Corte d'Appello di Bari, 21 maggio 2020; Pres. rel. Gaeta
1. Con il provvedimento qui segnalato, la Corte d’Appello di Bari ha escluso che un soggetto proposto per la misura di prevenzione della sorveglianza speciale possa essere ritenuto pericoloso, ai sensi dell’art. 1 d.lgs. 159/2011 (lett. b e c), sulla base di due precedenti per spaccio di piccoli quantitativi di droga, di due condanne in primo grado per lo stesso reato, dell’applicazione di un DASPO e della violazione del distanziamento fisico durante la pandemia da Covid-19.
Nel caso di specie, il Tribunale di Bari aveva respinto l’applicazione di una misura di prevenzione personale richiesta dal Questore nei confronti di un soggetto che aveva a proprio carico due precedenti penali per spaccio di droga (risalenti al 2008 e al 2017), nonché due condanne in primo grado per spaccio (reati commessi nel 2010 e nel 2018) e già destinatario di avviso orale del Questore (nel 2011); il proposto risultava poi destinatario di un DASPO (divieto di accedere a manifestazioni sportive) applicato nel 2017 e di una denuncia per violazione del distanziamento fisico commessa nel marzo 2020, durante la quarantena conseguente alla pandemia da Covid-19. Il Tribunale tuttavia, considerando la lieve entità del fatto (di spaccio) più recente, escludeva la pericolosità ai sensi della lett. b) dell’art. 1 d.lgs. 159/2011 (cod. antimafia), ipotesi di pericolosità generica riguardante “coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”.
2. Il Procuratore della Repubblica, nell’appellare il decreto con cui il Tribunale di Bari respingeva l’applicazione della misura di prevenzione, deduceva l’abitualità nel tipo di reato e i controlli in compagnia di pregiudicati. Tuttavia, a parere della Corte d’Appello, gli elementi forniti dalla Procura non dimostrerebbero con un apprezzabile grado di plausibilità che il proposto vivesse abitualmente con i proventi dello spaccio, poiché si trattava ogni volta di piccoli quantitativi di droga, “la cui vendita non era di per sé idonea a fornire sia pure parzialmente i mezzi abituali per vivere”. Anche riqualificando la fattispecie di pericolosità in quella di cui alla lett. c) dell’art. 1 cod. antimafia[1], la Corte d’Appello sostiene che la presenza di un DASPO e di una denuncia per violazione della misura anti-Covid di distanziamento fisico a carico del soggetto siano elementi irrilevanti non solo ai fini della fattispecie di pericolosità di cui all’art. 1 lett. b) cit., ma anche ai sensi della fattispecie di cui alla lett. c), poiché, anzitutto, “il DASPO costituisce di per sé una misura di prevenzione, che può coesistere con la sorveglianza speciale[2], ma non può a sua volta fondare l’applicazione della diversa misura, essendo l’ordinamento informato al principio del ne bis in idem”; d’altro lato, la violazione del distanziamento fisico, originariamente prevista come contravvenzione e successivamente trasformata in illecito amministrativo, a parere dei giudici baresi, “pur costituendo un indice di indifferenza verso il prossimo”, tuttavia “non integra in modo automatico un fatto che leda o ponga in pericolo la salute pubblica”, in quanto la creazione (o l’aumento) del rischio di epidemia (colposa) può sussistere solo se risulta la positività al virus dei soggetti responsabili della violazione del distanziamento fisico (positività in concreto non accertata); “diversamente opinando – conclude il provvedimento – si finirebbe per utilizzare ai fini della misura di prevenzione un mero ‘pericolo di pericolo’, e cioè un elemento del tutto evanescente”.
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3. La decisione qui in esame appare giustamente rigorosa nel valutare in concreto gli indici idonei ad integrare una delle ipotesi di pericolosità generica di cui all’art. 1 cod. antimafia, alle quali fa riferimento l’art. 4, lett. c) cod. antimafia, ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione personali di competenza dell’autorità giudiziaria[3]. Da un lato infatti, non è sufficiente la reiterazione del reato di spaccio per ritenere che il proposto “viva abitualmente, anche in parte, con i proventi delle attività delittuose”, ma è necessario valutare in concreto l’entità dell’attività illecita e la sua effettiva idoneità a consentire al soggetto di vivere con i proventi di essa. Dall’altro lato, la Corte d’Appello esclude che la presenza di elementi eterogenei, come la presenza di un DASPO e una denuncia per violazione delle norme anti-Covid – indici al più di una personalità turbolenta o di indifferenza verso il prossimo – possano di per sé soli integrare la terza ipotesi di pericolosità generica (quella di cui alla lett. c dell’art. 1 cit.[4]).
