Cass. Sez. VI, sent. 26 febbraio 2025 (dep. 11 aprile 2025), n. 14343, Pres. Villoni, est. Gallucci
1. La sentenza qui segnalata merita d’essere considerata non tanto per l’enunciazione di principi interpretativi inediti, quanto piuttosto per l’esatta e consequenziale applicazione a una peculiare fattispecie concreta di approdi ermeneutici che l’elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria hanno raggiunto in materia di responsabilità degli enti ex d. lgs. 231/01.
Le particolarità del caso, rilevanti sotto un duplice profilo, avevano indotto i giudici del merito a conclusioni semplificate che, come si cercherà di mostrare, finivano con lo smarrire il tratto fondamentale della responsabilità dell’ente: l’essere, cioè, autonoma rispetto a quella della persona fisica autrice del reato-presupposto e fondata quindi su criteri ascrittivi che richiedono un altrettanto autonomo accertamento. Smarrimento che aveva portato il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi a replicare il modello di accertamento (e il suo esito) impiegato per la responsabilità della persona fisica riferendolo anche a quello, pur collegato ma autonomo, afferente alla responsabilità della persona giuridica, ciò importando una loro sostanziale identificazione per sovrapposizione.
Conviene dunque dar conto della fattispecie concreta. Imputato del reato (fra gli altri) di truffa aggravata ex art. 640 cpv c.p. (reato-presupposto) in qualità di direttore tecnico di S. s.p.a., il sig. MCA veniva assolto già all’esito del giudizio di primo grado per intervenuta prescrizione, con sentenza confermata dalla Corte d’Appello. S. s.p.a. veniva invece condannata per il corrispondente illecito ammnistrativo (art. 24 d. lgs 231/01): è qui opportuno notare che S. s.p.a. faceva parte di un’associazione temporanea di imprese, insieme a due altre società rimaste estranee al processo, nonché di una società consortile cui l’ATI aveva affidato l’esecuzione dei lavori nel contesto dei quali si sarebbe realizzato il reato-presupposto.
La Corte regolatrice giudica infondato il ricorso dell’imputato persona fisica, che lamentava la mancata adozione di un proscioglimento nel merito ex art. 129 co. 2 c.p.p., stimando logicamente irreprensibile la motivazione dei giudici d’appello per la quale il compendio probatorio raccolto in primo grado non premetteva di apprezzare ictu oculi, con una mera constatazione, «l’evidenza della prova di innocenza dell’imputato, idonea a escludere l’esistenza del fatto, la sua commissione da parte dell’imputato, ovvero la sua rilevanza penale».
Accolta invece la doglianza di S. s.p.a. sulla base di un’argomentazione pregevole, che conviene ripercorrere brevemente.
Rammentato dapprima che la prescrizione del reato-presupposto intervenuta successivamente alla contestazione dell’illecito all’ente non spiega identico effetto estintivo per tale illecito (che, dunque, anche per questo motivo è altro rispetto al reato-presupposto), la Corte di cassazione, evocando alcune precedenti statuizioni dello stesso Giudice della legge in tema di art. 8 co. 1 lett. b d. lgs 231/01, sottolinea la necessità di un «accertamento autonomo della responsabilità della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso», accertamento che «non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato».
Ribadita da parte della Corte di legittimità l’autonomia degli illeciti rispettivamente ascritti all’ente e alla persona fisica pur nella connessione indissolubile che li collega, dipendendo la punibilità dell’ente (ovvero, secondo altra lettura, l’integrazione dell’illecito dell’ente) dalla sussistenza del reato[1], ne viene per conseguenza che se pur «non è necessario il definitivo e completo accertamento della responsabilità penale individuale» bastando «un mero accertamento incidentale», occorre tuttavia che «risultino integrati i presupposti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 5, 6, 7 e 8» d. lgs 231/01: e, dunque, anche la sussistenza del reato-presupposto.
Da tali premesse la sentenza in discorso procede in modo logicamente impeccabile. Ancorché incidentale, l’accertamento della sussistenza del reato-presupposto deve raggiungere il grado della prova positiva in quanto tale estremo (quello concernente il reato-presupposto e la sua sussistenza) è coessenziale all’accertamento della responsabilità dell’ente, poiché anche rispetto a quest’ultima è richiesta «la prova positiva – oltre ogni ragionevole dubbio – (...), secondo il criterio indicato dall’art. 533 c.p.p.», criterio che – come la Corte non dimentica di sottolineare – trova piena e indiscussa applicazione anche in materia di responsabilità degli enti.
Il richiamo, fortemente marcato, al canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio come paradigma informatore della prova della responsabilità dell’ente (che deve quindi illuminare ogni elemento rilevante per tale accertamento)[2] conduce alla notazione ulteriore: l’esclusione dell’evidenza dell’“innocenza dell’imputato”, richiamata dall’art. 129 co. 2 c.p.p. (con quel che ne segue in ordine alla sussistenza del reato) si fonda su un parametro di giudizio affatto diverso (per struttura e per fini) rispetto a quello in relazione al quale è legittimo affermare la responsabilità – oltre ogni ragionevole dubbio – dell’imputato o dell’ente (con riguardo – per quanto qui interessa – al profilo relativo alla sussistenza del reato-presupposto).
