. b), TFUE a tutela degli accusati, proprio in ragione della loro finalità, tesa alla creazione di un’armonizzazione minima dei diritti procedurali degli indagati e imputati in funzione del rafforzamento della fiducia reciproca tra gli Stati membri, rilevano a prescindere dalla valenza transnazionale del procedimento. Alla luce di ciò, la Corte costituzionale ha dunque considerato, di certo, applicabili la direttiva 2016/343/UE e, per il tramite di essa, sulla scorta dell’art. 51 CDFUE, l’art. 48 Carta di Nizza.  

 

4. Risolti in questi termini i profili di ammissibilità delle questioni di legittimità dell’art. 578 c.p.p., la Consulta è entrata nel merito delle stesse e ha concluso, come anticipato, per la loro infondatezza.

Nel giungere a tale soluzione, il ragionamento della Corte costituzionale si è dipanato su tre piani distinti: nazionale, convenzionale ed eurounitario.

Così, quanto al primo livello, e cioè quello interno, il Giudice delle leggi ha svolto una ricostruzione del panorama normativo di riferimento, in modo tale da offrire una lettura dell’art. 578 c.p.p. calata nel sistema dei rapporti tra azione civile e processo penale.

Si è, in particolare, rammentato come la disposizione censurata rappresenti, insieme agli artt. 576 e 622 c.p.p., una deroga alla regola generale, riconducibile al principio di accessorietà dell’azione civile rispetto a quella penale, secondo cui la condanna penale rappresenta il presupposto necessario della decisione del giudice sulla domanda civile. Per di più, è stata messa in rilievo la ratio sottesa all’art. 578 c.p.p., riscontrabile nell’esigenza di escludere che cause estintive del reato, indipendenti dalla volontà delle parti, possano compromettere le pretese civilistiche del danneggiato dal reato, nei casi in cui sia già intervenuta una pronuncia di condanna. Una tale finalità – ha ulteriormente puntualizzato la Corte – risponde, in definitiva, «alla necessità di salvaguardare evidenti esigenze di economia processuale e di non dispersione dell’attività di giurisdizione».

Una volta precisato il quadro normativo di contorno della questione da vagliare, lo sguardo è stato volto verso la C.e.d.u. e, in particolare, verso l’art. 6, par. 2, Convenzione a tutela della presunzione di innocenza.

Al riguardo, la Corte costituzionale ha, in prima battuta, messo in evidenza l’analogo riconoscimento della garanzia presente nell’ordinamento italiano, vale a dire nell’art. 27, comma 2, Cost. Sennonché, si è subito posto l’accento sulla maggiore ampiezza della previsione convenzionale rispetto a quella interna: la prima, infatti, sulla scorta dell’insegnamento della Corte di Strasburgo, avrebbe una dimensione non strettamente endoprocessuale, al fine di impedire che persone che sono state prosciolte siano considerate come colpevoli dai pubblici ufficiali o dalle autorità.

La pronuncia in esame ha, a questo punto, operato una approfondita ricognizione della giurisprudenza e.d.u., nell’ottica di cogliere i tratti portanti dell’art. 6, par. 2, C.e.d.u.

In tale prospettiva, è stato individuato il campo operativo della garanzia, nella sua declinazione “ultraprocessuale”. Più precisamente, sarebbero necessari tre presupposti: la pendenza di un altro procedimento nei confronti della persona rispetto alla quale è stata emessa una sentenza di proscioglimento; una correlazione di siffatto procedimento con quello penale; la necessità che «il successivo procedimento giudiziario non dia luogo a una nuova imputazione penale nel senso autonomo della Convenzione»[32]. In tale ultima circostanza – ha, infatti, ricordato la Consulta – un accertamento della responsabilità penale dell’imputato è, anzi, imposto dall’art. 7 C.e.d.u., così come si ricava dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo[33].

