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01 Luglio 2024


Il sistema delle misure di prevenzione: un’introduzione possibile


*Il contributo riproduce il testo - corredato di note - della relazione inaugurale tenuta dall'Autore al corso “Il sistema delle misure di prevenzione” organizzato dall’Associazione Forense “Piero Calamandrei” e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, tenuta il 22 febbraio 2024.

 

***

Il sistema della prevenzione non riesce a restituire la sua natura, la sua genesi e le sue dimensioni funzionali se lo si analizza con il monocolo delle categorie giuridiche, perché è proprio nella zona d’ombra proiettata dai sistemi di teoria generale che è cresciuto nel tempo questo dispositivo flessibile[1], sperimentale, zweckorientiert, ricostruibile anzitutto alla luce di una indagine storiografica e di scienza della politica[2].

La sola prospettiva giuridica è un trompe l’œil fuorviante, inadatto di per sé a spiegare non soltanto la sopravvivenza del sistema dopo il varo della Costituzione[3] e dopo la momentanea fibrillazione provocata dalla censura della grande Camera nell’affaire De Tommaso[4], quanto la sua capacità adattiva alle mutate condizioni dei contesti istituzionali e sociali del Novecento e dello scorcio del terzo millennio.

Una introduzione allo studio della materia dovrebbe – a nostro parere – occuparsi di ricostruire le assi portanti del sistema dal punto di vista storico, di dottrina dello Stato, di filosofia della politica, di sociologia giuridica, compatibilmente, nel caso di specie, con i limiti di chi parla e con quelli metodologici inerenti alla presentazione di un corso di diritto agito[5].

La prevenzione-diritto di polizia è anzitutto collegata a spirale all’idea di Sovranità.

Nel passaggio dagli Stati prerivoluzionari europei agli assetti ordinamentali di tipo liberale, successivi alla rivoluzione inglese del 1688-89 e, soprattutto, alla rivoluzione francese del 1789, la tutela della salus rei publicae si coagulò non solo attorno ai profili inerenti alla produzione ed ai commerci ma anche sui concetti di ordine e sicurezza, funzionali al consolidamento del potere politico da parte della nuova classe borghese, con particolare riguardo alla tranquillità delle transazioni e dei traffici economici[6].

La genealogia della materia, difatti, ricostruisce il diritto di polizia come iniziale strumento di disciplina ed organizzazione degli scambi commerciali, e solo successivamente quale dispositivo per la repressione delle forme e dei comportamenti disfunzionali alla ideologia dello Stato liberale[7], nonché per il “controllo e la riforma morale e sociale degli individui[8], attraverso misure limitative dell’esercizio di libertà fondamentali.

Nel cono di sorveglianza dei governi pre-unitari prima e italiano poi, si sono succeduti lungo il corso dell’Ottocento e del Novecento, uno via l’altro, gli attori di variegati ambiti proto-criminali – briganti[9], camorristi[10], malandrini, manutengoli, diffamati, ladri di campagna – gli esponenti delle cosiddette classi pericolose[11] e delle forme di eccentricità sociale - oziosi, vagabondi, prostitute[12]: in generale, soggetti non contenibili nel calco dell’uomo-lavoratore - e i protagonisti del dissenso politico - anarchici[13], repubblicani, aderenti alla seconda internazionale, socialisti, operai, sindacalisti, membri delle società agrarie, scioperanti[14].

L’impossibilità di riuscire a definire per la gran parte di queste figure un fatto rilevante sul piano penalistico – diverso dalla mera condizione di disallineamento alle aspettative sociali – le destinerà al comparto parallelo del diritto consuetudinario-regolamenti di polizia, a mente del quale i birbanti saranno giudicati[15].

Viceversa, i galantuomini, ossia coloro i cui fatti commessi, pur penalmente apprezzabili, non risultavano presentare auree di contrasto all’assetto ordinamentale, verranno processati seguendo il sistema formale, improntato al rispetto della legalità[16].

Il varo del codice Zanardelli e la contemporanea emanazione della prima legge Crispi[17] inaugurarono la duplicazione del sistema afflittivo-punitivo[18].

In quello scorcio di secolo, montava anche il dibattito tra la scuola classica e quella positiva, attraversata sottotraccia da un contrasto politico tra ambienti conservatori ed altri di marca socialista[19].

Furono però proprio le riflessioni degli esponenti della scuola positiva sulla devianza di categoria a consolidare la teorizzazione delle classi socialmente pericolose, contrastata dalla “penalistica civile”[20]

Lo schema del doppio contenitore diritto penale-diritto di polizia sarà reiterato con l’emanazione del codice Rocco e la successiva pubblicazione del sinistro TULPS del 1931, con i quali il legislatore fascista compose la pericolosità sociale e quella politica, assemblandole in modo promiscuo nel secondo corpus e sigillandone il marchingegno attraverso la amministrativizzazione della procedura[21].

Le forme doppie, atipiche, occulte, di sorveglianza-disciplina-repressione dei comportamenti politicamente e socialmente indesiderati[22] - costituite soprattutto dai regolamenti di polizia – consentiranno ex post di identificare, volta a volta, le reali sembianze del potere autoritario pubblico, sovente mistificate dietro schermi concettuali di legittimazione che rinvieranno a parole chiave come – appunto - Ordine e Sicurezza, ma anche Paura, Emergenza, Pericolosità[23].

Volendo azzardare a compiere un passo in avanti, che attinga il livello di legittimazione del concetto di sovranità, si potrebbe dire che questo costituisce l’esito del processo di secolarizzazione del carisma del principe, il cui corpo era ritenuto originariamente scisso in una parte politica-mortale e in un’altra sacra-eterna, funzionale quest’ultima al rafforzamento della coesione sociale, alla subordinazione-obbedienza del popolo e alla prosecuzione infinita dell’autorità[24].

In termini di archeologia del sapere il rinvio corre alla ricostruzione foucaultiana della progressiva laicizzazione dell’antica matrice pastorale[25].

Se volessimo indulgere poi a una suggestione ulteriore, la sopravvivenza di un’idea di assoluto nell’ordinamento attuale[26] – e, in particolare, proprio nel sistema delle misure di prevenzione, in quanto volte originariamente a tutelare la vigenza della Sovranità – è individuabile:

  •  nella trasformazione delle cose da “malvage”[27] a “buone”[28], corrispondente all’arcaico potere taumaturgico di guarigione del re[29];
  • nella “sacralità” (rectius: assolutezza, insindacabilità) delle situazioni emergenziali che varcano la soglia dell’ordinario per entrare in uno stato di eccezione - terrorismo interno e internazionale, delitti politici, mafia, corruzione, da ultimo i fenomeni della violenza minorile e di genere - dietro la gran parte delle quali c’è il tema legittimante della Vittima[30];
  • nel rapporto di sottomissione[31] - “sudditanza” nel senso secolarizzato - di coloro ai quali va applicata la legge (i “soggetti destinatari”);
  • nell’assenza di prescrizioni la cui osservanza consentirebbe di evitare l’applicazione di conseguenze afflittive[32], tranne quella contenuta nell’avviso orale del questore – “il questore invita la persona a tenere una condotta conforme alla legge” - ricalcata sul rapporto padre-figlio, che rimanda a quello divinità-fedele;
  • nelle sanzioni di bando, di esilio, di stigma[33]. Quelle personali: l’obbligo e il divieto di soggiorno, la sorveglianza speciale, i precedenti costituiti dal domicilio coatto e dal confino di polizia; quelle patrimoniali: la spoliazione di ogni bene e la restituzione dell’uomo allo stato di natura.

Le scorie del sacro-assoluto[34] che ci suggestioniamo a voler rinvenire nella normativa attuale della prevenzione, quale residuo del lento processo di secolarizzazione, conservano una funzione essenziale, in linea con il loro antico assolvere concrete ragioni di tenuta sociale: la aggregazione della comunità, l’obbedienza ai comandi, la continuità del potere.

Nel tempo, però, la progressiva erosione della forza trascendente del corpo del re è stata compensata da una ri-fondazione laica del suo carisma, in grado di garantire la stessa protezione assolta prima dalla promessa di salvezza del sovrano attinto dalla grazia, il Dio-uomo[35].

