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27 Settembre 2021


Una ante-prima della pronuncia delle Sezioni Unite in tema di rimedio esperibile per far valere gli effetti della pronuncia della Corte costituzionale n. 24 del 2019

Cass., Sez. I, sent. 22 aprile 2021 (dep. 20 maggio 2021), n. 20156, Pres. Boni, est. Magi



1. Con ordinanza del 4 giugno 2021 (n. 23547), la Sezione I della Cassazione ha rimesso alle Sezioni unite la seguente quaestio: «Se, in tema di misure di prevenzione patrimoniale, ai fini della richiesta di applicazione degli effetti della pronuncia della Corte costituzionale 24 gennaio 2019 n. 24 a tutela della posizione dell'inciso, sia esperibile il rimedio della revocazione di cui all'art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 ovvero il rimedio dell'incidente di esecuzione di cui agli artt. 666 e 670 c.p.p.».

Trattasi di devoluzione certamente significativa non soltanto per la specifica tematica sottoposta al Supremo organo nomofilattico ma anche perché essa contiene importanti puntualizzazioni in ordine all’istituto di cui all’art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011: «diretto a che al giudicato sia sostituita una nuova, diversa pronuncia, all'esito di un nuovo, diverso, giudizio; affinché il giudizio sia ritenuto "nuovo", esso deve necessariamente fondarsi su elementi di indagine diversi da quelli compresi nel processo conclusosi con il giudizio precedente»[1].

Per “nuova prova” necessaria ad attivare il rimedio in oggetto, allora, viene richiamato il seguente principio di diritto: «In tema di confisca di prevenzione, di cui all'art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 129, sono prove sopravvenute rispetto alla conclusione del relativo procedimento, rilevanti ai fini della revoca, anche quelle preesistenti ma non valutate nemmeno implicitamente poiché scoperte dopo che la statuizione sulla confisca è divenuta definitiva»[2].

 

2. Il riportato orientamento ermeneutico, com'è noto, si inserisce in un filone giurisprudenziale che, a sua volta, trae origine dal risalente intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, secondo cui: «Il provvedimento di confisca deliberato ai sensi dell'art. 2-ter, comma terzo, L. 31 maggio 1975 n. 575 (disposizioni contro la mafia) è suscettibile di revoca "ex tunc" a norma dell'art. 7, comma secondo, L. 27 dicembre 1956 n. 1423 (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), allorché sia affetto da invalidità genetica e debba, conseguentemente, essere rimosso per rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell'errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l'irreversibilità dell'ablazione determinatasi, che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all'avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita»[3].

In siffatto, stratificato, contesto, si inserisce la sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, di declaratoria di illegittimità costituzionale della categoria della pericolosità sociale disciplinata dall'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011. Con tale pronuncia, invero, la Corte costituzionale ha ritenuto illegittima la previsione della categoria di pericolosità sociale di cui all'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n.159 del 2011, espungendo tale disposizione dall'ordinamento giuridico in conseguenza delle evidenti carenze di tassatività descrittiva della fattispecie censurata. La elaborazione normativa in questione, infatti, non soddisfaceva le esigenze di precisione imposte sia dall'art. 13 Cost. sia dall'art. 2 CEDU, risultando inidonea a disciplinare tanto le misure di prevenzione personali quanto le misure di prevenzione patrimoniali[4].

Sicché, la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011, relativamente alle misure di prevenzione personale, discendeva dal fatto che tali «genericissime [...] definizioni di un termine geneticamente vago come quello di "traffici delittuosi", non ulteriormente specificato dal legislatore, non appaiono in grado di selezionare, nemmeno con riferimento alla concretezza del caso esaminato dal giudice, i delitti la cui commissione possa costituire il ragionevole presupposto per un giudizio di pericolosità del potenziale destinatario della misura, per come affermato anche dalla Corte EDU nella sentenza de Tommaso e questa stessa Corte nella sentenza n. 177 del 1980»[5].