In questo tentativo di ricostruzione dei caratteri della garanzia convenzionale non è oltretutto passato inosservato come l’elaborazione della medesima sia avvenuta da parte della Corte e.d.u. soprattutto in relazione a casi in cui, una volta pronunciata una decisione di proscioglimento, vi era l’esigenza di decidere sull’istanza risarcitoria del danneggiato dal reato. Sennonché, la Corte costituzionale ha sin da subito sottolineato la necessità di un bilanciamento tra esigenze contrapposte ravvisabile nella giurisprudenza di Strasburgo: secondo quanto esplicitato dalla sentenza in discorso, infatti, la Corte e.d.u.  ha rimarcato che il diritto de quo non può pregiudicare quello del danneggiato dal reato a vedere soddisfatte le sue pretese risarcitorie; al contempo, però, la salvaguardia della presunzione di innocenza si impone nel momento in cui la pronuncia sul risarcimento del danno contiene una dichiarazione di colpevolezza[34].

L’aver individuato il significato della garanzia in analisi nella cornice di Strasburgo ha permesso, infine, alla Corte costituzionale di ricostruire la portata del medesimo diritto a livello eurounitario e, in particolare, con riferimento all’art. 48 CDFUE, nonché in relazione agli artt. 3 e 4 direttiva 2016/343/UE.

Sul punto, la decisione ha ripreso le medesime considerazioni svolte dal giudice rimettente. È stata, infatti, constatata la sostanziale corrispondenza della tutela de qua nell’ambito dell’Unione europea rispetto all’accezione che assume lo stesso principio nell’alveo convenzionale, sulla scia del principio di equivalenza ex art. 52, par. 3, Carta di Nizza. In aggiunta, pure in tale caso, è stata richiamata quella rilevante sentenza della Corte di giustizia, la quale ha statuito, proprio con riferimento all’interpretazione dell’art. 4 direttiva 2016/343/UE, che, al fine di chiarire come debba stabilirsi se una persona sia presentata come colpevole in una decisione giudiziaria, occorrerebbe attingere alla giurisprudenza di Strasburgo esistente in materia[35].

Ecco che, a questo punto del discorso, fissate le coordinate di lettura della materia, la pronuncia in commento è giunta al cuore della questione, polarizzata sul vaglio di legittimità dell’art. 578 c.p.p. alla luce del rispetto della presunzione di innocenza per come riconosciuta nell’ordinamento convenzionale ed eurounitario.

In merito, la Consulta ha rilevato che, per la verità, la previsione censurata non imporrebbe al giudice dell’impugnazione, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia, di svolgere un accertamento sulla colpevolezza dell’imputato, sebbene incidenter tantum, ai fini della decisione sulle istanze risarcitorie della parte civile.

Nel pensiero dei Giudici di Palazzo della Consulta, ciò sarebbe, anzitutto, desumibile dal tenore letterale della disposizione in discorso, il quale non sembrerebbe configurare alcun obbligo di tal tipo. Dirimente, in questo senso, sarebbe il confronto tra siffatta previsione e l’art. 578-bis c.p.p. Difatti, a differenza dell’art. 578 c.p.p., quest’ultima disposizione statuisce espressamente «il previo accertamento della responsabilità dell’imputato»: un vaglio che, peraltro, – ha puntualizzato la Corte costituzionale – risulta doveroso in tale fattispecie, giacché si è di fronte a sanzioni di carattere punitivo ai sensi dell’art. 7 C.e.d.u.

Né, d’altra parte – si è osservato – l’esegesi avanzata troverebbe un ostacolo nel “diritto vivente”, così come paventato dalla Corte di appello di Lecce. La Consulta ha, infatti, negato in maniera netta di poter trarre dalla giurisprudenza di legittimità un obbligo dei giudici di appello e di cassazione di accertare incidentalmente la responsabilità dell’imputato in questa ipotesi. Per di più, tale impostazione non sarebbe per nulla confutata dall’ammissibilità della revisione avverso la sentenza di cui all’art. 578 c.p.p.: secondo la Corte costituzionale, infatti, da ciò non potrebbe desumersi che il giudice della revisione, al pari di quello dell’impugnazione ai sensi dell’art. 578 c.p.p., sia tenuto a pronunciarsi sulla colpevolezza di chi è stato definitivamente prosciolto.