Solo il re capace di arrestare la violenza distruttrice[36] e garantire la sopravvivenza della popolazione attraverso il mantenimento dell’ordine e della sicurezza[37], potrà riuscire ad adempiere all’indispensabile compito della coesione sociale – prima riconducibile alla sua parte divina – assicurandosi così obbedienza[38].

La continuità del potere, quale secolarizzazione della esistenza eterna di Dio, sarà garantita dalla sicurezza, e in particolare dalla sua proiezione dinamica, secondo la quale essa viene posta prima a protezione dal re per poter poi essere conferita alla comunità.

È dunque in funzione della tutela particolare del sovrano – e correlativamente della sicurezza per la popolazione – che è nato il sistema della prevenzione.

Difatti, si può ritenere che il concetto di sicurezza celi quello di sovranità e viceversa, così legittimando da un lato la retorica paternalistica attraverso la quale si rinvia al rapporto padre-figlio[39] e poi a quello Dio-fedele, dall’altro giustificando l’utilizzo della forza per reali o mistificati scopi di sicurezza della popolazione, in realtà, sovente, per fini di autoconservazione del potere.

È quindi sul piano delle forme anticipate di tutela della sovranità prima, dello Stato-nazione dopo, che sono sorti i crimina lesae maiestatis e il sacrilegium, matrice dell’alto tradimento, dei delitti politici[40] e poi dei sistemi differenziati-stati di eccezione, come il diritto di polizia.[41]

Siamo nei territori governati dal paradigma della Ragion di Stato[42], che prevede la discrezionalità dei mezzi in funzione del fine – l’esistenza eterna della sovranità prima, dello Stato poi – e non di quelli dello Stato di Diritto, ove gli scopi sono sempre subordinati a mezzi giuridicamente prestabiliti.

Quindi, anteposizione dell’autorità alla libertà[43].

La Ragione di Stato e lo Stato di Diritto sono ipotecate sin dalla loro impostazione concettuale da un sistema di relazioni esattamente speculare: la prima si sviluppa sui piani dell’asimmetria, l’altra su quelli della tendenziale uguaglianza.

A livello normativo, la Ragion di Stato – quale idea autoreferenziale, non-laica – prevede per l’implementazione del relativo programma la sottrazione sia dei principi della legalità[44], sia degli elementi che consentono di tenere in equilibrio il rapporto tra autorità e libertà, che dei principi della giurisdizione.

Difatti, nella attuazione dello schema astratto, la Persona non è più il fine primario di tutela dell’azione pubblica e il Fatto non sarà più l’elemento oggettivo e materiale di ancoraggio della valutazione normativa e giurisdizionale.

Questo perché in un ambito fortemente inclinato verso la tutela dello Stato[45] – e di quei valori eccezionali[46] assimilati agli stessi presupposti di esistenza dell’ordinamento – il Fatto e la Persona intesi come limiti dell’azione pubblica devono essere sostituiti da parvenze.

Nello scenario descritto, anche la giurisdizione viene piegata alle logiche trascendenti della Ragione di Stato, cedendo al perseguimento di un fine metagiuridico, perdendo la sua ontologica indifferenza rispetto a valori diversi dalla soggezione esclusiva alla legge e subordinando la cognizione del caso concreto – dunque: del rispetto dei diritti fondamentali individuali - all’interesse pubblico generale.

Lo sbilanciamento tra la tutela pubblica e quella individuale esonda sul piano giurisdizionale nella logica amico-nemico[47] e nella discrezionalità dei mezzi impiegati per il raggiungimento del fine generale, disconoscendo, in definitiva, sia la vincolatività delle regole poste a tutela del principio di uguaglianza, sia il piano della verità formale-processuale, unico obiettivo della giurisdizione[48].

Questi a nostro avviso i caratteri del sistema, sommariamente individuati nel loro sviluppo storico-politico.

Venendo ai tempi attuali – e sempre assecondando un’andatura per suggestioni – possiamo ritenere che nella seconda metà del Novecento diverse condizioni hanno favorito la rivitalizzazione della prevenzione, che con gli abusi del periodo fascista e con l’ingresso della Costituzione sembrava essere stata accantonata nel ripostiglio degli strumenti in disuso.

Di alcune abbiamo già detto: i milioni di caduti nei due conflitti mondiali – compresa la catastrofe atomica di Hiroshima e Nagasaki – in uno con lo sconcerto universale determinato dalla scoperta di Auschwitz, hanno portato sul proscenio delle ragioni umanitarie l’immagine della Vittima, che in Italia dagli anni ’70 si incrementerà delle morti causate dal terrorismo interno e dalle grandi associazioni criminali presenti nel sud del Paese[49].

Queste due fenomenologie criminali consentiranno a uno Stato in difficoltà di reagire recuperando ancora una volta gli abiti dismessi della prevenzione[50].

Poi, lo stesso avvento delle carte costituzionali e di quelle sovranazionali e internazionali, con il riconoscimento multiplo e fortificato di libertà precostituite e valori universali[51], ha avuto come risvolto dialettico la rielaborazione dei concetti di ordine e sicurezza, quali precondizioni quasi-giusnaturalistiche per l’affermazione dei diritti individuali[52].

Inoltre, nelle riflessioni della dommatica successive al secondo conflitto mondiale, il rigetto dei sistemi neopositivistici che facevano capo alla potente influenza del pensiero di Hans Kelsen[53] – ai quali sistemi si era imputato di non essere riusciti a porre un argine alla presa di potere del nazionalsocialismo e, soprattutto, ad evitare l’ideazione e l’attuazione dell’Olocausto – si è convertito dagli anni ’50 in poi nel recupero di elementi soggettivo-valoriali all’interno del connotato di tipicità dell’azione, grazie soprattutto al pensiero di Hans Welzel[54], recepito in Italia dalla “scuola napoletana”[55].

Gli stati individuali di pericolosità, tenuti fuori dal diritto penale di tradizione illuministica e relegati nel Codice Rocco all’interno del sistema ibrido e chiuso delle misure di sicurezza, sono riemersi prepotentemente con la prevenzione anche in ragione di questa svolta storico-dogmatica.

Un altro snodo significativo è costituito, a partire dall’inizio degli anni ’60, dalla acquisita consapevolezza della magistratura di voler essere protagonista di un rinnovato accostamento alla giurisdizione in un periodo di imponenti trasformazioni culturali e sociali, accostamento stesso favorito da una serie di condizioni, tra le quali:

  • come già detto, l’espansione dei diritti individuali consacrati nelle carte costituzionali[56] e ispiratori delle leggi varate negli anni ‘60-‘70,[57] nonché la moltiplicazione delle Corti di giustizia;
  • l’avvento di una generazione di magistrati nata durante il fascismo ma entrata in servizio nel periodo democratico, e una sua composizione sociale più variegata, non appartenente solo all’alta borghesia ma proveniente anche dalle classi medie;
  • la costituzione delle correnti associative di Terzo Potere nel 1957, e soprattutto, di Magistratura Democratica nel 1964 - quest’ultima di inclinazione spiccatamente progressista - nonché l’apertura di una articolata fase dialettica sul ruolo della magistratura, evidente nel fiorire di riviste tematiche, tra cui Qualegiustizia, fondata nel 1970 a Bologna proprio da componenti di Magistratura Democratica[58].

A tal proposito, un momento significativo di autocoscienza del nuovo ruolo assunto dalla magistratura fu costituito dal congresso ANM di Gardone Riviera del 1965[59], sublimato nella relazione introduttiva di Giuseppe Maranini e nella mozione programmatica poi adottata.

Sul piano attuativo, cominciò a manifestarsi un ruolo più incisivo della magistratura in settori nei quali il legislatore non aveva preso - o preferiva non prendere - posizione, fenomeno poi identificato con il termine non neutro di “supplenza dei giudici”[60].

Ancora, l’attività innovativa svolta soprattutto nel settore penale dai cosiddetti “pretori d’assalto” a partire dagli anni ‘70, le cui decisioni in tema di lavoro, ambiente, inquinamento, saranno poi simmetricamente riprese in provvedimenti legislativi, fase prodromica a quella più recente che ha visto la magistratura impegnata su più piani a fronteggiare le “emergenze” del terrorismo, della mafia[61], della corruzione.[62]

Entro questa cornice, la prevenzione costituirà un’area in cui la magistratura potrà cimentarsi nell’adattamento della normativa a una nuda prospettiva funzionale, grazie a decisioni innovative, anche in questo caso subito generalizzate nella forma della legge[63].