Considerazioni analoghe valgono per le misure di prevenzione patrimoniale, atteso che la norma censurata «anche se considerata alla luce della giurisprudenza che ha tentato sinora di precisarne l'ambito applicativo, non soddisfa le esigenze di precisione imposte tanto dall'art. 13 Cost., quanto, in riferimento all'art. 117, comma primo, Cost., dall'art. 2 del Prot. n. 4 CEDU per ciò che concerne le misure di prevenzione personali della sorveglianza speciale, con o senza obbligo o divieto di soggiorno; né quelle imposte dall'art. 42 Cost. e,in riferimento all'art. 117, comma primo, Cost., dall'art. 1 del Prot. addiz. CEDU per ciò che concerne le misure patrimoniali del sequestro e della confisca».

 

3. La Corte costituzionale, al contempo, è intervenuta sulla categoria della pericolosità sociale disciplinata dall'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, prescrivendo, per la sua integrabilità, la sussistenza di un «triplice requisito [...] per cui deve trattarsi di a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto, b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui, c) i quali a loro volta costituiscano [...] l'unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito [...]». Permane, quindi, la possibilità di applicare una misura di prevenzione patrimoniale nei confronti dei soggetti riconducibili alla categoria della pericolosità sociale di cui di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, rispetto alla quale si è evidenziato che la sussistenza dei requisiti prescritti deve essere verificata con riferimento al momento in cui si èconcretizzato l'arricchimento ingiustificato, con la conseguenza che «l'ablazione patrimoniale si giustificherà se, e nei soli limiti in cui, le condotte criminose compiute in passato dal soggetto risultino essere state effettivamente fonte di profitti illeciti, in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che s'intendono confiscare, e la cui origine lecita egli non sia in grado di giustificare [...]».

A prescindere da tanto, la Prima Sezione della Corte di cassazione ha dovuto affrontare una questione ermeneutica preliminare, concernente il rimedio processuale esperibile nelle ipotesi in cui sui presupposti applicativi della misura di prevenzione patrimoniale sia intervenuta la citata sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019. Non è, invero, dubitabile che l'esigenza di bilanciare il valore costituzionale del giudicato e quello della libertà personale, a fronte di una sanzione penale dichiarata illegittima, deve estendersi anche alle misure di prevenzione, personali e patrimoniali.

Tuttavia, sulle modalità con le quali tale, imprescindibile, rivalutazione del compendio probatorio posto a fondamento dell'originario provvedimento ablatorio deve essere effettuata, nel rispetto dei principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, esiste un radicato contrasto tra due orientamenti ermeneutici, tale da suggerire, per l’appunto, il ricorso all’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

 

4. Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, allo stato minoritario, nelle ipotesi in esame, deve ritenersi esperibile lo strumento dell'incidente di esecuzione, disciplinato dal combinato disposto degli artt. 666 e 670 c.p.p.[6] Deporrebbe in favore di una tale soluzione interpretativa, il complessivo tenore dell'articolo 28 in esame, il quale, al comma 3, sottende una generale limitazione di operatività delle ipotesi di revocazione da azionare non oltre i sei mesi dalla data di verifica del relativo presupposto. Il che condurrebbe alla conclusione in forza della quale anche l'ipotesi della revocazione volta ad eliminare l'ingiustizia di una decisione fondata su una disposizione ornai espunta dal sistema perché contraria alla Costituzione dovrebbe ritenersi soggetta ai medesimi limiti temporali di proposizione previsti dal citato comma 3. D’altra parte, le connotazioni della verifica imposta dalla intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che ha costituito la piattaforma legale della adozione di una misura di prevenzione patrimoniale presuppongono un differente contesto giurisdizionale rispetto a quello prefigurato dall'art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011. Alla stessa stregua di quanto accade nel sistema penale, laddove la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice intervenuta dopo il giudicato legittima la revoca della sentenza di condanna ex art. 673 c.p.p., anche per le misure di prevenzione dovrebbe ritenersi che l'intervento correttivo spetti al giudice che cura l'esecuzione, recuperando dal codice di rito la normativa di riferimento e adattando a tale procedimento l'incidente di esecuzione.