Insomma, escluso ogni limite sia a livello della littera legis della disposizione de qua, sia nell’alveo del “diritto vivente”, la Corte costituzionale ha ritenuto possibile prospettare una lettura conforme dell’art. 578 c.p.p. ai parametri convenzionale ed eurounitari e, in particolare, all’art. 6, par. 2, C.e.d.u., da un lato, e all’art. 48 CDFUE, nonché agli artt. 3 e 4 direttiva 2016/343/UE, dall’altro lato.

Ne deriva, pertanto, – secondo quanto espresso nella decisione – che nell’ipotesi contemplata dall’art. 578 c.p.p., la Corte di appello o la Cassazione, una volta dichiarata l’estinzione del reato per amnistia o prescrizione, nella prospettiva di decidere sulle istanze di tipo risarcitorio della parte civile, devono limitarsi a compiere un accertamento di natura civilistica, che coinvolge unicamente gli elementi costituitivi dell’illecito civile. È invece rigorosamente precluso un qualsiasi vaglio sulla responsabilità penale dell’interessato. Trattasi, in ultima analisi – secondo le parole della Consulta – di una lettura che soddisfa, sulla scia dell’insegnamento desumibile dalla stessa giurisprudenza e.d.u., l’esigenza di un bilanciamento valoriale: il divieto di svolgere un accertamento sulla colpevolezza in ordine al reato estinto non inficia la soddisfazione delle pretese risarcitorie e restitutorie della parte civile, «la cui tutela deve essere assicurata, nella valutazione sistemica e bilanciata dei valori di rilevanza costituzionale al pari di quella, per l’imputato, derivante dalla presunzione di innocenza».

In definitiva, forte di tali considerazioni, la Corte costituzionale ha concluso nel senso che l’art. 578 c.p.p. non si porrebbe in contrasto con il diritto alla presunzione di innocenza, così come tutelato e riconosciuto nella grande e nella piccola Europa.

 

5. La decisione appare densa di implicazioni su diversi fronti e sollecita, pertanto, alcune riflessioni e considerazioni conclusive.

Come si è cercato a più riprese di rimarcare nel corso dell’analisi, l’aspetto davvero nevralgico di tale approdo pare potersi ravvisare a livello dei chiarimenti svolti in relazione alla questione della doppia pregiudizialità sul terreno dei diritti fondamentali degli imputati nella materia penale.

La pronuncia rappresenta infatti una significativa testimonianza dell’applicabilità del modello “269 temperato” in questo ambito e, in particolare, della sua rilevanza non solo in relazione alla Carta di Nizza, ma anche rispetto alle direttive UE adottate a tutela delle garanzie procedurali degli accusati. Certo, nel caso di specie a venire in gioco è stata la direttiva 2016/343/UE, evidentemente ritenuta, nel ragionamento implicito della Corte costituzionale, un atto di diritto derivato che si trova «in singolare connessione con le pertinenti disposizioni della CDFUE»[36]. Non sembra difficile, tuttavia, ritenere che il medesimo approccio potrà essere seguito in relazione agli ulteriori strumenti normativi adottati in attuazione della Roadmap del 2009, vale a dire le direttive 2010/64/UE, 2012/13/UE, 2013/48/UE, 2016/800/UE e 2016/1919/UE, proprio per la loro stretta relazione con la Carta di Nizza e, in particolare, con gli artt. 6, 47 e 48 CDFUE.

Se è così, si possono allora trarre delle precise conseguenze con riferimento all’atteggiamento dei giudici comuni nei loro rapporti con la Corte costituzionale e i Giudici di Lussemburgo. Grazie al chiarimento desumibile da tale arresto, essi, in presenza di un dubbio di compatibilità di una normativa interna incidente su un diritto dell’imputato, garantito, al contempo, dalla Costituzione e dalla Carta di Nizza, nonché dalle direttive di Stoccolma, rimangono liberi di scegliere se sollevare una questione di legittimità costituzionale o interpellare la Corte di giustizia ex art. 267 TFUE o, ancora, attivare entrambi i rimedi. E questo – lo si ribadisce – indipendentemente dall’efficacia diretta o meno della disposizione eurounitaria.

