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07 Febbraio 2022


Gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019 sui provvedimenti definitivi: le Sezioni unite ammettono la revocazione delle confische disposte per la fattispecie di pericolosità ‘generica’ dichiarata costituzionalmente illegittima e ne individuano il fondamento nell’art. 28, co. 2, d.lgs. 159/2011

Cass., Sez. un., 16 dicembre 2021 (dep. 31 gennaio 2022), n. 3513, Pres. Cassano, rel. Caputo



1. Dopo le forti «scosse telluriche»[1] provocate dalla sentenza de Tommaso, pronunciata dalla Grande camera della Corte EDU nel 2017[2], continuano a registrarsi significativi aftershocks nella materia delle misure di prevenzione, questa volta originati dalla sentenza n. 24 del 2019[3], con cui la Corte costituzionale si era confrontata e aveva dato seguito alle censure mosse dai giudici di Strasburgo alla normativa italiana.

Con l’arresto da ultimo richiamato, il giudice delle leggi, in estrema sintesi, da un lato aveva dichiarato illegittima l’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e della confisca di prevenzione nei confronti delle persone, individuate dall’art. 1 lett. a) d.lgs. 159/2011 (di seguito anche ‘cod. ant.’), che «debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dedite a traffici delittuosi»; dall’altro lato, aveva respinto l’eccezione di costituzionalità in relazione alla fattispecie di cui lett. b) del medesimo art. 1 cod. ant., ‘salvata’ in quanto ritenuta sufficientemente precisa grazie all’interpretazione che della stessa è stata fornita dalla più recente giurisprudenza ‘tassativizzante’ della Corte di cassazione[4].

La sentenza n. 24/2019 della Corte costituzionale ha così posto agli interpreti il problema del destino delle misure di prevenzione già applicate, prima di tale pronuncia, a soggetti inquadrati nella fattispecie di pericolosità generica di cui alla lett. a) dell’art. 1 cod. ant., oggi espunta dal nostro ordinamento. Ne è sorto un contrasto giurisprudenziale che ha riguardato specificamente la confisca ex art. 24 cod. ant. e che ha portato la I Sezione della Corte di cassazione a chiedere alle Sezioni unite di chiarire «[s]e, […] a tutela della posizione dell’inciso, sia esperibile il rimedio della revocazione di cui all’art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 ovvero il rimedio dell’incidente di esecuzione di cui agli artt. 666 e 670 cod. proc. pen.»[5].

Anticipando l’approdo di un articolato percorso motivazionale, va subito segnalato che il massimo organo nomofilattico ha fornito risposta al suddetto quesito formulando due diversi principi di diritto. Da un lato si è affermato che «il rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca fondato sulla pericolosità generica, ex art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, al fine di far valere il difetto originario dei presupposti della misura, a seguito della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, è la richiesta di revocazione, di cui all’art. 28, comma 2, del d.lgs. citato»[6]. Dall’altro lato è stato altresì precisato che «la Corte di cassazione, investita del ricorso in materia di confisca di prevenzione definitiva, adottata in relazione alle ipotesi di pericolosità generica ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a) e lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per far valere gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata con sentenza n. 24 del 2019, è tenuta all’annullamento senza rinvio della sola misura fondata, in via esclusiva, sull’ipotesi di cui all’art. 1, comma 1, lett. a)»[7].

 

2. La vicenda procedimentale da cui trae origine il ricorso rimesso alle Sezioni unite è lineare. Nel 2013 il ricorrente si era visto confiscare diversi beni di varia natura con provvedimento, divenuto irrevocabile l’anno successivo, che accertava la sussistenza delle fattispecie di pericolosità generica di cui all’art. 1 lett. a) e b) cod. ant. Una volta intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, lo stesso aveva presentato alla Corte d’appello di Brescia un’istanza di revocazione del provvedimento ablatorio ex art. 28 cod. ant., istanza fondata proprio sulla recente declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 1 lett. a) cod. ant. L’istituto di cui all’art. 28 cod. ant. risultava del resto applicabile al caso de quo, in quanto la proposta di confisca era stata avanzata successivamente all’entrata in vigore del c.d. codice antimafia, venendo così rispettata la disciplina transitoria di cui all’art. 117 cod. ant.[8], per come interpretata dalla giurisprudenza[9]. Tuttavia, l’istanza era stata ritenuta inammissibile sull’assunto per cui la revocazione può essere chiesta unicamente nei tre casi tassativamente indicati dall’art. 28 cod. ant. – sopravvenienza di prove nuove decisive, contrasto con sentenze penali definitive, accertata condotta illecita –, fra cui non rientra la declaratoria di illegittimità costituzionale della ‘fattispecie preventiva’. Né, secondo la Corte d’appello di Brescia, si sarebbe potuto ricondurre tale ipotesi al comma 2 dell’art. 28 cod. ant., il quale, lungi dal prevedere «un ulteriore e generale caso di revocazione della confisca»[10], avrebbe unicamente posto un limite alla proposizione dell’istanza.

