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14 Settembre 2023


Cumulo materiale temperato e reati ostativi: le Sezioni unite risolvono il conflitto tra i diversi criteri di imputazione delle pene

Sez. un. 14 luglio 2023 (ud. 15 dicembre 2022), n. 30753, Pres. Cassano, Rel. Mogini, ric. Zavettieri



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1. Il caso. Il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila dichiarava inammissibile la domanda volta ad ottenere la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare ad un detenuto il cui cumulo materiale ricomprendeva tre diverse sentenze di condanna delle quali due non erano ostative alla concessione delle misure. La condanna ostativa viceversa riguardava la pena di anni 30 inflitta per omicidio, tentato omicidio, partecipazione ad associazione mafiosa ex art. 416-bis c.p. e delitti in materia di armi tutti aggravati ai sensi dell’art. 7 l. 203/92. La pena finale, comprensiva dei reati non ostativi, era pari ad anni 35 e mesi 2 di reclusione, ridotta, in forza del criterio moderatore dell’art. 78 c.p., a 30 anni di reclusione.

Il Tribunale riteneva, conformemente ad un indirizzo giurisprudenziale affermato dalle più recenti pronunce della Suprema Corte, che la pena per i reati ostativi assorbisse totalmente quella complessiva risultante dal cumulo in esecuzione, dovendosi considerare la pena inflitta per i reati ostativi nella sua originaria entità.

Proposto ricorso per cassazione, la Prima sezione penale rimetteva la trattazione alle Sezioni unite rilevando un contrasto giurisprudenziale all’interno della Suprema Corte posto che altre pronunce si erano viceversa poste nel solco di un contrario orientamento in base al quale, per individuare il reato effettivamente in espiazione, occorreva effettuare un’operazione “algebrica” determinando in che proporzione il criterio moderatore suddetto avesse inciso sulla pena complessiva derivante dal cumulo materiale, applicando poi la medesima percentuale per ridurre la pena relativa ai reati ostativi ed imputando la frazione di pena espiata all’esecuzione di tali reati[1]. Nel caso di specie, se tale operazione fosse stata posta in essere, la residua pena inflitta per il reato ostativo sarebbe stata già interamente espiata e il condannato avrebbe potuto così accedere alle misure trovandosi attualmente in espiazione di condanne non ostative.

 

2. I contrapposti orientamenti. Secondo il primo orientamento ermeneutico la pena relativa al reato ostativo va considerata nella sua entità originaria senza operare alcuna riduzione in conseguenza dell’eventuale applicazione del criterio moderatore dell’art. 78 c.p. che, come è noto, codifica il sistema del c.d. “cumulo materiale temperato” allo scopo di evitare risultati aberranti discendenti da un’applicazione indiscriminata del cumulo materiale: per esempio la pena detentiva temporanea potrebbe diventare, in molti casi, un vero e proprio ergastolo.

Tale indirizzo[2], che ripudia il criterio di riduzione proporzionale della pena da imputare alla condanna per reato ostativo, fa leva su un duplice ordine di argomenti, di carattere letterale e logico-sistematico.

Con riferimento al tenore testuale dell’art. 78 c.p. si osserva che la riduzione opera con modalità identiche quale che sia l’ammontare complessivo delle pene cumulate (se di poco superiore alla soglia dei 30 anni o se di gran lunga rispetto ad essa eccedenti) e pertanto l’applicazione del temperamento avviene senza alcuna considerazione dell’entità delle singole pene che confluiscono nella pena complessiva. Da ciò consegue che la legge non ha affatto previsto un meccanismo di riduzione proporzionale delle pene cumulate in modo da imporre un abbattimento che possa tener conto della loro consistenza quantitativa.

Sotto il profilo logico-sistematico l’applicazione del criterio proporzionale conduce inoltre a conseguenze irragionevoli:

1) il dato percentuale di abbattimento è tanto maggiore quanto più elevata è la risultante della loro sommatoria con l’effetto che la riduzione proporzionale della pena sul reato ostativo sarebbe maggiore nei casi di complessiva maggiore gravità, ossia di cumuli con un ammontare molto elevato, e sarebbe minima nei casi di rilievo minore, di cumuli cioè di poco superiori alla soglia dei 30 anni (con il paradosso che alla difesa converrebbe, nel corso dei processi per reati non ostativi che in ragione del tempo in cui sono stati commessi sono destinati ad entrare nel cumulo, ottenere una condanna ad una pena più alta perché in questo modo, posto che la pena finale da espiare non muterebbe per l’applicazione dello sbarramento a 30 anni, l’incidenza dei reati ostativi sulla pena complessiva si ridurrebbe sensibilmente e l’accesso ai benefici penitenziari sarebbe più rapido);

