Cass., Sez. un., 27 ottobre 2022 (dep. 8 maggio 2023), n. 19415, Pres. Cassano, Rel. Capozzi
1. La pronuncia delle Sezioni unite. Si dà notizia del deposito della motivazione della pronuncia con cui le Sezioni unite penali hanno risolto un contrasto giurisprudenziale attinente alla possibilità di proporre ricorso per cassazione, avverso la sentenza di concordato in appello pronunciata a norma dell’art. 599-bis c.p.p., per dedurre l’intervenuta maturazione della prescrizione in data anteriore a quella della decisione del giudice dell’impugnazione.
La Suprema Corte si è espressa nel senso del necessario riconoscimento di tale facoltà, disattendendo l’opposto orientamento applicativo, secondo cui l’accesso al concordato avrebbe comportato una dichiarazione legale irrevocabile di rinuncia alla prescrizione[1]; orientamento che aveva inoltre considerato applicabile anche all’istituto in parola la previsione dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Quest’ultimo, come è noto, a seguito della legge 23 gennaio 2017, n. 103, prevede la ricorribilità per cassazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti solo per alcuni, limitati motivi. Ne sarebbe derivata la possibilità di proporre il ricorso solo al fine di far valere vizi concernenti la volontà delle parti di accedere al concordato, il consenso del pubblico ministero alla richiesta, la difformità della sentenza rispetto alla proposta delle parti e l’applicazione di una pena illegale[2]. Né, all’interno di quest’ultima categoria, avrebbe potuto farsi rientrare l’intervenuta condanna dell’imputato per un reato ormai prescritto.
Rinviando a successivi commenti un’analisi più approfondita della sentenza, si possono sin d’ora ripercorrere i passaggi argomentativi essenziali.
2. Il potere-dovere del giudice di rilevare la prescrizione ex art. 129 c.p.p. In primo luogo, il massimo Collegio si è espresso nel senso della sussistenza del potere-dovere del giudice di appello di rilevare la prescrizione a norma dell’art. 129 c.p.p., anche a fronte del raggiungimento dell’accordo tra le parti ex art. 599-bis c.p.p., non implicante, invero, una rinuncia implicita alla causa estintiva. Si tratta di una soluzione già sancita – prima della citata legge n. 103 del 2017 – dalle Sezioni unite[3] in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’art. 444 c.p.p., in ragione della natura prioritaria della verifica dell’insussistenza di cause di non punibilità ad opera del giudice, al quale si riferisce un ruolo centrale nel rito alternativo in considerazione. A maggior ragione, la sentenza in esame considera insopprimibile l’applicazione dell’art. 129 c.p.p. in caso di concordato in appello, privo della natura di procedimento speciale, e che – afferma la Corte – non si discosta dal rito ordinario «in relazione alla rinuncia ai motivi ed alla valutazione di quelli non rinunciati».
3. L’inapplicabilità dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Ulteriore passaggio argomentativo essenziale attiene all’impossibilità di applicare il menzionato comma 2-bis dell’art. 448 c.p.p. – interpretato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso di precludere la deducibilità, mediante ricorso per cassazione, della già intervenuta maturazione della prescrizione al momento della pronuncia della sentenza impugnata[4] – all’istituto contemplato dall’art. 599-bis c.p.p.