Elementi di questo laboratorio proiettato nel futuro – che però in controluce mostrerà aspetti di temibile dissoluzione della divisione tra i poteri dello Stato – saranno costituiti per un verso dalla occasione concessa dalla particolare morfologia della materia, per l’altro dalla tentazione demiurgica di edificare un intero sistema, addensandolo non attorno ai profili di garanzia ma al diktat della efficienza.

Altra condizione-strumento per la implementazione della prevenzione sarà costituita dal concetto della paura, dalla sua enfatizzazione mediatica, favorita anche dallo sviluppo vertiginoso delle tecnologie incidenti sulla informazione e sulla comunicazione, in relazione alle quali si incentreranno le riflessioni del pensiero filosofico contemporaneo[64].

In realtà, il meccanismo della paura ha storicamente costituito per la politica la leva per ottenere dalla comunità un mandato generale finalizzato alla repressione[65], lungo un filo che porterà dalle ottocentesche classi socialmente pericolose[66] alle forme di dissenso politico, al terrorismo interno e internazionale, alla criminalità mafiosa e a quella da profitto, ai delitti contro la Pubblica Amministrazione, fino alle emergenze attuali della violenza: quella urbana, quella giovanile, quella di genere.

A ciò si può aggiungere la crisi permanente dello Stato-Nazione, nella misura in cui la sua capacità performativa è stata erosa a vantaggio dei domìni transnazionali – tecnologia, finanza, ambiente – delle associazioni di diritto comunitario e internazionale[67], dei poteri privati che fanno capo ai colossi informatici[68].

Lo sguardo dello Stato, dunque, si è ritratto ancor di più sui temi inossidabili dell’Ordine e della Sicurezza interni[69], anche attraverso la identificazione dei fenomeni e il loro contestuale etichettamento, che si impongono nell’appiattimento del dibattito pubblico causato dallo “sciame digitale”, capace di colpire con forza escludente le manifestazioni critiche, le opinioni contrarie espresse nella nuova sfera pubblica[70].

In questo scenario, la codificazione del 2011 è stata l’attuazione di un programma di normalizzazione del sistema, ottenuta attraverso la costituzione di un blocco indipendente, autoconclusivo, capace di confermare anche attraverso la mancanza di semplici nome definitorie l’inutilità della teoria, a fronte delle immense possibilità offerte dalla libera acquisizione di ingenti quantità di informazioni e della loro discrezionalità applicativa[71].

La legislatura in corso non si è sottratta all’utilizzo del meccanismo.

Il primo provvedimento normativo del governo ha riguardato la introduzione della “organizzazione di un raduno musicale”[72], che – pur costituendo un reato e non un fattispecie di pericolosità – risulta un tipico esempio di messa all’indice di uno stato soggettivo irregolare, particolarmente se posto a confronto con l’identità politica del governo in corso; il fatto è quasi del tutto privo di offensività, riguarda un’anticipazione massima della tutela, in forte attrito con la libertà di riunione e di manifestazione del pensiero[73].

A ciò ha fatto seguito l’emissione di decreti-legge tesi a rafforzare le misure di prevenzione su due emergenze: quella della violenza minorile (cd. “decreto Caivano”) e della violenza di genere.

Con riguardo alla prima va segnalata la norma che consente al questore in sede di emissione dell’avviso orale nei confronti del minore condannato non in via definitiva per un solo delitto contro la persona, il patrimonio, in materia di armi o sostanze stupefacenti di proporre al Tribunale dei minorenni il divieto di utilizzo di piattaforme e servizi informatici/telematici nonché il divieto di possesso o uso di telefoni cellulari e altri dispositivi per le comunicazioni dati, provvedimento stesso che evidenzia quantomeno tre aspetti storicamente ricorrenti della prevenzione:

  • il primo conferma la prevenzione come laboratorio sperimentale di afflizione, che agisce sull’espansione delle possibilità offerte dal progresso in qualunque campo, elidendole;
  • la seconda ribadisce la capacità di esclusione e stigma del dispositivo, nel caso in esame ancora più condizionante, trattandosi di minorenni;
  • il terzo riguarda il fatto di rispondere ad esigenze di immediatezza della risposta ordinamentale, fatto stesso esaltato dalle dinamiche sociologiche attuali riguardanti la corrosione dei concetti di approfondimento e di riflessione, determinati dalla condizione contemporanea di cosiddetta “contrazione del tempo presente”[74].

Con riguardo alla violenza di genere, va segnalato, anzitutto, che questo è il terzo provvedimento nell’arco degli ultimi 15 anni di potenziamento di tutti i dispositivi di prevenzione[75], ciò che dovrebbe indurre ad una riflessione maggiormente approfondita sulla entità del ‘fenomeno’, sulla sua eventuale radicalizzazione, sulla individuazione delle cause maggiormente ricorrenti, sulla reale efficacia delle limitazioni nel tempo individuate.

 n particolare, con la legge di novembre del 2023 la durata minima della sorveglianza speciale per gli indiziati di atti persecutori è stata elevata al triplo di quella inerente alle altre ipotesi di pericolosità, ove la persona non presti il consenso all’applicazione del braccialetto elettronico, provvedimento a rischio concreto di illegittimità costituzionale[76].

È invalsa, poi, la prassi di regolare gli atteggiamenti di dissenso manifestati dalle persone sulla ritenuta poca sensibilità dei governi intorno ai temi ecologico-ambientali, con l’emissione del foglio di via, recuperando l’antica vocazione del sistema preventivo di limitazione autoritaria delle opinioni contrarie a quelle maggioritarie.

Concludiamo con un presagio, anche in fondo per esorcizzarlo.

Il 24 gennaio 2023, la Corte costituzionale, con la Sentenza n. 5, ha dichiarato non fondata una questione proposta sulla legittimità dell’art. 6, legge 152/75 «nella parte in cui impone al giudice di disporre la confisca delle armi anche in caso di estinzione del reato per oblazione», ritenendo, in estrema sintesi, che il dispositivo preso in esame sia di tipo preventivo e non sanzionatorio.

Avendo tale natura, non ha grande significato – sostiene la Corte – «comparare la gravità del reato che ne costituisce il presupposto legale, posto che tale reato svolge il ruolo di “occasione”, più che di “causa” dell’intervento ablativo».

Noi speriamo che non sia così - per tutte le ragioni confusamente affastellate in questo scritto - ma potremmo doverci abituare negli scenari del futuro prossimo venturo a vedere la progressiva marginalizzazione del diritto penale in funzione della riproduzione continua di sistemi differenziati, afflittivi, stigmatizzanti, escludenti.

 

 

 

 

[1]Le misure di prevenzione hanno un grado di elasticità che consente loro di operare là dove il rigore dei principi sanciti in alto dal diritto penale non permetterebbe alcun tipo di intervento”, Tullio Padovani, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, Pisa University Press, 2014, p. 196. Di “apparato coercitivo informato alla logica del sospetto, intessuto di istituti e di congegni che istituzionalizzano pratiche di controllo eversive dei presidi della legalità e della giurisdizionalità”, scrive Vincenzo Maiello, La legislazione penale in materia di criminalità organizzata misure di prevenzione ed armi, Giappichelli, 2015, p. 300.

[2] Italo Mereu, Cenni storici sulle misure di prevenzione nell’Italia <<liberale>>, in Le misure di prevenzione. Atti del Convegno, a cura del Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, Giuffrè, 1975, pp. 197 e ss.

[3]Si tratta sempre di misure di sicurezza che entrano in considerazione nella legge penale, e quindi vengono applicate nei confronti di persone socialmente pericolose, in occasione della perpetrazione di un reato. Non sono misure di polizia: questo devo chiarire perché non sorgano equivoci. Si tratta di misure preventive di sicurezza, che devono essere applicate, a norma del Codice penale, nei confronti di individui imputati o imputabili in occasione della perpetrazione di un reato”, intervento di Giuseppe Bettiol in Assemblea costituente, LXXXIX, Seduta antimeridiana di martedì 15 aprile 1947, p. 2875. Fondamentali restano le considerazioni di Leopoldo Elia, Libertà personale e misure di prevenzione, Giuffrè, 1962, p. 23 e ss., Franco Bricola, Forme di tutela ante delictum e profili costituzionali della prevenzione, in Le misure di prevenzione. Atti del Convegno, cit., pp. 29 e ss., Giuliano Amato, Potere di polizia e potere del giudice nelle misure di prevenzione, in Politica del diritto, 1974, p. 331 e ss., Augusto Barbera, I principi costituzionali della libertà personale, Giuffrè, 1967, Paolo Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, 1974, p. 144 e ss.