2) il condannato per molti reati puniti con pena detentiva temporanea potrebbe fruire di una maggior percentuale di riduzione della quota di pena imputabile al reato ostativo con un irragionevole maggior beneficio rispetto al condannato, magari per lo stesso reato ostativo con irrogazione della stessa pena, il cui cumulo complessivo di pene detentive, pur esso ricondotto alla soglia massima legale di anni 30, sia di assai minore entità.

 

Secondo l’opposto orientamento[3], più risalente, per individuare il reato effettivamente in espiazione, occorre effettuare un’operazione algebrica, applicando la medesima percentuale per ridurre la pena relativa ai reati ostativi. Il criterio proporzionale ha lo scopo di evitare le conseguenze negative derivanti dalla regola dettata all’art. 76 co. 1 c.p. (secondo cui le pene della stessa specie si considerano «come pena unica per ogni effetto giuridico») la quale non può in nessun caso condurre ad ingiustificate diversità di trattamento a seconda dell’eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente alla formazione di un cumulo materiale ai sensi dell’art. 663 c.p.p., anziché di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle differenti condanne.

In particolare, secondo questo indirizzo, sarebbe irragionevole che chi è stato condannato per diversi reati, ostativi e non ostativi ai benefici penitenziari, si trovasse a patire, in relazione ai reati non ostativi, un trattamento equivalente a coloro che siano stati condannati solo per reati ostativi. Inoltre lo stesso subirebbe un trattamento deteriore rispetto a chi, avendo riportato analoghe condanne sia per delitti ostativi che per reati non ostativi, abbia separatamente scontato ciascuna delle pene a lui inflitte con sentenze divenute irrevocabili e poste in esecuzione più tempestivamente.

 

3. La soluzione delle Sezioni Unite. Il Collegio ha ritenuto preferibile la soluzione qui sopra riportata per prima, dando continuità all’opzione ermeneutica più recente.

Preliminarmente le Sezioni unite richiamano l’ormai consolidata giurisprudenza sullo “scioglimento del cumulo” in base alla quale le norme concernenti il cumulo delle pene non possono mai risolversi in un danno per il condannato e dunque ove taluni effetti penali negativi fossero collegati alle singole pene oggetto di cumulo, queste devono riacquistare la loro autonoma e distinta valutazione non essendo ammissibile collegare ad una presunta “pericolosità soggettiva” del detenuto, unicamente certificata dalla condanna per un determinato reato, l’esclusione di vari benefici[4]. Pertanto, il principio della “pena unica” discendente dagli artt. 73 e 76 c.p. non può risolversi a danno del condannato pena la violazione dei parametri costituzionali di ragionevolezza, di uguaglianza e della funzione risocializzante della pena[5]. Infine, va rimarcato il principio secondo cui, una volta operato lo scioglimento del cumulo[6], deve ritenersi scontata per prima la pena più gravosa per il condannato, ossia quella riferibile ai reati che non consentirebbero l’accesso ai benefici[7].

Dopo aver pienamente confermato tali assunti, in quanto profondamente radicati nelle decisioni della Corte costituzionale e nella giurisprudenza della stessa Corte, le Sezioni unite evidenziano il vero e proprio “salto logico” operato dall’orientamento che esse ritengono recessivo: si pretende che all’esigenza di scioglimento del cumulo “temperato” consegua una riduzione della pena inflitta per il reato ostativo in misura proporzionale a quella che il limite di 30 anni ha determinato sulla pena complessiva. Per effetto proprio dello scioglimento del cumulo è infatti possibile determinare, imputandola per prima, la pena già eseguita al reato ostativo se abbia avuto luogo un concreto “esaurimento” della condanna ostativa (per effetto della sua totale espiazione), a prescindere dall’eventuale incidenza del criterio moderatore dell’art. 78 c.p. La pretesa operazione “algebrica” non avrebbe dunque alcun appiglio sistematico.