Contro il decreto di inammissibilità dell’istanza di revocazione veniva quindi proposto ricorso per cassazione, con cui si denunciava erronea applicazione dell’art. 28 cod. ant. e mancanza di motivazione. Secondo il ricorrente, la suddetta interpretazione restrittiva dell’art. 28 cod. ant. lo avrebbe lasciato «ingiustamente disarmato degli strumenti giuridici necessari a far dichiarare l’illegittimità della misura di prevenzione disposta in applicazione della norma dichiarata incostituzionale successivamente alla definitività del provvedimento ablatorio»[11], dal momento che la disciplina delle misure di prevenzione risulta priva di uno strumento speculare all’incidente di esecuzione ex art. 673 c.p.p., che nel processo penale consente di far valere la declaratoria di illegittimità costituzionale della fattispecie incriminatrice.

Investiti del ricorso, i giudici della I Sezione della Corte di cassazione non hanno dubitato della necessità di rimuovere i provvedimenti ablatori definitivi che, per effetto dell’intervento della Corte costituzionale, risultano ormai sprovvisti di «un’idonea piattaforma legale»[12]. Tuttavia, rilevata l’esistenza di «un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine allo strumento processuale esperibile per affrontare la questione posta dal ricorso»[13], hanno rimesso lo stesso alle Sezioni unite.

 

3. Due gli indirizzi interpretativi che si contendevano il campo sulla questione sottoposta all’attenzione del massimo organo nomofilattico[14].

Secondo l’orientamento maggioritario, lo strumento processuale da utilizzare per adeguarsi alla sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019 in materia di confisca di prevenzione è rappresentato dalla revocazione di cui all’art. 28 cod. ant., concepita dal legislatore quale «istituto precipuamente diretto alla ‘elisione ex tunc del provvedimento ablativo nel caso di successivo accertamento del difetto dei presupposti’»[15]. L’opposto indirizzo interpretativo, che invece afferma l’esperibilità dell’incidente di esecuzione ex art. 673 c.p.p. (v. infra, §4), viene criticato dai sostenitori di questo filone giurisprudenziale essenzialmente per ragioni normative. È vero, infatti, che l’art. 7, co. IX, cod. ant. rinvia alle disposizioni di cui all’art. 666 c.p.p., che disciplina il procedimento di esecuzione, ma tale rinvio, si osserva, è «dettato […] per la fase della cognizione […] e non riguarda, pertanto, la fase esecutiva»; conseguentemente, «non può […] riconoscersi l’applicabilità al settore tipico della prevenzione delle singole disposizioni procedimentali contenute nel codice di rito penale in tema di esecuzione»[16].

Nell’ambito di questo orientamento è peraltro riscontrabile, come osservano le Sezioni unite, un duplice approccio ermeneutico. Alcune pronunce, muovendo dall’estraneità della declaratoria di illegittimità costituzionale rispetto ai casi in cui l’art. 28 cod. ant. ammette la revocazione, «fanno leva, in buona sostanza, su un’analogia volta a colmare la lacuna legislativa relativa alla ‘sopravvenienza di decisioni del giudice delle leggi potenzialmente incidenti sul giudicato’»[17]. Altri arresti, invece, invocano un’applicazione diretta dell’art. 28 cod. ant., e segnatamente del comma II, il quale, prevedendo che «[i]n ogni caso, la revocazione può essere richiesta solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura», delineerebbe una fattispecie revocatoria aperta, capace di travalicare la casistica di cui al comma precedente.

In un caso e nell’altro, comunque, si giunge a escludere l’operatività del termine decadenziale di sei mesi previsto dall’art. 28, co. III, cod. ant., espressamente riferito ai soli casi elencati al primo comma.

 

4. Dal canto suo, l’orientamento minoritario, come si è già accennato, individua nell’incidente di esecuzione il rimedio esperibile, a seguito della sentenza n. 24/2019 della Corte costituzionale, avverso i provvedimenti di confisca definitivi.