L'opzione ermeneutica in esame sembrerebbe sostenuta dalla posizione giurisprudenziale da tempo recepita dalle Sezioni Unite[7] che, intervenendo in relazione alle conseguenze sistematiche prodotte dalla sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 2014, n. 32[8], nell'ambito delle quali risaltava il problema del bilanciamento tra il valore della intangibilità del giudicato e l'esecuzione di una decisione penale rivelatasi successivamente illegittima, hanno sancito il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di incidere sul giudicato.

All'orientamento richiamato se ne contrappone un secondo, maggioritario, a tenore del quale nelle ipotesi in esame deve ritenersi esperibile lo strumento della revoca previsto dall'art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011: «In tema di misure di prevenzione, non sussiste la competenza del giudicedell'esecuzione a decidere sulla domanda di revoca del decreto definitivo con la quale si solleciti la verifica della permanenza della sua "base legale" in relazione all'inquadramento del sottoposto nella categoria di pericolosità generica di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 2019, trattandosi di domanda qualificabile come richiesta di revoca della misura, disciplinata, anche con riferimento alla competenza, dagli artt. 11, quanto alle misure di prevenzione personali, e 28, quanto a quelle patrimoniali, del citato d.lgs.»[9].

Si muove nella stessa direzione interpretativa, tendente a ritenere l'istituto revocatorio il rimedio processuale fisiologico per intervenire sul giudicato di una misura di prevenzione patrimoniale, per tutelare la posizione processuale dell'inciso a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, il seguente principio di diritto: «In tema di confisca di prevenzione, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 24 del 2019 è esperibile il rimedio della revocazione ex art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 avverso il provvedimento definitivo di applicazione della misura fondato sulla pericolosità generica ex art. 1, comma 1, lett. a) e b), al fine di far valere l'illegittimità della previsione di cui alla lettera a), ovvero la non ricorrenza dei presupposti legittimanti la misura nell'ipotesi di cui alla lettera b), secondo i criteri interpretativi indicati dalla Corte costituzionale»[10].

 

5. Orbene, la discussione del ricorso innanzi alle Sezioni Unite è fissata per l'udienza del 16 dicembre 2021.

E però, con decisione del 22 arile del 2021, n. 20156, sempre la Prima Sezione della Corte di cassazione non solo ha anticipato il possibile esito della controversia ermeneutica ma, addirittura, ha reputato non necessario il ricorso alle Sezioni Unite.

A parere del Supremo collegio di legittimità, la domanda, ritenuta valutabile in termini di incidente di esecuzione atipico, introdurrebbe una istanza di revocazione della misura di prevenzione, non potendosi ritenere applicabili le previsioni di cui agli artt. 670 o 673 c.p.p.

Più specificamente, la parte privata attiva una domanda di rivalutazione del giudizio di pericolosità soggettiva posto a base della confisca di prevenzione in rapporto ai contenuti della decisione n. 24 del 2019 Corte cost. e, di conseguenza, troverebbe operatività un recente arresto[11] ove si è precisato che nel corpus normativo rappresentato dal dlgs. n. 159 del 2011 il riferimento alle disposizioni di cui agli articoli 666 e seguenti del codice di procedura penale è stato operato a fini di “integrazione” delle disposizioni dettate per la fase della cognizione; il che escluderebbe che sia stata normativizzata – con trasposizione della disciplina penalistica nel codice antimafia – la fase procedimentale della «esecuzione» delle misure di prevenzione.

Dunque, pur non potendosi negare l'esistenza del generale principio per cui la «competenza esecutiva», intesa come titolarità del potere/dovere di regolamentare eventuali questioni interpretative del giudicato che incidono su diritti soggettivi è da riconoscersi anche nel sistema della prevenzione – in quanto attributo coessenziale alla funzione giurisdizionale –non può, al contempo, riconoscersi l'applicabilità al settore tipico della prevenzione delle disposizioni procedimentali contenute nel codice di rito penale in tema di esecuzione.

Ciò posto, le ricadute pratiche di tale approccio implicano che tutte le esigenze di «rivalutazione» di una decisione definitiva emessa in sede di prevenzione, siano correlate alla emersione di elementi di fatto, ovvero ad eventi di natura normativa, che devono trovare sede “naturale” di verifica giurisdizionale nei procedimenti con vocazione revocatoria, rappresentati dalle procedure di cui all'art.11 cod. ant. (nella ipotesi di misura esclusivamente personale) e art. 28 cod. ant. (lì dove venga in rilievo, anche in rapporto alla valutazione di pericolosità soggettiva operata in sede di cognizione, la revocazione della confisca).

