Legge 14 marzo 2025, n. 35 recante "Modifica dell'articolo 2407 del codice civile, in materia di responsabilità dei componenti del collegio sindacale"
Sebbene di portata assai rilevante sul piano delle conseguenze risarcitorie della responsabilità dei sindaci, la riforma dell’art. 2407 c.c. (operata dall’art. 1 co. 1 l. 14 marzo 2025, n. 35, che ha integralmente sostituto la disposizione con altra di nuovo conio) non sembra destinata a produrre effetti sul versante penale.
Sintetizzando all’estremo, il tratto maggiormente significativo (l’altro essendo rappresentato da un diverso regime di prescrizione dell’azione risarcitoria) è costituito dalla soppressione del previgente secondo comma della disposizione, che sanciva la responsabilità solidale dei sindaci per i danni cagionati dalle condotte (attive od omissive) degli amministratori «quando il danno non si sarebbe prodotto, se essi [id est: i sindaci] avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica».
Rilevato che tale previsione aveva suscitato, soprattutto negli ultimi anni, sempre più vaste doglianze da parte delle associazioni professionali dalle quali provengono i componenti dei collegi sindacali, è opportuno rammentare che tali doglianze si appuntavano, in particolare, sulla ritenuta incoerenza della equiparazione quanto a conseguenze sul piano risarcitorio degli effetti conseguenti a una condotta gestoria, eventualmente anche dolosa (quella degli amministratori) rispetto a quelli derivanti da un comportamento (colposo) di omesso o insufficiente controllo (quello dei sindaci).
Né rilievo minore assumeva in siffatta prospettiva critica la considerazione che la clausola limitativa di tale “responsabilità concorrente” (rectius: solidale), affidata a una formula suggestiva di una forma di causalità ipotetica (l’evento dannoso non si sarebbe verificato se la vigilanza fosse stata conforme a quella richiesta dagli obblighi propri della carica), finiva nella prassi delle Corti per trasformarsi in un criterio ascrittivo molto severo, afflitto altresì dalle distorsioni tipiche della deformazione retrospettiva del giudizio (hindsight bias), prossimo – alla fine – a una sorta di responsabilità oggettiva.
Alla responsabilità solidale con quella degli amministratori viene ora sostituito un criterio di responsabilità diretta, legata in modo esclusivo alla violazione dei doveri tipici dei sindaci (invariati rispetto alla disciplina previgente e dei quali poi si dirà). Di straordinario rilievo, soprattutto all’atto pratico, è però la limitazione del danno risarcibile derivante da tale violazione: limitazione parametrata su multipli dei compensi annui percepiti dai sindaci stessi (in specifico: quindici volte i compensi, se essi non superano i 10.000 euro; dodici volte, se compresi fra 10.000 e 50.000 euro; dieci volte qualora maggiori di 50.000 euro).
In disparte ogni valutazione sul razionale economico e giuridico di tale limitazione ex ante del danno risarcibile e sulla plausibilità del collegamento all’ammontare del compenso, non sembra azzardato ipotizzare che alla scelta non siano estranee le dinamiche e la logica delle polizze assicurative per responsabilità professionale, in un’ottica, per un verso, comprensibilmente orientata al controllo del rischio quantomeno sul piano delle conseguenze patrimoniali, ma che, per altro canto, potrebbe fomentare atteggiamenti meno attenti e scrupolosi nell’esercizio dell’attività, sapendo il sindaco di poter contare su una sicura “rete di protezione” (il massimale del danno ‘coperto’ dall’assicurazione). Sicché, ancora una volta, l’introduzione nel sistema di un meccanismo di predeterminazione e limitazione delle conseguenze di una condotta illecita (qui: la violazione dei doveri propri del sindaco) dà luogo a uno “scudo” (qui: la limitazione del danno risarcibile), che finisce per consegnare interamente (o quasi) alla personale propensione e attitudine al rispetto della legge un’attività particolarmente importante e delicata, quale quella di controllo demandata al collegio sindacale.
Detto che la previsione del nuovo secondo comma dell’art. 2407 c.c. concerne anche le ipotesi nelle quali la revisione legale è affidata ex art. 2409-bis c.c. al collegio sindacale, la limitazione contemplata nella disposizione in discorso riguarda soltanto le condotte colpose, posto che la norma esordisce con la esplicita clausola di riserva «al di fuori delle ipotesi in cui hanno [sic] agito con dolo». Tralasciando ogni commento sull’inappropriato uso dell’indicativo in luogo del (corretto) congiuntivo (forse per un inconsapevole omaggio al cinquantenario del primo film “Fantozzi”: 27 marzo 1975), mette conto di notare che, riflettendo sulle azioni risarcitorie a carico dei sindaci discendenti da fatti di rilevanza penale, l’esclusione di quelle connesse agli illeciti punibili a titolo di dolo finisce con il limitare, sul piano concreto, la portata dell’innovazione ai casi (marginali, sul piano criminologico) di bancarotta semplice, posto che non soltanto le altre figure di bancarotta, ma pressoché tutti i reati che possono configurarsi nel contesto dell’attività propria dei sindaci di società commerciali hanno natura dolosa.
Se il legislatore ha inteso imporre un (forte) limite al danno risarcibile nel caso di condotte colpose dei sindaci nell’esercizio della loro attività, il contenuto e il perimetro della loro responsabilità, intesa come il paradigma degli obblighi, al quale deve conformarsi la condotta per essere qualificata diligente, è rimasto tuttavia immutato.
Il primo comma dell’attuale art. 2407 c.c. riproduce infatti testualmente il dettato della previgente disposizione, che fissava (come tuttora fissa) i caratteri dell’agente (sindaco) modello nell’adempimento dei doveri dell’ufficio «con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico», nell’essere garante «della verità delle (...) attestazioni» rilasciate e nell’obbligo di «conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio».
Se, dunque, il parametro di riferimento per la determinazione dell’agire colposo è rimasto invariato, l’accertamento di tale estremo, quando si verte in materia di reati punibili per colpa, non risente di modificazione alcuna a seguito dell’intervenuta riscrittura parziale dell’art. 2407 c.c..
D’altronde, a vedere bene, la riforma in parola non ha mutato neppure sul piano civilistico il criterio ascrittivo della responsabilità del sindaco, inteso il termine “responsabilità” nella sua valenza identificativa della condotta illecita. Come si è infatti cercato di mostrare, da un lato il nuovo assetto normativo lascia inalterato il paradigma che identifica contenuto e perimetro dell’agire doveroso (e, dunque, lecito) mentre, dall’altro, predetermina, limitandolo, l’importo massimo del danno risarcibile in conseguenza della condotta illecita (colposa), condotta, quest’ultima, che circolarmente presenta le medesime caratteristiche di quella descritta dalla previgente disciplina (sempre contenuta nell’immutato primo comma dell’art. 2407 c.c.).