Diverse sono le critiche mosse al primo indirizzo giurisprudenziale. Anzitutto, si osserva che la declaratoria di illegittimità costituzionale della fattispecie ‘preventiva’ non rientra tra le ipotesi in cui l’art. 28 cod. ant. ammette la revocazione, e che neppure potrebbe invocarsi il comma II, il quale «non introduce una ipotesi autonoma di revocazione», ma «[s]erve, piuttosto, a precisare, quale principio generale che colora l’intera disposizione, che i casi tipizzati dal comma 1 potranno assumere rilievo unicamente quando si rivelino tali da mettere in discussione, ab origine, i presupposti fondanti la misura»[18]. In secondo luogo, si è ricordato che la revocazione della confisca deve essere proposta entro il termine decadenziale di sei mesi, sicché rifacendosi a tale istituto si giungerebbe all’indesiderabile conclusione che «anche l’ipotesi della revocazione volta ad eliminare l’ingiustizia di una decisione fondata su una disposizione ormai espunta dal sistema perché contraria alla Costituzione, dovrebbe ritenersi soggetta ai medesimi limiti temporali di proposizione previsti dal […] comma 3»; né potrebbe valorizzarsi, in senso contrario, l’esplicito riferimento di tale disposizione ai casi di cui al primo comma, addentellato che non farebbe altro che confermare «che il legislatore ha inteso limitare l’istituto in questione»[19] a quelle sole ipotesi. Ancora, si è osservato che il rimedio della revocazione, forgiato per porre rimedio agli errori giudiziari, mal si addice a «una mera presa d’atto della esistenza di accadimenti successivi al giudicato che ne travolgono la validità, quale quello correlato alla intervenuta illegittimità costituzionale della fattispecie normativa sul quale si fonda la misura»[20]. Infine, è stato messo in luce che l’applicazione dell’art. 28 cod. ant. per i provvedimenti ablatori determinerebbe un’«irragionevolezza sistematica»[21]: non essendo tale rimedio spendibile per le misure di prevenzione personali, per le quali dovrebbe farsi riferimento all’art. 11 cod. ant., si «finirebbe per legittimare percorsi processuali, con correlate competenze a statuire, diversi» a «fronte di una situazione identica»[22].

Scartata la percorribilità del rimedio revocatorio, l’esperibilità dell’incidente di esecuzione viene argomentata ora attraverso un «generico richiamo alla normativa del codice di rito di riferimento in tema di procedimento di esecuzione»[23], ora valorizzando l’art. 30, co. III, l. n. 87 del 1953, il quale, prevedendo che «le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione», «non può non trovare un corrispondente rimedio sul piano esecutivo», da rinvenirsi nell’incidente di esecuzione, in quanto «mezzo destinato ad operare ogni qual volta si imponga una verifica del titolo e della sua applicabilità»[24].

 

5. Prima di occuparsi del punctum controversum, relativo all’istituto cui ricorrere per provvedere alla revoca dei provvedimenti di confisca definitivi, il massimo organo nomofilattico provvede a sciogliere un nodo pregiudiziale, vale a dire l’«individuazione del fondamento dell’idoneità della declaratoria di illegittimità costituzionale a incidere su una confisca di prevenzione divenuta definitiva»[25], idoneità che invero non è messa in discussione da nessuno dei due orientamenti appena brevemente illustrati.

L’abbrivio del ragionamento dei giudici di legittimità è rappresentato dalle Sezioni unite Maiolo del 1998[26]. Con tale pronuncia, la Corte di cassazione aveva escluso che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice fosse in grado di travolgere la misura di sicurezza patrimoniale della confisca, sostanziandosi quest’ultima in una situazione giuridica esaurita. Conseguentemente, stando a questo noto precedente, la revoca della sentenza penale ex art. 673 c.p.p. non travolge la confisca disposta ai sensi dell’art. 240 c.p.  

Tale approdo viene oggi condiviso e ribadito dalle Sezioni unite. Il che, a ben vedere, mette immediatamente ‘fuori gioco’ l’orientamento minoritario: poiché l’art. 673 c.p.p. non è in grado di travolgere i rapporti esauriti come i provvedimenti ablatori, a nulla varrebbe invocare un suo ‘adattamento’ alla sede preventiva. Così, l’incidenza della sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019 sui provvedimenti di confisca divenuti definitivi non può che essere argomentata per altra via.