[4] Vincenzo Maiello, De Tommaso c. Italia e la cattiva coscienza delle misure di prevenzione, in Diritto penale e processo, 2017, 1039 e ss.

[5]La comprensione di quanto è accaduto in Italia in questi ultimi giorni diviene possibile soltanto se le vicende attuali vengono collocate in una prospettiva storica, vale a dire comparate, o se si vuole <<aggiunte>> a quanto è accaduto in passato a partire dai primi anni dopo l’unità.”, così, successivamente al varo nel 1975 della Legge Reale, Romano Canosa, La legislazione eccezionale sull’ordine pubblico in Italia, tra storia e cronaca (1861-1973), in AA.VV., Ordine pubblico e criminalità, Mazzotta, 1975, 15 e ss.

[6]La serie dei meccanismi di sicurezza-popolazione-governo e l’apertura del campo di ciò che si chiama politica, mi sembra che costituiscano una sequenza che andrebbe analizzata, Michel Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, Corso al Collège de France (1977-1978), Feltrinelli, 2005, p. 66.

[7] Sottolinea altresì lo stretto legame tra l’emersione del concetto di Stato e la raccolta statistica dei dati sui beni e le ricchezze della popolazione nella logica della tassazione, Pierre Bourdieu, Sullo Stato. Corso al Collège de France. Volume I (1989-1990), Feltrinelli, 2013, p. 15. “Questa linea discendente, che dal buon governo dello stato si ripercuote sulle condotte individuali e sulla gestione delle famiglie, è ciò che a quell’epoca si comincia a chiamare “polizia”.”, Michel Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 76. Sulla dimensione di classe dello Stato liberale e sulle relative forme repressiva, fondamentale resta Carlo Fiore, I reati di opinione, Cedam, 1972, pp. 13 e ss., Id., Il controllo della criminalità organizzata nello Stato liberale: strumenti legislativi e atteggiamenti della cultura giuridica, in <<Studi Storici>>, anno 29, fasc. 2/1988, pp. 421-436, nonché, Id., Ordine Pubblico (diritto penale), Enciclopedia del Diritto, XXX, pp. 1084-1106.

[8] Michel Foucault, La società disciplinare, in Id., Antologia, Feltrinelli, 2005, p. 85.

[9] Pasquale Troncone, La legislazione penale dell’emergenza in Italia. Tecniche normative di incriminazione e politica giudiziaria dallo Stato liberale allo Stato democratico di diritto, Jovene, 2001, p. 33 e ss.

[10] Francesco Barbagallo, Storia della camorra, Laterza, 2011, cap. 2. “La legge eccezionale [legge Pica del 1863] fu estesa dal brigantaggio alla camorra, perché questa venne considerata come un potere parallelo e alternativo rispetto alla sovranità dello Stato...

[11]Le classi pericolose della società sono formate da tutti quegli individui che, essendo sprovvisti dei mezzi necessari di sussistenza, vivono nell’ozio e nel vagabondaggio, a spese degli altri cittadini; calpestano la legge suprema dell’uomo, che è quella del lavoro, essi costituiscono un pericolo permanente all’ordine sociale.”, Giovanni Bolis, La polizia e le classi pericolose della società. Studii. Zanichelli, 1871, p. 459.

[12] Mary Gibson, Stato e prostituzione in Italia (1860-1915), Il Saggiatore, 1995, pp. 26 e ss., ben evidenzia l’effetto destabilizzante nei confronti della società borghese – e la conseguente paura isterica ingenerata – prodotto dalle prostitute: donne autonome, autosufficienti sebbene appartenenti alle classi inferiori, inclassificabili nelle categorie di moglie, madre, figlia, suora.

[13] Per una ricognizione delle diverse componenti della galassia anarchica tra fine Ottocento e primo quindicennio del Novecento, anche con riferimento alla influenza del pensiero di Max Stirner contro “tutti i dogmi, i condizionamenti e i falsi convenzionalismi della società borghese”, Fabrizio Giulietti, Storia degli anarchici italiani in età giolittiana, Franco Angeli, 2012, pp. 40 e ss.

[14] Gian Carlo Jocteau, L’armonia perturbata. Classi dirigenti e percezione degli scioperi nell’Italia liberale, Laterza, 1988, pp. 133 e ss., ben sottolinea l’utilizzo strumentale della “paura” e la conseguente accettazione di una “prevenzione-repressione”, evincibile nei rapporti dei prefetti dal 1878 al 1884 ove venivano enfatizzati più gli aspetti temuti che quelli realmente verificatisi negli scioperi. Evidenzia ancora l’A. la commistione tra l’azione “preventiva” di polizia con l’azione repressiva tipica “in base a una normativa ambigua, che relegava lo sciopero nel novero dei reati o, quanto meno, dei non diritti”.

[15] Seppur con riguardo al confino di polizia fascista, mette in luce la funzione dei dispositivi preventivi a fungere da surrogato di un diritto penale che non poteva essere applicato, Camilla Poesio, Il confino di polizia, la <<Schutzhaft>> e la progressiva erosione dello Stato di diritto, in Luigi Lacchè (a cura di), Il diritto del duce: giustizia e repressione nell’Italia fascista, Donzelli, 2015, pos. 3497.

[16]  “Sin dal loro apparire nell’ordinamento del neonato Stato unitario, le misure di prevenzione veicolavano l’idea che – in contesti afflitti da forme diffuse e radicali di criminalità, favorite dalla debolezza del sistema sociale – la difesa della collettività va (può essere) condotta attraverso strumenti di coercizione espressivi di <<un duplice livello di legalità.>>”, con la nota limpidezza, Vincenzo Maiello, La legislazione penale, cit., p. 300 e ss. Altresì, Mario Sbriccoli, Caratteri originari e tratti permanenti del sistema penale italiano (1860-1990) in Storia d’Italia. Annali, 14, Legge Diritto Giustizia, a cura di L. Violante, Einaudi, 1998, pp. 485 e ss., nonché Luigi Lacchè, Uno sguardo “fugace”. Le misure di prevenzione in Italia tra ottocento e novecento, Rivista Italiana di diritto e procedura penale, 2017, fascicolo 2, pp. 413-438, Id., La paura delle <<classi pericolose>>. Ritorno al futuro? in Quaderni di storia del penale e della giustizia, n. 1, 2019, pp. 159-178.

[17] Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 30 giugno 1889, n. 5888, che prevedeva a carico dei soggetti indicati le figure dell’ammonizione, vigilanza speciale e del domicilio coatto, in forma ingravescente.

[18] Sullo sdoppiamento del sistema preventivo-repressivo, centrale resta l’analisi di Ernst Fraenkel, Il doppio Stato. Contributo alla teoria della dittatura, Einaudi, 1974, p. 196: “Si dovrebbe pertanto parlare di doppio Stato solo quando il potere statale è organizzato strutturalmente in modo unitario, mentre la sua gestione è esercitata funzionalmente con metodi differenti”. Altresì, Luigi Ferrajoli, Diritto e Ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza, 1989, pp. 795 e ss., Franco de Felice, Doppia lealtà e doppio Stato, in Studi Storici, 1989, anno 30, n. 3, pp. 493-563, Pasquale Troncone, Controllo penale e teoria del doppio Stato, ESI, 2006.

[19] Enrico Ferri, Socialismo e criminalità, Fratelli Bocca, 1989.

[20] Mario Sbriccoli, La penalistica civile, in Aldo Schiavone, (a cura di), Stato e cultura giuridica in Italia dall’Unità alla Repubblica, Laterza, 1990.  Francesco Tagliarini, Pericolosità (voce), Enciclopedia del Diritto, XXIII, Giuffrè, 1983, pp. 7-8. Armando Vittoria, La scelta dell’autorità. Governo della sicurezza, magistratura e crisi delle istituzioni nell’Italia di fine secolo (1879-1899), Pisanti, 2011, pp. 35-47.