A ben guardare, però, quanto a quest’ultimo profilo, preme svolgere una puntualizzazione. Occorre, infatti, soffermarsi su un passaggio ambiguo contenuto nella pronuncia, che suscita perplessità. Si ricordi, più precisamente, che la decisione ha richiamato la propria giurisprudenza formatasi nell’ultimo scorcio temporale in tema di doppia pregiudizialità e ha, in particolare, affermato che «va ribadito» che l’evocazione di previsioni dell’Unione europea deve essere considerata ammissibile «quando, come nella specie, il giudice comune, nell’ambito  di  un  incidente  di  legittimità  costituzionale,  richiami,  come  norme  interposte,  disposizioni  del predetto  ordinamento  attinenti  ai  medesimi  diritti  fondamentali  tutelati  da  parametri  interni». La Corte costituzionale ha, tuttavia, in seguito aggiunto l’inciso secondo cui ciò vale «ove non ricorrano i presupposti della non applicabilità della normativa interna contrastante con quella europea».

Ebbene, non si può nascondere che tale precisazione risulta alquanto sibillina. A primo acchito, essa sembrerebbe sconfessare l’elemento cardine della svolta della Consulta realizzata a partire dall’obiter dictum della pronuncia n. 269 del 2017, che, lo si ricordi nuovamente, ruota intorno a quel criterio “assiologico-sostanziale” di cui si è detto in premessa. In altri termini, secondo il nuovo corso della giurisprudenza costituzionale, il Giudice delle leggi si ritiene competente a vagliare questioni di legittimità a fronte di sospetti di conformità della normativa interna sia con la Costituzione, sia con la Carta di Nizza (o con un atto di diritto derivato legato a quest’ultima), a prescindere dal carattere self-executing o meno della previsione dell’Unione in rilievo.

Sennonché, considerata l’assenza di ulteriori approfondimenti della sentenza su questo preciso passaggio della proposizione in esame, risulta difficile che la Consulta abbia così, in poche parole, voluto neutralizzare il cambio di rotta faticosamente impresso in tale ambito; e ciò, soprattutto, se si considera, ancora una volta, che la decisione ha comunque citato sul punto alcuni rilevanti precedenti che hanno contribuito a dare forma al nuovo approccio[37].

L’impressione è, quindi, che il significato dell’inciso in discorso non produca grandi stravolgimenti; piuttosto, infatti, esso sembra più semplicemente alludere a quell’ipotesi, messa in evidenza in dottrina, in cui il giudice nazionale sia certo dell’antinomia della disciplina interna con una disposizione eurounitaria dotata di efficacia diretta[38]. In questo frangente, infatti, – ove, cioè, i giudici siano convinti di tale contrasto – essi perdono ogni potere di scelta quanto alla strada, costituzionale o eurounitaria, da percorrere, giacché hanno l’obbligo di procedere alla disapplicazione della «legge incompatibile, senza doverne attendere la preventiva declaratoria di incostituzionalità e senza che sia dirimente il fatto che una norma di analogo contenuto è presente anche nella Costituzione interna»[39]. Si tratta, invero, come si è incisivamente sostenuto, «della naturale conseguenza (se ne ricorrono i presupposti) dell’efficacia diretta di una norma del diritto dell’Unione»[40]. Ad ogni modo, vista l’estrema delicatezza della questione, resta il fatto che la Corte costituzionale avrebbe, forse, fatto meglio a esplicitare maggiormente la portata di tale inciso; l’auspicio è, dunque, quello che la Consulta torni a stretto giro su tale passaggio, per fugare ogni dubbio che potrebbe da esso derivare.

