A proposito dell'emergenza carcere
Prendo in prestito il titolo di questo editoriale da quello di una meritoria iniziativa sul tema del caldo in carcere organizzata a Monza dalle Camere penali del distretto di Milano, il prossimo 17 luglio (programma in allegato). E muovo da una prima considerazione: Francesco Petrelli (Presidente UCPI), Cesare Parodi (Presidente ANM) ed io eravamo stati facili profeti. In un articolo pubblicato un mese fa su Repubblica e ripreso sulle pagine della nostra Rivista, avevamo sottolineato l’urgenza di un intervento per ridurre il numero dei detenuti nelle nostre carceri, sovraffollate e teatro di frequenti suicidi. Nel farlo, avevamo così chiosato: “l’estate, periodo critico, è ormai alle porte”.
Il caldo torrido è arrivato e sta provando tutti noi, in cerca di un luogo fresco per non boccheggiare. Pensate allora cosa vuol dire in questi giorni condividere locali sovraffollati di un carcere con altri detenuti, in condizioni igieniche sanitarie e strutturali spesso precarie, con temperature attorno ai quaranta gradi. I detenuti sono oltre 62.000. Sapete quanti sono i “posti regolarmente disponibili”, secondo i dati del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale? Poco più di 46.000, mentre le “camere ad uso detentivo” sono meno di 32.000. L’indice di sovraffollamento (rapporto tra detenuti presenti e posti regolarmente disponibili) è a livello nazionale del 133%. La nostra immagine è già compromessa sul piano internazionale: a maggio l'Olanda ha rifiutato l'estradizione in Italia di una persona in ragione delle condizioni inumane delle nostre carceri.
Mentre il caldo scioglie l’asfalto delle strade, stiamo stipando persone in carceri che non hanno certo celle con l’aria condizionata. In una intervista all’Avvenire, pubblicata sabato 5 luglio, l’On. Roberto Giachetti ci presenta una fotografia che lascia senza parole: “Come parlamentare, sono stato in visita nel penitenziario Mammagialla di Viterbo. Sa cosa ho visto? Non avendo più posto, hanno trasformato in celle alcuni uffici, che non hanno finestre e neppure il bagno. Con 40 gradi, i detenuti stanno lì dentro. E quando gli scappa di urinare, debbono farla dentro bottiglie di plastica, che poi danno alla Polizia penitenziaria per farle svuotare. Ma ci rendiamo conto? Altro che attuare i precetti costituzionali, lì si sta violando la dignità umana”. Leggendo queste parole mi è tornata in mente la poesia di Primo Levi sui campi di concentramento e quel suo, durissimo, “considerate voi se questo è un uomo”.
Intanto, nel silenzio generale che avvolge il carcere, luogo lontano dagli sguardi dei più, i suicidi continuano. Gli ultimi due a Vasto e a Sollicciano. Mentre nuove leggi promettono sempre più carcere (da ultimo, il decreto-sicurezza), la realtà ci dice, numeri alla mano, che non c’è proprio più posto in carcere; il carcere è una risorsa finita – in tutti i sensi.
In gioco non ci sono solo numeri: ci sono persone, vite e diritti fondamentali che vanno tutelati anche se (e proprio perché) fanno capo a persone che, avendo commesso reati, sono limitate nell’esercizio di diritti e libertà. Aggressori che sono ora in posizione di debolezza, perché ristretti, e che sono custoditi sotto la responsabilità dello Stato e della società: quindi, di ciascuno di noi. Se non vogliamo una deriva della società e della civiltà del diritto nella quale viviamo, dobbiamo difendere i diritti dei detenuti e l’umanità della pena, enunciata nell’articolo 27 della Costituzione: “le pene non devono essere contrarie al senso di umanità”.
Derive sono possibili, come mostra una notizia apparsa in settimana sui media: nell’inaugurare un centro per migranti in Florida, nelle paludi delle Everglades – c.d. Alligator Alcatraz - il Presidente Trump ha così cinicamente scherzato con il giornalista che lo intervistava: «insegneremo ai migranti come scappare da un alligatore se riescono a fuggire dalla prigione. Non correte in linea retta. Correte così». E ha mosso la mano con un movimento a zigzag. «E sapete una cosa? Le vostre possibilità aumentano dell'1% circa». Potremmo archiviare l’uscita come una battuta, una gag che starebbe bene in una puntata dei Simpson. Facendolo, però, rischieremmo di giustificare una narrazione della detenzione insensibile ai diritti umani, nella quale il surreale diventa reale.