Le Sezioni unite chiariscono poi che il fondamento della revoca delle confische applicate per una fattispecie preventiva dichiarata incostituzionale non può neppure essere genericamente ravvisato nella cedevolezza del giudicato di prevenzione, usualmente definito un ‘giudicato debole[27]. Un simile modus argumentandi, si osserva, potrebbe valere unicamente per le misure di prevenzione personali, le quali, ancorate come sono «alla perdurante verifica dell’attualità della pericolosità»[28], una volta applicate sono governate da una semplice preclusione ‘rebus sic stantibus, che, delineata dall’art. 11 cod. ant., cede di fronte a qualsiasi sopravvenienza in grado di sovvertire la precedente valutazione (ivi incluse le declaratorie di illegittimità costituzionale). Diversa è invece la fisionomia del provvedimento che applica in via definitiva una confisca di prevenzione, provvedimento che il legislatore ha voluto sottrarre alla «condizione di intrinseca ‘precarietà’ collegata alla preclusione rebus sic stantibus» ed emancipare «dal regime preclusivo ‘debole’»[29]. È quanto si ricava – secondo i giudici di legittimità – dall’introduzione della revocazione di cui all’art. 28 cod. ant., che, come si legge nella relazione di accompagnamento al c.d. codice antimafia, mirava a consentire alla confisca «di conservare, dopo la sua ‘definitività’, il connotato della ‘irreversibilità’»[30].

Dovendo quindi rintracciare un addentellato normativo che eccezionalmente consenta alla declaratoria di illegittimità costituzionale di travolgere i provvedimenti di confisca ex art. 24 cod. ant. divenuti definitivi, sottraendoli all’intangibilità propria dei rapporti esauriti, i giudici di legittimità si soffermano proprio sul rimedio revocatorio introdotto nel 2010, ravvisando in esso una via effettivamente percorribile, come ritenuto dall’orientamento maggioritario.

Centrale, ai fini dell’accoglimento di questa soluzione, è l’interpretazione dell’art. 28, co. II, cod. ant., ai sensi del quale «[i]n ogni caso, la revocazione può essere richiesta solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura». Secondo il massimo organo nomofilattico, tale disposizione non si limita a specificare e circoscrivere la rilevanza che può essere assegnata alle ipotesi di revocazione di cui al primo comma, come sostenuto dall’orientamento minoritario, ma, al contrario, amplia i casi di ammissibilità del rimedio, delineando una ‘fattispecie aperta’.

Due gli argomenti spesi a sostegno di questa soluzione. Anzitutto, sul piano dell’interpretazione letterale, viene valorizzato l’incipit «in ogni caso», la cui ampiezza è funzionale a individuare «quale condizione legittimante della revocazione ipotesi diverse da quelle […] delineate dal comma 1»[31]. In secondo luogo, sul piano sistematico, si osserva che l’interpretazione estensiva è l’unica «in linea con i canoni dell’interpretazione utile»[32], in quanto capace di attribuire una portata precettiva alla disposizione de qua, che altrimenti risulterebbe inutiliter data. L’interpretazione restrittiva, infatti, svuoterebbe di significato l’art. 28, co. II, cod. ant., in quanto le ipotesi di revocazione elencate al primo comma hanno già di per sé una fisionomia tale da assegnare rilevanza unicamente al difetto originario dei presupposti della confisca. Così interpretata, dunque, la disposizione in esame risulta capace di ricomprendere «nel proprio ambito applicativo la declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 24 del 2019 della Corte costituzionale, che, avendo investito in toto una delle figure di pericolosità sociale giustificatrici – anche – della confisca, integra senz’altro quel difetto originario dei presupposti per l’applicazione del provvedimento ablatorio che costituisce […] condizione applicativa del rimedio»[33].

Affermata l’esperibilità della revocazione ex art. 28 cod. ant., i giudici di legittimità escludono peraltro che tale soluzione implichi l’operatività del termine decadenziale di sei mesi di cui al terzo comma. Quest’ultimo, infatti, è espressamente riferito ai «casi di cui al comma 1», mentre nessuna decadenza è prevista in relazione alla richiesta di revocazione per i diversi casi riconducibili al secondo comma. Opzione legislativa, questa, che «risulta del tutto ragionevole proprio in considerazione del carattere non predefinito […] delle ipotesi che possono venire in rilievo», il quale carattere «non consente una preventiva valutazione ex lege dell’adeguatezza o meno della previsione di un termine»[34].