Al di là di quest’ultima precisazione, la conferma del nuovo approccio seguito dal Giudice delle leggi nell’ipotesi di doppia pregiudiziale in relazione alle fonti eurounitarie a tutela dell’accusato conduce a un’ulteriore e fondamentale riflessione. Sorge spontaneo soffermarsi sui dirompenti scenari che sembrano schiudersi da tale nuovo corso sul terreno delle direttive UE nel contesto dei procedimenti penali.

In merito, giova ribadire che, nei casi di dubbio sulla conformità della normativa interna con una garanzia dei prevenuti tutelata dalla Costituzione, nonché dalla Carta di Nizza e da una direttiva a essa correlata, i giudici comuni sono liberi di decidere quale strumento attivare: se intraprendere la strada per Roma o quella per Lussemburgo o entrambe contemporaneamente. Tutto, in altre parole, è rimesso alla scelta, di volta in volta, presa dai medesimi. Ma, se è così, appare verosimile che, qualora si realizzi una tendenza a preferire l’incidente di costituzionalità, il numero di rinvii pregiudiziali in relazione alle direttive diminuisca[41]. Un trend che potrebbe portare con sé il rischio di vanificazione di quel «potenziale ruolo propulsivo della Corte di giustizia»[42] che si dovrebbe realizzare riguardo alle direttive di Stoccolma, finalizzato a imprimere una lettura di tali atti verso una massima espansione delle garanzie dagli stessi contemplate[43].

Ebbene, proprio per evitare un tale risultato la vera chiave di volta della nuova configurazione delle relazioni tra giudici comuni, Corte costituzionale e Corte di giustizia sembra doversi cogliere nell’attivazione del rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE da parte della stessa Consulta, laddove investita di questioni di doppia pregiudizialità. Del resto, di ciò si è dimostrato ben consapevole il Giudice delle leggi, che ha già in due occasioni intrapreso tale strada[44]. Esso ha, invero, individuato nel ricorso ex art. 267 TFUE lo strumento veicolante il dialogo che deve essere valorizzato tra le Corti costituzionali e i Giudici di Lussemburgo «in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia»[45], nell’ottica di assicurare «la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico»[46]. Emblematica appare, inoltre, l’affermazione secondo cui «l’intervento chiarificatore che si richiede alla Corte di giustizia è funzionale, altresì, alla garanzia di uniforme interpretazione dei diritti e degli obblighi che discendono dal diritto dell’Unione»[47].

Peraltro, nella decisione in commento la Corte costituzionale non ha ritenuto di dover interpellare i Giudici di Lussemburgo[48]. Ad ogni modo, sulla scorta di quanto rilevato, non si può che auspicare, in prospettiva futura, il massimo sfruttamento del rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE da parte della Consulta in relazione alla Carta di Nizza e alle direttive di Stoccolma, «ogniqualvolta ciò sia necessario per chiarire il significato e gli effetti delle norme della Carta»[49], nonché degli strumenti eurounitari di diritto derivato a garanzia degli accusati. E questo, per l’appunto, nell’ottica di una salvaguardia comune dei diritti fondamentali degli imputati a livello europeo, che possa trovare fondamento in un proficuo dialogo e, correlativamente, in una feconda convergenza tra Corti. Insomma, la speranza è che lo strumento di cui all’art. 267 TFUE si traduca realmente in un prezioso ponte in grado di veicolare tale logica di collaborazione e di evitare, così, un eventuale pericolo di esautoramento del ruolo nevralgico della Corte di giustizia nel rafforzamento, per quanto qui più interessa, di quello «“statuto europeo” delle garanzie difensive»[50] degli accusati. D’altra parte, è appena il caso di precisare che, laddove la Consulta, come nella decisione in analisi, non sollevi un rinvio pregiudiziale, il giudice a quo può sempre decidere di attivare il ricorso ex art. 267 TFUE e interpellare i Giudici di Lussemburgo sulla medesima disciplina[51].