Quanto alla natura e funzione del criterio moderatore esso appartiene legittimamente all’area delle regole di natura sostanziale del codice penale in tema di commisurazione della pena e, ciò che più conta in questa sede, costituisce pur sempre espressione della finalità rieducativa della pena in relazione ad una speranza di vita futura, da libero, del condannato, segnando un limite all’esercizio della potestà punitiva statuale nell’irrogazione delle pene temporanee[8].

L’argomento principe nel ragionamento delle Sezioni unite è che l’art. 78 c.p. opera solo sulla pena complessiva risultante dal cumulo materiale senza alcuna considerazione dell’entità delle singole pene che vi confluiscono: il fuoco di questa disposizione converge esclusivamente sulla misura massima della pena complessiva risultante, di tal che essa non determina alcun effetto sulle singole pene oggetto del cumulo. Tanto sul piano letterale che su quello sistematico resta confermato che il criterio moderatore opera direttamente sulla pena complessiva senza alcun riguardo alla proporzione esistente tra le pene aventi titolo in reati ostativi e quelle invece inflitte per reati non ostativi e, inoltre, opera allo stesso modo tanto che l’ammontare complessivo sia di molto che di poco superiore alla soglia dei 30 anni. Ne consegue che ciascuna fattispecie di reato acquista la sua autonomia sia quanto a pena edittale sia quanto a pena applicata o applicabile in concreto che, per scongiurare l’effetto ostativo, deve risultare interamente espiata.

La pena in concreto applicata per il reato ostativo deve pertanto essere considerata nella sua originaria entità per stabilire se sia ancora in corso di espiazione ai fini della concessione dei benefici.

La sentenza passa così ad esaminare le varie conseguenze irragionevoli derivanti dall’accoglimento del contrario criterio di riduzione proporzionale.

Innanzitutto la riduzione proporzionale da imputare ai reati ostativi sarebbe tanto maggiore nei casi di complessiva maggiore gravità ossia di cumuli con un ammontare molto elevato e sarebbe invece minima nei casi di minor rilievo (cumuli di poco superiore ai trent’anni). Chi, in altre parole, abbia collezionato più condanne a pene temporanee potrebbe fruire di una percentuale di maggior riduzione sulla quota ostativa rispetto a colui che, magari con lo stesso reato ostativo, abbia ottenuto un minor numero di condanne.

Nel confutare le presunte irragionevoli disparità di trattamento segnalate dall’indirizzo contrario[9], il Collegio osserva infine che il condannato che sconti separatamente le varie condanne non si avvale del temperamento dell’art. 78 c.p. sicché la comparazione riguarda in realtà posizioni esecutive tra loro strutturalmente diverse.

Del pari fallace, ad avviso della Corte, è l’argomentazione che assume un’irragionevole parità di trattamento (quanto ai reati non ostativi) tra coloro che sono condannati per reati ostativi e non ostativi e quanti invece sono stati condannati solo per reati ostativi: anche in tal caso si tratta di posizioni non comparabili poiché una delle due categorie (l’ultima) non ha, appunto, riportato condanne per reati non ostativi, senza considerare che l’espiazione di reati non ostativi è per definizione irrilevante ai fini della concedibilità dei benefici penitenziari (sempre ammessi per questi ultimi).

 

4. Conclusioni. Una lettura superficiale della pronuncia sembrerebbe delineare una deroga al principio secondo cui le norme concernenti il cumulo non si possono mai risolvere in un danno per il condannato, posto che l’autonoma e distinta valutazione della pena originaria per il reato ostativo comporta di fatto per il condannato (a titoli ostativi e non ostativi) una condizione di più severo trattamento rispetto a quello che riceverebbe con l’applicazione del criterio proporzionale (che, incidendo proporzionalmente sulla pena comminata per il reato ostativo di fatto abbatte la soglia temporale per l’accesso ai benefici). Tale maggior rigore in realtà è apparente se confrontato con il chiaro beneficio derivante dalla mitigazione di cui all’art. 78 c.p. e la sentenza fa invero corretta applicazione sia dei principi afferenti alla scindibilità del cumulo (concezione “pluralistica” delle pene) sia del principio rieducativo, cui la stessa mitigazione del cumulo “temperato” si ispira, come ben è detto nella motivazione. Dal punto di vista logico-sistematico la pronuncia infine sembra confutare in maniera ineccepibile le contrarie argomentazioni che fanno leva su solo apparenti disparità di trattamento fra ipotesi tra loro non comparabili.