Insomma, la procedura di cui all'art.28 cod. ant. diviene lo strumento introdotto dal legislatore al fine di apprezzare il «difetto originario» dei presupposti per l'adozione del provvedimento definitivo e, pur a fronte di una tipizzazione dei casi (mutuata dalla disciplina generale della revisione), consente di realizzare, in via interpretativa, il necessario adeguamento del sistema della prevenzione alle particolari sopravvenienze di cui si discute, rappresentate dalle conseguenze di una decisione del Giudice delle leggi[12].

 

6. Nonostante ciò, con la decisione del 22 aprile del 2021 – anteriore a quella del 4 giugno 2021 di devoluzione della problematica in disamina alle Sezioni Unite – pur a fronte di un diverso orientamento (citato in precedenza) secondo il quale lo strumento procedurale per addivenire all'apprezzamento delle ricadute della sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale di una previsione di legge “incidente” sulla confisca di prevenzione vada individuato nell'incidente di esecuzione (con applicazione analogica dell'art. 673 c.p.p.) e non nella revocazione ex art. 28 cod.ant., si è ritenuto di approfondire il tema controverso senza rimettere la questione alla valutazione del Massimo organo di nomofilachia.

Si è ritenuto, a tal uopo, che l’adozione dello strumento procedurale della revocazione (art. 28 cod.ant.) risulta in linea proprio con la necessaria rivalutazione post giudicato della conformità dei contenuti della decisione emessa in sede di cognizione rispetto alla complessa rielaborazione della base legale del giudizio di pericolosità soggettiva realizzata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 2019; anche allo scopo di allineare il sistema interno all'accertamento di violazione dell'art. 2 Prot. 4 Conv. Edu contenuto nella sentenza De Tommaso contro Italia emessa dalla GC Corte Edu il 23 febbraio del 2017.

In tale accezione, il Giudice delle leggi avrebbe realizzato una lettura complessiva delle disposizioni normative in tema di pericolosità semplice (art.1 cod. ant.) rilevando non soltanto la illegittimità costituzionale della disposizione di cui all'art.1, comma 1, lett. a), ma anche prescrivendo una determinata e tassativa lettura dei contenuti precettivi dell'art. 1, comma 1, lett. b), cod.ant.

Dunque, lì dove si ipotizzila necessità di un rinnovato apprezzamento, in concreto, della base legale dell'ablazione patrimoniale, l'incidente di esecuzione, proprio perché caratterizzato dalla mera “presa d’atto” dell’effetto abolitivo della norma, non risulta essere lo spazio procedurale idoneo allo scopo.

Da ciò la condivisibile considerazione secondo cui all'incidente di esecuzione, modellato sulla falsariga della previsione di cui all'art. 673 c.p.p., potrebbe farsi ricorso nelle sole (peraltro infrequenti) ipotesi in cui la disposizione regolatrice della condizione di pericolosità sia stata precisamente individuata in quella di cui all’art. 1, comma 1, lett. a), del cod. ant. dichiarata costituzionalmente illegittima.

Ma in tutte le ipotesi in cui il giudice della cognizione – in prevenzione – non risulti aver individuato con assoluta precisione la fattispecie legale di pericolosità o risulti aver compiuto un inquadramento «misto», è evidente che l'apprezzamento giurisdizionale della «incidenza» del decisum del Giudice delle leggi non potrebbe essere quello del mero incidente esecutivo, dovendosi necessariamente riaprirsi uno spazio valutativo, sia in fatto che in diritto.