Per concludere, in stretta correlazione con quanto rilevato si pone un’ultima considerazione in merito all’importanza, in chiave sistemica, dell’atteggiamento seguito nella pronuncia. Preme, infatti, enfatizzare come tutto il ragionamento condotto nella decisione sia impostato su un vaglio dell’art. 578 c.p.p. effettuato alla luce del diritto alla presunzione di innocenza visto attraverso le lenti rappresentate dai parametri sovranazionali, vale a dire la C.e.d.u., da un lato, e la Carta di Nizza, nonché la direttiva 2016/343/UE, dall’altro lato. Inutile sottacere come, nel fare ciò, l’arresto paia dimostrare una piena consapevolezza e attenzione verso la giurisprudenza di Strasburgo e quella di Lussemburgo; il che costituisce un’ulteriore e significativa riprova di una visione della Corte costituzionale, anche in materia di diritti fondamentali dei prevenuti, improntata verso una protezione multilivello delle garanzie, per nulla calata in una dimensione prettamente interna, ma aperta a un’integrazione del sistema nostrano con i paradigmi di tutela desumibili dalla grande e dalla piccola Europa.

 

 

[1] Per un commento a tale decisione, cfr. G. De Marzo, Azione civile nel processo penale, prescrizione del reato e presunzione di innocenza, in www.foroitaliano.it, 3 agosto 2021; A. Nappi, Processo penale e accertamento della causalità agli effetti civili, in Giustizia Insieme, 8 settembre 2021. In relazione alla direttiva 2016/343/UE si rammenti che il 5 agosto 2021 è stato approvato uno schema di decreto legislativo recante “disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”: per il testo e la relativa relazione di accompagnamento, cfr. Presunzione di innocenza: lo schema di d.lgs. per il compiuto adeguamento alla Direttiva (UE) 2016/343, in questa Rivista, 12 agosto 2021.

[2] Sulla tematica, cfr., tra i moltissimi, C. Amalfitano, Il rapporto tra rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e rimessione alla Consulta e tra disapplicazione e rimessione alla luce della giurisprudenza “comunitaria” e costituzionale, in Rivista AIC, 18 febbraio 2020; A. Cosentino, Doppia pregiudizialità, ordine delle questioni, disordine delle idee, in Quest. giust., 6 febbraio 2020; S. Manacorda, “Doppia pregiudizialità” e Carta dei diritti fondamentali: il sistema penale al cospetto del diritto dell’Unione europea nell’era del disincanto, in Aa.Vv., I volti attuali del diritto penale europeo. Atti della giornata di studi per Alessandro Bernardi, a cura di C. Grandi, Pisa, 2021, p. 137 e ss.; V. Manes, L’evoluzione del rapporto tra Corte e giudici comuni nell’attuazione del “volto costituzionale” dell’illecito penale, in V. Manes – V. Napoleoni, La legge penale illegittima. Metodo, itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, 2019, Torino, 26 ss.; B. Nascimbene, Carta dei diritti fondamentali, applicabilità e rapporti fra giudici: la necessità di una tutela integrata, in European Papers, 2021, n. 1, p. 81 e ss.; S. Sciarra, Lenti bifocali e parole comuni: antidoti all’accentramento nel giudizio di costituzionalità, ivi, 2021, n. 3, p. 37; F. Spitaleri, Doppia pregiudizialità e concorso di rimedi per la tutela dei diritti fondamentali, in Il diritto dell’Unione europea, 2019, p. 729 e ss.; F. Viganò, La tutela dei diritti fondamentali della persona tra corti europee e giudici nazionali, in Quad. costituzionali, 2019, p. 481 ss.

[3] Così, Corte cost., 14 dicembre 2017, n. 269, in www.cortecostituzionale.it.

[4] V. Corte cost., 14 dicembre 2017, n. 269, cit.

[5] Si vedano, per tutti, i rilievi di F. Viganò, La tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 485 e ss.

[6] In argomento, cfr., da ultimo, S. Manacorda, “Doppia pregiudizialità”, cit., p. 162 e ss.

[7] In questi termini, C. Amalfitano, Il dialogo tra giudice comune, Corte di Giustizia e Corte costituzionale dopo l’obiter dictum della sentenza n. 269/2017, in Osservatorio sulle fonti, 2019, n. 2, p. 3.