 

6. Individuato l’istituto (rectius: gli istituti, attesa la diversità di soluzione tra misure di prevenzione personali e confisca) attraverso cui è possibile ‘dar seguito’ alla sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019, le Sezioni unite chiariscono altresì in quale misura quest’ultima sia in grado di incidere sui provvedimenti definitivi, i.e. quale parte della decisione sia effettivamente capace di travolgere le misure già applicate.

Per comprendere i termini della questione, si rende opportuno fare un passo indietro. Come si è già avuto modo di accennare (cfr. supra, §1), la Corte costituzionale aveva accolto unicamente la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione alla fattispecie di cui alla lettera a) dell’art. 1 cod. ant., considerata «affetta da radicale imprecisione»[35], ritenendo invece infondata quella relativa alla fattispecie di cui alla lettera b) della medesima disposizione, la quale, grazie all’elaborazione giurisprudenziale successiva alla sentenza de Tommaso, avrebbe assunto «contorni sufficientemente precisi»[36]. In particolare, il giudice delle leggi ha ritenuto soddisfacente – sul piano della prevedibilità delle applicazioni giurisprudenziali – quell’interpretazione ‘tassativizzante’ in forza della quale la fattispecie di cui all’art. 1 lett. b) cod. ant. risulta integrata solo in presenza di un triplice requisito, vale a dire «a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto, b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui, c) i quali a loro volta costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito»[37].

Confrontandosi con i due diversi approdi cui è pervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019, la successiva giurisprudenza di legittimità – a prescindere dalla soluzione adottata sul piano del tipo di rimedio esperibile – ha ritenuto che la stessa fosse in grado di incidere sulle confische irrevocabili sia nella parte in cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 lett. a) cod. ant., sia nella misura in cui ha ‘promosso’ la ‘riperimetrazione’ in via interpretativa dell’art. 1 lett. b) cod. ant. Si è così affermata l’ammissibilità delle istanze volte a ottenere la revoca dei provvedimenti ablatori anche laddove emerga la «non ricorrenza dei presupposti legittimanti la misura nell’ipotesi di cui alla lettera b), secondo i criteri interpretativi indicati dalla Corte costituzionale»[38].

Questa conclusione è stata oggi fermamente respinta dal massimo organo nomofilattico, che sul punto ribadisce i propri precedenti in tema di efficacia delle sentenze interpretative di rigetto[39]. Il riferimento corre, in particolare, alle Sezioni unite Clarke del 1995, le quali avevano chiarito che «[l]e sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale non sono munite dell’efficacia ‘erga omnes’ propria delle decisioni con le quali viene dichiarata l’illegittimità costituzionale di una disposizione di legge, per cui assumono il valore di mero precedente e non sono vincolanti per il giudice»[40]; affermazione, questa, successivamente condivisa anche dalle Sezioni unite Pezzella del 2004[41].

Allineandosi a questa posizione, i giudici di legittimità concludono che, nella parte in cui ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, lett. b), cod. ant., la sentenza n. 24/2019 assume un mero «valore persuasivo», come tale «privo di attitudine a incidere sul giudicato formatosi in relazione al provvedimento che dispone la confisca di prevenzione»[42].

 

7. La conclusione da ultimo illustrata consente alle Sezioni unite di risolvere agevolmente la questione relativa alla sorte delle misure di prevenzione applicate nei confronti di un proposto originariamente inquadrato promiscuamente sia nella fattispecie di pericolosità generica di cui alla lett. a), sia nella fattispecie di pericolosità generica di cui alla lett. b) di cui all’art. 1 cod. ant., ipotesi peraltro assai frequente nella prassi[43]. In questi casi, il giudice è chiamato a verificare se, nel tessuto motivazionale del provvedimento definitivo, la riconosciuta sussistenza della fattispecie di pericolosità di cui all’art. 1 lett. b) cod. ant. si presenti ‘autonoma’ e ‘autosufficiente’, vale a dire di per sé idonea a supportare l’applicazione della misura di prevenzione. In caso affermativo, il provvedimento applicativo divenuto irrevocabile non potrà in nessun caso essere revocato, neppure laddove la fattispecie di pericolosità generica fosse stata interpretata secondo criteri diversi da quelli messi a punto dall’interpretazione ‘tassativizzante’ sopra richiamata. Diversamente ragionando, si finirebbe per assegnare alla pronuncia interpretativa della Corte costituzionale un’efficacia erga omnes che invece le è estranea[44].