Va infine osservato che, almeno per quanto riguarda i reati “ostativi” ai benefici penitenziari di cui al riformato art. 4-bis commi 1-bis e 1-bis.1, la questione – pur rilevante – ha una portata di minor impatto alla stregua delle modifiche intervenute con il d.l. 31.10.22 n. 162 conv. nella l. 30.12.22 n. 399 che, in presenza di condizioni alternative alla “collaborazione” con la giustizia, consentono il superamento dell’ostatività “assoluta” come fino ad oggi intesa.

 

 

 

[1] Restando fermo il risalente principio di diritto secondo cui nel caso di cumulo materiale di pene concorrenti, deve intendersi scontata per prima quella più gravosa per il condannato e dunque, ove si debba espiare una pena inflitta anche per un reato ostativo ai benefici penitenziari, la pena espiata va imputata innanzitutto ad essa (cfr., tra le molte, Cass., Sez. I, n. 613 del 22.03.99, Ruga, Rv. 212738)

[2] Cfr. Cass., Sez. I, n. 26848 del 1.06.22, Zavettieri, Rv. 283360; Cass., Sez. I, n. 24014 del 18.05.22, Cascone, Rv. 283186; Cass., Sez. I, n. 18239 del 26.03.19, Di Mondo, Rv. 275670.

[3] Cfr. Cass., Sez. I, n. 35794 dell’8.03.19, Farina, Rv. 276723; Cass., Sez. I, n. 6013 del 19.12 16, Papalia (non massimata); Cass., Sez. I, n. 3130 del 19.12.14, Moretti, Rv. 26206.

[4] La Corte cost., con la sentenza n. 361 del 27.07.94, aveva già rilevato come non si potesse rinvenire nel dato normativo una sorta di status di “detenuto pericoloso” che permei di sé l’intero rapporto esecutivo a prescindere dal titolo specifico di condanna, mentre proprio l’articolazione della disciplina delle misure alternative impone di valorizzare la necessità di scioglimento del cumulo in presenza di istituti che richiedano la separata considerazione dei titoli di condanna e delle relative pene.

[5] Di talché anche nel caso di reato continuato il cumulo giuridico è scindibile ai fini della fruizione dei benefici penitenziari (v. Sez. U. n. 14 del 30.06.99, Ronga) posto che «ogni qual volta l’unificazione fittizia dei reati si risolva in una situazione di pregiudizio per il reo deve procedersi alla scissione, non potendosi ammettere che un istituto di favore si risolva, poi, in pregiudizio».

[6] Sulla natura soltanto “ideale” o “temporanea” dello scioglimento del cumulo, non previsto e regolato esplicitamente dalla legge, v. Cass., Sez. I, n. 4208 del 7.06.00 e, sulla necessità che sia la magistratura di sorveglianza e non il giudice dell’esecuzione ad individuarlo in via “incidentale” ai soli fini della concedibilità dei benefici penitenziari, v. Cass., Sez. I, n. 38333 del 2.10.08 e Cass., Sez. I, n. 52182 del 29.07.16, Besiri.

[7] Corte cost., sent. n. 33 del 2022 e, tra le altre, Cass., Sez. I, n. 28141 del 18.06.21.

[8]L’applicazione rigida e automatica dell’addizione aritmetica delle varie pene potrebbe infatti condurre ad un’esorbitante condanna ad una pena complessiva superiore alla previsione di vita del condannato (v. Cass., SS. UU., n. 45583 del 25.10.07, Volpe) anche se l’obbligatorietà della formazione del cumulo non significa affatto che un soggetto non possa rimanere detenuto nel corso della sua vita per più di trent’anni essendo tale limite riferibile solo alle pene inflitte per i reati commessi prima dell’inizio dell’esecuzione, diversamente, una volta raggiunto il predetto limite, ne discenderebbe l’impunità per qualsiasi delitto successivamente commesso.

[9] Quella secondo cui, ad esempio, la regola dettata all’art. 76 co. 1 c.p. (le pene della stessa specie si considerano «come pena unica per ogni effetto giuridico») non potrebbe in nessun caso condurre ad ingiustificate diversità di trattamento a seconda dell’eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente alla formazione di un cumulo materiale ai sensi dell’art. 663 c.p.p., anziché di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle differenti condanne.