[8] Cfr., in particolare, Corte cost., 21 febbraio 2019, n. 20, in www.cortecostituzionale.it; Corte cost., 21 marzo 2019, n. 63, ivi; Corte cost., 10 maggio 2019, n. 112, ivi; Corte cost., ord. 10 maggio 2019, n. 117, ivi; nonché, nella giurisprudenza costituzionale successiva, Corte cost., 30 aprile 2021, n. 84, ivi; Corte cost., 26 novembre 2020, n. 254, ivi; Corte cost., ord. 30 luglio 2020, n. 182, ivi; Corte cost., 5 febbraio 2020, n. 11, ivi.

[9] In questo senso, già a partire da Corte cost., 21 febbraio 2019, n. 20, cit.

[10] È quanto si è verificato in relazione alla questione decisa da Corte cost., 26 novembre 2020, n. 254, cit. Il giudice a quo aveva, infatti, contemporaneamente sollevato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, la quale aveva, a sua volta, dichiarato, in data anteriore alla decisione della Consulta, manifestamente irricevibili le questioni proposte (Corte giust., 4 giugno 2020, C-32/20, Balga).

[11] Così, Corte cost., ord. 10 maggio 2019, n. 117, cit.

[13] Cfr. A. Ruggeri, Svolta della Consulta, cit., p. 239.

[14] Così, C. Amalfitano, Il dialogo, cit., 15, la quale, a sua volta, richiama le considerazioni di A. Ruggeri, Svolta della Consulta, cit., p. 238 e ss.  

[15] Cfr. Corte cost., 21 febbraio 2019, n. 20, cit.

[16] V. Corte cost., 21 febbraio 2019, n. 20, cit.

[18] V. J. Della Torre, Le direttive sui diritti fondamentali degli accusati: pregi e difetti del primo “embrione” di un sistema europeo di garanzie difensive, in Cass. pen., 2018, pp. 1417-1418.

[19] L’espressione si deve a C. Amalfitano, Il dialogo, cit., p. 14.

[20] Cfr. Corte App. Lecce, ord. 11 dicembre 2020; Corte App. Lecce, ord. 6 novembre 2020, in questa Rivista, 9 dicembre 2020, con nota di F. Zacchè, Davvero incostituzionale l’art. 578 c.p.p. per contrasto con l’art. 6 comma 2 Conv. eur. dir. uomo?

[21] V. Corte App. Lecce, ord. 6 novembre 2020, cit.

[22] In particolare, le sentenze richiamate dal giudice a quo sono Cass., Sez. V, 27 gennaio 2015, n. 3869, in CED Cass., 262175; Cass., Sez. II, 17 settembre 2014, n. 38049, in CED Cass., 260586; Cass., Sez. Un., 27 settembre 2013, n. 40109, in CED Cass., 256087; Cass., Sez. VI, 8 aprile 2013, n. 16155, in CED Cass., 255666; Cass., Sez. Un., 15 settembre 2009, n. 35490, in CED Cass., 244274.

[23] Il riferimento è a Cass., Sez. Un., 7 febbraio 2019, n. 6141, in CED Cass., 274627.

[24] Cfr. Corte e.d.u., Sez. III, 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino, sulla quale v. M.L. Pezone, L’articolo 6 C.E.D.U. e il risarcimento del danno nel processo penale. Uno stress test per la presunzione di innocenza, in Arch. pen., 2021, n. 1 (versione web); V. Telaro, Presunzione di innocenza e ragionevole durata del processo per il soggetto danneggiato tra spinte europee e (possibili) resistenze nazionali, in ilPenalista, 18 dicembre 2020.

[25] V. Corte giust., 5 settembre 2019, C-377/18, Ah e altri.

[26] Cfr. Corte giust., 5 settembre 2019, C-377/18, Ah e altri, punti 41 e 42.

[27] V. Corte giust., 13 giugno 2019, C-646/17, Moro.