Anzitutto, il divieto di accesso agli impianti sportivi si riferisce ad uno specifico profilo di pericolosità, quindi la mera valutazione della sua applicazione in capo al proposto non può legittimamente servire a “duplicare” la valutazione di pericolosità anche per scopi eterogenei rispetto ad esso: il DASPO (disciplinato dall’art. 6 della L. n. 401/1989) costituisce infatti una misura di prevenzione personale atipica[5], applicabile sul presupposto della sussistenza di una pericolosità specifica del soggetto, ricavabile da condotte violente o pericolose che il soggetto pone in essere in collegamento ad una manifestazione sportiva[6]; l’applicazione della misura in questione, frutto di una valutazione già avvenuta dello specifico profilo di pericolosità appena descritto, non può giustificare l’applicazione di una nuova misura, in assenza di nuovi e autonomi presupposti, pena la violazione del principio di ne bis in idem. Nel caso di specie, inoltre, non viene in rilievo una violazione del DASPO (nel qual caso sono previste specifiche sanzioni), di conseguenza non si configurano “reiterate violazioni (…) dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa”, cui fa riferimento l’art. 1 lett. c d.lgs. 159/2011.
In secondo luogo, la violazione del distanziamento sociale durante la pandemia, che non costituisce più contravvenzione, bensì illecito amministrativo[7], non potrebbe essere utilmente valorizzata per considerare il soggetto come dedito “alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo (…) la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica” (ex lett. c art. 1 cit.); d’altro canto, le disposizioni emergenziali anti-Covid (penali prima, amministrative poi) sono finalizzate alla prevenzione del diffondersi della pandemia e sanzionano un comportamento astrattamente pericoloso, tuttavia – come giustamente rilevato dai giudici d’appello baresi – la violazione delle misure di distanziamento da parte di un soggetto non positivo al Covid-19 non configura un’ipotesi di pericolosità sufficientemente concreta ai fini dell’applicazione di una misura di prevenzione personale.
Questa lettura rigorosa offerta dal provvedimento in commento ai fini della valutazione della pericolosità generica appare in linea sia con le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di Strasburgo[8], sia da quelle provenienti dalla Corte costituzionale, che richiede una lettura “tassativizzante” delle ipotesi di pericolosità generica salvate dall’incostituzionalità [9].
[1] Altra ipotesi di pericolosità generica, che prevede l’applicazione delle misure di prevenzione personali nei confronti di “coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio (…), nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”.
[2] In tal senso, Cass. pen. n. 1308/2018 e n. 23346/2017.
[3] In proposito, si veda F. Basile, Manuale delle misure di prevenzione. Profili sostanziali, Torino, 2020, pp. 36 ss.
[4] Occorre osservare che tale ipotesi ha tradizionalmente ricevuto un’applicazione molto limitata (ad es., nei confronti di chi esercita la prostituzione); cfr. Basile, Manuale delle misure di prevenzione cit., p. 37.
[5] F. Fiorentin, Le misure di prevenzione nell’ambito sportivo, in AA.VV., Misure di prevenzione personali e patrimoniali, a cura di F. Fiorentin, Torino, 2018, p. 362.
[6] Cfr. Fiorentin, Le misure di prevenzione nell’ambito sportivo cit., p. 394.
[7] Originariamente, veniva fatta applicazione della contravvenzione di cui all’art. 650 c.p., successivamente l’art. 2, comma 1 del d.l. n. 33/2020 conv. in l. n. 74/2020 ha previsto un autonomo illecito amministrativo; sul punto, si leggano G.L. Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, in questa Rivista, 16 marzo 2020 e, dello stesso Autore, Emergenza Covid-19 e “fase 2”: misure limitative e sanzioni nel d.l. 16/05/2020, n. 33 (nuova disciplina della quarantena), in questa Rivista, 18 maggio 2020 e Covid-19 e misure limitative: convertito in legge il d.l. 33/2020 e introdotta una nuova disciplina della quarantena precauzionale, di dubbia legittimità costituzionale, in questa Rivista, 16 luglio 2020.
[8] Il riferimento è alla nota sentenza della Grande Camera del 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia; in proposito, F. Basile, Tassatività delle norme ricognitive della pericolosità nelle misure di prevenzione: Strasburgo chiama, Roma risponde, in Dir. pen. cont., 20 luglio 2018, nonché, dello stesso Autore, Manuale delle misure di prevenzione cit., pp. 38 ss.; F. Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, in Dir. pen. cont., fasc. 3/2017, pp. 370 ss.
[9] Tramite la recente sent. 27 febbraio 2019, n. 24; sul punto, S. Finocchiaro, Due pronunce della Corte costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza De Tommaso della Corte Edu, in Dir. pen. cont., 4 marzo 2019; Basile, Manuale delle misure di prevenzione cit., pp. 40 ss.