Ne deriva, per quanto riguarda il ruolo della Corte di cassazione, che quest’ultima dovrà disporre l’annullamento senza rinvio (in toto o limitatamente a una parte dei beni confiscati) «solo qualora […] sia in grado di constatare che la misura ablatoria – per tutte le sue componenti patrimoniali o per una parte di esse – sia fondata, in via esclusiva, sull’ipotesi di cui all’art. 1, comma 1, lett. a), cit.»[45].

***

8. Nei paragrafi che precedono ci si è limitati a ripercorrere i principali snodi motivazionali di una sentenza particolarmente articolata e che offre molteplici spunti di riflessione su diverse – e tra loro eterogenee – questioni, spunti che meriterebbero di essere attentamente approfonditi. Nell’attesa di ospitare riflessioni più mature, in questa sede ci limiteremo quindi soltanto a congedarci dal lettore con qualche battuta conclusiva.

 

9. La soluzione accolta dalle Sezioni unite ha indubbiamente una vocazione garantista, aprendo la strada alla revocazione di provvedimenti ablatori definitivamente disposti sulla base di una fattispecie dichiarata costituzionalmente illegittima. Tale esito, a ben vedere, non era affatto scontato, come dimostra la giurisprudenza – richiamata nella sentenza esaminata – che inquadra l’esecuzione della misura di sicurezza della confisca tra i ‘rapporti esauriti’ insuscettibili di essere travolti in caso di revoca della sentenza penale di condanna. Giurisprudenza, questa, che peraltro è stata recentemente messa in discussione in relazione alla revoca della sentenza conseguente ad abolitio criminis, ma non (paradossalmente) per i casi di declaratoria di illegittimità costituzionale[46].

Il massimo organo nomofilattico è peraltro giunto ad affermare la ‘cedevolezza’ dei provvedimenti che hanno disposto la confisca di prevenzione di fronte alla declaratoria di illegittimità costituzionale senza porsi in contrasto con i principi affermati dalle Sezioni unite Maiolo del 1998. Il che è stato reso possibile dall’individuazione di un apposito fondamento normativo che eccezionalmente ammetterebbe, per la sola confisca di prevenzione, l’esperibilità del rimedio revocatorio.

Il grimaldello, come si è visto, è stato rintracciato nella revocazione di cui all’art. 28 cod. ant., e segnatamente nell’interpretazione che è stata offerta del secondo comma. Ed è qui che, a sommesso avviso di chi scrive, gli snodi motivazionali offerti dagli ermellini sembrano scontare qualche forzatura. Invero, l’incipit della disposizione «in ogni caso», seguito da una virgola, parrebbe proprio riferirsi, in chiave specificativa, ai casi indicati dal primo comma. Vero è che così intesa la norma risulterebbe superflua, ribadendo un principio – i. e. l’indifferenza della confisca al mutamento delle condizioni personali del proposto, e in particolare della pericolosità per la sicurezza pubblica – già impresso nel sistema. Cionondimeno, neppure l’argomento di tipo sistematico dell’interpretazione utile – il secondo speso dalle Sezioni unite – risulta pienamente soddisfacente. Invero, una volta assegnatagli una tale latitudine, l’art. 28, co. II, cod. ant. finisce per rendere sostanzialmente… inutile l’elencazione di cui al comma I.   

Che la revocazione della confisca sia stata forgiata proprio per porre rimedio agli errori giudiziari, e non per far fronte alla declaratoria di illegittimità costituzionale, sembra peraltro confermato dalla modifica apportata all’art. 28 cod. ant. dalla l. n. 161/2017. Con tale intervento normativo è stato previso – in linea con quanto disposto per la revisione delle sentenze penali (art. 633 c.p.p.) – che la Corte d’appello competente a disporre la revocazione debba essere individuata secondo i criteri di cui all’art. 11 c.p.p. La ratio della novella si lascia cogliere agevolmente: ciò che si è voluto scongiurare è «il rischio di possibili condizionamenti ambientali derivanti dalla contiguità tra il giudice che ha emesso il provvedimento definitivo di confisca e quello che [deve] “controllarne” la correttezza sotto il profilo della esistenza ab imis dei presupposti»[47]. Questa particolare competenza non sembra invece trovare alcun fondamento giustificativo quando si tratta di dover prendere atto dell’illegittimità costituzionale della fattispecie originariamente applicata, come dimostra il fatto che, nel processo penale, la sentenza di condanna viene revocata ex art. 673 c.p.p. dal giudice dell’esecuzione.