[28] Così, Corte App. Lecce, ord. 6 novembre 2020, cit.

[29] V. Corte App. Lecce, ord. 6 novembre 2020, cit.

[30] In particolare, vengono citate Corte cost., 5 febbraio 2020, n. 11, cit.; Corte cost., 21 marzo 2019, n. 63, cit.; Corte cost., 21 febbraio 2019, n. 20, cit.; Corte cost., 14 dicembre 2017, n. 269, cit.

[31] V. Corte giust., 13 giugno 2019, C-646/17, Moro.

[32] In questo senso, è stata richiamata la decisione Corte e.d.u., Sez. III, 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino.

[33] Cfr. Corte e.d.u., GC, 18 giugno 2018, G.i.e.m. s.r.l. e altri c. Italia.

[34] La sentenza cita in proposito, nuovamente, Corte e.d.u., Sez. III, 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino.

[35] Ci si riferisce a Corte giust., 5 settembre 2019, C-377/18, Ah e altri.

[36] Così, Corte cost., 21 febbraio 2019, n. 20, cit.

[37] V., supra, nota 30.

[38] Cfr. A. Ruggeri, Il giudice e la “doppia pregiudizialità”: istruzioni per l’uso, in Federalismi.it, 2021, n. 6, p. 217; F. Spitaleri, Doppia pregiudizialità, cit., p. 752.

[39] Queste le parole di F. Spitaleri, Doppia pregiudizialità, cit., p. 752.

[40] Così, nuovamente, F. Spitaleri, Doppia pregiudizialità, cit., p. 752.

[41] Cfr., in termini generali, i rilievi di C. Amalfitano, Il dialogo, cit., p. 16.

[42] Così, M. Gialuz, L’assistenza linguistica nel processo penale. Un meta-diritto fondamentale tra paradigma europeo e prassi italiana, Milano, 2018, p. 119. In merito, v., inoltre, S. Allegrezza – A. Mosna, Commento all’art. 48, in Aa.Vv., Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a cura di R. Mastroianni – O. Pollicinio – S. Allegrezza – F. Pappalardo – O. Razzolini, Milano, 2017, p. 1419 ss.; J. Della Torre, Le direttive sui diritti fondamentali degli accusati, cit., p. 1419; V. Mitsilegas, EU Criminal Law After Lisbon. Rights, Trust and the Transformation of Justice in Europe, Oxford, Portland, Oregon, 2016, p. 184.

[43] In linea generale, sui timori quanto ai possibili riflessi negativi sull’ordinamento eurounitario derivanti dal nuovo corso della Corte costituzionale in tema di doppia pregiudizialità, cfr., da ultimo, i rilievi di A. Ruggeri, Il giudice e la “doppia pregiudizialità”, cit., p. 212 e ss.

[44] Ci si riferisce a Corte cost., ord. 30 luglio 2020, n. 182, cit.; Corte cost., ord. 10 maggio 2019, n. 117, cit.

[45] Cfr. Corte cost., 14 dicembre 2017, n. 269, cit.

[46] V. Corte cost., 14 dicembre 2017, n. 269, cit.

[47] Così, Corte cost., ord. 30 luglio 2020, n. 182, cit.

[48] Si consideri che, in tale ipotesi, vi è chi ha prospettato la doverosità del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, laddove, cioè, «la Corte costituzionale volesse dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale anche per i profili “comunitari”»: così, C. Amalfitano, Il dialogo, cit., p. 22.

[49] In questi termini, Corte cost., ord. 10 maggio 2019, n. 117, cit.

[50] L’espressione è ripresa da F. Siracusano, Verso uno “statuto europeo” delle garanzie difensive nelle procedure di cooperazione giudiziaria, in Aa.Vv., Tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione europea. Stato dell’arte e prospettive alla luce della creazione della Procura europea, a cura di G. Grasso – R. Sicurella – F. Binaco – V. Scalia, Pisa, 2018, p. 261.

[51] Cfr. Corte cost., ord. 10 maggio 2019, n. 117, cit.