[21] Nell’applicazione dell’ammonizione, la normativa previde la sostituzione del Presidente del Tribunale con la commissione provinciale, composta da membri del potere esecutivo. Sul punto, Luigi Lacchè, Tra giustizia e repressione: i volti del regime fascista, in Luigi Lacchè (a cura di), Il diritto del duce, cit., e-book, pos. 138 e ss.

[22] Con riferimento alla confisca di prevenzione, di pene nascoste scrive Francesco Mazzacuva, Le pene nascoste: Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico, Giappichelli, 2017, 166 e ss.

[23] Per una metodologia di ricostruzione storica attraverso l’utilizzo nel tempo dei “concetti fondamentali”, si veda Reinhart Koselleck, Il vocabolario della modernità, Il Mulino, 2009, pp. 8 e ss., Id., Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, Clueb, 2007, 89 e ss.

[24] Sul tema, imprescindibile è la ricostruzione di Ernst H. Kantorowicz, I due corpi del re, Einaudi, 2012, pp. 47 e ss.

[25] Ancora una volta, Michel Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., Lezione dell’8 febbraio 1978, p. 99: “La metafora del pastore, il riferimento al pastorato permettono di designare un certo tipo di rapporto tra il sovrano e il dio: infatti, se Dio è il pastore degli uomini, e se anche il re è il pastore degli uomini, il re diventa in qualche modo un pastore subalterno... Il pastorato è un tipo di rapporto fondamentale tra Dio e gli uomini, e il re partecipa in un certo senso di questa struttura pastorale che caratterizza il rapporto tra Dio e gli uomini.”.

[26] <<Che lo ‘Stato’ sia alla fine è vero, questo Dio mortale è morto>>, Carl Schmitt, Carteggio, in <<Filosofia politica>>, XVII, 2003, n. 2, p. 193.

[27]L'anzidetto riflesso [l’oggettiva pericolosità del mantenimento di cose illecitamente acquisite] finisce, poi, con l'"oggettivarsi", traducendosi in attributo obiettivo o "qualità" peculiare del bene, capace di incidere sulla sua condizione giuridica …  Ma se così è, balza evidente che siffatta connotazione di pericolosità resta impressa alla res, indipendentemente da qualsiasi vicenda giuridica della sua titolarità”, Cass. pen. Sezioni Unite, 26 giugno 2014, n. 4880, ric. Spinelli.

[28] Come noto, a mente degli articoli  24, 45 e 48 del Codice antimafia e delle misure di prevenzione, le somme di denaro ed i beni mobili confiscati, ove non debbano essere utilizzati per il risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso, sono impiegati per il conferimento di borse di studio, mentre i beni immobili sono mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, ordine pubblico, protezione civile, sempre ove non debbano essere conferiti alle vittime di mafia, ovvero dati in concessione dagli enti territoriali pubblici a comunità giovanili, organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, comunità terapeutiche e centri di recupero di tossicodipendenti, operatori dell’agricoltura sociale, enti parco nazionali e regionali.

[29] Mario Sbriccoli, Crimen laesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna, Giuffrè, 1974, pp. 82 e ss.

[30] L’esperienza dei “morti insepolti nelle guerre e nei campi di sterminio” ha segnato il “secolo breve” e costituito il senso di umanità (e corresponsabilità) di ogni persona per (l’omicidio iscritto nel) la morte del proprio simile. In tal senso, Emmanuel Lévinas, Umanesimo dell’altro uomo, Il Melangolo, 1985, pp. 95 e ss. Inoltre, non può prescindersi dal significato alto che traspare dalle pagine di Giorgio Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, 2005, p. 129 e ss., secondo le quali il “campo” ha assunto nel Novecento la dimensione materiale dello stato di eccezione che si fa regola. In ambito penalistico, Gabriele Fornasari, ‘Right to punishment’ e principi penalistici. Una critica della retorica anti-impunità, ESI, 2023, pp. 74 e ss., evidenzia i riflessi sul piano della dogmatica e dell’applicazione dei principi di rilievo costituzionale provocati da uno sbilanciamento del sistema verso una prospettiva ‘vittimo-centrica’, esito della esplosione della giustizia mediatica e della ‘convenienza politica’ a porsi a difesa delle ragioni della vittima e a sfavore dell’imputato. In area filosofica, si veda Daniele Giglioli, Critica della vittima. Un esperimento con l’etica, Nottetempo, 2014, e-book, pos. 254 e ss, ove l’Autore mette in evidenza l’insindacabilità concettuale del dispositivo vittimario, che, in analogia con il “Discorso del Padrone” di Jacques Lacan ... “sulla base di una regola fondata solo in sé stessa, ma supplementata dal diritto al risarcimento di cui la vittima gode, impone il tono della replica, fissa il contesto, detta i termini del confronto e proibisce che li si cambi, per il bene (supposto) del suo interlocutore”. Si veda, inoltre, la ricostruzione storica di Giovanni de Luna, La repubblica del dolore. Memorie di un’Italia divisa, Feltrinelli, 2015, e-book, pos. 1257 e ss.: “Il termine che viene riproposto in tutte le leggi che abbiamo esaminato è quello di "vittime". Ricorre con tanta insistenza da poter essere effettivamente considerato la spia linguistica del tentativo di tenere insieme la Resistenza e i "ragazzi di Salò", le foibe e i lager, il terrorismo delle Br e la mafia attraverso la costruzione, nel segno della compassione per le vittime, di "una memoria avvinta dall’emozione e assorbita dalla sofferenza". Evidenzia la “usurpazione” che la posizione di Vittima compie sulla identità reale del soggetto narrante, Davide de Santis, Beato il mondo che non ha bisogno di vittime! L’empowerment del richiedente asilo, in Flora Di Donato (a cura di), Accesso all’audizione nella procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, Editoriale Scientifica, 2024, 285 e ss.

[31] Così prevista sul piano semantico dalla Legge Galvagno del 1852.

[32] Sul punto, ritorna ancora una volta la profonda ricostruzione di Giorgio Agamben in Homo Sacer, cit., p. 60 e ss., che, richiamando la “semplice forma della legge” di Immanuel Kant (“Die bloß Form des Gesetzes”, Critica della ragion pratica, Il Mulino, 2022), scrive: “Kant chiama <<rispetto>> (Achtung, attenzione reverenziale), la condizione di chi si trova a vivere sotto una legge che vige senza significare, senza cioè prescrivere né vietare alcun fine determinato”. L’Autore richiama inoltre gli scambi epistolari tra Walter Benjamin e Gershom Scholem [Lettere (1913-1940), Einaudi, 1978] intervenuti sulla parabola kafkiana dell’uomo di campagna di fronte alle porte della Legge (“Davanti alla Legge”, ne Il processo, Adelphi, 2020), in relazione a cui Benjamin scrive di <<legge che ha perduto il suo contenuto, cessata di esistere come tale, ridotta a pura forma, a “vigenza senza significato” (“Geltung ohne Bedeutung”) e confusa con la vita stessa>>. Agamben così conclude: “Poiché la vita sotto una legge che vige senza significare assomiglia alla vita nello stato di eccezione, in cui il gesto più innocente o la più piccola dimenticanza possono avere le conseguenze più estreme. Ed è esattamente una vita di questo genere, in cui la legge è tanto più pervasiva in quanto manca di qualsiasi contenuto e un colpo battuto distrattamente su un portone scatena processi incontrollabili, quella che Kafka descrive.

[33] Per un’analisi della categoria dei cosiddetti devianti sociali e per la tendenza degli esclusi a radicalizzare il rifiuto delle norme sociali riguardanti la condotta e le caratteristiche personali, si veda Erving Goffman, Stigma. Note sulla gestione dell’identità degradata, Ombre Corte, 2020, pp. 150 e ss.

[34] Geminello Preterossi, Teologia politica e diritto, Laterza, 2022, p. 213, evidenzia che ...” Il potere può essere fondato solo dal basso, e al principio di legittimità trascendente si è sostituita un’immanenza capace di eccedenza, ovvero di rappresentazione (il popolo, appunto) ... Da questo punto di vista, la sacralizzazione del popolo è un surrogato dell’unzione sacra del monarca

[35] Anonimo Normanno, in Ernst H. Kantorowicz, cit., p. 47.