L’estensione di tale disciplina all’ipotesi appena indicata sembra, invero, assumere le caratteristiche di un’applicazione analogica, fondata su un’identità di ratio che avrebbe potuto essere individuata nella natura negoziale tanto del patteggiamento, quanto del concordato. Nondimeno, le rilevanti differenze tra i due istituti sono state, da tempo, valorizzate dalla giurisprudenza, anche costituzionale[5], e dalla dottrina: invero, il concordato in appello, reintrodotto dalla legge n. 103 del 2017 e oggi contemplato – all’esito di un travagliato percorso normativo e giurisprudenziale, ripercorso dalla sentenza – dall’art. 599-bis c.p.p., consente alle parti di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi e possibilità di indicare al giudice la misura della pena su cui le parti stesse sono d’accordo[6]. Ne deriva un significativo effetto di deflazione, principalmente legato alla semplificazione della decisione giurisdizionale. Pertanto, poiché all’accordo può accompagnarsi – e normalmente si accompagna – la menzionata rinuncia, lo stesso non copre, necessariamente, l’intera area del devoluto[7]; e, nell’ipotesi appena menzionata, si è ritenuta ravvisabile una logica di scambio molto più vicina al modello transattivo di quanto accada per il patteggiamento[8]. A differenza di quanto previsto in materia di applicazione della pena su richiesta, inoltre, l’istituto non determina effetti premiali ulteriori, essendo il vantaggio di una parte considerato essenzialmente riconducibile al coinvolgimento dell’altra[9], oltre che alla possibilità di proporre al giudice una misura concordata della pena, comunque non riducibile oltre il minimo edittale[10].
Qualora il giudice ritenga di non accogliere la proposta delle parti, all’esito della valutazione discrezionale della stessa, esso dispone la prosecuzione del giudizio, oppure, qualora si applichi il procedimento camerale non partecipato – a seguito delle ultime modifiche apportate all’art. 599-bis dal d.lgs. n. 150 del 2022 – dispone che l’udienza si svolga con la partecipazione delle parti.
Le differenze rinvenibili tra i due istituti non consentono, dunque, di estendere al concordato in appello una disciplina di stretta interpretazione, quale è espressamente definita dalle Sezioni unite quella di cui al citato art. 448, comma 2-bis, c.p.p., anche alla luce del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione.
4. L’insostenibilità della limitazione del mezzo di impugnazione esperibile al solo ricorso straordinario. Da ultimo, la pronuncia in considerazione si occupa di confutare l’orientamento applicativo che, ancor più radicalmente, ha negato la proponibilità del ricorso ordinario per cassazione avverso la sentenza pronunciata ex art. 599-bis c.p.p., ritenendo ammissibile il solo ricorso straordinario di cui all’art. 625 c.p.p., in virtù di una peculiare (e per certi versi singolare) interpretazione[11] del comma 5-bis dell’art. 610 del codice di rito. Quest’ultimo, invero, è stato inteso come tale da sancire l’esperibilità del solo mezzo di impugnazione straordinario avverso tale categoria di sentenze, e non invece avverso la decisione resa dalla Cassazione de plano, nelle specifiche ipotesi ivi contemplate. Osservano, invece, le Sezioni unite che la norma si limita a stabilire i presupposti di esperibilità della procedura de plano, accomunando, sotto tale profilo, la sentenza di patteggiamento e quella ex art. 599-bis c.p.p. in ragione della maggiore semplicità di rilevazione dell’inammissibilità del ricorso, in ragione, per la prima, dei già ricordati limiti di cui al comma 2-bis dell’art. 448 del codice di rito, e, per la seconda, della «novazione riduttiva del devoluto» che deriva dall’accordo.
5. Conclusioni. All’esito del citato percorso argomentativo, la Cassazione ha sostenuto che, siccome non è stato normativamente introdotto alcun limite analogo a quelli stabiliti in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti, avverso la sentenza pronunciata a norma dell’art. 599-bis c.p.p. può essere proposto ricorso per cassazione al fine di dedurre l’erronea, mancata rilevazione della già maturata prescrizione, al tempo della decisione impugnata. Non può operare, in tal caso, la preclusione alla deducibilità di questioni a cui si sia rinunciato con la formulazione della proposta di accordo, più volte prospettata dalla giurisprudenza di legittimità[12], proprio perché nessun effetto di rinuncia alla prescrizione deriva dalla proposta stessa. Si ribadisce, dunque, quanto già sostenuto dalle Sezioni unite[13], più in generale, sulla proponibilità del ricorso per cassazione che sia volto unicamente a far valere tale vizio, qualora il termine di prescrizione sia decorso prima della pronuncia di appello. Invero, sul giudice grava l’obbligo di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, ex art. 129 c.p.p., indipendentemente dal fatto che la maturazione della causa estintiva sia stata eccepita dalla parte. L’omessa rilevazione della prescrizione integra, dunque, una violazione di legge riconducibile entro i confini del sindacato del giudice di legittimità; e la proposizione del ricorso, certamente idoneo ad attivare il rapporto processuale del grado superiore, «esclude la formazione del cd. giudicato sostanziale».