 

10. L’impressione, dunque, è che, come spesso accade nella materia delle misure di prevenzione, ancora una volta l’esigenza di raggiungere soluzioni accettabili abbia costretto i giudici di legittimità a un’interpretazione del laconico dato normativo tutt’altro che scontata. Ciò che segnala, una volta di più, come, a un decennio dall’entrata in vigore del c.d. codice antimafia, sarebbe opportuna un’implementazione del tessuto normativo che regola il processo di prevenzione, così da sciogliere i nodi ancora irrisolti in maniera rispettosa del principio di legalità processuale.

 

 

[2] Cfr. Corte Edu, Grande Camera, sent. 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia, in Dir. pen. cont., 3 marzo 2017, con nota di F. Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali.

[3] Corte cost., sent. 24 gennaio 2019 (dep. 27 febbraio 2019), n. 24, Pres. Lattanzi, Red. Viganò, in Dir. pen. cont., 4 marzo 2019, con nota di S. Finocchiaro, Due pronunce della Corte costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza de Tommaso della Corte EDU.

[4] Cfr. F. Basile, Manuale delle misure di prevenzione. Profili sostanziali, II ed., Giappichelli, Torino, 2021, p. 42. Sul punto v. infra, §6.

[5] Cfr. Cass. pen. Sez. I, ord. 4 giugno 2021 (dep. 16 giugno 2021), n. 23547.

[6] Cfr. pp. 22-23 della sentenza in esame.

[7] Cfr. p. 28 della sentenza.

[8] Ai sensi dell’art. 117, co. I, cod. ant., «[l]e disposizioni contenute nel libro I non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione. In tali casi, continuano ad applicarsi le norme previgenti».

[9] Cfr. Cass. pen. Sez. I, 17 ottobre 2013 (dep. 22 gennaio 2014), n. 2945, CED 258599, ove si afferma che «l’applicazione della nuova disciplina non possa avvenire in tutti i casi in cui la ‘proposta applicativa’ da cui è sorto il procedimento ‘in quanto tale’ sia stata formulata prima del 13 ottobre 2011 e ciò anche nelle ipotesi in cui il procedimento sia nel frattempo definito e si discuta della revoca del provvedimento emesso».

[10] Cfr. p. 2 della sentenza in esame. L’art. 28, co. II, cod. ant., su cui ci si soffermerà oltre, prevede che «[i]n ogni caso, la revocazione può essere richiesta solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura».

[11] Cfr. p. 3 della sentenza.

[12] Cfr. p. 3 della sentenza.

[13] Cfr. p. 3 della sentenza.

[14] Per un’efficace sintesi del contrasto giurisprudenziale v. anche F. Basile, Manuale delle misure di prevenzione. Profili sostanziali, cit., p. 52 ss.

[15] Cfr. p. 8 della sentenza, che richiama Cass. pen. Sez. II, 13 ottobre 2020 (dep. 27 novembre 2020), n. 33641, CED 279970.

[16] Per questa e la precedente citazione cfr. Cass. pen. Sez. I, 1 ottobre 2020 (dep. 1 dicembre 2020), n. 34027, CED 279997.

[17] Cfr. p. 9 della sentenza, che richiama Cass. pen. Sez. I, 8 aprile 2021 (dep. 26 maggio 2021), n. 20827, CED 281544. Tale pronuncia sembra peraltro occupare una posizione ‘mediana’ nel contrasto giurisprudenziale in esame, in quanto afferma che «all’incidente di esecuzione – modellato sulla falsariga della previsione di cui all’art. 673 cod. proc. pen. – potrebbe farsi ricorso nelle sole (peraltro infrequenti) ipotesi in cui la disposizione regolatrice della condizione di pericolosità sia stata precisamente individuata in cognizione in quella di cui all’art. 1, comma 1, lett. a)», mentre «in tutte le altre ipotesi in cui il giudice della cognizione – in prevenzione – non risulti aver individuato con assoluta precisione la fattispecie legale di pericolosità o risulti aver compiuto un inquadramento ‘misto’, è evidente che l’apprezzamento giurisdizionale della ‘incidenza’ del decisum del giudice delle leggi non potrebbe essere quello del mero incidente esecutivo, dovendosi necessariamente riaprire uno spazio cognitivo e valutativo, sia in fatto che in diritto».