[36] Sempre attuale la ricostruzione antropologica di René Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, 1980, cap. 2, pp. 63 e ss., in particolare sul processo diffusivo e indifferenziato della violenza all’interno delle comunità arcaiche, arginato solo dal rituale della crisi sacrificale.

[37]Bodin e Hobbes affrontarono il problema [della guerra civile] in maniera differente, ma le conclusioni a cui giunsero furono per un verso molto simili, poiché entrambi ritenevano che uno stato non potesse mantenersi stabile, e non fosse in grado di fornire ai suoi cittadini e sudditi la sicurezza che intendeva garantire.”, Anthony Pagden, Oltre gli stati. Poteri, popoli e ordine globale, Il Mulino, 2023, p. 34.

[38]Dal punto di vista umano il legame tra protezione e obbedienza rimane l’unica spiegazione del potere. Chi non ha il potere di proteggere qualcuno non ha nemmeno il diritto di esigerne l’obbedienza. E viceversa: chi cerca protezione e la ottiene non ha il diritto di negare la propria obbedienza.”, Carl Schmitt, Dialogo sul potere, Adelphi, 2017, p. 17.

[39]Con tale espressione [Stato etico] mi riferisco – come dirò più avanti – a una concezione olistica – che possiamo definire «statolatra» – che fa dello Stato stesso la fonte dell’etica e che nei confronti dei cittadini (in realtà sudditi) assume una funzione paternalistica”, Augusto Barbera, Laicità. Alle radici dell’Occidente, Laterza, 2023, p. 64.

[40] Mario Sbriccoli, Dissenso politico e diritto penale in Italia tra otto e novecento, Quaderni fiorentini, 1973, 2, pp. 607 e ss.

[41]  Tullio Padovani, Reati contro la personalità dello Stato, Enciclopedia del Diritto, XLIII, 1990 pp. 815 e ss. Anselm Feuerbach, Kritik des kleinschrodischen Entwurfe su einem peinlichen Gesetzbuchs für die Cher-Pfalz-Bayerischen Staaten, III, Giessen, 1804, p. 33 e ss.: “Questo concetto che determina l’alto tradimento semplicemente in base all’intenzione senza considerare in forma stretta la conformazione propria della condotta, è adeguato ad una legislazione morale che voglia sottoporre al giudice atteggiamenti interiori di alto tradimento, non per una legislazione”.

[42]La finalità della ragion di stato è lo stato stesso, così Michel Foucault, cit., Lezione del 15 marzo 1978. “Per tutti i contrattualisti europei della generazione precedente e per i loro eredi liberali le qualità morali dello stato e della nazione potevano essere conferite allo stato stesso solo dai singoli individui che ne facevano parte. Secondo Hegel, al contrario, lo Staat è un’entità morale sufficiente a sé stessa che, sebbene in qualche modo emerga dai suoi membri, tuttavia infonde su di loro un’essenza etica.”, Anthony Pagden, cit., p. 39.

[43] Vincenzo Maiello, in Clemenza e sistema penale, ESI, 2007, pp. 36 e ss., evidenzia come anche con riguardo al potere di clemenza, il relativo titolo di legittimazione sia stato fino all’ingresso della Costituzione del 1948, il potere di autorità, “diretta espressione del principio di ‘sovranità interna’ … dello Stato nazionale, per ciò stesso ponendosi come fattore eversivo dei postulati e delle regole che definiscono la categoria – politica, filosofica e giuridico-istituzionale – dello Stato di diritto.

[44]I principi di materialità, tipicità, irretroattività, offensività e sussidiarietà contrassegnano, invece, il diritto penale di uno Stato improntato al valore della laicità. Il punto di riferimento di tali valori è oggi la Costituzione repubblicana...”, Augusto Barbera, Laicità, cit. p. 72.

[45] L’idealismo tedesco condurrà poi alla elaborazione hegeliana dello Stato etico, in opposizione alla visione contrattualista di John Locke: “Lo Stato è l’incedere di Dio nel mondo”, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, 1974, p. 333.

[46]Ma la civiltà odierna più non tollera la parola eccezione nel giure penale. Eccezione significa deviamento dalle regole assolute di giustizia: e questo è tale concetto che non può rendersi accettabile per nessun argomento di supposta utilità, o di vedute politiche o di odio speciale contro certi reati.”, Francesco Carrara, Programma del corso di diritto criminale dettato nella R. Università di Pisa, Tipografia Giusti, 1868-1875.

[47]La specifica distinzione politica alla quale è possibile ricondurre le azioni e i motivi politici, è la distinzione di amico (Freund) e nemico (Feind)”, Carl Schmitt, Il concetto di ‘politico’, in Le categorie del ‘politico’, Il Mulino, 1986, p. 108. Inoltre, Massimo Donini, Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e sussidiarietà, Giuffrè, 2004, p. 54.

[48]Il mutamento della sua fonte di legittimazione esterna … ha in molti casi prodotto una ‘giustizia politica’ alterata nella logica interna rispetto ai canoni ordinari: non più attività cognitiva basata sull’imparzialità del giudizio, ma procedura decisionistica e inquisitoria fondata sul principio amico/nemico e sorretta, ben più che dalla stretta legalità, dal consenso maggioritario dei partiti e dell’opinione pubblica”, Luigi Ferrajoli, cit. p. 853. “La giurisdizione occupa infatti un livello di controllo della contesa sui diritti, mentre non è lo strumento per combattere al meglio i nemici.”, Massimo Donini, Mafia e terrorismo come “parte generale” del diritto penale. Il problema della normalizzazione del diritto di eccezione, tra identità costituzionale e riserva di codice, DisCrimen, 30 maggio 2019.

[49] John Dickie, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, Laterza, 2007, pp. 319 e ss.

[50] Luigi Chiara, Stato di diritto e logica dell’emergenza. Dalla legge Reale alla legislazione sui pentiti, in Patrizia Dogliani, Marie-Anne Matard-Bonucci, Democrazia insicura, Donzelli, 2017, pp. 167 e ss., evidenzia come la violenza della lotta politica e quella delle organizzazioni criminali di tipo mafioso abbiano prodotto ... “un’accelerazione negli indirizzi simbolici del nostro paese”, anche attraverso l’utilizzo compulsivo della decretazione d’urgenza, in mancanza di un principio costituzionale sullo stato di eccezione.

[51]Nessuno può dunque sfuggire alla logica immanente del pensare per valori. Non importa che il valore sia soggettivo, formale o materiale; non appena appare, si attiva inevitabilmente uno specifico meccanismo mentale, connaturato ad ogni pensare per valori. Il carattere specifico del valore risiede infatti nell’avere non già un essere ma una validità.”, Carl Schmitt, La tirannia dei valori, Adelphi, 2012. Sui diritti dell’uomo come nuova “religione civile”, si veda Jean-Louis Harouel, I diritti dell’uomo contro il popolo, Liberilibri, 2018, p. 23 e ss. Volendo cedere ancora a suggestioni, questa volta sull’ampliamento nel corso del Novecento degli orizzonti di tutela ad opera di grandi sommovimenti ideologici, un ruolo di espansione di azioni pubbliche volte a una sorta di “riallineamento morale e sociale” può averlo avuto anche la parabola dell’ideale comunista, sia nella fase di stabilità, sia soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino, quando verosimilmente nella coscienza comune si è re-iscritta l’esigenza di conservare la promessa solidaristico-egualitaria posta a base della dottrina, contro l’affermazione definitiva di una logica individuale e neo-liberista. (“Lotta di classe, dittatura del proletariato, marxismo-leninismo sono scomparsi a beneficio di ciò che si pensava avessero sostituito: la società borghese, lo Stato democratico liberale, i diritti dell’uomo, la libertà d’impresa”, François Furet, Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX secolo., Mondadori, 1995, pp. 3 e ss.).

[52]Esclusa l'interpretazione, inammissibilmente angusta, che la "sicurezza" riguardi solo l'incolumità fisica, sembra razionale e conforme allo spirito della Costituzione dare alla parola "sicurezza" il significato di situazione nella quale sia assicurato ai cittadini, per quanto è possibile, il pacifico esercizio di quei diritti di libertà che la Costituzione garantisce con tanta forza. Sicurezza si ha quando il cittadino può svolgere la propria lecita attività senza essere minacciato da offese alla propria personalità fisica e morale; è l'"ordinato vivere civile", che è indubbiamente la meta di uno Stato di diritto, libero e democratico”, Corte costituzionale, 23 giugno 1956, n. 2 (Sentenza).