[1] Orientamento sostenuto da Cass., Sez. V, 20 settembre 2019, n. 4709.
[2] V. Cass., Sez. II, 10 aprile 2019, n. 22002; Cass., Sez. II, ord. 1° giugno 2018, n. 30990.
[3] Cass., Sez. un., 25 febbraio 2016, n. 18593, Piergotti.
[4] V., tra le altre, Cass., Sez. V, 30 aprile 2019, n. 26425.
[5] Corte cost., n. 448 del 1995.
[6] V., in dottrina, sulle caratteristiche dell’istituto, ex multis, F. Callari, Il concordato sui motivi di appello e il mito della fenice, in Cass. pen., 2015, 12, 4640 ss.; A. Capone, L'appello e la logica del controllo. Dalla (mancata) riforma al sistema vigente, ivi, 2021, 11, 3426 ss.; Caprioli, La definizione concordata del processo d’appello dopo l’intervento della Corte costituzionale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1991, 625 ss.; E. Catalano, L’accordo sui motivi di appello, Milano, 2001; C. Fiorio, Funzioni, caratteristiche ed ipotesi del giudizio d’appello penale, in Le impugnazioni penali, diretto da A. Gaito, vol. I, Torino, 1998, 324; M. Gialuz, Il concordato sui motivi e sulla pena in appello, in F. Peroni, M. Gialuz, La giustizia penale consensuale. Concordati, mediazione e conciliazione, Torino, 2004, 62 ss.; G. Lattanzi, Il patteggiamento in appello: un incompreso, in Cass. pen., 2008, 12, 4494 ss.; A. Marandola, Il "ridimensionamento" della struttura dei mezzi ordinari e i nuovi poteri della Cassazione, in Giur. it., 2022, 4, 1019 ss.; S. Sau, Il procedimento in camera di consiglio ex art. 599 4° comma c.p.p. dopo l’intervento della Corte costituzionale, in Il giust. proc., 1991 352 ss.; D. Siracusano, Ragionevole durata del processo e giudizi di impugnazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 21 ss.; G. Spangher, Sulla forma della decisione del giudice di appello ai sensi dell’art. 599 comma 4 c.p.p., in Cass. pen., 1990, II,150 ss.; Tranchina – Di Chiara, Appello (dir. proc. pen.), in Enc. dir., vol. III, Agg., Milano, 1999, 212.
[7] F. Callari, Il concordato sui motivi di appello, cit., 4644.
[8] M. Gialuz, Il concordato sui motivi e sulla pena in appello, cit., 62.
[9] D. Siracusano, Ragionevole durata del processo, cit., 21.
[10] Cfr. G. Lattanzi, Il patteggiamento in appello, cit., 4495.
[11] V., al riguardo, Cass., Sez. V, 28 settembre 2018, n. 54543.
[12] Cfr., tra le altre, Cass., Sez. I, 15 novembre 2007, n. 43721, relativa all’istituto per come precedentemente disciplinato dall’art. 599, comma 4, c.p.p, secondo cui, rispetto alle questioni rilevabili anche d’ufficio, e oggetto di rinuncia in funzione dell’accordo, «il potere dispositivo riconosciuto alla parte (…) non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull'intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all'impugnazione».
[13] Cass., Sez. un., 17 dicembre 2015, n. 12602, Ricci.