[18] Per questa e la precedente citazione cfr. Cass. pen. Sez. VI, 28 ottobre 2020 (dep. 18 dicembre 2020), n. 36582, §3 del “considerato in diritto”.

[19] Per questa e la precedente citazione cfr. Cass. pen. Sez. VI, 28 ottobre 2020 (dep. 18 dicembre 2020), n. 36582, §3.1 del ‘considerato in diritto’.

[20] Cfr. Cass. pen. Sez. VI, 28 ottobre 2020 (dep. 18 dicembre 2020), n. 36582, §4 del ‘considerato in diritto’.

[21] Cfr. Cass. pen. Sez. VI, 28 ottobre 2020 (dep. 18 dicembre 2020), n. 36582, §6 del ‘considerato in diritto’.

[22] Per questa e la precedente citazione cfr. Cass. pen. Sez. VI, 28 ottobre 2020 (dep. 18 dicembre 2020), n. 36582, §6 del ‘considerato in diritto’.

[23] Cfr. p. 11 della sentenza, che rinvia a Cass. pen. Sez. VI, 28 ottobre 2020 (dep. 18 dicembre 2020), n. 36582.

[24] Per questa e la precedente citazione cfr. Cass. pen. Sez. VI, 22 aprile 2021 (dep. 29 luglio 2021), n. 29840, §8 del ‘considerato in diritto’.

[25] Cfr. p. 14 della sentenza.

[26] Cfr. Cass. pen., Sez. un., 28 gennaio 1998 (dep. 23 marzo 1998), n. 2, CED 210113.

[27] Cfr. in particolare §5 del ‘considerato in diritto’.

[28] Cfr. p. 18 della sentenza in esame.

[29] Per questa e la precedente citazione cfr. p. 18 della sentenza in esame.

[30] Cfr. Relazione illustrativa di commento al Codice delle leggi antimafia.

[31] Cfr. pp. 20-21 della sentenza.

[32] Cfr. p. 21 della sentenza.

[33] Cfr. p. 21 della sentenza.

[34] Per questa e la precedente citazione cfr. p. 22 della sentenza.

[35] Cfr. Corte cost., sent. 24 gennaio 2019 (dep. 27 febbraio 2019), n. 24, §12.3 del ‘considerato in diritto’.

[36] Cfr. Corte cost., sent. 24 gennaio 2019 (dep. 27 febbraio 2019), n. 24, §12.2 del ‘considerato in diritto’.

[37] Cfr. Corte cost., sent. 24 gennaio 2019 (dep. 27 febbraio 2019), n. 24, §12.2 del ‘considerato in diritto’.

[38] Cfr. Cass. pen. Sez. II, 13 ottobre 2020 (dep. 27 novembre 2020), n. 33641 (CED 279970).

[39] Peraltro, secondo le Sezioni unite l’inquadramento della sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019 tra le sentenze interpretative di rigetto non può neppure dirsi scontato, per via della mancanza, nel dispositivo come in motivazione, della formula tipica di questa tipologia di decisioni, i.e. «nei sensi di cui in motivazione» et similia. In questo senso cfr. Cass. pen. Sez. VI, 18 maggio 2021 (dep. 16 luglio 2021), n. 27689, CED 281692.  

[40] Cfr. Cass. pen. Sez. un., 13 dicembre 1995 (dep. 29 gennaio 1996), n. 930, CED 203426.

[41] Cass. pen. Sez. un. 31 marzo 2004 (dep. 17 maggio 2004), n. 23016, CED 227523.

[42] Cfr. p. 25 della sentenza.

[43] Sul punto si rinvia all’attenta indagine condotta da E. Mariani, Prevenire è meglio che punire. Le misure di prevenzione personali tra accertamento della pericolosità e bilanciamenti di interessi, Giuffrè, Milano, 2021, p. 416.

[44] Cfr. p. 26 della sentenza.

[45] Cfr. p. 27 della sentenza.

[46] Cfr. Cass. pen. Sez. III, 12 gennaio 2018 (dep. 21 febbraio 2018), n. 8421, in Dir. pen. cont., 8 maggio 2018, con nota di S. Finocchiaro, Gli effetti dell’abolitio criminis e della dichiarazione di incostituzionalità sul giudicato e sulla confisca, il quale critica «la paradossale maggior forza dell’abolitio criminis rispetto a quella delle sentenze della Corte costituzionale».

[47] Così C. Pansini, Piccoli correttivi alla revocazione della confisca di prevenzione, in Dir. Pen. Proc., 2018, VII, §9.