Per fortuna nel nostro Paese le parole del Presidente Mattarella, pronunciate in settimana incontrando al Quirinale il nuovo Capo del DAP e una delegazione della Polizia Penitenziaria, sono sideralmente lontane dalla retorica populistica trumpiana. Il Presidente Mattarella, dopo avere sottolineato la necessità di investire sul carcere – sulle strutture e sul personale - si è così espresso: “È drammatico il numero di suicidi nelle carceri, che da troppo tempo non dà segni di arresto. Si tratta di una vera e propria emergenza sociale, sulla quale occorre interrogarsi per porvi fine immediatamente. Tutto questo deve essere fatto per rispetto dei valori della nostra Costituzione”.
La Costituzione dovrebbe essere il faro dell’azione di Governo e Parlamento. Tuttavia, è passato esattamente un anno dal decreto “carcere sicuro”, che non ha in alcun modo migliorato le condizioni di detenzione. La ragionevole proposta del d.d.l. Giachetti di ridurre subito il numero dei detenuti facendo leva sulla liberazione anticipata (aumento retroattivo del numero di giorni di pena detratti per ogni semestre) non è stata approvata. Amnistia e indulto sono provvedimenti che la retorica del populismo penale ha da tempo messo al bando. Soluzioni pronte ed efficaci non se ne scorgono all’orizzonte. L'annunciata fornitura di 1000 congelatori 'pozzetto', da parte del Ministero, è qualcosa ma molto, molto poco. Come spegnere un vasto incendio con la pompa per irrigare il giardino di casa.Il Ministro Nordio ha parlato di espulsioni di stranieri: sono però state solo 463 nell’ultimo anno (dati del Garante nazionale) e sono notoriamente difficili da eseguire. Si lavora a piani di edilizia penitenziaria e alla realizzazione di strutture residenziali per determinate categorie di detenuti: interventi complessi, che richiedono tempo e investimenti, incapaci di rappresentare una concreta e pronta risposta a un’emergenza in corso. Si prospetta anche un’ulteriore riduzione del ricorso alla custodia in carcere: difficile però capire come questa proposta possa conciliarsi con la torsione punitiva nei confronti di fasce di criminalità comune che affolla ogni giorno le aule delle direttissime. Sarebbe interessante conoscere i dati relativi alla tipologia di reato oggetto dei procedimenti nei quali è ordinata la custodia in carcere. Sarebbe doveroso, per il Parlamento, esaminare quei dati prima di iniziare il discorso su una possibile riforma della custodia in cautelare. Verosimilmente si tratta per la gran parte di quegli stessi reati che destano allarme sociale, per prevenire e reprimere i quali si minacciano pene sempre più severe. Davvero si prospetta meno carcere preventivo anche per i destinatari del decreto sicurezza (borseggiatori e borseggiatrici, occupanti abusivi di immobili, spacciatori di cannabis light, rivoltosi in carcere, ecc.)? O – sia perdonato il cattivo pensiero – si pensa di limitare in qualche modo l’intervento ai colletti bianchi? Con quale legittimità, però, sul piano del principio di uguaglianza e con quale soluzione tecnica? Se ne può discutere, ma intanto fa caldo ora nelle celle affollate. Per questo la responsabilità di chi governa il sistema penitenziario richiede di intervenire subito. Se c’è un caso in cui la necessità e urgenza di intervenire (ravvisata per il decreto-sicurezza) è incontrovertibile è questo dell’emergenza carceri, ancor più con la calura di questi giorni.
Ogni appello e atto di sensibilizzazione nel dibattito pubblico – compresi gli appelli di un detenuto noto come Gianni Alemanno, che proviene dal mondo della politica – è quanto mai opportuno e utile. E’ così anche per l’iniziativa delle Camere penali del distretto di Milano, che si svolgerà a Monza il 17 luglio. Portare una cella in piazza, facendo capire ai passanti cosa significa essere reclusi in condizioni di caldo e sovraffollamento, è un gesto di sensibilizzazione civile che richiama tutti al senso di umanità: un sentimento che non possiamo e non dobbiamo perdere e che, anzi, dobbiamo trasmettere alle future generazioni.