[53] Hans Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Einaudi, 2000, pp. 47-137. Per un accostamento parzialmente critico al liberalismo del Maestro viennese, sempre attuali restano le argomentazioni di Gaetano Pecora, La democrazia di Hans Kelsen. Una analisi critica, ESI, 1992, pp. 15 e ss.

[54] Hans Welzel, Naturalismus und Wertphilosophie im Strafrecht, Deutsches Druck- und Verlagshaus, Mannheim, Berlin, Leipzig, 1935.

[55] Dario Santamaria, Prospettive del concetto finalistico di azione, Jovene, 1955. Carlo Fiore, Il reato impossibile, Jovene, 1959, Id., Azione Finalistica, in Enciclopedia giuridica, 1988. Angelo Raffaele Latagliata, I principi del concorso di persone nel reato, Morano, 1964.

[56]Il periodo successivo alle agitazioni sociali del 1968-1969 fu caratterizzato da uno straordinario attivismo dei magistrati ... orientato largamente alla promozione dei diritti e dei principi contenuti nella Costituzione e in particolare alle prospettive di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, II, C.”, Carlo Chimenti, Gli organi costituzionali nella forma di governo italiana, Giappichelli, 1989.

[57] Si pensi alla legge sul divorzio, alla riforma del diritto di famiglia, allo Statuto dei lavoratori, all’attuazione dell’ordinamento regionale.

[58]la rivista nasce eretica...per dovere morale e sociale. Non crediamo al neutralismo del diritto; crediamo invece che la giustizia debba o possa contribuire ad attuare le promesse di uguaglianza, non solo formali, imposte dalla Costituzione” (Qualegiustizia, n. 1, 1970). Per questo come per tutti gli altri riferimenti, il rinvio è ad Antonella Meniconi, Storia della magistratura italiana, Il Mulino, 2013, pp. 313 e ss.

[59] ANM, Atti e commenti XII Congresso Nazionale Brescia – Gardone, 25-28 IX 1965, Jasillo, 1966, p. 13. Nell’ordine del giorno adottato dopo la relazione introduttiva di Giuseppe Maranini – nella quale, tra l’altro, si individuano due tipi di indirizzo politico: quello contingente (espresso dal legislatore e dal governo) e quello di regime o costituzionale (consacrato dalla Costituzione scritta) - si respingeva la pretesa di “ridurre l’interpretazione ad una attività puramente formalistica, indifferente al contenuto ed all’incidenza concreta della norma nella vita del paese”. La mozione adottata concordemente tra le tre correnti associative di Magistratura Democratica, Magistratura Indipendente e Terzo Potere, precisava che ... “la Costituzione ha codificato determinate scelte politiche fondamentali, imponendole a tutti i poteri dello Stato, ivi compreso quello giudiziario, e attribuendo a quest'ultimo, oltre che al Capo dello Stato e alla Corte costituzionale, il compito di garantirne il rispetto... Spetta al giudice, in posizione di imparzialità e indipendenza nei confronti di ogni organizzazione politica e di ogni centro di potere: 1) applicare direttamente le norme della Costituzione quando ciò sia tecnicamente possibile in relazione al fatto concreto controverso; 2) rinviare all'esame della Corte Costituzionale le leggi che non si prestino ad essere ricondotte nel momento interpretativo al dettato costituzionale; 3) interpretare tutte le leggi in conformità ai principi contenuti nella Costituzione, che rappresentano i nuovi principi fondamentali dell'ordinamento giuridico statuale.”  Si veda, altresì, la critica opposta da Temistocle Martines, in Indirizzo politico (voce), Enciclopedia del diritto, XXI, Giuffrè, 1971, p. 158: “Non esiste un indirizzo politico dei giudici (o della magistratura), ma esistono i giudici quali operatori politici, in quanto istituzionalmente chiamati ad incidere sulla realtà sociale per il fatto stesso che ad essi spetta di risolvere controversie in conformità alla legge o di reintegrare l’ordinamento giuridico violato”.

[60] Luciano Violante, Magistrati, Einaudi, 2009, pp. 40 e ss. Un capitolo autonomo è costituito da quella parte del rapporto conflittuale tra magistratura e politica che Alessandro Pizzorno, Il potere dei giudici, Laterza, 1998, pp. 62-63 definisce come controllo di virtù, fondato sullo spostamento della scelta dei candidati non su capacità tecnico-politiche ma su qualità morali, con richiesta sociale di controllo sui relativi comportamenti.

[61] Si veda l’intervista rilasciata dai magistrati Pietro Calogero, Giancarlo Caselli, Armando Spataro, Pier Luigi Vigna dal titolo A nostro modesto giudizio, in L’Espresso (a cura di Maurizio de Luca e Franco Giustolisi), anno XXVI, n. 25, 22 giugno 1980.

[62] Quattordici sono stati i magistrati trucidati dalla mafia: Pietro Scaglione, Francesco Ferlaino, Cesare Terranova, Gaetano Costa, Gian Giacomo Ciaccio Montalto. Bruno Caccia, Rocco Chinnici, Alberto Giacomelli, Antonino Saetta, Rosario Angelo Livatino, Antonio Scopelliti, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino.

[63] L’anticipazione giurisprudenziale delle modifiche riguarderà in particolare: l’eliminazione del requisito dell’attualità della pericolosità sociale in caso di applicazione della misura patrimoniale, anticipata dalla giurisprudenza di legittimità sulla presunzione di attualità dell’appartenenza all’associazione mafiosa (Cass. Sez. I, 10.7.97, Fraglica, RV. 208391; conforme, Sez. II, 10.1.97, Bontempo Scavo, RV. 206854); l’impossibilità di giustificare la sproporzione con i redditi provenienti da evasione fiscale, anticipata dalla giurisprudenza (Cass. sez. II, c.c., 15.1.96, Anselmo, Cass. Pen. 1997, p. 534, n. 340) incentrata sulla mancata distinzione normativa tra beni derivanti da attività illecite di tipo mafioso o meno, ritenuta in linea con la finalità di sottrarre le disponibilità, “qualunque disponibilità”, al soggetto sospettato di appartenere all’associazione mafiosa; la disgiunzione tra misura personale e patrimoniale, attuata dall’art. 10 della L. 125/08, anticipata dalle sentenze sulla proponibilità del sequestro/confisca nei confronti dell’erede del soggetto pericoloso (Cass. Pen., Sezioni Unite, 3 luglio 1996, n. 18, ric. Simonelli.

[64] Argomento di straordinaria attualità e rilevanza, particolarmente riguardo alla formazione delle opinioni e delle credenze nel tempo corrente. Preoccupazione per la deformazione della “percezione della sfera pubblica politica” degli utenti esclusivi dei social media manifesta Jürgen Habermas, Nuovo mutamento della sfera pubblica e politica deliberativa, Raffaello Cortina, 2023, pp. 6 e ss.: “Le piattaforme digitali, infatti, non solo invitano alla produzione spontanea di mondi propri confermati intersoggettivamente, bensì sembrano anche conferire all’ostinazione di queste isole comunicative il rango epistemico di sfere pubbliche in competizione”.  Sostiene Luciano Floridi in Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale, Raffaello Cortina, 2019, pp. 123 e ss., che la conoscenza della realtà, il modo in cui essa è rappresentata e la stessa riconfigurazione del soggetto non possono oggi più prescindere da una ‘filosofia dell’informazione’, dal suo dinamismo, dai suoi flussi e dal modo in cui l’informazione stessa viene processata. Maurizio Ferraris, Documanità. Filosofia del mondo nuovo, Laterza, 2021, pp. 41 e ss. sviluppa il tema del web come: archivio nel quale dominano la viralità, la persistenza, la mistificazione delle informazioni nonché la frammentazione specialistica delle fonti; luogo, il web stesso, in cui si infrangono le quattro regole della ‘postverità’ (qualità, non reticenza/ridondanza, pertinenza, non ambiguità dell’informazione), concludendo che esso è una immensa memoria produttiva di azioni performative, costitutiva della realtà stessa, mobilitativa, non deliberata ma frutto dell’incrocio di più emergenze, opaca e dunque non esplicativa ma al contrario bisognevole di essere chiarita. ”Byung-Chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale, Nottetempo, 2015, p. 19 e ss., identifica diverse dinamiche sociali del contemporaneo capaci di incidere sulla sfera pubblica, come, in particolare, quella della “indignazione”: “L’insistenza, l’isteria e la riottosità tipiche della società dell’indignazione non ammettono nessuna comunicazione discreta, obiettiva, nessun dialogo, nessun discorso. Il contegno, però, è costitutivo per la sfera pubblica; la distanza, però, è necessaria per la costruzione della sfera pubblica. Le ondate di indignazione, inoltre, presentano un’identificazione minima con la società, dunque non costruiscono alcun Noi stabile, che mostri una struttura di cura per la società nel suo complesso. Anche la preoccupazione dei cosiddetti indignati non è per la società nel suo complesso, ma è piú che altro cura di sé.”, e quella della “trasparenza”: “Sotto il diktat della trasparenza non si arrivano a discutere neppure opinioni divergenti o idee non convenzionali: difficilmente si rischia qualcosa. L’imperativo della trasparenza genera una potente costrizione al conformismo. Come la continua videosorveglianza, esso induce la sensazione di essere osservati: in ciò consiste il suo effetto panottico. Si giunge infine a un livellamento della comunicazione o alla ripetizione dell’Uguale”.