L’evidente dissonanza tra i due canoni di valutazione suggerisce al Giudice della legge una conclusione sintetica, che esprime efficacemente il principio di diritto enunciato: «dalla affermazione della mancanza di evidenza dell’innocenza del soggetto indicato come autore del reato-presupposto» non può «fondarsi la responsabilità dell’ente, per la quale (...) è necessaria la prova positiva della sussistenza di tutti gli elementi che connotano il relativo illecito», fra i quali, come ognun sa, sta l’esistenza del reato-presupposto stesso.
2. Non meno interessante l’ulteriore profilo concernente la materia della responsabilità delle persone giuridiche e degli enti, oggetto di esame da parte della decisione in discorso.
Anche qui conviene dare brevemente conto della fattispecie concreta e della sua peculiarità. Come anticipato, la società incolpata (S. s.p.a.) era parte di un raggruppamento temporaneo d’imprese e di una società consortile, nel cui ambito sarebbe stato commesso il reato-presupposto, addebitato al dipendente MCA della stessa S. s.p.a..
Se il parametro soggettivo di ascrizione (art. 5 co. 1 lettere a e b d. lgs 231/01) trova qui riferimento nel rapporto di dipendenza della persona fisica MCA con l’ente S., non deve però sfuggire che tale rapporto deve essere coerente con il criterio oggettivo di ascrizione, quello dell’interesse/vantaggio derivante dal reato-presupposto, destinato a riflettersi sull’ente “di appartenenza” della persona fisica autrice del reato-presupposto.
Ancora una volta la presente sentenza governa con esattezza canoni ermeneutici elaborati dalla giurisprudenza di legittimità e condivisi in dottrina[3].
Come noto, nelle ipotesi di reato-presupposto commesso dal dipendente (apicale o non apicale) di una persona giuridica appartenente a un gruppo societario o un’aggregazione di enti, la responsabilità delle società collegate (a principiare dalla capogruppo) diverse da quella “di appartenenza” della persona fisica autrice del reato-presupposto può essere evocata soltanto qualora sia dimostrata l’esistenza di un interesse o di un vantaggio diretti in capo anche alle società diverse, non essendo bastevoli quelli mediati e di riflesso, derivanti dalla mera appartenenza al gruppo, qualunque sia la natura dell’aggregazione.
Il principio interpretativo viene dunque calibrato in relazione alla peculiarità del caso di specie, nel quale l’autore è bensì dipendente di una persona giuridica (S. s.p.a.), che fa parte di un’associazione temporanea di imprese e di una società consortile, anch’essa parte di tale raggruppamento, mentre il reato-presupposto risulta commesso nell’ambito di tali realtà associative.
Posto che, a quanto è dato intendere dalla sintesi che ne offre la sentenza, il reato-presupposto sarebbe – come detto – stato commesso nel contesto (e, dunque, nell’interesse o a vantaggio) dell’associazione temporanea e/o della società consortile (alle quali la persona fisica autrice del reato-presupposto non risulta essere legata in modo rilevante ex art. 5 d. lgs 231/01) e che l’interesse/vantaggio di S. s.p.a. (di cui la persona fisica è invece dipendente) non può essere ritenuto esistente in via presuntiva per la semplice appartenenza di S. s.p.a. all’associazione temporanea di imprese o alla società consortile, la Corte regolatrice, annullando la decisione della Corte d’Appello, dispone che il giudice del rinvio accerti, da un lato, la sussistenza di un interesse o di un vantaggio concreti direttamente riferibili alla persona giuridica S. e, dall’altro, che «la persona fisica autrice del reato-presupposto sia in possesso della qualifica soggettiva richiesta» (id est: nel caso di specie, che la condotta di MCA – la persona fisica – pur dipendente di S. s.p.a., sia altresì stata tenuta in tale sua veste quando ha agito nel contesto della ricordata aggregazione di enti).
L’esercizio cui è chiamato il giudice del rinvio presenta altresì profili interessanti e indubbiamente problematici. Innanzitutto si verte in una situazione (l’aggregazione di enti in un’ATI) che non dà luogo a una configurazione gerarchicamente organizzata (come, ad esempio, un gruppo d’imprese con una capogruppo e le sue controllate), rispetto alla quale è relativamente più semplice individuare il flusso del vantaggio e la connotazione dell’interesse. Al contrario, nel presente caso, sarà necessario investigare in modo analitico (e con specifico riguardo alle concrete dinamiche fra gli enti partecipi dell’ATI) tali flussi e connotazioni.