Ciò porta a ritenere obbligata la prospettata soluzione, in vista del pronunciamento delle Sezioni Unite, e ciò anche inragione del fatto che non pare sostenibile l’idea della applicabilità del termine di decadenza di cui all'art. 28, comma 3, cod. ant. Ed invero, è opportuno precisare che a fronte della incontestata assenza di una disposizione che regolamenti in modo espresso la sopravvenienza di decisioni del Giudice delle leggi potenzialmente incidenti sul giudicato, sia il ricorso al modello legale di cui all'art. 28 cod. ant. che l'ipotesi di applicazione dell'art. 673 c.p.p. inverano una interpretazione sistematica tesa a colmare una lacuna legislativa. Ne consegue che lì dove si ritenga applicabile, per le ragioni sinora esposte, il modello legale di cui all'art. 28 cod.ant., è evidente che si tratta di estrarre sul piano interpretativo dalle previsioni tipiche una ipotesi affine ed aggiuntiva. La causa di decadenza di cui all'art. 28, comma 3, cod. ant., di tal che, non risulta applicabile a simile caso in quanto specificamente prevista per le sole ipotesi di revocazione “tipizzate” di cui all'art. 28, comma 1, cod. ant., ipotesi che anche sul piano fenomenico rendono sostenibile l'onere di iniziativa in capo alla parte privata interessata.

 

 

[1] Cass., Sez. VI, 10 maggio 20117, n. 28267, in C.E.D. Cass., n. 270414.

[2] Cass., Sez. II, 12 marzo 2019, n. 19414, in C.E.D. Cass., n. 276063; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Cass., Sez. VI, 27 maggio 2020, n. 17854, in C.E.D. Cass., n. 279283; Cass., Sez. V, 24 marzo 2017, n. 28628, in C.E.D. Cass., n. 270238.

[3] Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2006, n. 57, in C.E.D. Cass., n.  234955.

[4] Corte cost., sent. n. 24 del 27 febbraio 2019, in Dir. pen. cont., 4 marzo 2019.

[5] Corte cost., sent. n. 24 del 27 febbraio 2019, cit.

[6] Cass., Sez. VI, 28 ottobre 2020, n. 36582, in C.E.D. Cass., n. 280183.

[7] Cass., Sez. Un., 29 maggio 2014, n. 42858, in C.E.D. Cass., n. 260700.

[8] Corte cost., sent. n. 32 del 2014, in giurisprudenzapenale.it, 6 marzo 2014.

[9] Cass., Sez. I, 1 aprile 2019, n. 27696, in C.E.D. Cass., n. 275888.

[10] Cass., Sez. II, 13 ottobre 2010, n. 33641, in C.E.D. Cass., n. 279970.

[11] Cass., Sez. I, 1 ottobre 2020, n. 34027, in C.E.D. Cass., n. 279997.

[12] Sul punto, cfr. Sent. G.C., De Tommaso c. Italia, 23.02.2017, ricorso n. 43395/09, in Dir. pen. cont., 3 marzo 2017. Per un quadro di insieme sui presupposti applicativi della confisca di prevenzione si rimanda a: AA.VV., Le sanzioni patrimoniali come moderno strumento di lotta contro il crimine: reciproco riconoscimento e prospettive di armonizzazione, a cura di A. Maugeri, Giuffrè, Milano, 2007, p. 145 ss.; A. Aiello, La tutela civilistica dei terzi nel sistema della prevenzione patrimoniale antimafia, Giuffrè, Milano, 2005 p. 44 ss.; A. Balsamo, Le prospettive di riforma del sistema delle misure patrimoniali, in AA.VV., I costi dell’illegalità, Il Mulino, Bologna, 2008, p 58 ss.; A. Balsamo, Misure di prevenzione patrimoniali. Prospettive di riforma e principi del “giusto processo”, in Questione Giustizia, 2002, p. 1; A. Balsamo, La prevenzione ante delictum, in AA.VV., Contrasto al terrorismo interno e internazionale, a cura di R. Kostoris – R. Orlandi, Giappichelli, Torino, 2006, p. 28 ss.; A. Balsamo, Nuove prospettive per il sequestro e la confisca antimafia nel contesto europeo, in Il Merito, 2005, n. 2, p. 54 ss.; A. Balsamo – G. De Amicis, L’art. 12-quinquies della l. n. 356/1992 e la tutela del sistema economico contro le nuove strategie delle organizzazioni criminali: repressione penale “anticipata” e prospettive di collaborazione internazionale, in Cass. pen., 2005, p. 2076.