[65]L’ozio e il vagabondaggio … sono un delitto eccezionale … Se propongo una disposizione eccezionale egli è perché qui si tratta di un delitto eccezionale, il quale, come ho già detto, è occasione e fonte di tutti gli altri reati e crimini … [Essendo] origine di tutti gli altri [richiede per speciale considerazione] che siano forniti al governo i mezzi necessari per reprimerli vigorosamente”, Parlamento subalpino, Camera dei deputati, sessione del 1851, tornata del 28 gennaio 1852, Italo Mereu, cit., pp. 198 e ss. Luca Scuccimarra, Semantiche della paura. Un itinerario storico-concettuale, in AA.VV., La paura. Riflessioni interdisciplinari per un dibattito contemporaneo su violenza, ordine, sicurezza e diritto di punire, in Quaderni di storia del penale e della giustizia, EUM, n. 1/2019, pp. 17 e ss. Raffaele Bianchetti, La paura del crimine. Un’indagine criminologica in tema di mass media e politica criminale ai tempi dell’insicurezza, Giuffrè, 2018, pp. 269 e ss.

[66] “«Uno Stato che aveva bisogno di saperi capaci di includere o escludere dal progetto politico individui, gruppi, e persino intere popolazioni». La “questione criminale” assunse in Italia uno spazio “politico” senza eguali in altri contesti nazionali tra Otto e Novecento. L’insistenza sul delinquente-nato e sulla prevenzione – temi fondamentali del positivismo – produsse una mentalità e alcune parole d’ordine destinate a incidere più sulle istituzioni (polizia, carcere, ecc.) che sulla legislazione e sulle scelte di politica penale “, Luigi Lacchè, La paura delle <<classi pericolose>>, cit., 2019, n. 1, pp. 159-178.

[67]Lo storico tedesco Friedrich Meinecke affermava nel 1908 che, nello stato, l’universale diventò nazionale e il nazionale universale; quindi lo stato fu nazionalizzato e la nazione politicizzata. In tal modo Meinecke evidenziava che lo stato-nazione era l’appropriazione dell’universale. Oggi, tuttavia, l’universale sta cominciando a recuperare il terreno perduto.”, Anthony Pagden, cit., p. 50. “Non c’è vita nazionale che non sia dominata da una vita collettiva di natura internazionale. Nella misura in cui si avanza nel corso della storia questi raggruppamenti internazionali assumono un’importanza e un’estensione maggiore”, Émile Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa. Il sistema totemico in Australia, Mimesis, 2013, p. 57.

[68] Sul punto specifico, si veda Maria Rosaria Ferrarese, Poteri nuovi. Provati, penetranti, opachi, Il Mulino, 2022, p. 33 e ss.

[69] Sul tema, Guido Corso, Ordine Pubblico (diritto pubblico), in Enciclopedia del Diritto, XXX, 1980, pp. 1057-1083. “Il <<diritto fondamentale alla sicurezza>> ha divorato gli altri diritti”, così Massimo Donini, Diritto penale di lotta, in Studi sulla questione criminale, II, n. 2, 2007, pp. 81, parafrasando il titolo dell’opera di Josef Isensee.

[70] ”Byung-Chul Han, Nello sciame, cit., p. 19 e ss.

[71] Chris Anderson, The End of Theory: The Data Deluge Makes the Scientific Method Obsolete, Wired, 23 giugno 2008, in www.wired.com. “L’interesse di uno stato di polizia riguarda ciò che fanno gli uomini, la loro attività, la loro “occupazione”. L’obiettivo della polizia è il controllo e la presa in carico dell’attività degli uomini in quanto tale attività può costituire un elemento differenziale nello sviluppo delle forze dello stato.”, Michel Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 233.

[72] L’ipotesi era nata come art. 434-bis c.p. e risultava una agghiacciante quanto indeterminata limitazione quantomeno del diritto costituzionale di riunione, quando dal fatto “può” derivare un pericolo per l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica o la salute pubblica, con pena da uno a tre anni di reclusione per il soggetto che vi prende semplicemente parte e da tre a sei anni per l’organizzatore o promotore, con il solito incremento del catalogo delle ipotesi di pericolosità qualificata ai fini dell’applicazione di misure personali e patrimoniali di prevenzione. A seguito di una levata di scudi da parte della dottrina (si veda nota successiva), la fattispecie è stata temperata dei suoi aspetti più scabrosi (punizione per i soli organizzatori o promotori, limitazione degli eventi al pericolo concreto per la salute o incolumità pubblica, maggiore determinatezza delle cause del pericolo, eliminazione dell’inserimento del delitto nella sua forma indiziaria all’interno dell’articolo quattro del Codice antimafia).

[73] Stefano Fiore, Rave party. Lo stigma sulla controcultura giovanile, Diritto penale e processo, n. 2/23, pp. 233-242 scrive di ... “attitudine repressiva che affida al diritto penale il compito di stigmatizzare ancor prima di condotte socialmente dannose, modelli culturali alternativi con i quali non si ha evidentemente voglia o capacità di confrontarsi”. Di “fattispecie poliziesca tutta sbilanciata (dalla scelta delle pene alle misure “antimafia”) su esigenze di prevenzione” scrive Carlo Ruga Riva, Indietro (quasi) tutta. Sulla nuova fattispecie di invasione di terreni o edifici altrui pericolosa per la salute o incolumità pubblica, www.sistemapenale.it. Di norma che … “sembra rispondere a quelle pulsioni inquisitorie che avevano caratterizzato i periodi oscuri del nostro passato”, scrive Ettore Grenci, Rei di “rave”, www.dirittodidifesa.eu, 5 novembre 2022.

[74] Per Hartmut Rosa, Accelerazione e alienazione. Per un teoria critica del tempo nella tarda modernità, Einaudi, 2015, e-book, pos. 1074 e ss., le norme sociali insite nella temporalità raggiungono ... “una qualità quasi totalitaria nella nostra epoca” e violano la “promessa di riflessività e autonomia che è il cuore della modernità”.

[75] I precedenti sono costituiti dal decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito nella legge 23 aprile 2009, n. 38 istitutivo, tra l’altro, del delitto di atti persecutori e dal decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 convertito nella legge 15 ottobre 2013, n. 119.

[76] Si veda la predisposizione di una prima questione di legittimità costituzionale redatta da Fabrizio Costarella e Cosimo Palumbo, responsabili dell’Osservatorio misure patrimoniali e di prevenzione UCPI, 21 febbraio 2024, in www.camerepenali.it.  Si veda altresì: “E continuano a chiamarlo codice antimafia. Brevi riflessioni sulla L. 24.11.2023, n. 168 recante disposizioni per il contrasto sulla violenza delle donne”, a cura di Luigi Petrillo, Osservatorio misure di prevenzione e patrimoniali UCPI, 4 marzo 2024, in www.camerepenali.it.