Sul versante del criterio soggettivo di ascrizione, sarà per altro verso indispensabile ragionare se la posizione della persona fisica (MCA, autrice del reato-presupposto), dipendente di S. s.p.a., può assumere rilevanza (eventualmente anche “di fatto” ex art. 5 co. 1 lett. a ultimo alinea d. lgs 231/01) anche in relazione alle società diverse da S. s.p.a., tuttavia anch’esse partecipanti all’ATI, per la quale lo stesso MCA ha operato. Tema, quest’ultimo, che suggerisce di riflettere sulle conseguenze in tema di compliance e di strutturazione del modello organizzativo in situazioni di tal genere (nelle quali – rendere il quadro ancor più complesso – potrebbero essere presenti anche imprese individuali, come tali non destinatarie della disciplina del d. lgs 231/01)
[1] Ridotto a sintesi estrema, il dibattito può essere così riassunto. Da un lato vi è chi autorevolmente sostiene la tesi della natura para-concorsuale della responsabilità dell’ente (C.E. Paliero, La responsabilità penale della persona giuridica nell’ordinamento italiano: profili sistematici, in Societas puniri potest. La responsabilità da reato degli enti collettivi, a cura di F. Palazzo, Cedam, 2003, p. 17; v. anche Id., La società punita. Del come, del perché, e del per cosa, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2008, p. 1536; in senso analogo O. Di Giovine, Lineamenti, cit., p. 122; A. Astrologo, Concorso di persone e responsabilità della persona giuridica, in Ind. pen., 2005, p. 1016; nonché, nell’ambito della categoria delle forme di manifestazione del reato, A. Melchionda, Brevi appunti sul fondamento “dogmatico” della nuova disciplina sulla responsabilità degli enti collettivi, in Societas puniri potest, cit., p. 230. Per un riepilogo aggiornato e una revisione approfondita della teoria ‘concorsuale’, v. M. Scoletta, Sulla struttura concorsuale dell’illecito punitivo delle persone giuridiche nell’ordinamento italiano, in Libro homenaje al Professor Arroyo Zapatero. Un derecho penal humanista – Boletino Oficial del Estado e Instituto de Derecho Penal Europeo e Internacional, 2021, p. 655. Parzialmente difforme, con accentuazione dell’autonomia dell’illecito dell’ente sub specie omesso impedimento del reato-presupposto, V. Mongillo, Responsabilità penale tra individuo ed ente collettivo, Torino, 2018, p. 140. Una impostazione teorica ancora differente concepisce invece “il reato-presupposto (...) [quale] condizione obiettiva di punibilità (ruolo ben coerente con la non controvertibile circostanza che di per sé il deficit organizzativo dell’ente non
è soggetto a sanzione alcuna...”, scusandomi per l’ineleganza dell’autocitazione, F. Mucciarelli, Il fatto illecito dell’ente e la costituzione di parte civile nel processo ex d.lgs. n. 231/2001, Dir. pen. proc., 2011, p. 442. A fronte di tesi così eterogenee non sorprende sia stata di recente avanzata l’idea di un tertium genus di ‘coautoria’ (in questi termini E. Greco, L’illecito dell’ente dipendente da reato. Analisi strutturale del tipo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2019, p. 2100 ss.): la sottolineatura dei caratteri ‘anomali’ del sistema imputativo dell’illecito dell’ente, pur dotata di indubbia efficacia descrittiva, lascia tuttavia irrisolte molteplici questioni, esattamente come accade a proposito della ‘natura’ (penale, amministrativa o ‘ibrida’) della responsabilità ex d.lg. n. 231/2001.
[2] Si veda, per tutte, Cass. pen. Sez. VI, 15 giugno – 11 novembre 2021, n. 23401, con i commenti di D. Bianchi, Verso un illecito corporativo personale. Osservazioni “umbratili” a margine d’una sentenza “adamantina” nel “magma 231”, Sistema Penale, 14.10.2022; F. Centonze, Il crimine dell’“attore decisivo”, i limiti della compliance e la prova “certa” della colpa di organizzazione. Riflessioni a margine della sentenza “Impregilo”, CP, 2022, 4372; G. De Simone, Si chiude finalmente, e nel migliore dei modi, l’annosa vicenda Impregilo, GI, 2022, 2758; E. Fusco e C.E. Paliero, L’“happy end” di una saga giudiziaria: la colpa di organizzazione trova (forse) il suo tipo, Sistema Penale, 27.9.2022; A. Merlo, Il D.Lgs. 231/01 preso sul serio: la Cassazione scrive l’ultimo capitolo della saga “Impregilo”, FI, 11/2022, 669; C. Piergallini, Una sentenza “modello” della Cassazione pone fine all’estenuante vicenda “Impregilo”, Sistema Penale, 27.6.2022.
[3] V. ad es. Cass. pen. Sez. V, 18/01/2011, n. 24583; Rv. 249820 e Cass. pen. sez. II, 27.9.2016, n. 52316. Per un approfondimento, F. D’Arcangelo, in Borsari (a cura di), Responsabilità da reato. Un consuntivo critico, JusQuid, 96; E. Scaroina, Societas delinquere potest. Il problema del gruppo di imprese, Giuffrè - Luiss, 2006.